Suzume no tojimari – La porta sui ricordi di Makoto Shinkai

Makoto Shinkai torna al cinema con il suo nuovo lungometraggio Suzume no tojimari: forse il suo lavoro migliore, è un film di grande maturità che tratta i temi della memoria e della morte.

Attenzione: escluso dove espressamente indicato, questo articolo è privo di spoiler. Le informazioni riportate sono già visibili nei trailer, dichiarate nei comunicati ufficiali o provenienti dalla primissima parte del film. Tutte le immagini sono prive di spoiler.


E rieccoci qua oggi 11 novembre 2022, a sei anni di distanza da your name. e a tre da Weathering With You, con Suzume no tojimari, uscito oggi nelle sale giapponesi: il terzo lungometraggio di fila diretto dall’ormai star degli anime Makoto Shinkai sempre con lo stesso staff, ovvero lo stesso team produttivo composto dallo studio d’animazione CoMix Wave Films con il character designer Masayoshi Tanaka, il direttore delle animazioni Ken’ichi Tsuchiya, il direttore artistico Takumi Tanji, le musiche dei RADWIMPS eccetera, con almeno parte degli stessi doppiatori dei due film precedenti (già prima dell’uscita del film era stato confermato Ryūnosuke Kamiki aka Taki-kun nei primi due film), e anche con lo stesso distributore Tōhō. Squadra che vince non si cambia.

Il titolo internazionale scelto da Shinkai stesso dovrebbe essere semplicemente Suzume, ovvero il nome della protagonista (che come sempre accade nei film di questo regista è un nome parlante e un gioco di parole) e la distribuzione all’estero, già confermata per l’Occidente e data praticamente per certa anche per l’Italia, dovrebbe avvenire entro la primavera 2023, ovverosia non vale assolutamente la pena mettersi a cercare eventuali camrip o altri mezzucci squallidi (oltre che illegali) poiché c’è da aspettare solo pochi mesi e, sopratutto, anche questo film come tutti i film di Shinkai merita di essere visto bene e su grande schermo.

E merita davvero di essere visto al cinema perché è, forse, l’opera migliore dell’intera carriera di Makoto Shinkai.

Locandina del film "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
La locandina di Suzume no tojimari non solo mostra bene la ricchezza grafica del film, ma col senno di poi, dopo aver visto il film, ci si accorge che è anche spoiler: una caratteristica tipica di tutte le locandine dei film di Makoto Shinkai. Indizio: notare che il gattino Daijin è *davanti* a Suzume. Lo slogan del film, in verticale a destra, è «Ittekimasu», ovvero la formula di cortesia che si dice quando si esce di casa, tipo “Io esco (sottinteso: per poi tornare)”.

 

Un film di viaggio, ma anche un film-viaggio

Prima dell’analisi più approfondita dei vari aspetti del film, una breve riflessione personale.

Chi scrive segue Makoto Shinkai letteralmente dalla prima ora, dal suo primo cortometraggio Lei e il gatto; comprò nel 2002 la bella edizione d/visual de La voce delle stelle, rompendo l’anima a tutti i suoi consoci di DF per mostrarlo loro, e poi il relativo fumetto edito da Star Comics; negli anni non ha perso nemmeno una delle opere del regista (ma in compenso ci ha perso molti soldi), e non solo i lungometraggi, ma anche i cortometraggi, i lavori per la TV, gli spot commerciali e quant’altro; ha cantato almeno una volta al karaoke tutte le canzoni presenti in tutti i suoi film, e ne ha anche tradotto i testi su richiesta di amici; nel 2016 era così estasiato e al contempo arrabbiato con your name. che ci ha scritto sopra non solo una recensione-fiume qui su DF, ma anche un j’accuse a parte e svariate twittercronache e ha passato il film al setaccio letteralmente fotogramma per fotogramma per trovare tutti gli sponsor reali e immaginari mostrati in video, e non se n’è perso un solo passaggio in TV, e poi infinite discussioni via chat e molto altro ancora; per Weathering With You una sola twittercronaca, ma in compenso pure in quel caso recensione-fiume ed evento al cinema al day one e mostra e tutte le perfomance dei RADWIMPS in TV e poi ha mangiato per capriccio TUTTO il disgustoso junk food promozionale del film e dio solo sa cos’altro.

In breve, chi scrive ha sempre e instancabilmente seguito e supportato con grande passione la carriera di Makoto Shinkai, eppure fatica a definirsi suo fan poiché ha con lui un rapporto di amore-odio. Amore per le sue straordinarie capacità tecniche, artistiche e narrative, per la sua enorme cultura otaku, per l’impegno umano che mette in ogni sua opera, per essere riuscito a creare un’intera mitologia geografica basata su luoghi reali, per aver inventato da zero uno stile visivo personalissimo, riconoscibilissimo e di grande valore estetico, per essere quello che potremmo definire il primo animatore digital native del XXI secolo. Eppure, all’amore si affianca anche l’odio perché le suddette capacità, la cultura, l’impegno eccetera sono sempre stati usati finora per realizzare film mediocri o appena sufficienti, con un livello di sospensione dell’incredulità e buchi di trama oltre il sopportabile, e che nel migliore dei casi erano fortemente derivativi da Anno se non proprio Miyazaki-wannabe e nel peggiore erano davvero sciocchi, banali, insipidi.

