Blood Type: Blue Water – L’Expo 1889 in Nadia – Il mistero della pietra azzurra
Prosegue il rapporto fra le associazioni culturali DF ed EI con questo terzo saggio dedicato stavolta al ruolo simbolico dell’Expo 1889 in Nadia – Il mistero della pietra azzurra, la prima serie tv di Hideaki Anno.
Il seguente articolo è stato scritto per il volume Blood Type: Blue Water, dal nome dell’omonima mostra che raccoglie opere di alcuni tra i migliori artisti italiani influenzati da Nadia – Il mistero della pietra azzurra, arricchito da interventi di esperti di animazione nipponica e appassionati della saga.
Dimensione Fumetto ringrazia per la disponibilità Ivan Ricci che ha ideato e curato la mostra e l’Associazione Culturale EVA IMPACT per la promozione del progetto.
Quando è iniziato il XX secolo? La risposta non è così univoca. A livello cronologico l’istante esatto è stato lo scoccare della mezzanotte del 1º gennaio 1901, ma a livello storico si tende a prediligere altre date più significative, in particolare il 28 giugno 1914, giorno dell’attentato di Sarajevo e inizio formale della prima guerra mondiale nonché del secolo breve. A livello scientifico, nel 1899 Sigmund Freud pubblica L’interpretazione dei sogni, nel 1903 i fratelli Wright eseguono il primo volo sul biplano Flyer I, nel 1905 Albert Einstein pubblica la sua teoria della relatività ristretta, e nel 1913 Niels Bohr propone il suo modello atomico. A livello artistico poi le scelte sono ancora più numerose: fra le varie, nel 1893 Erik Satie scrive Vexations, un brano senza più alcun legame con la realtà, nel 1907 Pablo Picasso dipinge Les demoiselles d’Avignon senza più alcun legame con il figurativismo occidentale, nel 1908 Adolf Loos scrive Ornamento e delitto in cui reinventa un linguaggio architettonico che non ha più alcun legame con quello precedente, nel 1910 Vasilij Kandinskij dipinge il primo acquarello astratto senza più alcun legame con il mondo visibile esteriore, nel 1913 viene eseguito il balletto La sagra della primavera di Stravinskij & Nijinskij che non ha più alcun legame con la civilizzazione umana dalla preistoria in poi, e nel 1915 Kazimir Malevič espone Quadrato nero, un’opera che non ha più alcun legame con assolutamente niente.
La caratteristica che sembra legare tutti questi eventi insieme sembra essere la rottura volontaria e drastica con tutta la tradizione precedente in qualunque ambito, un ricominciare da capo partendo non più da un’unica cultura, quella greco-romana-mediterranea sviluppata senza soluzione di continuità per quasi tre millenni, ma da un mix di culture diverse per estrazione sociale e geografica, tutte valide e nessuna prevalente sull’altra. Tutto il mondo collabora insieme. Durante il periodo di passaggio fra XIX e XX secolo, la massima rappresentazione di questa fusione di culture è stata certamente l’Esposizione Universale. Queste grandi fiere che coinvolgevano centinaia di nazioni al mondo erano, in tempi senza Internet, assolutamente basilari per la circolazione delle idee e della conoscenza in tutti i campi, e lo sono ancora oggi per entrare in contatto diretto e non solo virtuale col resto del mondo.
L’Expo come luogo reale
Nel primo episodio della serie animata Fushigi no umi no Nadia, trasmesso in Giappone il 13 aprile 1990 e arrivato in Italia con il titolo Il mistero della pietra azzurra il 1º luglio 1991, dopo una breve introduzione cripto-storica e para-apocalittica, si racconta l’incontro fra i due ragazzini Jean, enfant prodige dell’ingegneria aeronautica, e Nadia, artista circense dalle misteriose origini che possiede un oggetto apparentemente molto prezioso e ricercato da una banda di criminali guidata da Grandis. Lo sfondo della vicenda è la Parigi del 1889, e in particolare l’Esposizione Universale o Expo tenutasi fra il maggio e l’ottobre di quell’anno.
