DF prosegue il suo viaggio nei luoghi del manga: dopo i musei di Tezuka e Mizuki, stavolta visitiamo quello dedicato a Yumiko Igarashi dedicato a tutti i fan (e non) dello shoujo.
La lieta cittadina di Kurashiki, nel sud del Giappone, vive fondamentalmente di turismo, e di due tipi: turismo culturale per la presenza dello splendido quartiere di Bikan rimasto intatto dai tempi del Periodo Edo, due secoli fa, coi suoi musei, i suoi templi e i suoi palazzi storici, e turismo otaku per essere un set naturale per cosplayer, set cinematografico per svariati film in costume (e dell’episodio 692 di Detective Conan) e sede di due musei di grande interesse per la cultura pop giapponese, ovvero quelli dedicati ai due fumettisti Shigeru Mizuki e di Yumiko Igarashi. Entrambi sono dei miti assoluti del manga, ed entrambi soffrono di una scarsa conoscenza del grande pubblico fuori dalla loro madre patria, dove invece sono celeberrimi: se il primo ha legato il suo nome soprattutto al folklore locale, la seconda sarà molto facilmente identificabile anche dal pubblico italiano grazie alle sue due opere più famose, ovvero Candy Candy e Georgie.
La presenza di un museo dedicato alla Igarashi a Kurashiki non è casuale ed è una storia che parte da lontano, e precisamente da Asahikawa, città sperduta fra i ghiacci dell’Hokkaido, nel nord del Giappone, dove l’autrice è nata nel 1950. Da bambina Yumiko comincia ad apprezzare i libri illustrati per poi passare ai fumetti, una passione che si fa pian piano sempre più forte fino agli anni delle scuole medie, quando scopre l’opera di Osamu Tezuka e se ne innamora. L’evento che le cambia la vita avviene mentre frequenta il terzo e ultimo anno delle scuole medie: a Sapporo, durante il celebre Festival della neve, la Igarashi incontra di persona il maestro Tezuka e gli stringe la mano. È una folgorazione che le fa decidere di consacrare la sua vita ai fumetti: l’anno dopo la Igarashi decide di trasferirsi nella lontana Tokyo per iniziare la sua carriera da autrice. Nella capitale la Igarashi non frequenta alcuna scuola di disegno o altro, ma da autodidatta riesce a mettere insieme una storia breve e a debuttare prima di concludere le scuole superiori: la sua prima opera si intitola Shiroi same no iru shima (“L’isola dove c’è lo squalo bianco”), è del 1968, ed è pubblicata sulla rivista Ribbon dell’editore Shuueisha sotto lo pseudonimo di Hitomi Igarashi. Shiroi same no iru shima non è un capolavoro, ma l’essere riuscita a pubblicare in così giovane età è comunque un grande risultato che la fa notare dall’editore Koudansha: l’anno dopo, a soli 19 anni, viene messa sotto contratto per la rivista Nakayoshi e Yumiko Igarashi, col suo vero nome, diventa una professionista.
I primi tempi non sono semplici perché la Igarashi lavora a ritmo industriale sui temi e testi assegnati dall’azienda, senza alcuna libertà creativa e con uno stipendio sulla soglia della sopravvivenza: come racconta nella sua autobiografia, fino al clamoroso successo anche economico di Candy Candy l’autrice si è trovata a vivere in condizione di shitazumi, una parola giapponese che indica coloro che vivono ben sotto la soglia di povertà e che per questo sono anche reietti della società (in Giappone non esistono mense dei poveri o altro tipi di sussidi agli indigenti). Ecco quindi che l’inizio della pubblicazione di Candy Candy nel 1975, quando l’autrice ha 25 anni, rappresenta sia una svolta umana alle miserie dell’autrice, sia una svolta artistica allo shoujo giapponese. La Igarashi, benché nata nel periodo del Gruppo del 24 (1949), non vi è assolutamente inclusa perché la sua opera non ha nulla di progressista; nonostante ciò, il suo stile grafico e narrativo ha influenzato in maniera imprescindibile il genere fino ai giorni nostri.
Dopo Candy Candy, il resto è storia: la Igarashi inanella fino alla fine degli anni ’80 altre quattro perle come Mayme Angel, Tim Tim Circus, Georgie e La spada di Paros, per poi sprofondare narrativamente e graficamente nel decennio successivo realizzando LC (ladies comics), un eufemismo giapponese per indicare quei fumetti dozzinali equivalenti ai romanzi Harmony stile Maryl Streep in She-Devil – Lei, il diavolo. Si riprende in anni piu recenti cominciando ad adattare romanzi famosi dei generi più disparati, da Anna dai capelli rossi ad Anna Karenina, fra cui alcuni titoli giapponesi ambientati nei secoli scorsi. Per documentarsi graficamente sull’urbanistica storica nipponica la Igarashi visita a fine anni ’90 il quartiere di Bikan: ne rimane folgorata, e si innamora della cittadina al punto da sceglierla come sede di uno dei due musei a lei dedicati e fondati nel 2000 per celebrare i 25 anni di successi editoriali (l’altro si trovava a Yamanakako, ai piedi del Monte Fuji, dove c’è la sede della sua casa editrice, ma ha chiuso dopo pochi anni). Per consolidare il legame con Kurashiki, la Igarashi ha illustrato nel 2010 il romanzo della scrittrice locale Seiko Mitsushiro Kurashiki monogatari ~Hachiman~ (“Una storia a Kurashiki – Il maschiaccio”), ambientato nel Periodo Meiji (fine XIX-inizio XX secolo) e in luoghi reali, fedelmente riprodotti nelle illustrazioni della fumettista.
La figlia di Seiko Mitsushiro è Mei Mitsushiro, scrittrice e saggista nonché grandissima fan, conoscitrice e amica della Igarashi, «Princess Concierge» (stando al suo biglietto da visita) e direttrice del museo che ha concesso a DF la possibilità più unica che rara di visitarlo con lei e persino di fotografarne l’interno.
Il Museo Igarashi è insomma una meta consigliata non solo a chi è già amante della fumettista, ma anche a chi non la conosce affatto e, ammirando da vicino le sue opere, può apprezzare quanto sia stato fondamentale il suo apporto per l’evoluzione del fumetto giapponese.
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