Fotogramma da un'intervista del 2003 a Makoto Shinkai.
Un giovanissimo Makoto Shinkai agli inizi della carriera mostra come ha realizzato La voce delle stelle tutto da solo a casa sua in una video-intervista del 2003 sul cinema indipendente. Il cortometraggio venne proiettato per la prima volta il 2 febbraio 2002 nel cinema d’essai Tollywood di Shimokitazaka (Tōkyō)… vent’anni fa… quanto tempo è passato…

Ebbene, in Suzume no tojimari finalmente Shinkai rompe questa maledizione ultradecennale e sfrutta tutte le sue già innegabili qualità per una storia ricca, emozionante, complessa, basata su grandi temi universali come la memoria e la morte, fortemente connessa alla storia antica e recente del Giappone e del mondo intero, che fa tanto ridere quanto piangere, che a tratti persino sconvolge lo spettatore; storia retta da una regia magistrale che fonde insieme action e road movie, che sfrutta in maniera creativa l’eredità degli anime del passato, che alterna quadretti intimi con grandiose scene madri (quella del luna park è da antologia); regia che sfrutta un comparto tecnico eccezionale con animazioni che fondono armoniosamente 2D e 3D (in particolare multiplane camera e cell shading integrati in un linguaggio coerente) e musiche evocative e variegate.

In breve, beh… Makoto Shinkai, quanto mi hai fatto aspettare per arrivare finalmente a un film bello come questo! È stato un lungo viaggio, ma ne è valsa la pena.

 

Arrivare a te, Suzume

Come ormai diventata prassi per i film di Shinkai, anche questo Suzume no tojimari è stato preceduto da una forte campagna pubblicitaria, per fortuna non clamorosamente, irritantemente invadente come fu per Weathering With You, ma comunque continuativa a partire dallo scorso 15 dicembre 2021 quando il regista presentò il film e furono aperti i profili ufficiali sui social network Twitter, Instagram e TikTok.

Pian piano sono state diffuse sempre nuove notizie, e come ultima mossa la produzione, per solleticare il pubblico, ha calato giù i suoi assi distribuendo l’intero catalogo di Shinkai su Amazon Prime Video (gratis per gli utenti Prime), e in particolare i due film your name. e Weathering With You anche su Netflix e trasmessi in chiaro in TV (addirittura su due canali diversi, NTV e TV Asahi, come fossero in Italia Rai 1 e Canale 5), poi i tre film 5 centimetri al secondo, your name. e Weathering With You al cinema in formato IMAX, e infine i primi 12 minuti e 52 secondi del film trasmessi in TV e resi disponibili sempre su Amazon Prime Video (fino al prossimo 31 gennaio).

Basta sentire le prime note di Sparkle per far riempire gli occhi di lacrime, che capolavoro quella canzone (e la scena di your name. che accompagna).

 

Questa riproposizione dei film di Shinkai ha dato adito al sospetto che Suzume no tojimari fosse il sequel di Weathering With You, che lo era a sua volta di your name., ovvero che condividesse coi due precedenti film il mondo narrativo e parte del cast, ma non è così: si tratta di un film completamente originale e distinto dai due precedenti, che dunque vanno ufficialmente a formare un dittico narrativo (come avevamo ipotizzato nella nostra recensione per il film del 2019).

Eppure, anche se narrativamente Suzume no tojimari si allontana dai due film precedenti, tematicamente fa parte insieme a loro di una ideale trilogia sul rapporto dell’uomo con le catastrofi naturali. L’approccio è però differente: se nei primi due film si raccontano storie precedenti alle catastrofi (naturale nel primo caso e artificiale nel secondo), in questo terzo film si racconta una storia successiva alla catastrofe. Come ha dichiarato il regista stesso, Suzume no tojimari è ambientato in «un mondo post-apocalittico» e non racconta il prima, overo quello che l’uomo può o non può fare di fronte alle catastrofi imminenti, bensì il dopo, ovvero le conseguenze psicologiche che queste catastrofi provocano, il loro impatto sulla memoria e, infine, l’elaborazione del lutto.

 

Trama

Suzume Iwato è una ragazza di 17 anni originaria del nord del Giappone che però, da quando è rimasta sola dopo la morte della madre, abita con la zia materna Tamaki a sud, nella prefettura di Miyazaki, nell’isola di Kyūshū. Un giorno un passante misterioso le chiede se in zona non ci sono per caso delle porte abbandonate, e lei le indica un ex complesso termale in stato di abbandono: lo segue insospettita e scopre una porta diroccata, ultimo elemento rimasto in piedi di un edificio distrutto, la apre e incredibilmente vi vede all’interno un “altro mondo” apparentemente inaccessibile. Inoltre, conficcata nel pavimento trova una strana statua a forma di gatto, l’estrae e quella d’improvviso prende vita e scappa. Suzume è inquietata e se ne va dimenticando di chiudere la porta, ma poco dopo deve tornarci perché da lì si sprigiona una sorta di enorme, terribile fumo rosso che a quanto pare nessuno riesce a vedere a parte lei: alla porta ritrova il passante misterioso che sta cercando di chiuderla con tutte le sue forze, Suzume l’aiuta, lui richiude la porta con una sorta di chiave magica e il fumo scompare (qui finisce l’incipit da 12 minuti e 52 secondi).

Fotogramma da "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
Sōta chiude la porta magica con la chiave magica nella toppa magica.

 

Attenzione: da questo punto in poi il paragrafo contiene spoiler lievi, ancora dalla prima parte del film.

Suzume si porta a casa il ragazzo per guarirne le ferite procuratosi chiudendo la porta. Lui dichiara di essere Sōta Munakata, solitamente è uno studente universitario di Tokyo, ma anche un 閉じ師 tojishi (letteralmente “maestro chiuditore”) che gira il Giappone alla ricerca di certe porte abbandonate che, se aperte, lasciano uscire dei ミミズ mimizu “lombrichi”, ovvero quel fumo rosso che diventa una colonna altissima e solida che, se non si chiude la porta in tempo, crolla rovinosamente a terra: ecco come si generano i terremoti, solo che la gente comune non vede i giganteschi lombrichi e quindi non lo sa. All’improvviso arriva quel gatto bianco materializzatosi dalla statua che, per magia, trasporta spiritualmente Sōta all’interno di una sediolina gialla per bambini a cui manca una gamba, e poi scappa: Sōta-sedia e Suzume inseguono il gatto fino a salire su un traghetto notturno che li porta dalla prefettura di Miyazaki a quella di Ehime, nell’isola di Shikoku. Suzume e Sōta-sedia perdono di vista il gatto, ma riescono a seguirne gli spostamenti grazie ai social network: il gatto girovago è infatti diventato velocemente una celebrità su Internet e dovunque vada la gente ci si fa insieme i selfie che poi pubblica sul web, ha anche ricevuto il nome Daijin (“Ministro”) e il suo hashtag #ダイジンといっしょ (Daijin to issho, “insieme a Daijin”). Da questo momento Suzume e Sōta-sedia seguono Daijin in giro per il Giappone, poiché il gatto scappa sempre più a nord aprendo porte che i due devono chiudere prima che si verifichino i terremoti.