Nonostante figuri solo nel primo episodio, l’Expo è rimasta particolarmente impressa nella memoria degli spettatori di questo cartone animato non solo perché è citata nell’immortale sigla italiana cantata da Cristina D’Avena, ma soprattutto perché è un’ambientazione inusualmente realistica e specifica, le cui grandiose vestigia sono tuttora visitabili, descritta tramite una rappresentazione sufficientemente dettagliata dei veri edifici e delle vere attività che vi si svolsero. Nonostante ci siano delle scorrettezze storiche, queste appaiono come probabilmente volontarie o comunque perdonabili, perché funzionali per rendere l’atmosfera dell’ambientazione. Per esempio, il Globo celeste che si vede sotto la Torre Eiffel in realtà era molto più grande di quanto mostrato, non aveva una scala mobile per accedervi, e soprattutto era stata una monumentale installazione realizzata per l’Expo 1900 e non 1889. La Galleria delle macchine, invece, è molto simile a quella vera, con le sue esposizioni di aerei, grandi motori e recenti scoperte tecnologiche. Al contrario, la città di Parigi è resa in modo totalmente, incomprensibilmente fasullo, come un piccolo ammasso di casette generiche su un fiumiciattolo generico.
L’Expo è inoltre un’ambientazione usata dai personaggi: oltre all’area dei giardini del Trocadéro con i padiglioni, il primo incontro fra Jean e Nadia avviene su una Torre Eiffel storicamente quasi attendibile con tutte le decorazioni successivamente rimosse, anche se è dipinta in maniera diversa dall’originale, ha dei balconcini aggettanti sulla cuspide che in realtà non c’erano, ed è attraversata da un sistema di trazione dell’ascensore diverso dall’originale per motivi funzionali alla narrazione.
Eppure, quest’ambientazione così circoscritta e realistica è collocata proprio all’inizio di una serie che poi, col passare degli episodi, diventa sempre più fantasy. Potrebbe trattarsi di una sorta di ispirazione inversa da Hayao Miyazaki: seguendo la lezione del suo maestro, Hideaki Anno decide di iniziare la sua prima serie lunga in maniera non inverosimile in una ambientazione non inverosimile, per poi diventare man mano sempre più irrealistico e poi finire in uno scenario fantastico di ispirazione egizia, al contrario di quanto accade, per esempio, in Lupin III – Il castello di Cagliostro che inizia in uno scenario immaginario fantastico di ispirazione italiana, per poi diventare man mano sempre più realistico e poi finire con la non inverosimile scoperta delle rovine di una non inverosimile città romana.
In tutto questo l’Expo svolge una funzione fortemente caratterizzante per la serie, perché getta le basi dei temi stessi dell’intera narrazione.
L’Expo come luogo simbolico
La scelta di Hideaki Anno di iniziare la narrazione di Nadia – Il mistero della pietra azzurra proprio nel 1889, proprio a Parigi e proprio durante e nell’Expo di quell’anno non può che essere considerata una decisione volontaria e precisa, quasi una scelta politica, una dichiarazione d’intenti per far capire al suo spettatore che quello che l’attende non è in nessuna maniera, fin dal primo minuto, una serie TV tratta da Ventimila leghe sotto i mari come pure annunciato nei titoli di testa.
L’ispirazione che Anno ha tratto dal libro di Jules Verne è infatti molto, molto vaga e riguarda più che altro una serie di elementi visivi e puntuali, in particolare (o forse soltanto) l’avveniristico sottomarino Nautilus, il misterioso e umbratile Capitano Nemo, e la civiltà di Atlantide, elementi fra l’altro che il regista ha comunque totalmente rivisto e filtrato attraverso la sua poetica e quella di Hayao Miyazaki, da cui proviene il concept generale della serie. Il nome di Verne è quindi servito più che altro come lasciapassare per poter convincere la televisione di stato giapponese NHK a finanziare questa serie animata, esattamente come era successo per decenni con Fuji TV e tutti i suoi titoli di ispirazione letteraria della serie World Masterpiece Theater, di cui Nadia – Il mistero della pietra azzurra è considerato un rappresentante non ufficiale, essendo stato trasmesso da NHK e non da Fuji TV. Fra l’altro in Ventimila leghe sotto i mari, uscito in prima edizione nel 1870, non compaiono né l’Expo 1889 né alcuna Expo in generale, il che certifica ancora di più la scelta di questa ambientazione come volontaria, peculiare e simbolica.
