Kimi-tachi wa dō ikiru ka / Il ragazzo e l’airone – Tutta la vita di Hayao Miyazaki

Oggi 14 luglio 2023 esce nei cinema giapponesi Kimi-tachi wa dō ikiru ka, 12esimo film di Hayao Miyazaki a conclusione di 60 anni di carriera: una meravigliosa lezione di vita e un testamento spirituale per i giovani ispirato dal filosofo Genzaburō Yoshino.

Attenzione: escluso dove espressamente indicato, questo articolo è privo di spoiler. Le uniche immagini tratte dal film e usate in questo articolo sono quelle diffuse pubblicamente dallo stesso Studio Ghibli a partire dall’11 agosto 2023 e sono comunque prive di spoiler.

Articolo in aggiornamento. Prima pubblicazione: 14 luglio 2023; ultimo aggiornamento: 5 gennaio 2024.


Locandina del film "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Hayao Miyazaki.La numerologia orientale è molto complessa e legata filosoficamente sia alla teoria dello yin e dello yang sia alla geomanzia feng shui, ovvero l’interpretazione del futuro in base allo spazio che ci circonda (no, la disposizione del letto e delle finestre dentro casa non c’entra niente). Semplificando in maniera criminale una disciplina esoterica che ha quattromila anni di storia, diciamo che gli aruspici cinesi non hanno diviso la sola fascia dell’eclittica in dodici settori astronomici, bensi l’intero cielo in dieci spicchi detti “tronchi” e l’intera terra in dodici spicchi detti “rami”, tutt’intorno a 360°, ottenendo un complesso sistema sessagesimale detto ganzhi riassunto in una bussola su cui sono proiettati colori, animali, direzioni cardinali, elementi, parti del corpo, ore del giorno e in generale tutto quello che ci circonda, cioè tutto quello che fa parte della vita. Ora, il sistema più celebre fra quelli inclusi dentro il ganzhi è quello dei 12 animali dello zodiaco cinese: topo, bue, tigre eccetera fino a cinghiale, uno per anno; questi animali camminano attraverso i cinque elementi che sono metallo, acqua, legno, fuoco e terra, ovverosia quando tutti e 12 gli animali sono passati per tutti e cinque gli elementi sono trascorsi 60 anni, che formano un ciclo vitale.

Secondo il pensiero orientale, 12 step in cinque fasi per 60 anni rappresentano una vita intera.

Oggi 14 luglio 2023 è uscito nei cinema giapponesi Kimi-tachi wa dō ikiru ka, il 12º lungometraggio di Hayao Miyazaki a conclusione di cinque fasi in 60 anni di attività. Una vita intera.

 

Cinque fasi

Miyazaki ha attraversato in maniera trasversale gran parte della storia dell’animazione giapponese passando per cinque fasi diverse, a cui sono corrisposte opere, idee e processi lavorativi molto ben distinti fra loro.

Fotografia di Hayao Miyazaki e Yasuo Ōtsuka. Fonte: https://www.nippon.com/ja/japan-topics/g01161/
Due ingrugnati Hayao Miyazaki e Yasuo Ōtsuka all’inizio di una carriera eccezionale.

La prima è quella della Tōei dōga (1963-1971). Fresco di laurea in Economia, mai usata (come spesso accade coi giapponesi, che si laureano per il solo prestigio di avere un pezzo di carta, su qualunque materia esso sia), Miyazaki entrò in Tōei come artista avendo sempre coltivato il suo talento per il disegno. Lì salì i gradini della scala professionale diventando animatore per serie adattate da fumetti e poi, sotto la guida dello storico animatore Yasuo Ōtsuka, animatore sakuga accanto al collega Yōichi Kotabe per il film seminale La grande avventura del piccolo principe Valiant diretto da Isao Takahata: è il punto d’inizio di un quadrato magico che raggiungerà poi vertici incredibili.

La seconda fase è quella di A Production (1971-1973). Dura solo un paio d’anni, ma è di un’importanza cruciale nella carriera del regista. Il free-lance Ōtsuka si trasferì a lavorare in questo studio e dopo di lui lo seguirono in blocco anche Kotabe, Miyazaki e Takahata: è qui che Miyazaki lavorerà alla prima serie di Lupin III “giacca verde” e svilupperà l’interesse per la letteratura per l’infanzia (meno amata da bambino, quando preferiva leggere autori apparentemente inadatti alla sua età, come il romanziere fantasy-horror Edogawa Ranpo o il filosofo progressista Genzaburō Yoshino). Il tentativo fallito dei quattro artisti di adattare in animazione Pippi Calzelunghe (poiché bocciato dall’autrice Astrid Lindgren) evolse nella coppia di mediometraggi Panda! Go, panda! del 1972 e 1973: mentre il primo è semplicemente carino, il secondo invece è impressionante a riguardarlo oggi, dato che contiene in nuce una quantità enorme di idee e suggestioni visive che saranno poi sviluppate da Miyazaki nei decenni successivi, da Papanda che ruzzola dalla cima del tetto come ne Il castello di Cagliostro al paese allagato come in Ponyo sulla scogliera, dall’interesse per la rappresentazione del cibo alla scena finale col treno sull’acqua che riporta alla mente sia La città incantata sia il finale de Il regno dei sogni e della follia, in cui Miyazaki pronuncia la sconvolgente dichiarazione «You can, in animation» che riassume in quattro parole tutto l’immenso valore dell’animazione.

La terza fase è quella di Zuiyō Eizō/Nippon Animation (1973-1979). Nel 1973 i quattro si spostarono di nuovo e passarono a Zuiyō, casa produttice che ha avuto un percorso travagliato fra gestioni fallimentari e cambi di nome, dove realizzarono i capolavori veri, che includono sia serie originali come Conan il ragazzo del futuro del 1978, diretto da Miyazaki stesso per la rete pubblica NHK, sia adattamenti di opere letterarie per il grandioso progetto Sekai meisaku gekijō, più noto in Occidente come World Masterpiece Theater. Inizialmente concepito come uno slot da mezz’ora nella noiosa domenica pomeriggio di Fuji TV, il WMT produsse serie come Heidi, Marco – Dagli Appennini alle Ande o Anna dai capelli rossi tuttora amate dal pubblico e riverite dalla critica; durante la lavorazione incredibilmente problematica di quest’ultima serie, Miyazaki ribaltò il tavolino da tè (modo di dire giapponese equivalente a “perdere le staffe”) e lasciò Nippon Animation per tornare brevemente sui suoi passi.

La quarta fase è quella di TMS (1979-1981). Anche questa fase, pur brevissima, è cruciale. Miyazaki e Ōtsuka realizzarono la coproduzione italo-giapponese Il fiuto di Sherlock Holmes e tornarono a lavorare sul franchise Lupin III, sia partecipando alla seconda serie “giacca rossa” sia, soprattutto, realizzando il lungometraggio Il castello di Cagliostro del 1979. La lavorazione di questo film leggendario è a sua volta leggendaria, poiché fu tutto realizzato in circa sei mesi da zero a prodotto finito con una fatica immane, e interamente ideato, scritto, storyboardato, disegnato (charades e forse anche animazioni) e diretto da Miyazaki. Eppure, a distanza di oltre quarant’anni dalla sua uscita, la quantità di idee in questo film è ancora oggi impressionante: alla sua prima opera cinematografica, Miyazaki ha già prodotto un capolavoro della storia del Cinema, non solo animato e non solo giapponese.

La quinta fase è quella di Tokuma Shoten e Studio Ghibli (1981-oggi). Dopo i fasti de Il castello di Cagliostro (non finanziari però, almeno inizialmente non fu un gran successo commerciale), la rivista mensile di animazione Animage pubblicata della casa editrice Tokuma Shoten chiese a Miyazaki di realizzare un fumetto episodico per loro, affiancandogli l’editor Toshio Suzuki: ne uscirà Nausicaä della Valle del vento, pubblicato dal 1982 al 1994, ma adattato in un lungometraggio già nel 1984, a fumetto da poco iniziato. Al contrario del film su Lupin III, il film su Nausicaä fu un successo clamoroso e venne riconosciuto immediatamente come uno spartiacque nella storia dell’animazione giapponese. Il successo del film convinse Tokuma Shoten a dare fiducia a Miyazaki & co., e per questo il 15 giugno 1985 venne fondato lo Studio Ghibli internamente alla casa editrice. Il resto è storia.

Volantino promozionale del film "Nausicaä della Valle del vento" di Hayao Miyazaki.
Volantino del 1984 che pubblicizza la proiezione cinematografica di Nausicaä della Valle del vento assieme a due episodi de Il fiuto di Sherlock Holmes. Lo slogan in giallo in alto a sinistra recita “L’amore della ragazza ha fatto avvenire un miracolo”.

 

12 film

Quanti altri cineasti al mondo possono vantare un curriculum artistico come quello di Hayao Miyazaki, composto esclusivamente da opere storiche, importanti, meravigliose, e in particolare da una lista di film che vanno tutti dall’eccellente al capolavoro assoluto? Pochi, pochissimi (nessuno?). Non a caso scegliere il proprio film preferito di Miyazaki è impresa difficilissima. Eccoli qua, per comodità:

    1. Lupin III – Il castello di Cagliostro
    2. Nausicaä della Valle del vento
    3. Il castello nel cielo
    4. Il mio vicino Totoro
    5. Kiki – Consegne a domicilio
    6. Porco Rosso
    7. Principessa Mononoke
    8. La città incantata
    9. Il castello errante di Howl
    10. Ponyo sulla scogliera
    11. Si alza il vento
    12. Kimi-tachi wa dō ikiru ka

La scelta è ardua, sono talmente diversi! Una serie veramente notevole non solo per il valore, ma anche per l’incredibile varietà di temi, stili, contesti storico-geografici, insomma per l’enorme differenza fra un titolo e l’altro pur mantenendo coerentemente sempre il proprio linguaggio narrativo, contenutistico e formale.

 

60 anni

Ritratto fotografico di Hayao Miyazaki.
Hayao Miyazaki, 82 anni, in versione pandemic chic. La produzione ha attraversato completamente il periodo del coronavirus, apparentemente senza soffrirne in alcun modo specifico.

L’ultimo film Kimi-tachi wa dō ikiru ka, uscito oggi 14 luglio 2023 nelle sale cinematografiche giapponesi, chiude la serie in grande stile con quello che è senza ombra di dubbio il film più ricco, più complesso, più personale (o autoreferenziale, se si preferisce), più colorato, più popolato, forse anche più significativo di Hayao Miyazaki.

È un film che riassume in sé tutti i temi, tutti i linguaggi, tutti i motivi visivi, tutte le idee morali, tutti i tipi caratteriali, tutte le peculiarità di scrittura di Miyazaki. Solo per citare i più celebri classici del regista: bambini che volano in cielo? C’è. Bambina magica? C’è. Bambino risoluto? C’è. Casa isolata in campagna? C’è. Vecchiette gentili e vecchiette scorbutiche? C’è e c’è. Gente che parla in modo semplice e gente che parla in modo forbito? C’è e c’è. Arredamento incredibilmente ricco e policromo e scintillante? C’è. Correre su scale ripide e cornicioni minuscoli? C’è e c’è. Vetrate tonde a quattro colori e porte dimensionali con maniglia a forma di punto interrogativo? C’è, c’è e c’è. Teste che spuntano da finestrelle/oblò e si affacciano sul vuoto? C’è. Sangue a fiotti? C’è. Oggetti volanti, magari di provenienza extraterrestre? C’è, c’è. Magia in varie forme? C’è. Fauna di ogni tipo? C’è. Aerei, mezzi di trasporto, motori? C’è, c’è, c’è. Cibo, preparare il cibo, cibo giapponese, cibo occidentale, cibo da portare con sé? C’è, c’è, c’è, c’è e c’è. Tè? C’è!