Fotogramma da "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
Maledetto, la pagherai per aver ingannato quelle povere bambine a diventare delle stregh— ah no, quello è un altro anime.

 

Attenzione: da questo punto in poi il paragrafo contiene spoiler importanti.

Grazie all’aiuto di vari autoctoni, i due riescono a seguire Daijin e a chiudere le porte da lui aperte fino ad arrivare a Tōkyō. Lì, nel suo appartamento, Sōta-sedia rivela a Suzume che il clan dei Munakata (i cui ultimi rappresentanti sono Sōta e suo nonno) possiede il potere da tojishi impedendo da secoli innumerevoli catastrofi, ma le ushirodo (“porte sul retro” dei templi buddhisti, da dove si esce per andare nel cimitero, cioè nel mondo dei morti) sono così tante che non sempre fanno in tempo a raggiungerle per chiuderle: i lombrichi escono infatti da porte che si trovavano in luoghi molto frequentati e poi abbandonati, ovverosia dove non c’è più il calore del cuore umano, ovverosia dove regna la morte; quando queste vengono aperte dopo molto tempo, le innumerevoli memorie delle persone morte escono fuori in forma fisica dall’altro mondo al di là della porta, il tokoyo (il regno dei morti buddhista), generando i lombrichi. A quanto pare anche Suzume ha il potere da tojishi potendo vedere i lombrichi e sigillare le ushirodo. Ad aiutare i tojishi ci sono due bestie spirituali chiamate kaname ishi (“pietre d’angolo”) che hanno il potere di diventare steli di pietra da conficcare nei vermi per fermarli e purificare la terra: uno era appunto Daijin, conficcato a fianco alla ushirodo aperta da Suzume, ma chissà perché ora crea disastri invece di fermarli.

Il prossimo disastro sta per verificarsi proprio a Tōkyō: Daijin ha svegliato il secondo kaname ishi, un gattone nero chiamato Sadaijin e lì sigillato dai tempi del Grande terremoto del Kantō del 1923. La ushirodo aperta è troppo grossa per chiuderla, ma con un rocambolesco inseguimento Suzume e Sōta-sedia riescono a salire sul gigantesco lombrico in procinto di crollare sulla capitale giapponese: lì Sōta-sedia decide di trasformarsi egli stesso in una kaname ishi sprofondando mentalmente in una sorta di spazio spirituale in cui Sōta si rifugiava sempre durante il sonno, e così diventando un blocco di ghiaccio. Suzume conficca Sōta-sedia-di-ghiaccio nel lombrico e il pericolo è scongiurato, ma ora lui è confinato nel tokoyo. Suzume chiede aiuto al vecchio nonno di Sōta: se lo rivuole, deve andarselo a prendere lì nel regno dei morti. Ma dove trovare un’altra porta?

Suzume crede di conoscerne una: è lì dove abitava da bambina con sua madre, su su a nord nella prefettura di Iwate. Dopo la scomparsa della madre, 11 anni fa, Suzume ricorda di aver trovato, o forse ha sognato di aver trovato, questa porta che dava su un altro mondo e vi entrò a cercare la madre, lì incontrò una figura misteriosa che le donò la sediolina senza una gamba e le disse di farsi coraggio: BISOGNA VIVERE. Suzume incontra Tomoya Serizawa, un gioviale e canterino amico di Sōta, e viene raggiunta da zia Tamaki che l’ha seguita fino a Tōkyō grazie alle ricevute della carta di credito elettronica usata dalla ragazza: i tre, insieme ai gatti Daijin e Sadaijin adesso buoni e tranquilli, partono per un viaggio in auto verso nord.

Mappa del percorso dei personaggi nel film "Suzume di tojimari" di Makoto Shinkai.
Il viaggio di Suzume & company dalla prefettura di Miyazaki a quella di Iwate. Non tutti i luoghi che si vedono nel film sono reali, alcuni effettivamente lo sono mentre altri sono immaginari e solo ispirati a luoghi reali, ma il percorso è comunque verosimile; per la cronaca, vari fan hanno compilato mappe molto dettagliate in cui sono segnati tutti i luoghi reali del film e anche quelli che sono serviti a Shinkai come ispirazione per quelli non reali.

Suzume arriva al suo vecchio villaggio: non c’è più niente, solo case distrutte e muri diroccati. In quello che era il giardino di casa sua, Suzume estrae dalla terra una capsula del tempo che aveva lì seppellito con la madre: dentro trova il suo diario da bambina dell’asilo, riempito di disegni invece che di testi. Ogni pagina riporta gli scarabocchi gioiosi e solari della piccola Suzume, ma le pagine diventano tutte nere dal giorno 11 marzo 2011: il giorno dello tsunami e terremoto del Tōhoku, quando morì sua madre, il suo paese distrutto, la sua vita azzerata. Il diario mostra anche la successiva scoperta della porta: era vera, ed è ancora lì intorno, Daijin e Sadaijin (che finora avevano aperto tutte quelle ushirodo proprio allo scopo esatto di guidarla fin lì passo dopo passo, geograficamente e mentalmente) gliela indicano. Suzume vi entra, e stavolta può perché la porta contiene i suoi ricordi: il tokoyo è in subbuglio, ma lei riesce a raggiungere Sōta-sedia-di-ghiaccio e a estrarlo dalla sua prigione di roccia (dunque a liberarlo dalla sua prigione mentale) separando l’anima dalla sedia e restituendogli forma umana, poi insieme i due combattono e sigillano i lombriconi con le bestie sacre/kaname ishi Daijin e Sadaijin. Il mondo è salvo.

