Il lago dei cigni – Il balletto di Ciajkovskij nel fumetto, nell’illustrazione e nell’animazione

DF presenta uno speciale dedicato a Il lago dei cigni, capolavoro di Čajkovskij e fonte d’ispirazione inesauribile. In questo primo articolo: un’introduzione ai molti fumetti, libri illustrati e film & serie animati tratti dal balletto.

Dimensione Fumetto presenta uno speciale in tre parti dedicato a Il lago dei cigni, il capolavoro di Pëtr Il’ič Čajkovskij che dal 1877 non smette di affascinare le platee di tutto il mondo e gli artisti di tutte le discipline, fumetto e animazione incluse.

In questo primo articolo: uno sguardo all’opera originale e ad alcune delle numerose versioni disegnate e animate che ha ispirato.


Il balletto Il lago dei cigni rappresenta senza grandi dubbi uno dei pilastri della storia della musica e dell’intera cultura occidentale. Nei suoi quasi 150 anni di esistenza, la condizione assolutamente iconica raggiunta progressivamente da quest’opera d’arte va ben al di là della sua qualità musicale che strappa lacrime e applausi al pubblico, della sua complessità esecutiva che strappa sangue e sudore a ballerini e musicisti, e del suo enorme successo che consente agli impresari di strappare ottimi contratti e molti biglietti.

Il lago dei cigni è un simbolo: simbolo del balletto, certamente, ma anche simbolo del sentire artistico, simbolo delle fiabe, simbolo di bellezza, e soprattutto simbolo di quanto un’opera d’arte può prestarsi alle più svariate versioni e interpretazioni metaforiche e psicanalitiche cambiando sempre, eppure restando sempre sé stessa.

Marianela Nuñez e Bennet Gartside ne "Il lago dei cigni" messo in scena alla Royal Opera House di Londra nel 2018.
Amore e morte, bellezza e bruttezza, purezza e sporcizia, ingenuità e malizia, yin e yang: tutti gli opposti sono rappresentati in maniera eccezionale ne Il lago dei cigni e incarnati da Odette, innocente fanciulla trasformata in cigno, e Rothbart, crudele stregone (qui interpretati da Marianela Nuñez e Bennet Gartside nella produzione della Royal Opera House di Londra del 2018).

 

Una genesi complessa

Le origini

La creazione de Il lago dei cigni e le sue alterne fortune iniziali sono ormai leggendarie, quasi mitologiche. Come tutti i miti, infatti, non se ne conosce esattamente l’origine: benché non sia affatto un’opera antica o poco documentata, anzi il contrario, i musicologi sono tutt’ora discordi nel definire chi è il vero “autore” del balletto, e molto più propensi a pensare che varie idee di varie persone siano confluite insieme fino a ottenere il prodotto finito.

Quello che è certo è che l’idea per il balletto è nata negli anni ’70 del XIX secolo negli ambienti del Teatro Bol’šoj di Mosca, che aveva già una relativamente recente, ma prestigiosa tradizione tersicorea cominciata la sera stessa della sua inaugurazione nel 1825.

Lo zar Alessandro II con la sua famiglia al Teatro Bol'šoj nel 1856 in un dipinto di Mihály Zichy.
Lo zar Alessandro II con la sua famiglia al Teatro Bol’šoj nel 1856 in un dipinto di Mihály Zichy.

L’idea iniziale per la nuova produzione del teatro prendeva ispirazione da fonti popolari, e per la precisione da un collage di elementi tratti dalle due fiabe L’anatra bianca e Il velo rubato (trascritte rispettivamente dall’antropologo russo Aleksandr Afanas’ev e dal collega tedesco Johann Musäus) che trattano di trasformazioni di umani in uccelli.

Non si trattava certo di un’idea nuova: il tema dell’unione uomo-animale è probabilmente fra i più arcaici e diffusi nel folklore di tutti i tempi e tutti i luoghi. Si presenta in varie forme: uomo e animale contemporaneamente (come le sirene), uomo che diventa animale (come i licantropi), uomini o animali che in determinate condizioni mutano il loro essere, eccetera. I miti di fondazione e le religioni vi indulgono spesso (il pantheon egizio, per dirne una, ma anche gli angeli biblici o l’uccello del tuono dei nativi nord-americani), e per tornare in tema aviario sono proprio gli ibridi uomo-uccello ad aver avuto particolare fortuna, con numerosi archetipi quali le fanciulle-cigno e le arpie.

Non è un’idea nuova nemmeno nella letteratura, dato che il patrimonio letterario occidentale ha esplorato il tema in lungo e in largo per millenni, già dai tempi delle Metamorfosi di Apuleio passando per La bella e la bestia, fino agli esiti ottocenteschi con opere di non-fiction come L’origine della specie e opere di genere come Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (usciti rispettivamente poco prima e poco dopo Il lago dei cigni), i cui contenuti sono stati ampiamente riconosciuti come letture scientifiche e metaforiche dell’idea di nucleo ferino primigenio presente negli esseri umani. In tempi a noi più recenti il tema della regressione bestiale continua a esercitare il suo fascino sia nella letteratura sia nelle altre arti, ad esempio nel film La città incantata di Hayao Miyazaki in cui i genitori di Chihiro si trasformano in maiali.

Illustrazione per la fiaba "I cigni selvatici" di Hans Christian Andersen. Fonte: https://www.pinterest.jp/pin/355362226822844232/
Anche mentre viene trasportata al patibolo per bruciare al rogo accusata di stregoneria, la povera Elisa fino all’ultimo istante cuce e cuce e cuce giacche fatte di rovi per i suoi fratelli trasformati in cigni nella meravigliosa fiaba I cigni selvatici scritta da Hans Christian Andersen e derivata da I sei cigni trascritta dai fratelli Grimm. Gli esempi di storie con trasformazioni di umani in/da uccelli sono innumerevoli: un esempio esterno alla tradizione occidentale si può trovare nella struggente fiaba giapponese La ricompensa della gru.

Infine, la scelta specifica del cigno deriva dall’enorme bagaglio simbolico, culturale, esoterico e cristologico e musicale che questo uccello rappresenta: un animale di acqua, di terra, d’aria, che si può vedere di giorno nei laghi e di notte sulla Via Lattea, che rappresenta dualismo con le piume bianche e la carne rossa, e che nel XIX secolo era particolarmente in voga anche grazie all’ossessione che personaggi eccentrici come Ludwig II di Baviera e il suo protégé Richard Wagner nutrivano verso questo volatile.

Affresco con una scena della storia di Lohengrin nel Castello di Neuschwanstein.
Un affresco dal Castello di Neuschwanstein (“Nuova pietra del cigno”, la pietra per sineddoche indica il castello) con la scena del ritorno di Lohengrin, figlio di Parsifal, su un vascello trainato da un cigno. Ludwig II si identificava nel personaggio arturiano a cui Wagner aveva dedicato un’opera nel 1850. Dal sito ufficiale del Castello: «Il cigno era anche l’animale araldico dei conti di Schwangau, di cui il re si considerava successore. Già Massimiliano II aveva elevato il cigno a motivo dominante di Hohenschwangau [il nome della località dove sorge il castello]. La venerazione idealizzata del Medioevo veniva a combinarsi qui con una concreta tradizione locale».
È quindi nel milieu internazionale europeo ottocentesco, e dalla fusione di numerosi aspetti culturali e popolari ultramillenari che nasce l’idea per Il lago dei cigni.