È un film così onnicomprensivo da essere quasi eccessivo e va visto più volte per assorbirlo tutto, e nonostante la suddetta ricchezza visiva quella di scrittura è persino superiore, al punto che durante la visione a volte si ha la sensazione che il messaggio superi in importanza la forma espressiva, in particolare nella parte finale in puro stile sekai kei, ma essendo questo il film conclusivo della carriera di Miyazaki possiamo perdonargli certi “eccessi” artistici.

Kimi-tachi wa dō ikiru ka rappresenta due ore di immersione completa nella testa di un artista che consegna al mondo il suo testamento spirituale, che è: il mondo è bello, la vita va avanti, sta a te scegliere di fare quel primo passo verso il futuro. Sì, è davvero un messaggio così semplice, così chiaro, e così vero.

 

Road to Kimi-tachi wa dō ikiru ka

Oltre alla firma registica, anche la produzione del film ha risvegliato l’interesse dei fan di animazione giapponese.

Al contrario di tutti i precedenti film Studio Ghibli, questo Kimi-tachi wa dō ikiru ka non è stato prodotto da una cosiddetta “commissione”, ovvero un gruppo di sponsor, aziende e produttori vari che solitamente non solo mettono i soldi, ma instradano anche la direzione artistica che deve prendere il prodotto finito: in questo caso il film è interamente prodotto in maniera indipendente da Studio Ghibli e distribuito da Tōhō, il che ha permesso una notevole libertà creativa, tematica e narrativa molto ben visibile nel film.

Mettendo insieme tutte le sparutissime informazioni sul film fatte trapelare da Studio Ghibli, quello che si sapeva prima dell’uscita del film è che la sua pre-produzione è iniziata nel luglio 2016 con un primo storyboard di prova (al tempo non ancora deciso per quale uso, se come cortometraggio o lungometaggio o soggetto per terzi o prodotto editoriale o altro), che la spinta definitiva a realizzarlo come lungometraggio è arrivata nel 2018 per via dell’insoddisfazione di Miyazaki verso il suo cortometraggio Kemushi no Boro (visibile solo nel cinema interno del Museo d’arte Ghibli), e che ha preso spunto e titolo dal romanzo di formazione Kimi-tachi wa dō ikiru ka (“Voi come vivete?”), pubblicato in Giappone nel 1937 dal letterato Genzaburō Yoshino, una delle succitate letture giovanili di Miyazaki che ebbero una forte influenza su di lui; “preso spunto e titolo” nel senso che ha preso solo quelli, non la trama, che è del tutto originale e non ha rapporto con quella del libro (spoiler: infatti è proprio così). In effetti il romanzo non ha comunque una vera e propria trama agevolmente trasportabile in animazione: racconta le piccole avventure quotidiane di un bambino che, perso il padre, vive con la madre e lo zio, col quale coltiva una profonda sintonia intellettuale, e che lo aiuta nelle sue “scoperte”. Ad esempio, guardando la fiumana di persone dal terrazzo dei grandi magazzini Wakō di Ginza a Chūō (Tōkyō) realizza che l’umanità è un unico organismo composto da singoli individui come la materia è composta da singole molecole, oppure osservando una confezione di latte in polvere Made in Australia realizza che ogni singolo oggetto è il risultato ultimo di un processo produttivo ovverosia del lavoro di innumerevoli persone in innumerevoli passaggi lavorativi, eccetera. In breve, un testo di formazione che invita i giovani a spogliarsi di egoismi e personalismi, a sposare l’umanità e la pietà verso gli altri, e a diventare parte di quel sistema complesso e bishū (“bellissimo e bruttissimo insieme”) che chiamiamo “mondo”. Quasi un testo sekai kei scritto quando ancora non esisteva nemmeno l’espressione sekai kei.

Confronto fra edizioni del romanzo "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Genzaburō Yoshino: 1937, 1982, adattamento a fumetti del 2017 di Shōichi Haga, edizione italiana del 2019.
Kimi-tachi wa dō ikiru ka: una storia, quattro versioni. In alto a sinistra la prima edizione rilegata del 1937 edita da Shinchōsha, in alto a destra l’attuale edizione in brossura da Iwami Shoten, in basso a sinistra l’adattamento a fumetti del 2017 di Shōichi Haga da Magazine House, e infine in basso a destra l’edizione italiana del 2019 da Kappalab tradotta da Silvia Ricci Nakashima col titolo E voi come vivrete?. L’uso del futuro è perfettamente giustificato sia grammaticalmente (in giapponese il verbo all’infinito indica sia il presente sia il futuro), sia dal tema stesso del libro, ovvero il diventare grandi.

Nel 2017 il produttore Toshio Suzuki ha raccontato in un’intervista che il film sarebbe stato un dono per il nipote prima di morire: ars longa vita brevis, lui se ne va ma la sua arte resta, e il film avrebbe raccontato appunto l’elaborazione del lutto per una persona cara che non c’è più (spoiler: infatti è proprio così).

Nel 2018 Miyazaki ha rielaborato e riscritto gran parte del film in seguito alla morte di Isao Takahata, il 5 aprile di quell’anno, trasfigurandone la figura in un personaggio del film stesso.

Il 21 gennaio 2019 Vincent Maraval, fondatore dell’azienda di distrubuzione cinematografica internazionale Wild Bunch, ha visitato lo Studio Ghibli scoprendo che erano in produzione due film, uno di Hayao Miyazaki e l’altro di Gorō Miyazaki, e ha espresso la sua gioia su Twitter scrivendo che «les dessins sont in-cro-ya-bles!». Il 18 dicembre successivo il jazzista italiano Giovanni Mirabassi, residente in Francia, fondatore dell’etichetta Jazz Eleven, grande animefan e amato da Miyazaki in persona, pubblica un secondo album di riarrangiamenti jazz di brani da anime: dopo Animessi del 2015 che raccoglie musica da varie opere, stavolta l’album si intitola Mitaka Calling (Mitaka è la città della prefettura di Tōkyō dove si trova il Museo d’arte Ghibli) e sfoggia in copertina quello che sembra essere un layout dello Studio Ghibli che sembra raffigurare un bambino che sembra correre fra la folla in città verso quello che sembra un incendio (spoiler: infatti è proprio così); verrà poi confermato che sì, è proprio un layout di Miyazaki per Kimi-tachi wa dō ikiru ka concesso dal regista stesso al musicista, suo amico.

Layout di Hayao Miyazaki dal film "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" usto sulla copertina dell'album "Mitaka Calling" di Giovanni Mirabassi.
Forse non l’immagine che uno si aspetterebbe su un album dedicato alle soavi musiche di Hisaishi, ma sicuramente d’impatto.

Col tempo sono stillati altri dati sparsi, incluso che l’animatore-capo del film è Takeshi Honda, collaboratore storico di Hideaki Anno in forze allo Studio Khara e apprezzatissimo anche da Miyazaki, affiancato da soli altri 60 animatori circa in tutto (spoiler: più cinque per la CGI, come si legge dai titoli di coda del film), e il compositore è il solito Joe Hisaishi; coincidenze sospette (messaggi di congratulazioni, bouquet di fiori, eccetera) hanno fatto sospettare che Kenshi Yonezu avesse scritto una canzone per il film (spoiler: infatti è proprio così).

Infine, non c’è stata *affatto* promozione prima dell’uscita del film. Il produttore Toshio Suzuki pare si sia ispirato un po’ alla sua girella, dicendo che ai suoi tempi non c’erano trailer e altre diavolerie del genere eppure tutti andavano al cinema, e in parte al film The First Slam Dunk che ha fatto i soldi matti nonostante la promozione scarsissima (Suzuki ha estremizzato la questione perché in realtà il film ha avuto eccome promozione, ma molto mirata e molto enigmatica per avere più carisma e sintomatico mistero). È stato fatto giustamente notare che solitamente lo Studio Ghibli spende cifre ragguardevoli in promozione, e che evitarla tout court potrebbe essere stato nient’altro che un modo per risparmiare budget in questo film autoprodotto (e per tenere un basso profilo in un periodo in cui Suzuki è sotto i riflettori della cronaca per scandali economici con la sua compagna). Dunque non sono stati prodotti altri poster oltre a uno, cripticissimo, con il dettaglio di quello che sembra essere uno schizzo a mano di Miyazaki (spoiler: infatti è proprio così), e nessun trailer, volantino, gadget, cartella stampa, niente: Suzuki era certo che sarebbe stato il passaparola a dare al film il meritato successo. In ogni caso, nei titoli di coda del film sono comunque segnalati i nomi dei montatori del trailer e degli addetti alla comunicazione, quindi la promozione c’era eccome, solo che è stata fatta dopo l’uscita del film invece che prima, e infatti da agosto in poi lo Studio Ghibli ha iniziato progressivamente a diffondere informazioni, immagini, video, musiche e altro.

Fila di spettatori in attesa di entrare a vedere il film "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Hayao Miyazaki.
La non lunghissima fila degli otaku pur et dur in un cinema giapponese in attesa di entrare al primo spettacolo alle 8:20 del mattino: bene ma non benissimo, considerando che solitamente per Miyazaki la gente si accampava davanti ai cinema con giorni d’aniticipo e i biglietti andavano sold out per settimane. Magari la strategia di Suzuki funziona e col passaparola il film sbancherà il botteghino nei prossimi giorni, chissà.

Fatto sta che, almeno fino a ieri, il film era letteralmente misconosciuto persino agli animefan, e oggi le sale non erano tanto piene quanto lo erano state per i film precedenti di Miyazaki, che hanno infranto più volte i record d’incassi nella storia del box office giapponese e sono stati per anni quello che ha fisicamente tenuto in piedi la baracca dello Studio Ghibli, minata dalle spese folli di Isao Takahata e dai mediocri risultati economici degli altri registi.

Grafico degli incassi dei film di Hayao Miyazaki.
Un grafico che analizza gli incassi dei film di Hayao Miyazaki (espressi in centinaia di milioni di yen) da Lupin III – Il castello di Cagliostro a oggi: l’andamento a campana fornisce una potenziale stima sul successo di Kimi-tachi wa dō ikiru ka.

Aggiornamento del 5 gennaio 2024: nella classifica generale del box office giapponese dei film Studio Ghibli, attualmente Kimi-tachi wa dō ikiru ka (ancora in programmazione in Giappone) è il settimo film di maggior incasso dello studio e il sesto fra quelli di Miyazaki con circa 8,2 miliardi di yen (subito sotto Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento di Hiromasa Yonebayashi al sesto posto con 9,2 miliardi di yen; i primi cinque posti sono tutti occupati dai cinque film di Miyazaki da Principessa Mononoke a Si alza il vento).

 

Trama

Attenzione: il paragrafo contiene spoiler. Le parti fra virgolette caporali «…» indicano citazioni dirette dal film direttamente dalla versione giapponese. Eventuali discrepanze linguistiche fra i termini usati in questo paragrafo e quelli usati nella versione italiana dipendono dal fatto che l’autore di questo articolo ha visto il film solo in versione originale e non nella sua localizzazione italiana.