Prima di uscire dal tokoyo, Suzume vede sé stessa bambina cercare disperatamente sua madre morta, le si avvicina e le dona la sediolina senza una gamba: BISOGNA VIVERE.

Tornati nel mondo reale, Suzume e Sōta si separano e tornano ognuno alle proprie vite: chissà se i due tojishi si reincontreranno ancora.

Fotogramma da "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
Just Makoto Shinkai being Makoto Shinkai.

 

La macchina degli anime

Il primo aspetto da sottolineare di Suzume no tojimari non è tanto sul film in sé, ma sul metodo di produzione di CoMix Wave Film. Stando a quanto successo con gli ultimi tre film e a quanto dichiarato dallo staff produttivo, ultimamente Shinkai sembra seguire una tabella di marcia piuttosto precisa: per realizzare ogni film ci mette tre anni, di cui il primo è composto dalle attività di promozione del film precedente, di riposo e di ricerca di ispirazione per l’opera successiva, il secondo anno dal lavoro alla scrivania per ottenere il romanzo e la sceneggiatura (non sono l’una la riduzione dell’altro o viceversa, ma due prodotti completi che si influenzano a vicenda) con i relativi storyboard, e infine il terzo anno dal lavoro di produzione del film vero e proprio con il suddetto, fidatissimo staff. Praticamente una catena di montaggio.

La cosa presenta ovvi vantaggi e svantaggi, riassumibili in: essendo in qualche maniera sempre al lavoro, Shinkai non perde il ritmo della routine produttiva e questo gli consente di realizzare sempre prodotti di alta qualità (sia per i film sia per le opere minori come spot TV o altre piccole commissioni), che in base ai gusti dello spettatore possono variare dal buon artigianato all’arte sublime, ma di cui comunque non si può negare l’impegno produttivo; contemporaneamente, proprio questo stesso essere sempre al lavoro lo costringe a produrre per forza, anche quando non ha assolutamente niente da dire, né di originale né di rielaborato.

Scaturisce da questo metodo di lavoro la più comune delle critiche al regista: i suoi film sono fondamentalmente tutti uguali. Cambiano i contesti, che diventano sempre più grandiosi quanto il motore di rendering dei suoi PC gli consente, ma di base è dai tempi de La voce delle stelle, cioè dal 2002, cioè da vent’anni tondi che Shinkai non si era mai schiodato di un centimetro dalla stessa identica trama della coppia di giovani amanti legati dal caso e dal destino, ma separati dallo spazio e dal tempo, il tutto costruito con un mix di riferimenti soprattutto a Miyazaki, ambientato in un mix fra fantascienza futuribile e misticismo orientale, e rappresentato con un mix di immagini e musiche di grande impatto e bellezza che generano nello spettatore un notevole sense of wonder. Un mix di mix.

Ora, Suzume no tojimari rientra nella stessa casistica di tutti i film di Shinkai? Incredibilmente, NO. Per la filmografia di Shinkai, questo film è letteralmente una rivoluzione.

 

Attenzione: da questo punto in poi il paragrafo contiene spoiler importanti.

Il fatto stesso che i protagonisti non sviluppino una vera e propria storia d’amore effettiva che funga da motore per la trama è il contrario di quanto realizzato finora dal regista. Certo, i due si avvicinano emotivamente, forse sentimentalmente, e nella scena finale si reincontrano e dunque potrebbero potenzialmente mettersi insieme (magari in un sequel?), ma non c’è alcuna certezza, e quella mostrata nel film è una relazione (estremamente matura per gli standard del regista) fra due persone che si aiutano a vicenda: lui conosce il dolore del mondo “da fuori” perché l’ha studiato sui libri buddhisti, lei conosce il dolore del mondo “da dentro” perché l’ha sperimentato personalmente. Anche altri aspetti tipici di Shinkai, come le incolmabili distanze spaziali e temporali, qui sono concretizzate in maniera estremamente verosimile con un viaggio in luoghi reali con riferimenti temporali a date reali di eventi reali. Alla fine, gli unici amori che si vedono nel film sono quelli fra Suzume verso sua madre e, poi, di Suzume verso sé stessa: il messaggio del film, “bisogna vivere”, è esattamente lo stesso di Principessa Mononoke.

Fotogramma da "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
«Suzume, piccola mia, ricordati che è necessario vivere, bisogna scrivere, all’infinito tendere, ricordati Baudelaire!».

 

La memoria degli anime

Attenzione: l’intero paragrafo, compresi i due sotto-paragrafi interni, contiene spoiler importanti.

La somiglianza tematica con Principessa Mononoke non solo non è assolutamente casuale, ma è anzi solo uno degli innumerevoli furti creativi di Makoto Shinkai. Come recita la celebre massima coniata dal poeta T.S. Eliot e poi ripresa da molti altri, in ambio artistico imitare è male, ma rubare è bene, e il poeta mediocre imita mentre quello maturo ruba perché sa cosa rubare e come usare bene i materiali rubati dando loro nuova vita e nuovo significato.