 

La musica

Fotografia di Pëtr Il'ič Čajkovskij da giovane.Dopo essere passato per varie mani, il canovaccio della trama con l’indicazione di massima di quali musiche servivano fu infine mandato nel 1875 dal coreografo del teatro Julius Reisinger al compositore 35enne Pëtr Čajkovskij, che al tempo era già autore di tre sinfonie, quattro opere, svariate canzoni e molta musica strumentale da camera e da sala da concerto, ma quasi totalmente digiuno di balletto, ovvero musica con un impianto narrativo che racconta con il linguaggio del corpo invece che con le parole.

“Quasi digiuno” perché in realtà nel 1871 il compositore aveva composto un breve balletto per uno spettacolino casalingo interpretato dai figli di sua sorella e intitolato appunto Il lago dei cigni, che conteneva già diversi temi musicali poi recuperati nel 1875. È possibile quindi che l’idea originale sia venuta in mente al compositore, poi passata agli impresari teatrali che l’hanno sviluppata, e infine tornata al compositore che l’ha portata a compimento: non lo sapremo mai.

Divertissement domestico a parte, Čajkovskij non era granché edotto di balletto né attratto dal genere, ma una volta ricevuta la commissione si mise a studiarlo scoprendo che offriva possibilità espressive enormi, soprattutto perché spesso nei balletti ci sono scene di eventi, feste o simili che consentono di sospendere per un po’ la trama e dedicarsi al puro piacere sensoriale di suonare e ballare. La libertà creativa, la trama solo abbozzata e lo stimolante tema del cigno consentì al compositore di sbizzarrirsi: nel giro di meno di un anno la partitura era già finita, pronta per essere provata dall’orchestra, coreografata e infine messa in scena al Teatro Bol’šoj nel febbraio del 1877.

La prima del balletto è tuttavia ricordata come un fiasco totale. Il coreografo ritenne la partitura di Čajkovskij imballabile, quindi ne tagliò una larga parte sostituita da brani famosi presi da altri balletti, e la mise in scena come uno spettacolo minore della stagione, interpretato da ballerini di seconda fila, rendendo il tutto confuso e brutto. Dopo varie modifiche all’ordine dei brani e alla trama (in particolare al finale, ripensato in numerose versioni dal trionfale al lieto al tragico), il balletto conquistò il meritato successo dal 1895 con la coreografia di Marius Petipa & Lev Ivanov, gli immaginifici coreografi a cui si deve Il lago dei cigni come lo conosciamo oggi, ormai diventato parte del repertorio stabile dei balletti russi.

La coreografia di Petipa & Ivanov include alcuni passi assolutamente visionari e iconici come il pas de quatre ballato da quattro ballerine con le braccia incrociate che eseguono movimenti identici in perfetta sincronia. Art for art’s sake.

 

Čajkovskij amava Il lago dei cigni. Non è una cosa così ovvia, dato che il compositore stesso sarà poi molto critico verso altre sue opere, compreso il successivo e popolarissimo balletto Lo schiaccianoci, ma nel caso de Il lago dei cigni non gli era veramente possibile esprimere altro che orgoglio per un lavoro del genere. Il motivo è veramente molto semplice: Il lago dei cigni è bellissimo. È il frutto di un periodo di eccezionale libertà, felicità e fecondità creativa che hanno consentito a Čajkovskij di mettere su carta oltre due ore di musica meravigliosa. È un manifesto del linguaggio musicale romantico del tempo, ma portato a un livello di patetismo, teatralità e fantasia completamente fuori dagli standard. È un lavoro eccezionale da guardare e da ascoltare. È un vertice nella storia della musica.

David Nadien suona la parte del violino solista in un brano de Il lago dei cigni solitamente utilizzato in un pas de deux fra Siegfried e Odile nel terzo atto. Come direbbe il compositore Alessandro Solbiati, la bellezza non ha bisogno di commento.

 

È anche un lavoro estremamente duttile: proprio per la sua indeterminatezza e flessibilità nella trama, nei contenuti e persino nell’ordine delle musiche da abbinare a scene diverse, Il lago dei cigni si è prestato e si presta tutt’ora alle più svariate interpretazioni e letture filosofiche, psicanalitiche e persino comiche o sessuali. Materiale vivo per arte viva.

Il lago dei cigni rappresenta una sfida troppo stimolante per non essere colta da numerosi artisti in vari campi esterni al balletto, dal cinema alla pittura, e anche nel fumetto e nell’animazione: vediamo alcuni esempi in questi ultimi ambiti.

 

Fumetti

Fumetti italiani sul balletto

A esclusione di volumi educativi per bambini piccoli, non ci sono molti esempi di fumetti europei legati al balletto, a esclusione di alcuni exploit autoriali come Polina del talentuoso ma controverso fumettista francese Bastien Vivès (pubblicato per la prima volta in Italia da Black Velvet nel 2011 e poi riproposto da BAO Publishing nel 2017), che però si concentra molto più sulla trama e sulla psicologia dei personaggi che non effettivamente sull’arte coreutica e sulle sue caratteristiche.

Anche in Italia il mondo del fumetto non sembra molto attratto dal balletto. Fa però eccezione l’illustratrice e fumettista fiorentina Elena Triolo, che sembra invece particolarmente appassionata al tema, dato che nel 2016 e 2021 gli ha dedicato due volumi squisiti.

Copertine dei volumi "Il lago dei cigni" di Andrea Meucci ed Elena Triolo, ed "Elettra" di Brian Freschi ed Elena Triolo.

Il primo è Il lago dei cigni scritto da Andrea Meucci, con cui la Triolo lavorerà ancora per Il re delle fate, edito nel 2016 dalla casa editrice fiorentina Kleiner Flug e che DF ha già recensito molto positivamente. La storia prende ispirazione dal balletto, ma la trasporta nella contemporaneità con tutti i necessari “aggiustamenti” tematici e narrativi, in primis fornendo Odette di uno sguardo fortemente femminista che aggiusta il suo rapporto con Sieg.

L’aspetto più caratterizzante del fumetto è il tratto estremamente sintetico e netto della Triolo, che dona ai suoi personaggi un look freschissimo e molto riuscito, a cui aggiunge una colorazione interamente virata sui toni del verde molto peculiare e anche questa molto riuscita. Bonus: i passi di danza dei personaggi con funzione narrativa-espressiva dei sentimenti ripresi dalla versione Petipa & Ivanov. Non sarà una conversione letterale del balletto, ma come aggiornamento al XXI secolo è validissimo, e d’altronde è dall’inizio che Il lago dei cigni viene rivoltato come un calzino per trovarne significati sempre nuovi, quindi ben venga questa lettura.

Ben diverso è invece Elettra, sempre disegnato da Elena Triolo stavolta con la collaborazione di Brian Freschi, stampato dalla casa editrice Il Castoro. Al contrario del volume del 2016 per un pubblico dai young adults in su, questo del 2021 è pensato invece per i bambini dai nove anni, ai quali rivolge una storia fortemente propositiva e costruttiva. La protagonista eponima è fortemente stressata dal trasferimento e conseguente cambio di scuola, in cui non riesce ad ambientarsi… finché non scopre, dopo mille tentativi falliti, la passione per il balletto.

Nei cinque anni di distanza dal volume precedente, il tratto dell’autrice si è modificato e alleggerito molto, diventando ancora più asciutto e molto più caricaturale, quasi cartoonesco, ma al contempo sviluppando una grazia, un’eleganza e una morbidezza forse figlia dei fumetti Disney come W.i.t.c.h. o dei cartoni animati giapponesi anni ’90. In ogni caso, perfetto per il tipo di storia e per il tema trattato.