 

Il Mondo di sopra

Dettagli di fotogrammi da "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Hayao Miyazaki.
I tre personaggi principali che si incontrano nel Mondo di sopra: il protagonista Mahito, la nuova madre Natsuko, e l’airone o meglio uomo-airone.

Tōkyō, «terzo anno di guerra»¹: la sirena d’allarme suona nella notte per segnalare l’incendio a un ospedale² verso cui si precipita a perdifiato il piccolo Mahito Maki³, solo per scoprire che sua madre Hisako, lì ricoverata, è perita fra le fiamme.

Poco tempo dopo Shōichi, il padre di Mahito, si risposa con Natsuko, la sorella minore della defunta Hisako⁴, e aspetta da lei un bambino. Mahito la tratta freddamente, non riconoscendola come nuova madre. La nuova famiglia si trasferisce a vivere in campagna⁵ nella grande villa di proprietà della parte materna, come sfollati di guerra dalla città; vicino alla villa si trova la fabbrica metalmeccanica che produce parti per aerei militari di cui Shōichi è il direttore. La villa è curata da un gruppo di anziani, in particolare sette vecchiette molto pittoresche e diverse fra loro⁶ fra le quali spunta Kiriko, severa, iraconda e sempre in cerca di tabacco. Quando Mahito arriva alla villa viene ghermito da un airone cenerino⁷ che vive lì nel lago del giardino della villa, e che secondo Natsuko gli sta dando il benvenuto. Stremato dal lungo viaggio e dalla nuova vita, Mahito cade addormentato sotto lo sguardo di Natsuko e dell’airone fuori dalla finestra, che sembra chiamarlo.

Il giorno dopo Mahito esplora l’immensa proprietà: c’è un’enorme yashiki (villa alla giapponese a un piano solo con numerose stanze disposte in pianta in maniera asimmetrica) a cui è connessa una casetta a due piani all’occidentale, in mattoni; la yashiki è usata per le attività diurne e vi risiede la servitù, la casetta ospita gli appartamenti privati dei padroni, incluso Mahito. Intorno al complesso si trova un cortile dove lavorano gli anziani e poi un vasto giardino con un lago pieno di animali e un prato non più curato dai giardineri, per cui l’erba è ormai alta quasi quanto Mahito; lì il bambino raggiunge una misteriosa torre abbandonata e diroccata dove aveva visto l’airone chiamarlo e poi nascondercisi, ma l’unico ingresso è inaccessibile e ormai riempito di detriti. La sera, Natsuko gli spiega che quella torre fu fatta costruire decenni fa da suo zio (fratello di suo padre, dunque fratello del nonno di Mahito, dunque prozio di Mahito) che era «impazzito a forza di leggere libri» e la usava come biblioteca, ma un bel giorno vi scomparve dentro misteriosamente per sempre; alla fine una piena del fiume distrusse l’ingresso principale e otturò gli accessi e da allora non vi è entrato più nessuno – tranne l’airone, che stuzzica Mahito in continuazione e… sembra ci sia un uomo dentro?!?

Il giorno dopo Mahito va alla sua nuova scuola, ma viene bullizzato dai compagni: sulla strada del ritorno prende una grossa pietra e se la sbatte sulla tempia procurandosi una ferita da cui fuoriesce una copiosa emorragia; a casa Natsuko è sconvolta, e prima le vecchiette e poi un medico curano la ferita bendandola. Mahito mente al padre dicendogli di essere semplicemente caduto, ma lui è convinto che invece sia stato picchiato dai compagni di scuola. La notte l’airone/uomo-airone continua a chiamare Mahito, lui prende una bokutō (spada di legno) per affrontarlo, ma l’uccello la distrugge e insinua al bambino che la madre, di cui non ha visto coi suoi occhi il cadavere, sia ancora viva dentro la torre… ma era solo un sogno, o forse no dato che la mattina dopo la bokutō è distrutta.

Mentre Shōichi è furioso con la scuola e Natsuko soffre per lo stress e per i dolori per la gestazione, Mahito decide di cacciare l’airone e si costruisce un arco: col suo fido coltellino higonokami⁸ incide un bambù e prepara una freccia usando una piuma dell’airone come impennaggio di cocca; lavorando sulla scrivania urta dei libri, fra i quali trova una copia della prima edizione di E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino con dedica alla prima pagina sui cui è scritto:

Per Mahito quando sarà grande.

Mamma, autunno dell’anno Shōwa 12⁹

Mahito legge il libro commuovendosi fino alle lacrime, poi vede dalla finestra Natsuko che sta inoltrandosi nel giardino da sola in direzione della torre. La sera Mahito e tutta la servitù escono a cercare Natsuko: Mahito e la vecchia Kiriko vanno alla torre e vi entrano da una lacerazione nel muro lasciata dall’ingresso crollato, che dà su una galleria con arco d’accesso su cui è scritto:

facemi la divina potestate¹⁰

L’airone attrae Mahito e Kiriko dentro la torre, oltremodo stracolma di libri e oggetti, dove trovano il corpo vivo di Hisako, ma è solo un’illusione. Mahito, furioso, scocca una freccia all’airone e lo colpisce al becco, rovinandogli il travestimento: ora l’uomo non può più nascondere le proprie fattezze dentro l’uccello, se ne lamenta con una sorta di stregone che sembra abitare la torre, e costui fa sprofondare Mahito, Kiriko e l’uomo-airone attraverso il pavimento giù nel “Mondo di sotto”.

 

Nel Mondo di sotto

Dettagli di fotogrammi da "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Hayao Miyazaki.
I tre personaggi principali che si incontrano nel Mondo di sotto: la piratessa Kiriko, la piccola Himi, e il prozio.

Attenzione: vari degli eventi narrati in questa parte si susseguono senza soluzione di continuità e spesso senza una motivazione esplicitata, quindi in alcuni casi la spiegazione causa-effetto è ipotizzata dall’autore di questo articolo.

Mahito affonda nel cielo fino a ritrovarsi su un’isola verdeggiante, una cui parte ospita un luogo sacrale oscuro composto da dolmen accatastati, simile a un luogo di culto per uno shintai shintoista, circondato da un bosco di cipressi e recintato da un muretto con un grande cancello d’oro, su cui è scritto:

Chi mi conosce morir๹

All’improvviso Mahito viene attaccato da uno stormo di pellicani che lo premono contro il cancello fino a sfondarlo e a buttare il bambino a terra. In suo soccorso arriva in barca una piratessa: è giovane e forte e ha una cicatrice sulla tempia proprio come Mahito, ma ha la stessa voce e gli stessi abiti e la stessa spavalderia della vecchia Kiriko. Con un bastone magico che produce fuoco, la piratessa libera Mahito, scaccia i pellicani, richiude il cancello che lei chiama «portale della tomba», purifica entrambi con un cerchio magico e poi insieme al bambino torna alla barca «senza voltarsi indietro». La piratessa porta Mahito a casa sua: sul mare incontrano relitti e barche cariche di esseri neri senza volto, finché arrivano a una sorta di arca di Noè ormai arenatasi e ricoperta di vegetazione: lì la piratessa sfama Mahito e lo mette a letto circondato da sei bamboline di legno omamori (talismani protettori) con le fattezze delle altre sei vecchiette della villa, e a quel punto Mahito capisce che quella è proprio Kiriko, o meglio un’altra Kiriko.

Durante la notte Mahito assiste a un evento misterioso: innumerevoli wara-wara¹² (sorta di palloncini felici che Kiriko spiega essere anime che stanno per nascere) volano verso il Mondo di sopra, ma vengono mangiati dai pellicani, i quali a loro volta vengono attaccati e dissipati da Himi, una bambina in grado di usare la magia del fuoco; uno dei pellicani, ferito e morente, spiega a Mahito che per loro natura non hanno altra scelta che mangiare altri esseri, e Mahito lo seppellisce decorosamente con l’aiuto dell’uomo-airone¹³ arrivato anche lui a casa di Kiriko per dire a Mahito che ha trovato Natsuko.

Nel frattempo nel Mondo di sopra Shōichi, preoccupato per l’assenza di Natsuko e Mahito, decide di partire lui stesso verso la torre per andarli a cercare, ma una delle sette vecchie lo informa che la torre è un posto da cui star lontani: in realtà era un enorme meteorite caduto dallo spazio, trovato dal prozio e da lui rimodellato in forma di edificio; dentro succedono cose strane: ad esempio, Hisako da bambina vi scomparve dentro un anno intero e poi ne uscì uguale a com’era entrata e senza ricordare nulla del tempo trascorso… o forse non trascorso. Il padre parte comunque alla ricerca delle persone perdute.

Nel Mondo di sotto, il giorno dopo Mahito e l’uomo-airone partono a cercare Natsuko e salutano Kiriko, che dà loro una bambolina di legno con le sue sembianze da vecchia come omamori. Riparando il buco nel becco, Mahito consente di nuovo all’uomo di trasformarsi in airone e fare da esca mentre Mahito va a casa della famiglia di un fabbro dove Natsuko aveva trovato ospitalità, ma dentro non c’è più nessuno perché sono stati divorati tutti da pappagalli parrocchetto giganti mangiatori di uomini: hanno risparmiato solo Natsuko (perché incinta) portandola nel castello del loro Duce, ma ora mangeranno anche Mahito. Il bambino è legato con catene mentre i pappagalli affilano i coltelli, ma viene liberato di soppiatto da Himi, apparsa attraverso il fuoco, che lo porta magicamente con sé nella sua adorabile casetta. Mentre fanno merenda con tè e pane con burro & confettura, Mahito le spiega che è venuto lì a riprendere Natsuko, la sorella di sua madre Hisako che è morta: «Ah, proprio come me!» risponde Himi.

Con la magia del fuoco Himi trasporta Mahito nel castello del Duce dei pappagalli, che non è altro che una torre-meteorite proprio come quella del prozio: «Certo, ci sono torri così in tutti i mondi» dice Himi, che mostra a Mahito una galleria di infinte porte dimensionali, la cui numero 132 lo riporterebbe nel suo mondo: quando la aprono per farvi cadere dentro dei pappagalli che li inseguivano, questi escono nel Mondo di sopra come normali uccellini. I bambini raggiungono la stanza in cui è tenuta Natsuko: Mahito entra per portarla con sé ma lei rifiuta, allora Mahito la chiama “mamma” e lei accetta, ma gli shide (incantesimi di carta) che circondano la donna intrappolano Mahito e Himi, che svengono. Nel sogno, Mahito passa attraverso un tunnel di luce che lo porta dallo stregone che li aveva fatti sprofondare nel Mondo di sotto: è il suo prozio, il costruttore della torre, abita ancora in quel mondo mantenendone il precario equilibrio con precarie costruzioni di blocchetti di pietra magici provenienti da una precaria pietra volante magica, e vorrebbe che Mahito restasse lì e gli succedesse.