Ecco, in Suzume no tojimari Shinkai dimostra di essere arrivato a maturità (finalmente! Dopo 20 anni di film tutti uguali!) smettendo di atteggiarsi a Miyazaki dei gggiovani e pagando invece il suo omaggio al maestro inserendo palesi citazioni, a partire dalle rovine a inizio film chiaramente simili al villaggio degli spiriti de La città incantata e al mondo dell’aldilà tokoyo evidentemente ricalcato sul mondo dei ricordi di Howl ne Il castello errante di Howl, fino ad arrivare al punto di esplicitazione totale quando, durante il viaggio in auto verso la vecchia casa di Suzume, mentre guida Tomoya canta a squarciagola Rouge no dengon, ovvero la canzone che ascolta Kiki alla radio mentre vola verso la città all’inizio di Kiki – Consegne a domicilio. E a proposito di canzoni, la playlist Spotify di Tomoya contiene poi anche Yume no naka e di Yōsui Ino’ue, che certamente Shinkai non ignora essere stata usata da Hideaki Anno come ED (sigla di coda) della sua serie Le situazioni di Lui & Lei, e dato che si parla di Anno, i lombrichi giganti che escono dalle porte ushirodo esplodono in una pioggia di sangue acqua esattamente come gli Angeli del Rebuild of Evangelion, anzi diciamola tutta, i lombrichi sono esattamente né più e né meno che Angeli, manca solo l’arcobaleno quando muoiono (arcobaleno che comunque si vede nel film in altre occasioni). Bonus: sì, Suzume che incontra e salva sé stessa quando consegna la sediolina è chiaramente Harry Potter che incontra e salva sé stesso quando lancia l’incanto Patronus, e soprattutto sì, il gattino Daijin è chiaramente Kyubey, identico spiccicato.

Fotogramma da "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
Suzume vaga per il villaggio spettrale mentre i genitori si abbuffano fino a diventare maiali (no non è vero).

E queste sono solo un 1% delle citazioni presenti nel film, il gioco per lo spettatore sta nel trovarne il più possibile, inclusi gli ormai tipici easter egg riferiti alle precedenti opere di Shinkai (il più evidente qua è il nome “Agartha” sulla capsula del tempo di Suzume).

La presenza di furti artistici palesi sminuisce forse il valore di Suzume no tojimari? No, al contrario, lo esalta, perché colloca Shinkai non più in un filone parallelo e timido rispetto ai grandi maestri, bensì finalmente sulla loro stessa strada (benché molto indietro rispetto a loro, sai quanti cereali sottomarca si deve mangiare ancora prima di potersi fregiare del titolo di maestro). Shinkai che finalmente sa far tesoro dell’eredità degli anime senza nasconderla affatto, ma riciclandola creativamente in maniera originale. Il film della maturità, finalmente!

Ma i due aspetti che rendono veramente maturo l’approccio usato da Shinkai in Suzume no tojimari è il suo uso della tragedia del Tōhoku e l’uso della metafora della porta.

 

La porta verso nord

Con i suoi circa 20’000 morti, lo spettro del disastro nucleare e la dimostrazione della fragilità del sistema-Paese, il terremoto e relativo tsunami che nel 2011 hanno colpito nel nord-est giapponese le prefetture costiere di Iwate, Miyagi, Fukushima, Ibaraki e confinanti è tutt’ora una ferita aperta nella coscienza giapponese che solo adesso, dopo anni, gli artisti stanno elaborando catarticamente nelle loro opere. Fra i vari, ci avevano provato Hideaki Anno in Shin Godzilla del 2016 e Ryōta Nakano in Asada-ke! del 2020, e ora ci prova anche Makoto Shinkai, in tutti e tre i casi usando immagini ricalcate su quelle reali della tragedia.

Immagine del terremoto e tsunami del Tōhoku del 2011 a Ōtsuchi (Iwate). Fonte: https://kahoku.news/articles/20200820kho000000160000c.html
Una barca trasportata dallo tsunami sopra un edificio a Ōtsuchi (Iwate): un’immagine assurda ma vera, diventata suo malgrado iconica del terremoto del 2011 e riportata identica tal quale in Suzume no tojimari.

Ecco quindi che la scena in cui Suzume sfoglia il suo diario da bambina e si imbatte di colpo nelle pagine furiosamente cancellate con un pastello a cera nero ha un valore del tutto realistico e niente affatto metaforico (pur nell’irrealtà di un diario di una bambina dell’asilo che colora pagine nere, certamente non una reazione psicologicamente credibile a quell’età, ma Shinkai ci ha abituato a ben peggiori episodi di sospensione dell’incredulità qiuindi stavolta chiudiamo un occhio). Chi scrive ha sperimentato personalmente IL GELO IN SALA e i sussulti degli spettatori nell’esatto istante in cui è stata inquadrata la data “11 marzo” sul diario di Suzume: letteralmente uno shock, sia perché la spiegazione della trama fino a quel momento era ancora un po’ ambigua, sia perché finora Shinaki non aveva mai citato episodi reali nei suoi film (ecco dunque un’altra prova di maturità), sia infine perché, come successo agli occidentali per l’attacco alle Torri Gemelle, per i giapponesi quello tsunami è stato un momento di reset generazionale e tutti ricordano dov’erano e cosa stavano facendo al momento della scoperta dell’evento.

Ci si potrebbe chiedere se la citazione diretta alla tragedia del Tōhoku sarà altrettanto efficace anche sugli spettatori stranieri tanto quanto lo è su quelli giapponesi. La differenza naturalmente non sta nei passaporti o in fantomatiche differenze emotive fra questo o quel popolo, ma nel fatto di riuscire a riconoscere quella tragedia (nel film non viene nominata, gli unici dati forniti sono il luogo e la data, sta poi allo spettatore capire il contesto), nel comprenderne la portata (molti occidentali abbinano quell’evento solo alle centrali nucleari di Fukushima, ma quella è solo la punta dell’iceberg), e naturalmente nell’avere o meno tristi memorie personali legate a quell’evento che farebbero scattare potenti associazioni d’idee extra-filmiche: gli spettatori medi giapponesi ovviamente riconoscono la tragedia, ne comprendono la portata e hanno ricordi personali connessi, il che vuol dire che su di loro il film può avere un impatto psicologicamente devastante, ma gli spettatori medi non-giapponesi invece potrebbero non riconoscere l’evento, non comprenderne la portata e ovviamente non avere ricordi connessi, col rischio di perdere il contesto generale del film. Nonostante ciò, il modo in cui Shinkai gestisce l’evento-terremoto è tale che esso assume il valore generale di “catastrofe” che genera una “perdita”, ovverosia ognuno può riconoscervi un evento personalmente devastante che ti cambia la vita. Riuscire a dare un valore universale a un evento locale è un altro segno di maturità di Shinkai.