 

Fumetti giapponesi sul balletto

I manga sul balletto sono numerosissimi. Benché siano rappresentati poco o niente nel mercato occidentale (probabilmente per disinteresse delle case editrici, o forse del pubblico che non ha premiato nelle vendite quei pochi fumetti di danza usciti in Europa e America), in Giappone la categoria dei fumetti dedicati al balletto conta molti autori prestigiosi e molti titoli importanti, al punto che il Museo internazionale dei fumetti di Kyōto ha dedicato proprio ai manga sul balletto una mostra nel 2013 con un ricco catalogo di autrici dagli anni ’50 ai giorni nostri.

Pagine dalla rivista "Nakayoshi" con alcune pagine da "Mizuno Hideko ballet meisaku gekijō" di Takako Hino & Hideko Mizuno dedicate al balletto "Lo spettro della rosa".
La grande fumettista Hideko Mizuno, ex assistente di Osamu Tezuka e pioniera dello shōjo manga, è un’amante e studiosa autodidatta del balletto (e grande fan del danzatore uzbeco Farukh Ruzimatov, a cui ha dedicato delle illustrazioni nel 2003). La scintilla della sua passione potrebbe essere scoppiata con il lavoro di Osamu Tezuka Nobara no sei (“Lo spettro della rosa selvatica”, parodia del balletto Lo spettro della rosa). Il più importante contributo dell’autrice all’arte del balletto è la serie di undici racconti illustrati della serie Mizuno Hideko ballet meisaku gekijō (“Teatro dei capolavori del balletto di Hideko Mizuno”, scritti da Takako Hino e illustrati da lei) pubblicati sulla rivista Nakayoshi fra aprile 1968 e febbraio 1969 e dedicati ad altrettanti balletti celebri; il primo episodio era dedicato a Il lago dei cigni, il terzo a Lo spettro della rosa (nelle foto).

C’è da dire che effettivamente una larga fetta del mercato del manga è rappresentata dai cosiddetti fumetti “professionali”, ovvero storie che rappresentano semplicemente lo svolgimento di un certo lavoro o sport o attività: esitono dunque fumetti sui pompieri, sui pasticceri, sui veterinari e anche sui ballerini. Spesso però sono opere di puro, mero, scarsissimo intrattenimento usa e getta, che non brillano né nelle storie né nei disegni, e hanno come target di riferimento solo le persone che fanno o vogliono fare lo stesso mestiere dei personaggi del fumetto.

Fortunatamente esistono anche delle belle eccezioni, e molte di queste sono legate al balletto.

 

Copertina di "Arabesque" di Ryōko Yamagishi.Il titolo considerato come l’antesignano dei manga sul balletto è Arabesque di Ryōko Yamagishi (una delle autrici del mitico Gruppo del 24), pubblicato su varie riviste dell’editore Shūeisha in due tranche fra il 1971 e 1973 e fra il 1974 e 1975, entrambe in quattro volumi per un totale di otto.

Siamo a Kiev, Ucraina, del periodo contemporaneo alla pubblicazione del fumetto. La protagonista è Nonna Petrova (sì, si chiama “Nonna”), una studentessa di balletto troppo alta e sgraziata per competere con le altre compagne. Eppure Yuri Minorov, la “Stella d’Oro” del balletto russo, vede in lei qualcosa di speciale e riesce a farla accedere alla prestigiosa Accademia di Danza di Leningrado dove effettivamente, con tanto impegno, Nonna riesce ad avere successo. Questo la mette in competizione con l’altra stella nascente del balletto russo Raisa Sophia detta Lala: tanto quest’ultima è impeccabile e tecnicamente perfetta, tanto Nonna è grossolana ma passionale ed emozionante nella sua danza. Quando vengono entrambe scelte per interpretare la celebre Morte del cigno, però, Lala surclassa Nonna sia nella giuria tecnica sia in quella popolare: Nonna disperata scappa via in campagna, ma lì trova ex étoile e personaggi vari che la aiuteranno a tornare in pista.

Arabesque è oggi considerato un titolo seminale per vari motivi. Prima di tutto per l’uso del balletto come tema principale, fino a quel momento praticamente inedito nei fumetti giapponesi (e forse mondiali). Poi per l’idea assolutamente brillante e molto funzionale alla narrazione della coppia antitetica, che tanto successo ha tutt’ora nel fumetto e nell’animazione giapponese: prima di Jenny la tennista, prima de La maschera di vetro, molto prima di Rei e Asuka di Evangelion, c’era già Arabesque.

Infine, la terza e determinante caratteristica: nonostante Arabesque sia un fumetto shōjo (per ragazze), l’ispirazione viene dai fumetti shōnen (per ragazzi). In particolare, la Yamagishi vi attinge sia a livello tematico ispirandosi agli spokon, ovvero i fumetti sportivi in cui i protagonisti si sacrificano anima e corpo per il loro sport (come Tommy la stella dei Giants, Rocky Joe, Holly & Benji e tanti altri), sia a livello grafico prendendo a prestito soluzioni da grandi autori shōnen come Shōtarō Ishinomori.

Confronto fra "Cyborg 009" di Shōtarō Ishinomori e "Arabesque" di Ryōko Yamagishi.
Un confronto fra Cyborg 009 di Shōtarō Ishinomori e Arabesque di Ryōko Yamagishi che mostra la soluzione grafica affine adottata per rappresentare il movimento del corpo nello spazio.

Anche se Ryōko Yamagishi è ancora oggi attivissima e ha pubblicato molte altre opere, Arabesque resta uno dei suoi titoli più celebri e importanti grazie al ruolo e all’influenza che ha avuto nella storia del fumetto giapponese.

 

Copertina di "Swan" di Kyōko Ariyoshi.Nonostante l’importanza storica di Arabesque, il fumetto giapponese sul balletto più celebre, importante e qualitativamente significativo è probabilmente Swan di Kyōko Ariyoshi, un titolo di grande successo pubblicato anch’esso da Shūeisha per ben 21 volumi fra il 1976 e il 1981.

Il riferimento a Il lago dei cigni presente già dal titolo viene spiegato entro le prime pagine dell’opera, in cui la protagonista Masumi, una brava ragazza di campagna che sogna di diventare una grande étoile, si intrufola dietro le quinte di un teatro dove si erano esibiti ne Il lago dei cigni i suoi ballerini preferiti Alexei e Maria per incontrarli, ma quando poi li vede è ammutolita dall’imbarazzo e invece di parlare si esibisce in un pezzo della coreografia di Odile che aveva visto poco prima; questo sorprende molto i due ballerini e in particolare Alexei, che da quel momento diventa il suo mentore per farla entrare nel mondo del balletto professionistico: Masumi è ancora un brutto anatroccolo, ma potrebbe diventare un cigno. La storia prosegue seguendo il modello de La maschera di vetro (pubblicato in contemporanea a Swan), con varie nemiche-amiche contro cui Masumi dovrà vedersela per non farsi soffiare ruoli importanti.

I bellissimi disegni di Kyōko Ariyoshi sono estremamente tecnici e precisi nel rappresentare i passi di danza, al punto che il fumetto potrebbe essere considerato quasi una guida illustrata al mondo del balletto. Se i primi capitoli del fumetto seguono ancora lo standard grafico in voga nei fumetti shōjo durante gli anni ’70, col tempo il tratto della Ariyoshi evolve e i corpi da lei disegnati acquistano proporzioni perfettamente realistiche e verosimili, in modo da poter illustrare in maniera esatta salti, movimenti e pose dei ballerini.