Svegliatosi, Mahito si ritrova nella cucina dei pappagalli pronto per essere di nuovo mangiato, ma viene di nuovo salvato stavolta dall’uomo-airone: insieme vanno rocambolescamente a recuperare Himi, chiusa dai pappagalli in una teca di vetro¹⁴ e portata dal Duce dei pappagalli al prozio per chiedergli in cambio di punire Mahito che sta scombussolando il Mondo di sotto. Il prozio però non punisce Mahito e anzi gli offre di nuovo di prendere il suo posto: «Ci sono 13 blocchetti di pietra pura da montare ogni tre giorni per mantenere l’equilibrio di questo mondo», e solo una «persona onesta»¹⁵ può farlo. Mahito però non si sente onesto: confessa di essersi fatto da solo la ferita, mentendo a suo padre e addolorando sua madre. Il Duce prova allora arrogantemente a costruire la torre di blocchetti, ma non essendo nemmeno lui onesto, fa esplodere la pietra volante magica e collassare il Mondo di sotto.

 

Ritorno nel Mondo di sopra

Fotogramma da "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Hayao Miyazaki.
Tutto è bene quel che finisce bene.

Mahito, Himi e l’uomo-airone scappano verso il corridoio delle infinite porte, dove ritrovano Kiriko e Natsuko. Lì ognuno torna al suo mondo: Himi con Kiriko tramite una loro porta spazio-temporale, così che lei possa rispuntare dalla torre nel passato e diventare poi la madre di Mahito, mentre Mahito con Natsuko e l’uomo-airone tramite la porta 132 nel Mondo di sopra insieme a innumerevoli pappagalli e pellicani e tutti gli abitanti del Mondo di sotto mentre la torre crolla, riunendosi a Shōichi in un arcobaleno di colori e una gioiosa pioggia di escrementi. Nella tasca Mahito ha un blocchetto magico e la bambolina di legno omamori di Kiriko che torna magicamente a essere una vecchietta. L’uomo-airone saluta Mahito dicendogli che presto dimenticherà tutto e vola via.

Due anni dopo, a guerra finita¹⁶, la famiglia composta da Shōichi, Natsuko, Mahito e il suo nuovo fratellino lasciano la villa in campagna per tornare in città: Mahito chiude la porta e torna a casa.

 

Note

1 = Nel film non vengono mai specificate date. Durante la prima metà del XX secolo il Giappone ha intrapreso un programma bellico praticamente continuativo perlomeno dal 1912 al 1949 con vari singoli conflitti iniziati in anni diversi e assommatisi fra di loro, quindi la data del «terzo anno di guerra» non è scontata perché non è specificata a quale guerra si riferisca. In ogni caso, data l’ambientazione (aspetto di costumi e oggetti vari, scena col corteo dei reduci di guerra, eccetera) si può supporre di essere negli anni 1940: se si considera la seconda guerra sino-giapponese, allora è il 1940, mentre se si considera la guerra del Pacifico allora è il 1943. A fine film verrà chiarito l’anno, vedi nota 16.

2 = Non è in nessuna maniera specificato se l’incendio è causato dalla guerra o se semplicemente è capitato durante la guerra. Nelle scene panoramiche dell’incendio non si vedono aerei o bombe e l’ospedale è l’unico edificio in fiamme, dunque potrebbe essersi trattato di un tragico incidente avvenuto per altri motivi.

3 = Il cognome è composto dall’ideogramma 牧 maki che indica “allevare, pascolare, occuparsi del bestiame”, mentre il nome è composto dagli ideogrammi 眞 ma che vuol dire “verità” e 人 hito che vuol dire “persona”, quindi “persona onesta”. Si tratta dunque di un nome parlante che si può tradurre come “onesto pastore”.

4 = Nella società giapponese tradizionale, e in particolare in fasce sociali altolocate, per i/le vedovi/e era perfettamente comune risposarsi con i parenti prossimi del/la coniuge defunto/a, poiché il legame fra le due famiglie era considerato più importante dello specifico legame fra le due persone.

5 = Probabilmente nella prefettura di Shizuoka, dove si raccolsero la maggior parte degli sfollati durante la seconda guerra mondiale.

6 = Molto probabilmente un riferimento ai sette nani della fiaba Biancaneve e i sette nani e più precisamente all’omonimo film prodotto da Walt Disney nel 1937, poiché nella fiaba originale raccolta dai Fratelli Grimm i sette nani non sono caratterizzati differentemente fra di loro, ma sono tutti uguali. La fiaba viene citata anche successivamente nel personaggio di Himi, vedi nota 14.

7 = In giapponese “airone” si dice 鷺 sagi (pronuncia /saghi/) che è omofono di 詐欺 sagi “truffa, frode” e di 詐偽 sagi “bugia, montatura”; è evidente la contrapposizione col nome del protagonista che invece significa “persona (che dice) la verità, persona onesta”.

8 = Coltellino pieghevole che un tempo era parte della dotazione standard per i bambini.

9 = In Giappone si usa tuttora indicare la data con gli anni imperiali ovvero da quando si è insediato l’imperatore regnante, come nell’antica Roma: ad esempio, il 2023 è l’anno Reiwa 5. L’anno Shōwa 12 corrisponde al 1937, cioè proprio l’anno di uscita del romanzo E voi come vivrete? in Giappone.

10 = Scritto esattamente così nel film, in alfabeto minuscolo. Una citazione dal Canto III dell’Inferno di Dante Alighieri: riconoscibilissima per gli italiani, ma niente affatto notoria per i giapponesi.

11 = Scritto ス死ハ者ブ學ヲレワ Ware wo manabu mono wa shisu; prima della seconda guerra mondiale, la lingua giapponese si scriveva in orizzontale da destra verso sinistra. Letteralmente si traduce dal giapponese formale come “La/le persona/e che mi studiano/imparano da me muore/morirà/muoiono/moriranno”. La citazione è originale di Miyazaki, ma il significato non è immediato e soggetto e varie interpretazioni. Fra le varie, una vuole che la frase rappresenti esattamente quello che dice: poiché Kiriko dichiara che quello è il cancello di una tomba, se il soggetto parlante è la Morte, allora «Chi mi conosce morirà» vuol dire appunto che nel momento in cui qualcuno conosce la Morte, per l’appunto muore. Al contempo è stato notato che la frase assomiglia notevolmente a un aforisma del pittore cinese Qí Báishí (1864-1957), il quale scrisse «Chi mi imita vivrà, chi mi copia morirà», nel senso che gli artisti in grado di incamerare e reinterpretare lo stile del maestro avranno futuro, chi invece banalmente ne replica la maniera no. Ora, poiché in giapponese il verbo 学ぶ manabu “studiare, imparare” etimologicamente proviene dall’espressione 真に似せる ma ni niseru “copiare uguale, copiare il vero” poi compattatasi in 真似ぶ manebu “copiare uguale, copiare il vero” (nel senso che per imparare bisogna osservare e copiare dagli esempi reali positivi) e infine mutatasi foneticamente in 学ぶ manabu col senso attuale, allora è possibile che la citazione di Miyazaki 我を学ぶ者は死す Ware wo manabu mono wa shisu “Chi mi conosce morirà” potrebbe essere scorporata in 我を真に似せる者は死す Ware wo ma ni niseru mono wa shisu “Chi mi copia uguale morirà”, ovverosia i futuri artisti e animatori che si ispireranno a Miyazaki avranno un futuro, ma chi banalmente lo copierà invece no. In questo senso, la citazione potrebbe essere un incentivo di Miyazaki agli animatori del futuro a superarlo, a fare meglio di lui, a prendere quello che lui ha insegnato con le sue opere e portarlo ancora più avanti, perché l’arte dell’animazione non muoia con lui bensì continui ancora, e ancora più brillante.

12 = Onomatopea per qualcosa che si muove in modo incontenibile, come pesci nella rete. L’espressione ricorda anche il verbo 笑う warau “ridere”, esplicitato dall’espressione felice dei wara-wara.

13 = Da questo punto il personaggio cambia nome e da 青サギ aosagi “airone cenerino” viene chiamato サギ男 sagi otoko “truffatore”, rimarcando il gioco di parole per omofonia di サギ sagi “airone” o “truffa” suddetto alla nota 6. Nei suoi schizzi, Miyazaki usa sempre l’ideogramma 鷺 sagi “airone” anche quando scrive 鷺男 sagi otoko per esplicitare il rapporto fra l’aspetto esterno da uccello e l’uomo interno truffaldino.

14 = In questo senso il nome e l’aspetto di Himi, dalla carnagione pallida coi capelli corvini e circondata di oggetti rossi (abito, confetture, fiori, fuoco, eccetera) potrebbe essere un gioco di parole con 姫 hime “principessa”, proprio come Biancaneve (caratterizzata dallo stesso codice cromatico bianco-nero-rosso) nella teca di cristallo immortalata sia nella fiaba raccolta dai Fratelli Grimm sia nel film Disney del 1937.

15 = L’espressione esatta usata dal prozio è 悪意のない人間 akui no nai ningen “essere umano che non ha akui“. Akui (letteralmente “pensiero cattivo”) non è una parola intraducibile, ma va interpretata in contesto: in ambito legale indica la malafede, in ambito morale la malizia, in ambito religioso la propensione al peccato. In questo caso il prozio intende che Mahito non ha intenzioni cattive o comunque che il suo cuore non compie volontariamente azioni cattive. In questo articolo si è scelto di tradurre akui no nai hito come “persona onesta” anche in riferimento al significato del nome di Mahito ovvero appunto “persona onesta”, vedi nota 3.

16 = Se a due anni dall’inizio della storia la guerra è finita, allora l’anno finale è certamente nel 1945 e dunque quello iniziale il 1943, poiché se il film fosse iniziato nel 1940 e finito nel 1942 ci sarebbe stata ancora la guerra in corso.

 

Realtà vs immaginazione, ovvero: a te il mio animo sincero

Attenzione: il paragrafo e i suoi due sottoparagrafi contengono spoiler leggeri o comunque non comprensibili fuori contesto.

A dieci anni di distanza dal suo precedente e già personalissimo film Si alza il vento, che al tempo fu il suo secondo o terzo “ultimo film” (ricordiamo che il regista ha più volte annunciato il suo addio non all’animazione in generale, ma solo ai lungometraggi e solo per via dell’età avanzata), Miyazaki torna al cinema con Kimi-tachi wa dō ikiru ka e se possibile mette in scena una vicenda ancora più intima e ancora più sentita.

Di nuovo i riferimenti più o meno autobiografici, o autobiografici ma filtrati attraverso metafore, sono numerosi: dalla madre malata al padre che lavora nella produzione di aeroplani, dall’evacuazione in campagna per via dei bombardamenti in città alla passione per la lettura, molto del giovane Hayao si ritrova nel giovane Mahito.

A questi si aggiungono una serie di topoi ricorrenti che hanno reso il cinema di Miyazaki un tesoro inestimabile, due dei quali risaltano in particolare:

1) la grande avventura in cui un personaggio deve salvare (moralmente, fisicamente, sentimentalmente, umanamente) un altro personaggio, solitamente un bambino che salva una bambina come nel celebre concept elaborato negli anni 1970 da Miyazaki sui romanzi di Jules Verne
2) l’uso dello spazio e del movimento nello spazio come fulcro stesso della trama

Uno dei massimi punti di forza del film è proprio l’uso di questi due espedienti, comunissimi nel cinema di Miyazaki, ma qua estremizzati al massimo come mai il regista aveva fatto prima.

 

1) L’importanza di essere Onesto – Possibili interpretazioni della trama: la scelta di vivere

In Kimi-tachi wa dō ikiru ka i due suddetti topoi dell’avventura e dello spazio si distinguono chiaramente grazie alla suddivisione del film in una serie di opposti.