 

La porta verso sud

L’altro aspetto di sorprendente maturità di Suzume no tojimari è l’uso della metafora della porta. Il film è stato presentato il 15 dicembre dello scorso anno mostrando il primo poster che raffigura una porta bianca solitaria in un ambiente diroccato. Su Twitter, fin dal primo giorno, molti utenti giapponesi hanno ironizzato sull’uso della porta stand-alone come simbolo del film. Naturalmente la porta è un simbolo straordinariamente carico di significato da sempre e ovunque: dalla Porta dei Leoni di Micene alla Porta Alchemica a Roma e la Porta dell’inferno di Rodin, e anche in ambito di cultura popolare gli esempi non mancano dalla porta presa ad accettate di Shining a quella magica del succitato castello errante di Howl dai romanzi di Diana Wynne Jones fino alle innumerevoli porte reali e metaforiche di Frozen, ma quello che ha suscitato l’ironia degli internauti è la palese somiglianza della porta di Shinkai con la porta più famosa degli anime, ovvero la Dokokemo Door di Doraemon.

Illustrazione da "Doraemon" di Fujiko F. Fujio.
Doraemon estrae la Dokodemo Door dalla sua tasca quadridimensionale. Nell’adattamento italiano di Mediaset il glossario della serie è stato modificato in maniera dubbia: la tasca diventa gattopone (?), la porta Dokodemo Porta (??) e i gadget, in originale “strumenti segreti”, diventano chiusky (???).

La Dokodemo Door è uno dei più famosi, se non il più famoso dei gadget che Doraemon estrae dalla sua tasca quadridimensionale e consente di potersi teletrasportare in un qualunque luogo del cosmo nel raggio di 10 anni luce. Nell’aspetto è una semplice porta dal peculiare colore rosa, nel funzionamento è simile a quello delle porte di Monsters & Co. o, meglio ancora, al portale triangolare de Il pianeta del tesoro, ma non serve alcuna fonte energetica e per raggiungere la destinazione basta chiederlo (a voce alta o pensandolo) alla porta e poi aprirla per trovarsi di fronte il luogo desiderato. In Giappone, dove ne sono stati realizzati diversi esemplari dal vivo (ahimé non funzionanti), la porta ha una fama che definire transgenerazionale è riduttivo: la Dokodemo Door è un simbolo nazionale riconosciuto da tutti, un oggetto commovente al solo vederlo, un’icona.

Ora, quello che fa Shinkai in questo film è prendere la Dokodemo Door (ennesimo furto creativo) e ribaltarne completamente il senso, da porta che mette in connessione coi posti dove si vuole andare a porta che mette in connessione con l’unico posto dove nessuno vorrebbe mai andare, eppure l’unico dove invece prima o poi andremo tutti: il regno dei morti. Ecco dunque che il punto dove vuole arrivare Suzume no tojimari è proporre allo spettatore una riflessione sulla morte, su quanto sia una parte della nostra vita, e una parte ancora viva e calda nella nostra quotidianità grazie alla memoria dei cari defunti. Ogni spettatore può interpretare la porta, e dunque contestualizzare il film, secondo la propria esperienza personale.

La riflessione sulla morte, infine, sottolinea una volta di più la distanza di Suzume no tojimari con i precedenti your name. e Weathering With You: mentre il precedente dittico era un inno alla vita senza se e senza ma, a costo di piegare assurdamente il tempo e lo spazio, questo nuovo film propone sì un inno alla vita, ma più ragionato e basato in primis sulla conciliazione con la morte, e non sulle stategie per evitarla a tutti i costi.

 

La vergine dei campanelli

La presenza della morte nel film non può non portare a uno dei temi cardine del cinema di Shinkai: il misticismo, in questo caso declinato in chiave leggermente più buddhista invece di quella leggermente più shintoista usata nei due film precedenti, ennesima conferma che il dittico era sul tema della vita e questo sul tema della morte poiché nella religiosità giapponese lo Shintoismo si occupa della prima e il Buddhismo della seconda (per quanto il sincretismo religioso sia un fenomeno ultramillenario in Giappone e i due culti siano comunque inestricabilmente intrecciati insieme).

In effetti la stessa scelta delle parole “tecniche” in questo film proviene da entrambi i culti: la 後ろ戸 ushirodo è la porta sul retro del templi buddhisti per andare al cimitero, il 常世 tokoyo è l’oltretomba shintoista (nient’altro che uno mero spazio distinto da quello dei viventi, come l’Ade antico greco, mentre il buddhismo ha un oltretomba molto complesso come quello cristiano), le steli 要石 kaname ishi sono storicamente documentate per sigillare i kami shintoisti.

Fotogramma da "La città incantata" di Hayao Miyazaki.
Un fotogramma da La città incantata, film citato molteplici volte in Suzume no tojimari. Siamo all’inizio del film, e all’ingresso del mondo spirituale in cui entrano Chihiro e i suoi genitori è posta una misteriosa stele: che sia una kaname ishi messa lì per fermare gli spiriti e impedire loro di uscire fuori, confindandoli nel loro mondo? Probabile. Funfact: alla fine del film, quando i tre tornano alla macchina, la stele è grande la metà ed è liscia, senza più il faccione… errore di distrazione degli animatori o volontaria scelta metaforica? Uhm.