Purtroppo Swan non ha molto successo fuori dal Giappone: l’unico altro Paese del mondo occidentale dove finora è stato pubblicato sono gli USA, in cui peraltro la pubblicazione si è interrotta per scarse vendite dopo 15 volumi. La divisione editoriale Goen della casa editrice italiana RW Edizioni, però, ne ha recentemente annunciato l’imminente edizione nostrana in 12 volumi: un’ottima notizia per un titolo che potrebbe fare da apripista ad altri manga sul balletto.

Illustrazione da "Swan" di Kyōko Ariyoshi.
Alexei e Maria danzano Il lago dei cigni nella splash page con cui si apre il primo capitolo di Swan.

Il successo della serie ha spinto l’autrice ha pubblicare vari sequel, l’ultimo dei quali Swan act II – Maia è tutt’ora in corso sulle pagine della rivista trimestrale di danza classica Swan Magazine, che dedica al fumetto della Ariyoshi le ultime pagine di ogni numero.

 

Copertina di "Beautiful" di Chiho Saitō.Chiho Saitō, prolificissima autrice celebre per la serie Utena la fillette révolutionnaire e per i suoi molti melodrammi in costume, ha pubblicato diverse opere su varie forme di ballo e di danza, alcune delle quali sono sul balletto: fra queste si contano almeno Hoshi wo tsumu donna (su testi di Mizue Sawa, 1987, due volumi), Étoile Girl (1988, un volume), Opera-za de mattete (1990, un volume) e soprattutto Beautiful (2004-2006, quattro volumi).

Quest’ultimo ha un legame con Il lago dei cigni e una trama che, molto inusualmente per un fumetto shōjo, vede protagonista un ragazzo. 1986, Ucraina: Yuri ha 8 anni, è figlio di una celebre ballerina, ha talento e vorrebbe accedere all’accademia di danza del Teatro Bol’šoj di Mosca. La notte del 26 aprile però esplode un reattore della vicina centrale nucleare di Černobyl’ e la madre rimane gravemente ferita: Yuri promette alla madre che realizzerà il suo sogno e diventerà il primo ballerino del Bol’šoj, e lascia la casa da solo per andare a studiare. Nove anni dopo il 17enne Yuri è la stella dell’accademia, ma prima del suo debutto la sorella Anna gli annuncia che la madre è morta: Yuri promette alla fu madre che da quel momento in poi vivrà solo per la sorella… che nel frattempo si è fatta una splendida donna al cui fascino è difficile resistere. Per evitare la passione incestuosa Anna entra in convento e Yuri scappa in Giappone, ma entro l’ultimo volume torna al Bol’šoj per ballare Siegfrid ne Il lago dei cigni.

Nonostante dalla trama si capisca benissimo che si tratta di un polpettone sentimentale degno di Mary Fisher, la capacità di storytelling e la perizia grafica della Saitō riescono a salvare il fumetto dall’oblio. Degni di nota i momenti di ballo in cui l’autrice dà sfoggio del suo tratto raffinato.

 

Copertina di "Dance Dance Danseur" di George Asakura.Un’opera fuori dal target dello shōjo e pensata invece per il pubblico adulto e prevalentemente maschile è Dance Dance Danseur di George Asakura, un’autrice considerabile “indie” per gli standard occidentali.

La storia vede protagonista Junpei Murao, un ragazzo delle scuole medie totalmente disinteressato al balletto finché durante il saggio di danza della sorella non resta folgorato dalla performance muscolare di un ballerino professionista ospite della manifestazione, e decide di consacrarsi sull’altare della danza. Il padre si oppone a questa sua inclinazione, e dopo la sua morte Junpei decide di darsi alle arti marziali per scaricare il suo stress da bambino orfano e bullizzato, ma un bel giorno la nuova studentessa Miyako Godai porta Junpei alla scuola di danza di sua madre e lì si riaccende in lui il sacro fuoco di Tersicore.

Come per la maggior parte dei fumetti di danza, anche Dance Dance Danseur si limita a far partire la narrazione senza poi sviluppare una vera e propria trama articolata, poiché nel resto della storia il protagonista semplicemente affronta di volta in volta sul palcoscenico nuove sfide sempre più dure. La particolarità che eleva questo titolo dai suoi consimili è il tono particolarmente acceso della narrazione: Dance Dance Danseur presenta spesso scene concitate, quasi da spokon (i suddetti fumetti dedicati al sacrificio sportivo), che stracciano l’immagine bellina e pulitina del balletto e lo rivelano per quello che è, ovvero una disciplina a metà fra arte e sport, estremamente tecnica, faticosa ed esigente verso gli artisti/atleti che la praticano.

Tavole da "Dance Dance Danseur" di George Asakura.
Il lago dei cigni in Dance Dance Danseur: più che un balletto è un combattimento corpo a corpo.

Lo studio d’animazione MAPPA ha annunciato per il 2022 una serie TV animata di Dance Dance Danseur, parte del cui staff proviene dalla loro opera forse più celebre, ovvero il cult Yuri!!! on ICE: ci sono tutti i presupposti per aspettarsi una buon prodotto.

 

Infine, una nota su un fumetto di balletto che non tratta specificatamente de Il lago dei cigni, ma è firmato da un’autrice molto popolare in Italia: Doll di Fuyumi Sōryō. Quando in una celebre intervista concessa al mensile italiano Kappa Magazine la Sōryō dichiarò che vedeva nel disegnare fumetti un lavoro come un’altro e che le sue opere non erano nient’altro che quello che voleva il pubblico, probabilmente si riferiva a titoli come Doll. Il fumetto non è brutto e in particolare i disegni dell’autrice sono sempre pulitissimi ed elegantissimi, ma alla lettura si percepisce un allure distintamente commerciale che lo fa sembrare uno di quei succitati manga professionali usa & getta.

 

Libri illustrati

La compresenza di testo e immagini a scopo narrativo rende i libri illustrati una categoria editoriale a metà strada fra la prosa e il fumetto, con infinite possibilità creative ed enorme varietà tematica, sfociando spesso in prodotti ibridi molto ricchi e interessanti.

Anche il balletto è un tema spesso toccato dai libri illustrati: i titoli disponibili sono veramente tantissimi, e fra questi molti trattano proprio Il lago dei cigni. Nella miriade di titoli disponibili, vale la pena citarne almeno tre di enorme fascino e valore artistico firmati da tre grandi illustratrici.

 

Lisbeth Zwerger

L’austriaca Lisbeth Zwerger è una delle più importanti illustratrici viventi al mondo. Considerata l’erede artistica di Arthur Rackham, è celebre per i suoi acquarelli di infinita delicatezza e per essere una delle poche artiste ad aver vinto sia il BolognaRagazzi Award (nel 1986 per Die Retter des Landes) sia il Premio Hans Christian Andersen (nel 1990 alla carriera), ovvero i massimi premi al mondo per l’illustrazione per l’infanzia.

Copertina di "Schwanensee" di Lisbeth Zwerger.Anche se negli anni ’80 la Zwerger era quindi già ai massimi livelli, negli anni successivi riuscirà comunque a superare sé stessa con una serie di libri di bellezza incredibile. Uno di questi è proprio la sua versione de Il lago dei cigni, da lei scritta e illustrata e pubblicata in tedesco in Svizzera dal prestigioso editore Neugebauer nel 2002 col titolo Schwanensee (edito in inglese, inedito in italiano).