Il primo è la stessa suddivisione della storia in due parti estremamente nette e segnalate da una precisa scena di passaggio liminale, in cui i personaggi “sprofondano” in una dimensione onirica dove le loro azioni influenzano la dimensione mondana. Avendo già assistito all’inizio del film a una scena di sogno che però ha ripercussioni nel mondo reale (quella della spada bokutō), lo spettatore non può non chiedersi se i personaggi stanno effettivamente sognando o se è tutto vero, ma andando verso il finale la questione, benché spiegata con la teoria dei mondi paralleli (un classicone di SF, fantasy e horror), diventa in effetti irrilevante perché appare progressivamente sempre più chiaro che in questo film la priorità di Miyazaki non è la chiarezza narrativa, ma la comunicazione dello stesso messaggio del romanzo di Yoshino da cui prende il titolo, ovverosia comunicare ai giovani l’importanza di scegliere di diventare parte del mondo.

La parola sekai (“mondo”) è ripetuta numerosissime volte nel pre-finale del film e rimanda chiarissimamente al genere noto come sekai kei e reso popolare da Neon Genesis Evangelion, in cui l’interiorità del protagonista corrisponde al mondo esterno e viceversa, il che ha come conseguenza che la serenità personale del protagonista ha influenza sul resto del mondo e viceversa. Interno ed esterno combaciano, yin e yang insieme. Per quanto il tema fosse stato già sfiorato da Miyazaki in Ponyo sulla scogliera in cui il mondo sembra reagire agli sbalzi d’umore di Ponyo, qui appare al suo massimo attraverso discorsi criptici e immagini meno criptiche (la più usata è quella dei blocchi da costruzione), il che accosta fortemente questo film a Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time di Hideaki Anno del 2022: praticamente due film paralleli se non gemelli, che raccontano esattamente la stessa cosa con i rispettivi linguaggi narrativi e grafici dei due registi.

Fotogramma dal film "Neon Genesis Evangelion – The End of Evangelion" di Hideaki Anno.
Un fotogramma da Kimi-tachi wa dō ikiru ka… no, non è vero, ma poteva essere eh.

Oltre a interno ed esterno, altri opposti del film riguardano la città e la campagna, la villa abitata e la torre abbandonata, gli umani e gli uccelli, la gioventù e la vecchiaia, il giorno e la notte, la nascita e la morte, la guerra e la pace e numerosissimi altri concetti speculari che Miyazaki usa non per creare divisione, ma anzi per creare unione: è proprio questo il fulcro della succitata teoria dello yin e dello yang, ovvero che solo dall’unione degli opposti si ottiene l’armonia. I singoli elementi, da soli, sono sterili, ma messi insieme assumono valore: nessuna cosa è bella in sé, ma è bella se confrontata con una brutta, che quindi è importante e ha valore e senso di esistere proprio perché è intrinsecamente legata alle altre. Proprio come insegna Yoshino nel suo romanzo del 1937.

Ora, tutta questa grande lezione morale è rappresentata attraverso l’uso di un’enorme quantità di simboli e allegorie visive e narrative, al punto che la prima e più diffusa impressione del pubblico alla visione del film è stata la sua grande difficoltà, o meglio: complessità.

L’interpretazione del film assume dunque la stessa valenza dell’interpretazione dei sogni, poiché le vicende/immagini rappresentano fenomeni psicanalitici.

Dipinti "L'isola dei morti" di Arnold Böcklin e "Flotta della Compagnia delle Indie in mare" di Nicholas Pocock.
Dopo essere andato a vedere il film più volte al cinema, il pittore Takashi Murakami ha scritto sul suo profilo X (fu Twitter, RIP) che gli sembra ermetico e necessariamente da interpretare come il monolite nel fumetto Nausicaä della Valle del vento. Nonostante ciò ha provato comunque a decifrarne alcuni aspetti iconografici, dai più facilmente riconoscibili come la tomba ispirata a L’isola dei morti di Arnold Böcklin del 1883 (in alto) amatissimo da Sigmund Freud, a quelli più sottili come la colonizzazione occidentale in Asia rappresentata dalla flotta della Compagnia delle Indie (in basso in un dipinto di Nicholas Pocock del 1803), fino a ipotizzare che lo stormo di pappagalli potrebbe rappresentare le rivolte studentesche giovanili anni 1970 (Miyazaki stesso organizzò rivolte sindacali mentre lavorava in Tōei) e che il prozio/Takahata/Einstein sia un artista = creatore e come tale usa i blocchetti di pietra usati nelle accademie d’arte per le esercitazioni di disegno dal vero. Veramente interessante.

Questo non vuol dire che il film non sia godibile anche solo per i suoi puri valori narrativi o rappresentativi, essendo comunque appassionante, divertente, coloratissimo, animato a livelli magistrali e in generale girato al meglio delle possibilità dello Studio Ghibli, e per chi vuole il film è comunque eccezionale e ricchissimo anche solo per la sua parte “superficiale”.

Al contempo, però, il film invita continuamente lo spettatore a esplorare la sua parte “profonda” e a formulare ipotesi sul suo significato. Eccone un paio:

  • (Ipotesi suggerita dalla moglie dell’autore di questo articolo.) La protagonista del film è Natsuko. È incinta e felice di esserlo, ma vedendo nello scorbutico Mahito le difficoltà che si incontrano nell’allevare un figlio, decide di ripensarci e va forse ad abortire o comunque a pensarci su da sola. Però la società patriarcale fascistoide, simboleggiata dai pappagalli cannibali tutti maschi, non accetta questa sua decisione: non la mangia perché il bambino è importante (più importante di lei), ma la chiude in una stanza dove è costantemente assillata dai problemi rappresentati dai cartigli che le girano intorno senza sosta (problemi solo percepiti come tali, essendo solo striscioline di carta). C’è solo un modo per uscire da questa prigione ed è l’affetto dei cari: nel momento in cui Mahito la chiama “mamma”, Natsuko comprende che sì, vuole il bambino e compie la scelta di alzarsi e uscire dalla stanza; i cartigli = problemi li avvolgono e intrappolano, ma l’unica soluzione è unire le forze, farcela insieme e scappare dalla prigione mentale verso la realtà esterna, che può esistere ed essere bella.
  • (Ipotesi suggerita dallo scrittore Natsuki Ikezawa sul numero 9/2023 della rivista SWITCH.) Il protagonista è Mahito ed è Hayao Miyazaki. Legge tanto. Mahito si trasferisce dalla città alla campagna = Miyazaki esce dall’ambiente familiare ed entra nel business dell’animazione. Natsuko e le sette vecchiette potrebbero essere un produttore e colleghi nei suoi primi anni di carriera. All’interno del business dell’animazione trova questa magica torre lontana e diversa da qualsiasi altro posto = lo Studio Ghibli, anche se esistono altre torri = altri studi d’animazione. All’interno della torre si trovano l’uomo-airone traffichino = Toshio Suzuki e il prozio saggio = Isao Takahata che col suo genio tiene in piedi il mondo. Mahito è un estraneo in questo mondo e non può prendere il posto del prozio = Miyazaki si sente un animatore e non un regista, dunque tutto quello che può fare dal momento che non c’è più il prozio = Takahata è morto, è far crollare la torre = con la fine della sua carriera lo Studio Ghibli cessa di esistere com’era finora e dunque muore, oppure comunque diventa un’altra cosa che può esistere ed essere bella.

E queste sono solo due possibili interpretazioni, se ne protrebbero trovare altre mille dati i molti simboli del film: i rospi che avvolgono Mahito, i pellicani, il non voltarsi indietro davanti alla tomba come nel mito di Orfeo ed Euridice, gli oggetti a casa di Kiriko, i numeri sulle porte, i ricami sulla tenda nella stanza di Natsuko, i 13 blocchetti ogni tre giorni che rappresentano il passare del tempo (nell’antico calendario lunisolare giapponese c’erano dodici mesi a cui se ne aggiungeva un tredicesimo detto urūzuki ogni tre anni per regolarizzare la durata dell’anno)… tutto parla allo spettatore.

Ecco una grande ricchezza di Kimi-tachi wa dō ikiru ka: è bello da vedere come un’avventura fantasy, ma lascia anche notevole spazio a letture complesse.

 

2) Dal cucchiaio alla città – Lo spazio della storia: la scelta di muoversi

Infine, date le precedenti opere di Miyazaki, si può azzardare una terza interpretazione, molto astratta:

  • (Ipotesi dell’autore di questo articolo.) Un luogo esiste e l’altro no: la villa è la realtà e la torre è il sogno, o la malattia, o una qualsiasi alterazione dello stato psico-fisico di base. Oppure, come suggerito dall’ambientazione 1943-1945, la città è il 今世界 konsekai “questo mondo”(il mondo reale) e la campagna è il 別世界 bessekai “un altro mondo” (il mondo immaginario), ovverosia un luogo “altro” in cui ci si rifugia temporaneamente per sfuggire allo stress della vita umana e abbracciare un periodo sabbatico di stasi e riflessione su sé stessi per arrivare infine a capire quali sono le cose importanti nei rapporti umani, ovvero essere onesto con sé stesso e con gli altri, e iniziare dunque una vita felice, che può esistere ed essere bella.

Il concetto giapponese di bessekai è vagamente simile a quello di “altra dimensione” o di “mondo parallelo” nella letteratura di fantascienza. Non va assolutamente confuso col concetto di 異世界 isekai, recentemente diventato popolare per via delle molte opere che ne fanno uso: un isekai è un mondo totalmente diverso dal konsekai, come appunto quello di un videogioco fantasy, mentre un bessekai è un’altra versione del konsekai, o per meglio dire meglio una visione alternativa del mondo che conosciamo, apparentemente più o meno uguale nella forma ma caratterizzato da una diversa Weltanschauung (“visione del mondo”).

In questo senso, l’ingresso di Mahito nella torre, com’erano stati l’ingresso di Lupin a Cagliostro, o di Nausicaä nel bosco, o di Pazu & Shita a Laputa, o di Satsuki & Mei nel canforo, o di Kiki nella città, o di Porco nell’officina, o di Ashitaka nella fornace, o di Chihiro nelle terme per i kami, o di Sophie nel castello errante, o di Ponyo a casa di Sōsuke, o di Jirō alla fabbrica, è l’ingresso in un bessekai, ovvero in un luogo “altro” dove sperimentare una Weltanschauung diversa da quella a cui si era abituati e da cui venire cambiati per sempre.

È esattamente il processo che accade nel kekkai (equivalente al termine greco temenos, “terreno sacro”) dei santuari shintoisti o nelle chashitsu (stanze da tè) dove si consuma il chakai (quella erroneamente chiamata “cerimonia del tè”), ovverosia un’alienazione da sé. Non si è più sé stessi, si è un’altra persona, un’altra cosa.