Anche il nome della protagonista è simbolico in questo senso. Il sito Jinja Channel, specializzato nel divulgare aspetti specifici dello shintoismo, riporta che da quando Shinkai ha dichiarato che il film avrebbe trattato della pratica dello 岩戸締め iwa tojime “chiudere con una (porta fatta di) roccia”, il termine ha avuto un’impennata di ricerche sul web. La parola è già presente nel Kojiki, il più antico testo in lingua giapponese, quando si racconta che la dea del Sole Amaterasu si nascose in una grotta chiusa con una roccia impedendo così alla sua luce di illuminare la Terra: l’unico modo per fermare la potenza di un kami è sigillarla fra le rocce. Il cognome di Suzume è 岩戸 Iwato “porta fatta di roccia”, ovvero nient’altro che i primi due ideogrammi della parola iwa tojime, mentre il suo nome foneticamente ricorda subito il passerotto, appunto 雀 suzume in giapponese, che rimanda al fatto che la protagonista viaggia = migra = vola per tutto il Giappone, ma gli ideogrammi del suo nome non sono quelli dell’uccellino bensì 鈴芽 dove il primo suzu è “campanello” mentre il secondo me è “germoglio”: il campanello è un tipico attributo delle miko (le vestali vergini dei santuari shintoisti), mentre “germoglio” è un gioco di parole perché anche “donna” si può leggere 女 me, dunque Suzume è sia il passerotto sia la ragazza dei campanelli ovvero la miko.

Fotogramma da "your name." di Makoto Shinkai.
In una scena di your name. si vede Mitsuha danzare accompagnata da un kagurasuzu, una sorta di scettro con i campanelli usato nelle cerimonie shintoiste.

 

Lo spettacolo dei colori e dei suoni

E dunque, sarà anche un film notevolmente più complesso e strutturato e profondo rispetto alla media delle altre opere di Shinkai, oltre che più franco nel mostrare le sue citazioni e coraggioso nel rinunciare alla trama sentimentale, ma Suzume no tojimari è anche bello come dev’essere bello un vero film di Shinkai, coi cieli rosa stellati e la natura migliorata del 270% e la luce saturata e piena di lens flare? Ma certo che sì! Anche se probabilmente non si raggiungono i livelli cromatici dei crepuscoli di your name. o la qualità dell’animazione della pioggia in Weathering With You, anche Suzume no tojimari rifulge nella luce accecante, nei materiali smaltati e lucidissimi, nell’acqua cristallina, negli astri visti in sogno, nella tavolozza cromatica quantomai irrealistica ma tanto bella a cui il regista ha abituato il suo pubblico. Il tokoyo, in particolare, è veramente il mondo dei ricordi di Howl sotto acido, un trip lisergico come non si vedeva dal film Yellow Submarine: la quantità di nuance che gli artisti di CoMix Wave Films riescono a inserire in ogni fotogramma è semplicemente incredibile e seconda solo alle scene finali di Piovono polpette, quando esplode il FLDSMDFR e il mondo si tinge di ogni colore fino a far male agli occhi. Ecco, qui l’effetto è simile, ma molto più vellutato e sfumato.

A migliorare ulteriormente la fruizione di tanta bellezza c’è il formato cinematografico scelto, ovvero il Cinescope in rapporto 2.35:1, molto più largo rispetto al formato 1.78:1 scelto per your name. e Weathing With You, col risultato di ottenere immagini di grande magnificenza che meritano, assolutamente meritano la visione in sala cinematografica.

Fotogramma da "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
Si può pensare quel che si vuole di Makoto Shinkai, ma qua non c’è hater che tenga: la qualità dell’immagine di Suzume no tojimari è pazzesca e vale da sola la visione del film.

Molto meno vistoso, benché ben fatto, il comparto sonoro: interessante il grido lancinante che tirano i vermi prima di esplodere (ennesimo riferimento agli Angeli di Evangelion), e molto professionali tutti i doppiatori, soprattutto perché nel loro viaggio fra le prefetture di Miyazaki a Iwate i due protagonisti si imbattono in una varietà di dialetti locali certamente molto divertente per i nippofoni (e che darà dei grattacapi al team di localizzazione in italiano). A proposito dei due protagonisti, i rispettivi doppiatori sono entrambi alla loro prima esperienza di doppiaggio di un prodotto animato: per Sōta, l’idol Hokuto Matsumura della boyband SixTONES (si legge “Stones”) ha scelto volontariamente un tono ben più cavernoso rispetto a quello degli altri protagonisti maschili dei film di Shinkai, molto funzionale, mentre Nanoka Hara nella parte della protagonista Suzume francamente fa chiedere perché mai Shinkai abbia provinato 1’700 ragazze per il ruolo, dato che la sua perfomance (molto ben fatta, eh, sia chiaro) non è in niente diversa da quella di una qualunque altra doppiatrice standard di anime. Mah.

Altro discorso per le musiche. Di nuovo la rock band RADWIMPS (o meglio, il loro frontman Yōjirō Noda) ha realizzato le canzoni del film come aveva fatto in your name. e Weathering With You, ma stavolta le musiche di sottofondo sono state scritte in collaborazione con il compositore Kazuma Jin’no’uchi, celebre per essere l’autore delle OST delle serie di videogiochi Metal Gear Solid e HALO. Il risultato è che le canzoni, pur buone, sono molto più mosce del solito, mentre al contrario le musiche sono veramente eccellenti, a tratti soprendenti, e anche queste caratterizzate dal furto libero invece che dalla semplice citazione, in particolare dalle musiche di Joe Hisahishi per Principessa Mononoke, di Tsutomu Ōhashi per AKIRA e soprattutto da quelle di Kenji Kawai per Ghost in the Shell, citate esplicitamente negli iconici cori. Proprio la natura molto meno pop della OST di Suzume no tojimari rispetto alle due precedenti la rende paradossalmente meno interessante da ascoltare in versione album: va ascoltata nel film, in contesto, dove lavora benissimo con le immagini.

Il lyric video di Suzume, la canzone principale del film, scritta dai RADWIMPS e cantata dalla vocalist Toaka, diventata famosa grazie a TikTok.