Il testo della Zwerger si basa su un lavoro filologico di ricerca. Come l’autrice racconta nella postfazione, dallo studio dei documenti di Čajkovskij (che era un grafomane e ha lasciato migliaia di lettere) emergono vari dettagli divergenti con la versione oggi più diffusa, inclusi i nomi dei personaggi e il finale lieto, poi modificato in tragico dopo la morte dell’autore. L’autrice scrive di essere stata felicissima di sentirsi legittimata a mettere su carta la versione pensata dal compositore, e la felicità traspare dalla bellezza delle illustrazioni.

A livello grafico, il volume appartiene alla terza fase artistica della Zwerger. Negli anni ’80 i suoi delicati acquerelli avevano un tratto puntiglioso, quasi nervoso e oscuro, ma dagli anni ’90 la sua mano si rilassa e le immagini virano verso atmosfere metafisiche, finché dagli anni 2000 i suoi lavori si fanno sempre più luminosi, ariosi e surreali con evidenti riferimenti all’arte rinascimentale.

Schwanensee rappresenta appieno la terza fase dell’autrice. Le immagini sono ultraterrene: su ampi riquadri di tinte piatte o pattern geometrici prospettici, si giustappongo figure definite da elementi grafici squisitamente minuti in composizioni immaginifiche. Il senso di irrealtà delle immagini è accecante, come le luci in puro bianco di zinco stagliate sugli abiti candidi dei cigni/ballerine nel blu della notte, o nei contrasti fra i neri verticali e i bianchi orizzontali, o ancora negli equilibri delle pose dei personaggi e nei colori delle loro vesti che ricordano gli uccelli (l’abito della Regina dei cigni, e in particolare il suo guanto rosso, è veramente geniale). Sono sogni le scene della prima apparizione della Regina dei cigni e della fuga nel parco, sono incubi quelle della mutazione dei cigni e dell’ingresso dello stregone con la figlia al ballo. I richiami al Rinascimento italiano sono palesati nella caccia ai cigni, paragonabile a quella botticelliana nelle tavole con la storia di Nastagio degli Onesti, o nel gruppo di fanciulle-cigno in collina che potrebbe essere uscito da un affresco nelle Stanze di Raffaello.

Tavole da "Schwanensee" di Lisbeth Zwerger.

Un volume di straordinaria bellezza, niente meno che commovente.

 

Anne Spudvilas

L’artista australiana Anne Spudvilas ha iniziato la sua carriera come pittrice negli anni ’80, ma dal decennio successivo si è spostata anche verso le illustrazioni per romanzi e i libri illustrati per bambini, dove ha incontrato un buon successo grazie a uno stile di disegno che paradossalmente è molto più maturo, realistico e “adulto” rispetto a quello usualmente usato in questo genere editoriale. Nelle sue prove più recenti, ha iniziato sempre più spesso a sperimentare la commistione fra illustrazione digitale, stampa e pittura, producendo libri che ormai è molto difficile definire “per bambini”.

Copertina di "Swan Lake" di Anne Spudvilas.Fra questi volumi illustrati sperimentali rientra la sua versione de Il lago dei cigni, pubblicata col titolo Swan Lake dall’editore australiano Allen & Unwin nel 2018.

Il libro, grande 24,5 per 31 centimetri (più di un A4, quindi una volta aperto è più grande di un A3) è interamente realizzato con la tecnica del giclée, ovvero la stampa in altissima qualità di illustrazioni digitali ad altissima risoluzione poi ritoccate a mano. Questo consente alle bellissime, curatissime immagini della Spudvilas di avere una quantità enorme di dettagli e minuzie neanche visibili a occhio nudo, ma che nondimeno impressionano il lettore.

Alla qualità tecnica si aggiunge la peculiarità geografica dell’opera. Per millenni gli occidentali avevano creduto che i cigni fossero ovviamente solo bianchi, finché nel 1697 venne scoperto in Australia il Cygnus atratus, ovvero il cigno nero. La scoperta di questa specie totalmente ignorata fino a quel momento generò un’enorme paradosso filosofico riassunto in ambito psicologico nella celebre teoria del cigno nero, ovvero la doppia coscienza che

a) qualunque cosa, per quanto ovvia o certa o dimostrabile, potrebbe essere smentibile da un singolo dato che, molto semplicemente, fino a quel momento si ignorava o si riteneva assurdo, ma che visto col senno di poi era invece perfettamente plausibile
b) l’impossibilità teorica di conoscere un evento nella sua interezza perché potrebbe sempre esistere qualcosa di esterno e imprevisto

Il cigno nero col becco rosso è quindi una specificità australiana e una metafora dell’imprevisto e dell’instabilità della realtà. La Spudvilas sfrutta questo dato per inscenare la sua versione de Il lago dei cigni in Australia, nella baia alla confluenza fra i fiumi Murray e Darling (dove lei stessa vive), e per dare a Odile, il cigno nero, un significato psicologico profondo che va al di là della strumentale rivalità in amore per conquistare la mano del principe Siegfrid. La rappresentazione grafica è affidata a tavole in bianco e nero materiche, bagnate, sporche di fango, su cui si stagliano alcuni dettagli rosso sangue: un libro bellissimo e terribile.

Tavola da "Swan Lake" di Anne Spudvilas.

La narrazione è molto fedele al balletto e ne segue la divisione in atti e scene, al punto che può essere usato come una guida alla visione, e termina con il finale semi-tragico, ovvero quello in cui gli amanti affogano, ma vivono felici sul fondo del lago. Una delle migliori versioni illustrate del balletto.

 

Jessica Courtney-Tickle

Copertina di "Il lago dei cigni" di Katy Flint e Jessica Courtney-Tickle.Gli audiolibri per l’infanzia della serie The Story Orchestra raccontano celebri opere musicali attraverso grandi albi forniti di bottoni che i bambini possono pigiare per sentire la musica. I volumi sono scritti di volta in volta da vari autori, ma sono tutti illustrati dalla britannica Jessica Courtney-Tickle.

La serie è pubblicata in lingua originale dal 2016 nel Regno Unito dalla Lincoln Publisher ed è stata subito portata in Italia dalla Giunti con il titolo Il racconto musicale in edizione identica all’originale. La serie comprende finora sei volumi, usciti uno all’anno: Le quattro stagioni di Vivaldi, Lo schiaccianoci, La bella addormentata e Il lago dei cigni di Čajkovskij, Il carnevale degli animali di Saint-Saëns e Il flauto magico di Mozart (quest’ultimo non ancora importato in Italia).

Le illustrazioni di Jessica Courtney-Tickle presentano uno stile molto semplice e curato, con un tratto che imita quello dei gessetti sulla lavagna, ma la caratteristica che salta subito all’occhio è la presenza di personaggi delle etnie più disparate e distribuite in maniera assolutamente eterogenea: principi e principesse, servi e padroni, fate e stregoni sono rappresentati indifferentemente con pelli, capelli e fattezze di tutti i colori. È una soluzione grafica che non solo colpisce molto, ma svolge anche un’importantissima funzione educativa perché abitua i bambini a considerare giustamente ovvia e normale e arricchente la compresenza di varietà etnica a ogni livello sociale, uno sforzo verso la multiculturalità che ultimamente nel Regno Unito viene portato avanti da vari franchise per bambini fra cui i film di Paddington.

Tavola da "Il lago dei cigni" di Katy Flint e Jessica Courtney-Tickle.