L’Expo come ispirazione
In effetti l’importanza dell’Expo 1889 fu tale che quell’anno potrebbe essere considerato come un’altra delle date di inizio del XX secolo. Fra i vari esempi possibili, un caso particolarmente indicativo della portata dell’evento è quello del compositore francese Claude Debussy, le cui esperienze durante quell’evento avrebbero avuto ripercussioni così forti da persistere tuttora.
A partire dall’edizione del 1867, le Expo hanno sempre presentato una selezione del meglio che ogni Stato aveva da offrire all’interno dei padiglioni nazionali, un’idea usata ancora oggi. Nel caso della musica, l’Expo 1889 offrì ai suoi avventori una selezione sorprendentemente ricca, comprendente anche musica tzigana ungherese, danza del ventre algerina e persino canti popolari giapponesi. A proposito di Giappone e sempre in tema di influenze importanti, fu proprio l’Expo 1867 di Parigi che diede popolarità alle stampe ukiyoe, considerate fra le cause che portarono all’impressionismo e poi alla pittura contemporanea.
Le fonti storiche riportano che all’Expo 1889 Debussy assistette ad almeno tre concerti che gli cambiarono la vita. Il primo fu quello di musica gamelan dall’isola di Giava (oggi Indonesia): questo tipo di musica si avvale di strumenti metallici e ritmiche ipnotiche, e nelle suoi scritti Debussy racconta quanto l’intrecciata tessitura musicale fosse imparagonabile a nulla di occidentale. Il secondo fu uno spettacolo di teatro musicale tradizionale della zona dell’Annam in Indocina (oggi Vietnam), di una violenza totalmente sconvolgente per il pubblico dell’epoca. Infine, Debussy ascoltò un concerto di musica russa che comprendeva anche Una notte sul Monte Calvo, pezzo reso celebre dal film Fantasia.
Nonostante nessuna di queste influenze fece poi esplicitamente capolino nella musica del grande musicista francese, il fatto stesso che esistessero lo ispirarono e lo fecero sentire legittimato a provare a fare qualcosa di diverso da quello che aveva imparato al conservatorio, a osare qualcosa di nuovo. La contaminazione intellettuale di Debussy fra arte colta e tradizioni musicali esotiche fu un precedente nobile che portò successivamente Giacomo Puccini a comporre le sue opere orientali Madama Butterfly e Turandot, poi il compositore George Gershwin a contaminare la sua musica con il jazz, e poi ancora alla diffusione del blues, al successo della musica afroamericana anche fra gli ascoltatori bianchi, alla nascita del rock’n’roll e, in pratica, alla musica come la conosciamo oggi, ovvero: un amalgama di generi diversi di provenienze diverse che si influenzano a vicenda.
L’Expo come punto di partenza
Alla luce dell’importanza fondamentale che ebbe l’Expo parigina del 1889, la decisione di Hideaki Anno di spostare tempo e luogo della narrazione rispetto a quelli di Ventimila leghe sotto i mari non può che essere vista come una scelta particolarmente importante, poiché i grandi temi di Nadia – Il mistero della pietra azzurra, ovvero il progresso scientifico, i limiti dell’uomo e la commistione delle culture, non sono affatto quelli presenti nel libro di Jules Verne, bensì sono appunto quelli dell’Expo.
A trent’anni dalla sua prima trasmissione, la serie di Hideaki Anno resta ancora oggi un caposaldo della storia dell’animazione giapponese proprio per la sua capacità di parlare di temi infinitamente grandi all’interno di un prodotto popolare d’intrattenimento, con in più la capacità di incorporare le suggestioni del Miyazaki più avventuroso per unirle a quelle di un Anno ancora acerbo, ma già determinato a lasciare un segno, cosa che avverrà pochi anni dopo con Neon Genesis Evangelion nel 1995, l’anno in cui per gli anime è iniziato XXI secolo.