Foto dell'isola Naka-no-shima con la casa da te Shimajaya al Giardino Kōraku-en di Okayama.
Il tetto della chashitsu Shimajaya che spunta furtivo fra gli alberi di un’isoletta nel lago centrale del Giardino Kōraku-en a Okayama. Le case da tè giapponesi sono spessissimo molto piccole (in questo caso ha la misura standard da quattro tatami e mezzo) e separate dal resto del mondo, persino nascoste e spesso circondate da una fitta vegetazione, perché devono rappresentare metaforicamente un solitario eremo di montagna distante dal resto del mondo: un bessekai, appunto. Notare che sul pontino appena sopra il livello dell’acqua a destra, seminascosto dalle fronde di un acero, c’è un pennuto misterioso… sì sì, è proprio lui, l’uccello truffatore…

In breve, l’avventura di Mahito è comunque avvenuta principalmente nella sua testa e l’ha portato alla fine a prendere una scelta di vita, come sempre e comunque e senza eccezione accade in tutti i film di Hayao Miyazaki, dai tempi in cui Lupin sceglie di essere onesto e andarsene da Clarisse, passando per Sen che sceglie di essere onesta e andarsene dalle terme prendendo il treno per casa di Zeniba (Miyazaki stesso ha sottolineato come per lui il film poteva finire lì), fino a Mahito che sceglie di essere onesto e andarsene dal Mondo di sotto = luogo di comfort per affrontare il Mondo di sopra = la vita reale con tutti i suoi pro e contro.

Fotogramma dal film "Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time" di Hideaki Anno.
Per chi avesse ancora dei dubbi sul fatto che Hideaki Anno è l’erede di Hayao Miyazaki in tutto, tematiche morali incluse.

Ecco dunque che il significato ultimo del film, la sua morale (per usare una terminologia fiabesca), era già lì scritto a caratteri cubitali nel suo titolo originale: e voi come vivrete? E voi come sceglierete di vivere: cercando sempre la soluzione più facile e comoda, o essendo onesti con voi stessi e con gli altri anche se questo comporta disagi?

Fino alla fine, dunque, Miyazaki si dimostra un intellettuale dialettico, e per comunicare questo suo fervore creativo usa il suo solito linguaggio che è quello dello spazio. In tutti i film di Miyazaki la fase di narrazione è preceduta dalla fase di ideazione dello spazio, poiché è il movimento dei personaggi nello spazio quello che genera animazione e dunque narrazione. Kimi-tachi wa dō ikiru ka non fa eccezione.

Il film stesso si apre con un esempio lampante di movimento come narrazione: una scena frenetica in cui un personaggio A attraversa la città per correre verso un personaggio B per poi apprendere che B è morto. Questa scena di corsa rappresenta una precisa scelta programmatica di messinscena, perché potevano esserci mille altre soluzioni per comunicare allo spettatore la stessa identica informazione: il personaggio A poteva essere già lì con B e assistere alla scena di morte, oppure A poteva ricevere una telefonata o conversare con qualcuno, oppure A poteva osservare una foto di B piangendo, oppure la polizia poteva andare a casa di A per avvisarlo, o altro ancora… quante volte si sono viste queste soluzioni in film dal vivo? Miyazaki però le scarta tutte perché sarebbero state statiche, e niente è mai statico in un film di Miyazaki, quindi immagina una scena in movimento in cui A corre verso B attraversando uno spazio per apprendere l’informazione. «You can, in animation».

E, naturalmente, se tutti si muovono nello spazio allora quello spazio va progettato: come Miyazaki fa sempre dai tempi de Il castello di Cagliostro.

Disegno con l'ambientazione del film "Lupin III – Il castello di Cagliostro" di Hayao Miyazaki.
La scenografia del film Lupin III – Il castello di Cagliostro ideata di sana pianta da Hayao Miyazaki per il film del 1979. Gli ambienti del castello sono così dettagliati e ben studiati che è stato possibile ricostruirne la pianta dettagliata .

Parlando dell’ambientazione del film del 1979, Miyazaki dichiarò:

Per un periodo ho usato il metodo di Hitchcock, ma poi mi sono detto che non lo farò mai più. Ero giovane allora. Lo usai per Lupin III – Il castello di Cagliostro. Puntando verso l’ultima scena, nel preparare la storia e assemblare nel dettaglio le singole scene, per prima cosa ho messo il castello qua e il lago là e ho preparato il palcoscenico dell’azione e mi sono assicurato che ogni luogo venisse sempre mostrato almeno due volte, cioè, lo stesso luogo mostrato da così e da cosà… muovendo il punto di vista della cinepresa. Così facendo ho deciso le mie regole per poter poi costruire le scene. È stato una sorta di giochino mentale, anche molto interessante eh, ma per interessante che fosse ho pensato di non continuarlo: ho avuto la sensazione che se avessi continuato questo metodo il mio lavoro alla lunga ne sarebbe uscito deteriorato. Ecco perché l’ho usato solo per Il castello di Cagliostro.

Miyazaki si riferisce al fatto che Alfred Hitchcock concepiva le sue messinscene definendone per prima cosa lo sviluppo nello spazio: sono casi celebri l’allestimento del Bates Motel e della casa della madre in Psyco, o i luoghi reali di San Francisco dove si muovono i personaggi ne La donna che visse due volte, o ancora il caso limite di Nodo alla gola girato in unità di spazio e di tempo e in cui dunque era fondamentale il movimento sincronizzato della cinepresa e degli attori negli spazi scenici interamente in interni (paradossalmente il trailer invece era girato in esterno). Ebbene, per quanto Miyazaki possa aver giurato di non usare più il metodo di Hitchcock, voilà, rieccolo al massimo della sua complessità proprio in Kimi-tachi wa dō ikiru ka.

Se in ogni film di Miyazaki è il movimento dei personaggi nello spazio a definire l’avanzamento della trama, ne Il castello di Cagliostro e in Kimi-tachi wa dō ikiru ka questo è particolarmente vero e vistoso e segue strettamente la metodologia di Hitchcock su descritta, dando importanza estrema agli spazi (ben più che a molti dei personaggi), mostrandoli nelle varie angolazioni, riempiendoli di dettagli dai significati metaforici e usandoli come punti di snodo della trama esterna e dell’evoluzione interna dei personaggi.

Come suddetto, la grande complessità narrativa del film, sia nella trama sia nell’evoluzione dei personaggi, si basa in larghissima parte sui contrasti, molti dei quali sono spaziali: città-campagna, yashiki-casetta, villa-giardino, casa-scuola, casa abitata-torre abbandonata eccetera. Tutti contrasti orizzontali del Mondo di sopra, a cui si aggiungono i contrasti verticali del Mondo di sotto: sopra-sotto, tomba in collina-barca sul mare, mare-casa di Kiriko, ingresso in fondo alle scale-ingresso in cima alle scale per andare dal prozio, giardino in basso-gazebo in alto, eccetera.

E a proposito di opposti, è interessante notare come il primissimo e l’ultimissimo film di Miyazaki siano perfettamente speculari sotto numerosi aspetti, al punto da far nascere il sospetto che si tratti di una scelta volontaria (o forse inconsciamente volontaria) del regista, come per chiudere il cerchio:

  • Reimmaginazione di un libro d’infanzia in maniera del tutto diversa (La torre spettrale di Edogawa Ranpo) → Reimmaginazione di un libro d’infanzia in maniera del tutto diversa (E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino)
  • Sei mesi di lavoro frenetico → Sei anni di lavoro lento
  • Clarisse, ragazza non ancora sposata e vergine → Natsuko, donna già sposata e incinta
  • Parte urbana popolare e parte separata (il castello) misteriosa e solo per pochi → Parte urbana popolare e parte separata (la villa) misteriosa e solo per pochi
  • Due mondi separati in orizzontale (resto del mondo e Arciducato di Cagliostro) → Due mondi separati in verticale (Mondo di sopra e Mondo di sotto)
  • Servitù maschile e offensiva → Servitù femminile e difensiva
  • Salvare una ragazza che ti ama e non rivedrai → Salvare una ragazza che non ti ama e rivedrai
  • Trama che gira intorno a una misteriosa torre che alla fine crolla → Trama che gira intorno a una misteriosa torre che alla fine crolla
  • Ritrovare un edificio nascosto → Distruggere un edificio nascosto

E la lista potrebbe ancora continuare a lungo. Il castello di Cagliostro e Kimi-tachi wa dō ikiru ka rappresentano davvero i due pilastri della carriera di Miyazaki.

Dettaglio di una tavola da "Boku no yūreitō" di Hayao Miyazaki nel libro "Yūreitō" di Edogawa Ranpo.
L’edizione 2015 del romanzo di Edogawa Ranpo Yūreitō (in versione italiana La torre spettrale edito da Luni Editrice) pubblicata da Iwanami Shoten è introdotta da una breve fumetto di Hayao Miyazaki intitolato ぼくの幽霊塔 Boku no yūreitō “La (mia) torre spettrale” in cui l’autore dalle fattezze suine ricorda la sua passione giovanile per quel romanzo. Nel fumetto si legge: «Sessant’anni fa in città c’era una piccola libreria a noleggio dove ho incontrato La torre spettrale di Edogawa Ranpo. / Ricordo ancora le copertine avvolte in carta cerata. / Mi dimenticavo di aver noleggiato un libro a 20 yen per tre giorni e due notti. [Onomatopee: Tu-tum tu-tum! È interessantissimo! Paurosissimo e bellissimo!] Quando un libro mi piaceva lo rileggevo più e più volte. [Voce fuori campo: “Sbrigati a dormire!”]», eccetera eccetera. Ora, è sorprendente notare che nella vignetta nell’angolo in alto a sinistra, quella con le copertine in carta cerata, a fianco a La torre spettrale compaia anche la costina proprio di E voi come vivrete?. Era davvero scritto nel destino di Miyazaki che quei due libri sarebbero stati letteralmente l’alpha e l’omega della sua vita e carriera artistica.
Le similitudini fra Kimi-tachi wa dō ikiru ka e i film precedenti di Miyazaki non si limitano solo a Il castello di Cagliostro: come suddetto, è facile per il fan del regista riconoscere in molte scene riferimenti diretti a tutti i film precedenti. Questo vale anche per gli spazi, citati in maniera più o meno diretta.

Fotogrammi da "Lupin III – Il castello di Cagliostro", "Laputa – Castello nel cielo" e "Il castello errante di Howl" di Hayao Miyazaki.
I tre castelli di Miyazaki vengono citati esplicitamente in Kimi-tachi wa dō ikiru ka: quello di Cagliostro nelle parti in rovina esterne della torre del Duce dei pappagalli, quello di Laputa nell’interno della torre stessa con tutti gli ambienti sovrapposti come nel villaggio di Pazu, e infine quello di Howl nella casa di Himi, praticamente uguale ma con ancora più fiori.

Anche lo spazio conferma, di nuovo, che Miyazaki sarebbe potuto uscire di scena con un film facile e invece ha preferito realizzare forse quello più complesso della sua intera carriera.

 

Dal libro al film: il rapporto con Yoshino (e altri autori) e con Disney

Attenzione: il paragrafo e i suoi due sottoparagrafi contengono spoiler leggeri o comunque non comprensibili fuori contesto.

 

Miyazaki il bibliofilo

Una delle pochissime informazioni certe sul film prima della sua uscita è che avrebbe preso titolo e temi dal romanzo E voi come vivrete? di Yoshino, ma non la trama che sarebbe comunque stata fantasy.

Frontespizio dell'edizione 1937 di "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Genzaburō Yoshino. Fonte: https://office-taku.com/201809/recommend/books/10657.html
Il frontespizio dell’edizione 1937 dell’editore Shinchōsha di Kimi-tachi wa dō ikiru ka: mentre sulla bellissima copertina coi racemi e l’uccello la scritta del titolo è scritta con un font delizioso composto in orizzontale da destra verso sinistra (come si è usato in giapponese per millenni e ancora fino alla seconda guerra mondiale), qui è composto in verticale, e in particolare proprio quest’ultima scritta è stata ricalcata accuratamente per essere usata anche sulla locandina del film.