Il volume dedicato a Il lago dei cigni è uscito nel 2019 ed è uno dei migliori della serie. I testi di Katy Flint, che si basano sulla versione a lieto fine della storia, sono molto brevi, chiari e lineari senza essere semplicistici, perfetti per esere letti ai bambini prima di dormire. I disegni sono ricchi di inventiva e sfruttano il soggetto per mettere su carta un Rothbart molto selvatico, con un abito di piume, e fanciulle-cigno giustamente con le gambe nere come nere sono le zampe dei cigni.

Una lettura fresca e contemporanea di un grande classico.

 

Film

Il ballo è una delle cose più belle e per fortuna più comuni che si possano vedere in un film. Al di là dei musical, che ovviamente hanno nel ballo uno dei loro aspetti costitutivi, molti film non musicali hanno raggiunto la fama eterna proprio grazie a scene di ballo, da Il gattopardo a Pulp Fiction. Anche il balletto, più nello specifico, ha ispirato numerose pellicole celebri: da Scarpette rosse a Red Sparrow passando per i due Suspiria di Dario Argento e Luca Guadagnino, fino a quelli specificatamente dedicati a Il lago dei cigni come Billy Elliot e Il cigno nero, la lista è lunga e variegata.

Benché non moltissimi, hanno affrontato il balletto anche alcuni film animati.

 

Il lago dei cigni (versione giapponese)

Fra gli anni ’60 e ’80 del XX secolo le due case cinematografiche giapponesi rivali Tōei e Tōhō presentavano i loro film per ragazzi all’interno di due “serie” rivali, chiamate Tōei manga matsuri e Tōhō champion matsuri, che comprendevano opere strategicamente distribuite nelle sale durante le vacanze primaverili, estive e invernali ovvero quando non si va a scuola (in Giappone non ci sono tre mesi di vacanze d’estate, bensì vari periodi da due-quattro settimane distribuiti durante l’anno). Le tre finestre strategiche in Giappone corrispondono più o meno a Pasqua e Natale in Italia, o al 4 luglio e al Ringraziamento per gli USA: periodi in cui molta gente va al cinema. La maggior parte dei film Tōei di Kamen Rider e Dragon Ball, per esempio, sono usciti sotto il marchio Tōei manga matsuri durante le tre finestre, e lo stesso per i film Tōhō di Godzilla e Ultraman sotto il marchio Tōhō champion matsuri. Poiché la Tōhō distribuiva anche i film della Disney, di grande successo commerciale, la Tōei pensò di rispondere a tono con produzioni autoctone esplicitamente anti-disneyane ispirate da fiabe sia locali sia internazionali: queste ultime formarono la serie Sekai meisaku dōwa (“Fiabe celebri nel mondo”).

Poster del film "Il lago dei cigni" di Kimio Yabuki.Si tratta di sei lungometraggi di durata standard fra i 60 e i 70 minuti: Hakuchō no ōji (“I principi cigno”) del 1977 tratto dalla fiaba I cigni selvatici di Andersen, Semushi no ko’uma (“Il cavallino gobbo”) del 1977 dalla fiaba Il cavallino gobbo di Pëtr Pavlovič Eršov trascritta dal folklore russo, Oyayubi hime (“Pollicina”) del 1978 dalla fiaba Pollicina di Andersen, Mori wa ikiteriru (“Il bosco vive”) del 1980 dalla fiaba I dodici mesi di Samuil Jakovlevič Maršak trascritta dal folklore russo, Hakuchō no mizu’umi (“Il lago dei cigni”) del 1981 dal balletto di Čajkovskij, e infine Arajin to mahō no ranpu (“Aladino e la lampada magica”) del 1982 tratto dal folklore arabo. Di questi ne sono arrivati in Italia tre: il primo con l’indegno adattamento Heidi diventa principessa per sfruttare il successo della serie TV Heidi, poi il quarto I dodici mesi e il quinto Il lago dei cigni, questi ultimi due diretti dal regista Kimio Yabuki, celebre per l’iconico film del 1969 Il gatto con gli stivali a cui partecipò il seminale animatore Yasuji Mori, celebre come “il Dio degli anime”.

Il lago dei cigni, in particolare, è considerato come il più importante dei sei titoli: è l’unico di questi che arriva al minutaggio di 75 minuti (e uno degli unici due film Tōei manga matsuri a raggiungere i 75 minuti con Tatsu no Kotarō del 1979) e fu realizzato con particolare cura e budget superiore alla media perché serviva come film celebrativo per il 25ennale della fondazione della Tōei, avvenuta nel 1956.

In effetti il film è sopra gli standard dell’animazione giapponese di quel periodo. Conservando la trama e le musiche originali del balletto di Čajkovskij eseguite niente meno che dall’Orchestra sinfonica di Vienna diretta da Stefan Soltesz, e avvalendosi di uno staff di ottimi professionisti (fra cui spicca come character designer, sorprendentemente, Yumiko Igarashi, ovvero la fumettista di Candy Candy) e attori vocali (fra cui nei ruoli principali Tarō Shigaki, ovvero André di Lady Oscar, e Keiko Takeshita, celebre attrice che ha poi prestato la voce a vari film Studio Ghibli), Yabuki è riuscito a confezionare un buon prodotto ancora oggi valido sia a livello contenutistico sia tecnico.

Chicca delle chicche: la bellissima sigla finale cantata da Kyōko Ishige e basata sulla musica di Čajkovskij.

Il film è piuttosto noto in Italia sia perché è stato trasmesso per decenni durante il periodo di Natale da varie emittenti locali (ma esiste anche in DVD edito da Yamato Video nel 2006 senza gli altri cinque film della serie), sia perché al tempo si trovò necessario cambiare i nomi dei personaggi benché provenissero da una fonte celeberrima come il balletto di Čajkovskij. Ecco quindi che Siegfried diventa Sigfrido, e va bene, ma Odette e Odile sono Rossana e Rosanna (???) e Rothbart è Tenebroso (peraltro il design della Igarashi è molto morbido, quindi il personaggio è tutto tranne che “tenebroso”): misteri dell’adattamento.

Fotogramma dal film "Il lago dei cigni" di Kimio Yabuki.
Il sole dell’avvenire.

A quarant’anni dalla sua uscita Il lago dei cigni resta ancora oggi un buon film, un’opera amata sia in patria sia in Italia, e un classico natalizio di tutto rispetto.

 

L’incantesimo del lago

La serie de L’incantesimo del lago (in originale The Swan Princess) rappresenta certamente la più celebre conversione animata de Il lago dei cigni. Purtroppo non si può dire che in questo caso celebrità e qualità vadano di pari passo: benché nei natii Stati Uniti d’America il franchise sia così amato da aver generato ben dieci film fra il 1994 e il 2020 (e la macchina produttiva è ancora in corso), solo i primi tre sono decorosi e solo il primo è effettivamente bello e meritevole di essere visto.

Foto del cast tecnico e artistico all'evento per il 25ennale della serie "The Swan Princess".
Nel 2019 ci sono state le celebrazioni per il 25ennale della serie The Swan Princess. Nella foto, da sinistra: il regista Richard Rich, il produttore Seldon Young, i due doppiatori Steve Vinovich e Liz Callaway, e il paroliere David Zippel.