Ultime ma non meno importanti, le musiche diegetiche: il j-pop anni ’70-’80 che ascolta Tomoya mentre guida la sua macchina di seconda mano è stato raccolto in una playlist su Spotify, che è accessibile attraverso un codice QR su una cartolina quadrata data in regalo ai primi fortunati spettatori del film insieme a un mini-pamphlet dedicato ai 20 anni di carriera del regista e intitolato molto semplicemente 新海誠本 Shinkai Makoto hon “Il libro di Makoto Shinkai” (pragmaticità giapponese). Naturalmente la playlist è comunque accessibile a tutti gli utenti sul sito e sulla app del servizio streaming.

Attenzione: per motivi di copyright, la playlist e/o alcuni dei brani che la compongono potrebbe(ro) non essere disponibile/i in alcune aree del mondo.

 

Service, service!

Il succitato portale di musica in streaming Spotify è uno dei quattro sponsor principali di Suzume no tojimari, elencati a lettere cubitali nei titoli di coda, insieme al gestore telefonico KDDI, alla catena di fast food McDonald’s, e all’azienda di costruzioni Misawa Homes. Evidentemente l’esperienza assolutamente allucinante vissuta dagli spettatori giapponesi e riportata da tantissimi commentatori (anche internazionali residenti in Giappone) davanti a Weathering With You, un film straripante di product placement fino al ridicolo e al disturbo della fruizione del film, deve aver raggiunto le orecchie di Shinkai e degli sponsor: stavolta la strategia è stata molto limitata e usata solo per i suddetti quattro sponsor principali, oltre ad altri storicamente legati a Shinkai come la catena di supermercati Lawson, l’azienda di bibite Suntory, eccetera. Il risultato è molto simile a quanto visto in your name., ovvero il product placement c’è e tanto, ma confinato negli angolini e non vistoso né mostrato ossessivamente e continuamente. Meglio così.

Quanto al marketing del film, come al solito le aziende giapponesi si sono fregate le mani e hanno riempito i negozi di gadget carinissimi (per chi scrive, il premio per il gadget migliore va al modellino montabile di cartoncino della sediolina a tre gambe, molto ecocompatibile), e per celebrare il viaggio di Suzume lungo l’arcipelago giapponese, 47 aziende, una per ognuna delle 47 prefetture giapponesi, si è legata al film per produrre cibo, abiti e altri oggetti esclusivi: posto che vai, gadget che trovi.

Poster del "Nihon no tojimari project", campagna promozionale legata al film "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
Il poster della campagna promozionale Nihon no tojimari project, con tanto di hashtag dedicato, che elenca tutte le 47 aziende dal nord al sud del Giappone che hanno partecipato alla promozione del film, una per ogni prefettura (anche quelle non effettivamente toccate dal viaggio di Suzume & company).

Infine, gli spettatori delle sale cinematografiche in Giappone hanno goduto di un ulteriore strumento per strappare loro un awww: i cartonati col micio Daijin e la sediolina a tre gambe, mascotte kawaii del film, su cui sono stampati dei codici QR che consentono di ascoltare frasi pronunciate dai rispettivi doppiatori del tipo “Che buoni i popcorn!” o “Tu non hai fame?”.

Gadget di "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai in un cinema e in un conbini Lawson.
Sopra: banchetto dei gadget in un cinema giapponese, le cover di legno naturale per smartphone con sopra la sediolina a tre gambe e il micetto Daijin erano effettivamente tentatrici. Sotto: tè freddo al latte in un punto vendita Lawson, catena da sempre legata strettamente al mondo degli anime (fra l’altro è la commissionaria unica dello Studio Ghibli per la vendita dei biglietti al museo e al nuovo parco aperto giusto all’inizio di questo mese).
Materiali promozionali di "Suzume no tojimari" di Makoto Shinkai.
I cartonati di Daijin e della sediolina a tre gambe coi rispettivi codici QR (ingranditi sotto). Buona roulette e buon ascolto!

 

Conclusione

Makoto Shinkai realizza cinema da quasi venticinque anni. Ha iniziato con un gesto rivoluzionario per il mercato degli anime, e che pochi tenterebbero, ovvero licenziandosi dall’azienda dove aveva un regolare stipendio per mettersi a creare animazione completamente da solo, da zero a prodotto finito, a casa sua col suo PC, e se all’inizio ha conquistato un po’ di fama è stato proprio per essere quello strambo gattofilo che si fa i cartoni tutto da solo. Poi è arrivato La voce delle stelle e lì le cose sono cambiate: era un prodotto fortemente derivativo, sì, ma l’impegno c’era e il talento anche. Ci sono stati poi degli alti e bassi, ma con 5 cm al secondo è stato chiaro che si trattava di un talento che andava coltivato. your name. è diventato uno degli incassi maggiori della storia del cinema nipponico e un exemplum che ha influenzato enormemente lo stile dell’animazione locale, Weathering With You ha spostato ulteriormente avanti l’asticella della qualità, e ora con Suzume no tojimari siamo al punto che Shinkai non ha più bisogno di confronti con questo o quell’altro venerato maestro: è egli stesso un nome di riferimento a cui i giovani animatori guardano con rispetto per la sua storia professionale e il suo talento artistico e, perché no, anche monetario.

Suzume no tojimari è la sua settima opere per il cinema e la prima della sua intera carriera a rompere il circolo stantio degli star-crossed lovers per tentare qualcosa di diverso: certo non si possono deludere né i fan storici né gli sponsor, e certo va tenuto alto il nome dello “stile Shinkai”, ma un’idea interessante può portare a risultati contenutisticamente originali e brillanti se ben sfruttata, e Shinkai ce l’ha fatta. Le porte di Suzume, le porte dei ricordi, le porte della storia, le porte della morte, le porte della vita: Suzume no tojimari chiede allo spettatore di ripensare senza dolore al rapporto fra vita e morte, e lo fa con grande delicatezza, cura, onestà.

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