In effetti è proprio così, perché la trama del film non ha a che vedere con quella del libro, eppure sarebbe semplicistico liquidare i due prodotti come semplicemente omonimi, perché i collegamenti sono molteplici.

I più numerosi sono i piccoli riferimenti: sono vari e distribuiti lungo tutto il film, ma comunque presenti. Alcuni sono criptati (ad esempio, nel romanzo muore il padre del protagonista, nel film la madre), altri sono esplicitati. Tanti piccoli dettaglietti che il lettore può divertirsi a scovare tra i fotogrammi.

Fotogramma da "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Hayao Miyazaki.
Fra i cibi in barattolo portati da Shōichi a casa di Natsuko e accolti dalle sette vecchiette con entusiasmo c’è anche del latte in polvere: un piccolo riferimento al libro di Yoshino.

Ma per quanto sia divertente trovare i microriferimenti, è assolutamente impossibile da ignorare il macroriferimento principale: il libro stesso compare nel film. Viene trovato e letto da Mahito verso la fine della prima parte, quella del Mondo di sopra, commuovendolo fino alle lacrime, ed è proprio la lettura del libro che spinge il bambino a cambiare atteggiamento verso Natsuko, prima trattata freddamente e poi riconosciuta come una persona proprio come lui e dunque meritevole di essere trattata con affetto. Come canta il poeta, «I am human and I need to be loved, just like everybody else does».

Il libro di Yoshino è infatti una sorta di romanzo di formazione sui generis, che non porta affatto il protagonista a capire di essere speciale o migliore degli altri o a vedere in sé un qualche valore individualistico o a realizzare i suoi specifici sogni, ma al contrario esalta l’unità dell’intera umanità come massima ricchezza del genere umano, a sentirsi parte di un qualcosa di più grande in cui tutti siamo coinvolti, a non sentirsi mai superiori agli altri bensì a vedere in tutti un valore diverso dal nostro ma non per questo meno importante, al di là di qualsiasi differenza sociale o economica o geografica o etnica o di altra natura. Veramente un testo unico nel suo genere, e ancor più se si considera il contesto culturale in cui è uscito, ovvero il Giappone fortissimamente ideologicizzato e militarizzato del 1937.

In una delle pagine scritte al protagonista Coper-kun da suo zio, egli chiede al nipote, studente delle medie:

Se ci pensi, ogni singolo giorno non sei altro che un “consumatore”, dalle cose indispensabili al superfluo, e non produci niente di concreto. Eppure, anche se non te ne accorgi, ogni giorno produci in gran quantità un’altra cosa. Che cos’è? […] In quanto esseri umani, tutti noi dobbiamo assolutamente pensare alla risposta a questa domanda.

E di certo la risposta non è “soldi” o “potere” o “beni di consumo”, ma l’amore. In un altro passo, al nipote e ai suoi amici che bramano di diventare forti come Napoleone Bonaparte per rivalersi sui bulli che li disturbano, lo zio scrive un lungo elogio della formidabile scalata sociale e politica del militare che poi paradossalmente conclude con:

Napoleone, pur con tutta la sua energia vitale, che cosa ha davvero ottenuto?

Risposta: dalla prospettiva del lungo viaggio del genere umano sul pianeta Terra, niente di niente. Vent’anni di effimeri soldi ed effimero potere finiti con una misera morte su una misera isoletta. Sic transit gloria mundi. A cosa è servito ammazzare tutta quella povera gente in tutte quelle battaglie? A niente. Ecco dunque che, a parità di conclusione ovvero la morte, comportarsi da esseri umani simpatetici e amanti del prossimo porta a vivere un’esperienza di vita più piena, più ricca, più felice. Ed ecco perché Mahito sceglie di volere bene a Natsuko anche se non è la sua vera madre.

In questo senso il titolo del film è particolarmente importante perché non è una sintesi della trama, ma è invece una domanda diretta che Miyazaki pone agli spettatori, anzi che ha sempre posto agli spettatori: «e voi come vivrete?».

Nell’edizione nordamericana è stato preferito (su indicazione di Suzuki stesso) il titolo The Boy and the Heron e di conseguenza anche nelle altre lingue occidentali (in italiano sarà Il ragazzo e l’airone dal 1º gennaio 2024 al cinema distribuito da Lucky Red): forse è una citazione al seminale film Le Roi et l’Oiseau, amatissimo da Miyazaki come lo era da Takahata, ma comunque fa perdere il senso di discorso diretto, anzi di rapporto diretto fra regista e spettatori e fa sembra il film la storia di un ragazzo e di un airone: non è così, è la storia della scelta di come vivere. La trama è un pretesto, un unico enorme MacGuffin hitchcockiano, mentre la scena in cui Mahito confessa di aver mentito è quella che davvero regge l’intero film. Paradossalmente, “Il ragazzo e la bugia” sarebbe stato un titolo migliore (anche perché “bugia” = sagi in giapponese, omofono di “airone”, quindi sarebbe stato perfetto).

Immagine promozionale del film "Le Roi et l'Oiseau" di Paul Grimault.
Le Roi et l’Oiseau è un film d’animazone francese di Paul Grimault scritto da Jacques Prevert come adattamento di una fiaba di Hans Christian Andersen. Benché la versione definitiva sia uscita nel 1980, gli autori ci hanno lavorato dietro per oltre trent’anni: Isao Takahata e Hayao Miyazaki ne videro la versione del 1953 e ne restarono letteralmente fulminati, anzi Takahata stesso ha dichiarato «se non avessi visto questo film, non avrei mai percorso la strada del cinema d’animazione». L’influenza centralissima che ha avuto sulla filmografia dello Studio Ghibli si rintraccia in Takahata nelle sfaccettature psicologiche dei personaggi e in Miyazaki nell’uso dello spazio: lo stesso castello del re è similissimo al castello di Cagliostro nell’omonimo film del 1979. Se il titolo internazionale The Boy and the Heron deriva proprio da Le Roi et l’Oiseau, allora è davvero un cerchio che si chiude.

E voi come vivrete? non è però l’unico libro citato da Miyazaki nel suo film: si trovano infatti numerose e vistose tracce di almeno altri due testi da cui il regista ha attinto vistosamente (e non è detto che non ce ne siano molti altri dato che Miyazaki è un noto bibliofilo e ha anche scritto il saggio 本へのとびら Hon e no tobira “La porta verso i libri”, una guida alla letteratura per ragazzi pubblicata da Iwanami Shoten). Sono i due romanzi fantasy The Book of Lost Things dello scrittore irlandese John Connelly del 2006, uscito in italiano come Il libro delle cose perdute nel 2008 e in giapponese come Ushinawareta mono-tachi no hon nel 2015, e di nuovo il già citato Yūreitō di Edogawa Ranpo del 1936, uscito in italiano come La torre spettale nel 2022: dai due romanzi il regista estrae numerosi elementi, e in particolare dal primo la madre morta, il padre che si risposa, il trasferimento in campagna, il mondo fantastico parallelo popolato da deformazioni di personaggi e cose provenienti dal suo mondo, il castello con un vecchio re stanco che offre la possibilità di diventare suo successore al giovane protagonista che la rifiuta, e la guerra; dal secondo libro, invece, la storia del prozio della madre di Mahito, similissima a quella del vecchio proprietario della torre spettrale (entrambi sono guidati dall’ossessione nel costruire una torre intricata, al cui interno spariscono e che contiene dei sotterranei labirintici), e varie suggestioni ricorrenti in Edogawa come il tema del doppelgänger (Himiko/Natsuko).

In breve, per quanto Kimi-tachi wa dō ikiru ka non sia un adattamento pedissequo di questo o quel libro, la mole di prestiti è importante ed evidente. Niente di strano per un autore come Miyazaki, grande amante della letteratura e già interessatosi in passato a conversioni cinematografiche di romanzi fantasy, in particolare il cliclo di Earthsea a Il castello errante di Howl.

 

Miyazaki il cinefilo

Parlando di citazioni, è facile notare nel film svariati riferimenti al mondo visivo dei lungometraggi animati prodotti da Walt Disney. Miyazaki e Disney hanno dimostrato un atteggiamento del tutto complementare nel modo di narrare e intendere il cinema in generale e l’animazione in particolare, e nonostante il cineasta giapponese abbia mostrato più volte un atteggiamento critico verso la produzione Disney dagli anni 1980 in poi, non si è mai espresso negativamente sul cineasta statunitense e sui lavori prodotti quand’era in vita, rimarcando che Disney era un produttore e lui un animatore, come i Nine Old Men di cui ha infatti enorme stima. Nei fatti è possibile trovare piccoli, ma significativi punti di contatto fra i Classici Disney pre-1966 e i film Studio Ghibli, in particolare in alcune precise soluzioni tecniche.

Nel caso specifico di Kimi-tachi wa dō ikiru ka si trovano almeno due riferimenti all’immaginario disneyano: quello di Biancaneve e quello di Alice. In entrambi i casi il riferimento è più ai testi originali (fiaba raccolta dai Fratelli Grimm e romanzi di Lewis Carroll) che ai film statunitensi, ma alcuni dettagli come la caratterizzazione delle sette vecchiette proprio come i sette nani, in cui dunque Kiriko è Brontolo, e la discesa nel Mondo di sotto/Paese delle meraviglie con i suoi pappagalli dall’aspetto molto disneyano potrebbero essere riferimenti più o meno velati ai Classici Disney.

Fotogramma da "Alice nel Paese delle meraviglie" di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske.
«Santo cielo! E se dovessi precipitare fino al centro della Terra? E venir fuori dall’altra parte dove la gente cammina a testa in giù!» La storia di Mahiro che sprofonda nel Mondo di sotto è paragonabile a quella di Alice che sprofonda nel Paese delle meraviglie… in effetti il Mondo di sotto È il Paese delle meraviglie.

In conclusione, Kimi-tachi wa dō ikiru ka offre una tale quantità di idee, letture, interpretazioni, stratificazioni e spunti letterari, cinematografici, architettonici, artistici e culturali in generale, da sorprendere lo spettatore e imporsi come il film più complesso dell’intera filmografia di Miyazaki. Davvero una conclusione straordinaria di una carriera straordinaria.

 

Musica, maestri

Come in (quasti) tutti i film di Miyazaki, anche in Kimi-tachi wa dō ikiru ka le musiche includono brani strumentali composti da Joe Hisaishi e brani cantati recuperati dal passato o scritti per l’occasione, come in questo caso con la canzone Chikyūgi di Kenshi Yonezu usata per i titoli di coda; i due musicisti avevano già collaborato insieme, negli stessi ruoli, per il film I figli del mare di Ayumu Watanabe del 2019.

Il contributo di Hisaishi diverge molto dai suoi standard cinematografici e sembra voler sottolineare la divisione del film in due parti: nella prima, quella realistica, l’accompagnamento è fortemente spartano nell’organico – molti brani sono per pianoforte solo – e quasi sgraziato nelle melodie spesso ridotte a due note, persino una sola nota nel caso del Leitmotiv di presentazione del personaggio dell’airone; nella seconda parte del film, quella onirica, i temi si addolciscono e l’arrangiamento si arricchisce con le vaporose tessiture orchestrali a cui l’autore ha abituato il suo pubblico.