L’autore della saga è l’animatore e regista statunitense Richard Rich, la cui carriera artistica è perlomeno singolare. Viene assunto negli anni ’60 ai Walt Disney Animation Studios come impiegato dell’ufficio postale, ma pian piano riesce in qualche maniera ad accedere a ruoli artistici e dal 1970 in poi partecipa a numerose produzioni, fra cui vari film in tecnica mista come Pomi d’ottone e manici di scopa ed Elliott, il drago invisibile come aiuto regista, al Canto di Natale di Topolino come compositore, e addirittura a tutti i Classici Disney da Gli Aristogatti in poi riuscendo infine a dirigerne anche due, ovvero Red e Toby nemiciamici e Taron e la pentola magica. A seguito del clamoroso flop di quest’ultimo, Rich abbandona (o viene cacciato da) gli studi di Burbank e ne fonda uno suo, chiamato niente meno che Rich Entertainment (oggi Crest Animation Productions) con cui realizza vari film animati a tema religioso per la Chiesa Mormona.

Poster del film "The Swan Princess" di Richard Rich.Nel 1994 arriva la svolta con L’incantesimo del lago, scritto e diretto da Rich utilizzando come punto di partenza la trama de Il lago dei cigni, allargandola con un antefatto e un epilogo e arricchendola con vari personaggi, sottotrame e spalle comiche. Le musiche di Čajkovskij sono del tutto assenti, sostituite con quelle di tale Lex De Azevedo. Il risultato finale è un film non particolarmente brillante, ma tutto sommato decoroso e caratterizzato da una protagonista per il quale oggi si userebbe l’aggettivo “femminista” e che certamente deriva dalla Jasmine di Aladdin.

Il film forse mette in allarme la Disney, che aveva ancora con lui un conto in sospeso, al punto che l’azienda decide di riproporre nei cinema statunitensi Il re leone, uscito nel giugno 1994, di nuovo a novembre dello stesso anno proprio in concomitanza con l’uscita de L’incantesimo del lago, decretandone di fatto l’affossamento: la rivista Variety parla senza mezzi termini di un plateale «sabotaggio» commerciale.

Nonostante gli sforzi della Disney, L’incantesimo del lago è riuscito a trovare (almeno in patria) un certo pubblico entusiasta e forse anche a fornire ispirazione artistica e morale ad altri film animati indipendenti, fra cui Anastasia di Don Bluth del 1997 con cui condivide il regista ex-disneyano, l’allure est europeo, e anche svariati parallelismi e motivi visivi ben individuati dal fandom.

Fra gli indubbi meriti de L’incantesimo del lago ci sono i bei personaggi forti e volitivi, l’atmosfera fiabesca e la qualità tecnica che, nei momenti migliori, raggiunge un livello veramente alto.

Il successo del primo film è stato moderato, ma sufficiente per iniziare una lunga serie di sequel direct-to-video: dopo Il segreto del castello del 1997 e Lo scrigno magico del 1998, Rich inizia ad animare in CGI e dal 2012 in poi sforna e continua tutt’ora a sfornare un film all’anno: siamo già a dieci episodi, tutti arrivati anche in Italia.

Anche se la saga non ha molto valore oltre a quello di semplice intrattenimento per bambini, il primo film resta ancora oggi un piccolo gioiellino sulla forza dell’amore e il manifesto della résistance degli animatori indipendenti contro lo strapotere della casa di Topolino.

 

Barbie e il lago dei cigni

La promozione della bambola Barbie dell’azienda statunitense Mattel rappresenta un caso-studio molto interessante per la storia della pubblicità, parallelo a quello della The Coca-Cola Company. Nonostante entrambe le aziende realizzino prodotti celeberrimi a livello globale, entrati in maniera capillare nella cultura pop (e anche alta, grazie alla mediazione di Andy Warhol) e che si vendono letteralmente da soli, la promozione pubblicitaria dei loro pur già noti prodotti è sempre stata continua e ininterrotta utilizzando canali, metodi comunicativi e mass media sempre nuovi, e forse è stato proprio questo a rendere quei prodotti così noti.

In particolare, la comunicazione di Barbie ha avuto un salto di qualità e quantità a partire dal 2001 con l’inizio della produzione dei film animati, che hanno imposto al franchise una nuova narrazione un po’ come i cinecomics fanno con i fumetti da cui sono tratti. La bambola aveva già ricevuto due mediometraggi televisivi in animazione tradizionale nel 1987, Barbie Rockstar e Barbie in viaggio nel tempo, realizzati come risposta all’enorme successo di Jem (la bambola della concorrente Hasbro tutt’ora famosa per la sua iconica serie animata con i due gruppi rock rivali Holograms e Misfits) e pensati come pilot per delle future serie TV, ma il loro scarso successo fermò sul nascere la produzione. Nel 1998, però, la Mattel concesse l’uso di Barbie nel film Pixar Toy Story 2, dove ha un ruolo piccolo, ma molto divertente, e doppiato addirittura da Jodi Benson (la storica doppiatrice della sirenetta Ariel); alla vista di quel film (e del suo successo commerciale) il consiglio d’amministrazione della Mattel deve aver avuto un’epifania: realizzare film di Barbie.

Poster del film "Barbie e il lago dei cigni" di Owen Hurley.Fra il 2001 e il 2010, anno di Toy Story 3 in cui Barbie torna con un ruolo centrale e fortemente voluto dalla Benson stessa, la Mattel aveva già prodotto qualcosa come 18 (diciotto!) film animati in CGI, tutti per il mercato dell’home video e collegati ad altrettante versioni della bambola. Sono film a volte modesti, molto modesti, molto molto modesti, ma nondimeno hanno sempre messaggi estremamente positivi, costruttivi e fortemente inclusivi e progressisti per i piccoli spettatori: i personaggi presentano forte varietà etnica e di genere, e l’uso di modelli standard per i corpi tutti uguali non va inteso come un modo per svalutare le diversità, ma al contrario per suggerire allo spettatore che non esistono corpi “strani” e che tutti sono “normali” (una sorta di etica body positive al contrario). Presi tutti insieme questi film formano una sorta di tradizione con una sua estetica definita, un suo fandom e soprattutto un suo giro d’affari: al 2021 si contano non meno di 39 film e la serie non solo non è finita, ma anzi si sta espandendo grazie alla partnership con Netflix e al lancio del telefilm Dreamhouse Adventures.

All’interno di questa serie, il terzo film è Barbie e il lago dei cigni del 2003 diretto da Owen Hurley, seconda pellicola ispirata a Čajkovskij dopo il primo film Barbie e lo schiaccianoci del 2001. Come per L’incantesimo del lago, anche in questo caso il nocciolo centrale della trama viene mantenuto, con la principessa maledetta trasformata in cigno dall’alba al tramonto e lo scambio di persona al ballo, ma tutta la prima metà del film e il finale, ovvero le parti aggiunte, sono un coacervo di unicorni rosa, cristalli rosa, fate rosa, brillantini rosa e rose rosa, il tutto animato con una CGI indegna già al tempo e francamente inguardabile oggi. Se non altro per la colonna sonora si usano le musiche originali del balletto.

Nonostante la qualità non alta, anche questo come tutti i film di Barbie possiede se non altro una scrittura semplice, venata di un umorismo spicciolo che si trasforma in comicità involontaria, che può funzionare bene con il suo target pre-adolescenziale. Un piccolo cult (o scult), a suo modo.

 

Ballerina

Poster del film "Ballerina" di Eric Summer ed Éric Warin.Co-produzione franco-canadese del 2016 in CGI diretta da Eric Summer & Éric Warin, nelle intenzioni questo Ballerina voleva e poteva essere un buon film, ma va poco al di là del semplice intrattenimento per bambini.

Parigi, 1888. Mentre la Tour Eiffel è in costruzione per la celeberrima Expo dell’anno dopo, i giovani Félicie e Victor giungono nella grande città dopo essere scappati dall’orfanotrofio in Bretagna dove vivevano e coltivavano i loro grandi sogni: lei essere una ballerina, lui un inventore. I due si separano e si imbattono in destini diversi: mentre Victor diventa apprendista nello studio di Gustave Eiffel, Félicie si intrufola di nascosto nel backstage del Teatro dell’Opéra dove l’étoile si sta esibendo ne Il lago dei cigni, e lì conosce Odette, la donna delle pulizie zoppa, che prende la bambina con sé e la porta nella sua stanzetta a casa della ricca signora Le Haut, per cui lavora. Un giorno Félicie ruba la lettera d’ammissione all’accademia di ballo dell’Opéra della figlia della Le Haut e, spacciandosi per lei, entra nella scuola; Félicie non ha però alcuna educazione formale al balletto, e solo grazie alla sua tenacia, al supporto di un ballerino russo, e alle lezioni di Odette (che sembra espertissima di balletto) riesce a non farsi cacciare e infine a partecipare alle audizioni per il ruolo della protagonista ne Lo schiaccianoci. Anche se la farsa non può durare, né quella di Félicie né quella di Odette (ex etoile dell’Opéra fattasi male a un piede), il lieto fine è comunque assicurato.

Ballerina fa parte di quella nutrita serie di pellicole d’animazione a tema viaggio/avventura di formazione che si avvalgono di una doppia colonna sonora, una originale strumentale e una composta da una playlist di canzoni edite e possibilmente alla moda: un trend forse iniziato da Shrek, arrivato al successo negli anni ’10 e giunto al suo culmine artistico con Spider-Man – Un nuovo universo. Si tratta di una soluzione che, a parte rari casi virtuosi, è spesso deprecabile, perché rompe fortemente l’armonia narrativa, come accade in Ballerina in cui la protagonista danza sul tetto dell’Opéra con Demi Lovato in sottofondo.

Sventuratamente il design dei personaggi è banalotto e la qualità dell’animazione in CGI è notevolmente inferiore a quella degli altri film animati del 2016, ma considerando che Ballerina è rivolto solo al pubblico dei bambini (disinteressati alle questioni tecniche), questi non sono grandi problemi. Il grande problema è la sceneggiatura: perché l’ex étoile dell’Opéra adesso fa la sguattera? Com’è possibile che Félicie diventi la miglior ballerina di Francia in una settimana? Perché vengono citati veri balletti come Lo schiaccianoci, ma poi né la musica né la coreografia combaciano (fra l’altro Lo schiaccianoci nemmeno esisteva nel 1888, è stato composto dopo, e Il lago dei cigni al tempo non era famoso)? Il fatto che sia “solo” un film per bambini non giustifica madornali cadute di senso della trama, perché disturbano la fruizione agli spettatori già dagli 8-10 anni in su, in grado di accorgersene.

Attenzione: il prossimo paragrafo contiene spoiler importanti.

La pecca più irritante del film, però, è il fatto che Félicie voglia e riesca a fare la ballerina perché “ce l’ha nel sangue”. A un certo punto si scopre infatti che sua madre era una ballerina e questa è la giustificazione per il suo immenso talento coreutico. Probabilmente la cosa più sbagliata che un film per bambini possa comunicare ai suoi spettatori è che il talento è ereditario: non c’è nulla di più falso e deleterio. Per citare un altro film ambientato a Parigi, «non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque»: Ballerina parte dall’assunto contrario, sbagliando.

Fotogramma dal film "Ballerina" di Eric Summer ed Éric Warin.
Victor e Félicie volano su Parigi. La Statua della Libertà di Gustave Eiffel in costruzione dietro di loro è un altro errore storico: la statua è stata finita molto prima e inaugurata a New York nel 1886, due anni prima del 1888 in cui è ambientato il film.

La recitazione vocale è buona: le voci in inglese sono affidate a vari nomi celebri come Elle Fanning e Carly Rae Jepsen, e anche nel doppiaggio italiano figurano personaggi noti come Eleonora Abbagnato e Sabrina Ferilli.

Ballerina è un film accettabile per l’intrattenimento dei bambini, ma moralmente opinabile e difficilmente interessante fuori dal suo target.

 

Serie TV

Princess Tutu

Copertina di "Princess Tutu" di Jun'ichi Satō.Dimensione Fumetto ha già dedicato una recensione a questa serie TV animata giapponese, ma data la sua alta qualità e scarsa celebrità, non sembra una brutta idea spenderci su qualche altra parola.

Princess Tutu (in italiano anche noto come Princess Tutu – Magica ballerina) è un progetto di grande originalità e interesse che fonde insieme in maniera particolarmente riuscita tre elementi molto eterogenei: il viaggio di ricerca di un tesoro nascosto, il genere maghette e il balletto classico.

Il primo è uno dei grandi topos della fiaba, ampiamente importato e integrato con successo anche nell’entertainment giapponese, in particolare nei videogiochi dove assume la forma di quest in cui l’eroe o eroina vaga alla ricerca di certi oggetti o dei pezzi di un certo oggetto, i quali una volta riuniti gli o le porteranno presumibilmente un premio.
Il genere maghette o majokko è invece peculiarmente giapponese e rappresenta una sorta di metafora del passaggio dall’infanzia all’età adulta, simboleggiando e in qualche modo preparando le bambine alla trasformazione fisica e mentale a cui andranno incontro durante la pubertà.
Lungi dall’essere usato come una mero elemento di colore o come uno sfondo per creare un po’ d’atmosfera e distinguere questa serie dalle tante altre equivalenti, il balletto ha un ruolo centrale nella trama e assume persino un valore didattico, poiché in ognuna delle 26 puntate viene introdotto un titolo celebre del repertorio classico di cui si apprende la trama, la musica, i passi caratterizzanti eccetera, così che alla fine della visione anche lo spettatore digiuno di quest’arte ne riceve un’esaustiva introduzione e anche un invito ad approfondire.

Gli ideatori di Princess Tutu sono Jun’ichi Satō e Ikuko Itō, due nomi oggi forse non celeberrimi, ma che hanno letteralmente definito una certa corrente estetica dell’animazione giapponese durante gli anni ’90 grazie alle loro collaborazioni ricorrenti, in particolare per Sailor Moon e Il club della magia!. In Princess Tutu riprendono la stessa ricetta vincente dei precedenti lavori, ovvero storie molto edificanti, con un ampio ventaglio di emozioni dal dramma alle gag, e con personaggi dal design cartoonesco e molto variegato.

Fotogramma da "Princess Tutu" di Jun'ichi Satō.
En pointe!

Il lago dei cigni, oltre a essere presentato nella seconda puntata, fa da fil rouge all’intera serie. La protagonista Ahiru è una papera che per aiutare il povero principe Mytho a ritrovare i pezzi del suo cuore infranto riceve il dono della magia dal misterioso Drosselmeyer e si trasforma nella magica ballerina Princess Tutu, vestita come Odette; la sua missione verrà contrastata dal cavaliere Fakir e dalla ballerina rivale Princess Krähe, vestita come Odile. Riuscirà Mytho a riavere indietro il suo cuore?

Una serie ben fatta, ricca e piacevole che è anche uno splendido invito alla danza.


[ Il lago dei cigni in fumetto, illustrazione e animazioneFrancesco Micheli racconta Il lago dei cigni • Interviste agli autori ]

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