Joe Hisaishi dirige la Royal Philarmonic Orchestra di Londra nel brano Mother’s Broom (da Kiki – Consegne a domicilio) con Duncan Riddell come primo violino, parte di un programma di suoi classici per i film di Miyazaki registrati per Deutsche Grammophon nell’album A Symphonic Celebration. Che meraviglia, semplicemente: che meraviglia.

 

Ascoltando la colonna sonora senza il contesto delle immagini, potrebbe quasi sembrare di sentire un concerto per pianoforte e orchestra, tanto è complesso lo sviluppo armonico e tanto è preponderante lo strumento solista, e si potrebbe faticare a immaginare quella musica come colonna sonora per un film. In effetti la musica per Kimi-tachi wa dō ikiru ka sembra provenire da un’altra parte della carriera di Hisaishi, che oltre che compositore per il cinema è anche compositore per orchestra classica: in particolare, la sua splendida composizione Sinfonia for Chamber Orchestra in tre movimenti del 2009 presenta uno sviluppo similissimo a quello di alcuni brani del film, inclusa la base ritmica ipnotica chiaramente ispirata a quella dalla celeberrima composizione minimalista del 1964 In C di Terry Riley.

Per quanto queste nuove composizioni di Hisaishi differiscano molto da  sue opere precedenti per Miyazaki, anche stavolta, come sempre accaduto, la musica si sposa benissimo con le immagini: una colonna sonora non convenzionale per un film non convenzionale.

Un’esecuzione di In C di Terry Riley nel 2015. Il concetto della musica minimalista, genere a cui peraltro appartiene anche Joe Hisaishi per sua stessa ammissione, non è di essere misera, al contrario: è ricchissima, ma composta da unità minime che si ripetono variate.

 

Anche il lavoro di Yonezu è diverso dal suo solito, ma brillante come al suo solito. Il cantautore con la zeppola, partito quindici anni fa come inventivo compositore per Vocaloid col nom de plume di hachi, ha raccontato di essere stato esplicitamente scelto da Miyazaki in persona dopo aver sentito alla radio il brano Paprika, canzone per bambini del 2018 scritta da lui ed eseguita dal baby gruppo multiculturale Foorin per il programma Min’na no uta dell’emittente televisiva NHK, e usata come tormentone per celebrare l’arrivo del 2020 e delle relative Olimpiadi di Tōkyō. Paprika è stato ed è tuttora un successo strepitoso e praticamente non c’è bambino in Giappone dall’asilo in su che non ne conosca a memoria il testo e anche la coreografia del balletto.

Foorin e Foorin team E in concerto. Fonte: https://www.topics.or.jp/articles/-/286281
Il gruppo vocale dei Foorin (gioco di parole fra la parola giapponese fūrin, ovvero il tipico campanello estivo giapponese, e la parola foolin’ “scherzando” in inglese) è composto da cinque bambini, ma col tempo è stato fondato anche il gruppo Foorin team E che canta in inglese e vari sotto-team che includono bambini di diverse lingue, etnie e abilità fisiche e mentali. Che meraviglia. In foto, i cinque Foorin e i cinque Foorin team E si esibiscono dal vivo. Papuriiika, hana wa saiiitaaaraaa!!! ♬♪

Dopo l’esplosione di celebrità di Paprika, Yonezu è passato all’istante da giovane promessa del pop a nuova star numero uno del Giappone. In cinque anni dal 2018 Yonezu al 2023 ha scritto qualcosa come 17 brani come sigle di telefilm o film o videogiochi, o per stop TV, o per eventi vari, inclusi Umi no yurei per il film I figli del mare, M87 per il film Shin Ultraman, e KICK BACK per la serie animata Chainsaw Man.

Chikyūgi è stata scritta nel 2019, prima di molte delle canzoni succitate, e oggi «suona nostalgica» al suo stesso autore. È stata ideata su diretta ispirazione del film: il cantante ha raccontato di averne scritto il testo dopo aver letto i cinque volumi di storyboard (!!!) consegnatigli da Miyazaki, e il titolo stesso significa “Mappamondo”, a evidenziare di nuovo il tema sekai kei. Si caratterizza per una asciuttezza di arrangiamento inusuale per Yonezu (l’organico prevede solo voce e pianoforte accompagnati da cornamuse, percussioni e cori) e per l’incorporazione dei suoni ambientali, in particolare lo scricchilìo del sedile del pianoforte. A livello musicale si tratta dell’ennesima barcarola, forma spesso usata dal musicista, con un ritornello a filastrocca: ci mette un po’ per entrare in testa, ma quando entra non ne esce più.

Ulteriore bonus non indifferente: nella versione fisica del singolo, il CD è contenuto non dentro un banale case di plastica bensì dentro un elegante libro fotografico in formato A5 da 160 pagine (brossura per la versione standard e rilegato alla giapponese con filo a vista per la versione deluxe) con in copertina un layout di Miyazaki per il film.

Il libro raccoglie molte fotografie scattate da Tomohiko Ishii in cui si mostra per immagini il processo creativo della canzone: Yonezu contattato da Miyazaki & Suzuki, Yonezu che legge gli storyboard (il primo volume coi cut da 001 a 220 ha in copertina il layout con l’incendio che era anche su Mitaka Calling), Yonezu che compone con la chitarra direttamente leggendo gli storyboard, Yonezu che presenta il testo della canzone a Miyazaki & Suzuki, Miyazaki & Suzuki soddisfatti e commossi, la festa di fine lavorazione del film con Joe Hisaishi, Miyazaki, Suzuki e Yonezu che spaccano una botte di sake. In coda al libro un’intervista doppia fra Suzuki e Yonezu e poi il testo della canzone.

🐦🐦🐦 Clicca qui per acquistare il singolo oppure qui per ascoltare il brano sui servizi di streaming 🐦🐦🐦

(N.B.: il brano potrebbe non essere disponibile su alcuni servizi streaming in alcuni Paesi).

In breve, una OST piuttosto diversa da quelle per le altre opere di Miyazaki, ma comunque molto ricercata e perfettamente a tono col film.

 

Una nuova vita

Layout per il film "Kimi-tachi wa dō ikiru ka" di Hayao Miyazaki.
I layout sono sempre stati per decenni il vertice della produzione artistica di Hayao Miyazaki dai tempi del World Masterpiece Theater, e sono tutt’ora il suo tratto distintivo: Miyazaki si conferma sé stesso fino alla fine. Questo layout, semplice e stupendo, cita il libro E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino ed è stato usato come copertina per il singolo Chikyūgi di Kenshi Yonezu.

60 anni, 12 film, cinque fasi, innumerevoli opposti e un messaggio solo: la vita vale la pena di essere vissuta, e per questo bisogna scegliere di viverla. È forse un messaggio banale? No, non lo è assolutamente: tutti i giorni, tutte le persone si confrontano con innumerevoli problemi che fanno apparire il mondo come un posto peggiore di quello che è, che ci fanno sembrare la vita un’esperienza peggiore di quello che è.

Miyazaki ha 82 anni, 60 dei quali spesi sul tavolo da lavoro e ci lascia come ultimo (?) film questa dichiarazione di amore per la vita, e dunque anche di amore per la natura, per la pace, per i diritti, per l’uguaglianza, per tutti i principi in cui ha creduto e per cui ha lottato sempre e sempre senza tirarsi indietro, fino a risultare per alcuni persino controverso o a venir sminuito come un povero vecchietto, cosa che non è mai stato e non sarà mai, a prescindere dall’età.

Kimi-tachi wa dō ikiru ka chiude il ciclo artistico di Hayao Miyazaki e anche solo per questo va apprezzato, riconoscendo al regista che sarebbe potuto uscire di scena con un film “facile”, e invece ha scelto di realizzarne uno così ricco e pensato e strutturato da rischiare di diventare anche il suo film più complesso e studiato e persino rappresentativo, ma anche il più divisivo. Eppure anche questo è un segno di vitalità e di forte innovazione della sua intera carriera, e anzi: se la numerologia cinese ha un senso, adesso potrebbe iniziare per lui un nuovo ciclo di vita e di arte, chissà.

Nell’ultima inquadratura del film, Mahito si chiude una porta alle spalle e va avanti continuando a vivere. E senza la parola “Fine” alla fine dei titoli di coda: è il primo e unico e solo film di Miyazaki a non avere fine, ma a continuare per sempre verso il futuro.


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©2023 Studio Ghibli

4 thoughts on “Kimi-tachi wa dō ikiru ka / Il ragazzo e l’airone – Tutta la vita di Hayao Miyazaki

  1. Articolo magnifico… semplicemente.
    Una finestra aperta sulla vita professionale del Maestro e una lucida prima recensione di un film che tutti sappiamo (almeno credo)andrà visto più volte per essere compreso al meglio.

    1. Grazie mille. Continuerò ad aggiornarlo e arricchirlo con la trama, i collegamenti col libro, gli animali e altro ancora: è un film così ricco che ci si possono scrivere sopra tesi di laurea, c’è ancora molto da dire a proposito.

  2. Ti ringrazio per le osservazioni preziose. Non conoscendo il giapponese, mi hai fornito la chiave per altri piani di lettura del film (penso siano almeno tre). L’ho visto in Italia il primo gennaio 2024. Con i miei limitati strumenti (studi classici di una marea di tempo fa) mi ha subito colpito la stranezza della citazione, da parte di un giapponese, di parte dell’iscrizione (solo “la divina podestate”, cioè il Padre) della porta dell’inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri. Nel III Canto, varcata la porta, Dante e Virgilio incontrano gli Ignavi (coloro che non hanno mai preso una posizione nella vita, cosa coerente con uno dei piani di lettura) e, poco dopo, Caronte (il traghettatore delle anime dei morti attraverso il fiume dell’Ade, citato nell’Eneide e poi nella Divina Commedia). Mi stavo arrovellando su questo punto. Perché Miyazaki cita solo la parte del Padre? Perché è anche considerato il Creatore? Kiriko può essere Virgilio (mi viene da escludere l’Airone)? Ma allora come può Kiriko fungere anche da traghettatore (Caronte)? Perché Mahito sale sulla barca di Kiriko, mentre nella Divina Commedia Dante non sale sulla barca di Caronte (che non lo accetta perché non è destinato ad andare all’Inferno)? Insomma, mi sono fatta una sacco di pippe mentali. Tu, invece, mi hai aperto nuove ipotesi. Mi fa proprio piacere, da madre, constatare che ci sono giovani come te. Semplicemente, intelligenti e curiosi. Continua così. La curiosità è l’anima della vita. Grazie ancora.

    1. Sono estremamente lunsingato da questo commento: davvero grazie di cuore. L’interpretazione dantesca è davvero interessante e perfettamente congruente con il film. L’articolo è stato scritto di getto e pubblicato il giorno stesso che il film è uscito in Giappone, dunque nelle poche ore che avevo a disposizione per scriverlo sono riuscito a parlare solo di quello che avevo immediatamente colto alla prima visione, raccogliendo anche impressioni altrui dal vivo e dalle fonti; come scritto nel disclaimer la mia intenzione è di espanderlo ulteriormente, ma finora non ho avuto molto tempo per lavorarci e spero di farlo quanto prima. Di nuovo grazie e spero vorrà continuare a seguire le nostre attività.

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