Settimana Canicola Bambini – Gli autori: Sophia Martineck, Martoz, Sarah Mazzetti
A conclusione della settimana dedicata a Canicola Bambini, DF intervista con tre domande i tre autori dei tre fumetti per bambini (e non solo): Sophia Martineck, Martoz e Sarah Mazzetti.
Dimensione Fumetto in collaborazione con Canicola presenta la Settimana Canicola Bambini: un vasto approfondimento sugli ideatori, gli autori e le opere della collana intitolata a Dino Buzzati che l’editore bolognese dedica ai suoi giovani lettori.
Dopo aver parlato del progetto con le curatrici della collana e aver recensito i volumi Hansel e Gretel, La mela mascherata e I gioielli di Elsa, in questo quinto e ultimo articolo DF intervista gli autori dei tre volumi chiedendo loro una immagine, un testo di presentazione e tre domande sul loro lavoro.
DF desidera ringraziare gli autori e la casa editrice per la loro grande disponibilità.
Sophia Martineck
Da dieci anni a questa parte lavoro come illustratrice freelance. Quello che più mi piace del mio lavoro è la possibilità di lavorare con clienti da diversi paesi in Europa e in tutto il mondo. Tutti i differenti temi, prospettive e retroterra culturali mi sono sempre stati di fondamentale ispirazione. Hansel e Gretel è stato realizzato appositamente per Canicola. La maggior parte del lettering l’ho fatto a mano io stessa. Mi sono molto divertita a scrivere in italiano: non parlo la lingua, ma mi ha affascinato scoprire le parole e le frasi. Se non fossi diventata un’illustratrice, probabilmente oggi lavorerei come linguista.
(Sophia Martineck)
Intervista a cura di Mario Pasqualini.
In precedenti interviste hai dichiarato che è stata Canicola a proporti esplicitamente di realizzare la tua versione di Hansel e Gretel: per quale motivo credi che ti abbiamo scelta per questa storia, e che tipo di valore aggiunto puoi apportare a questa fiaba già narrata innumerevoli volte da innumerevoli illustratori negli ultimi 200 anni?
La storia di Hansel e Gretel è molto dark. I bambini devono fare i conti con l’essere abbandonati, combattere il male, e sopravvivere. Nel mio lavoro mi piace dedicarmi a temi dark come abbandono, solitudine e il dolore umano del vivere: credo che sia il motivo per cui Canicola mi ha chiesto una versione di Hansel e Gretel. Quando ho iniziato a lavorarci su, l’aspetto che mi interessava di più era come i bambini sopportano di essere abbandonati dai loro genitori nel folto della foresta, come sopravvivono al loro viaggio e alla strega cattiva. Ho trovato davvero toccante, quasi commovente la calma con cui affrontano il freddo, la fame e la paura. Per questo ho disegnato la fiaba dark come credo che sia, fisicamente (circondati dagli alberi, i bambini passano due giorni e due notti nel bosco) ed emotivamente (rischiano di morire).
Il racconto è estremamente fedele all’originale dei Fratelli Grimm fin nei minimi dettagli, come i gioielli gettati a terra al ritorno a casa, ma al contempo la narrazione è spostata alla realtà dei nostri giorni, come suggeriscono mobili e vestiti. La traslazione di eventi del passato nel presente è un tipico metodo narrativo usato dagli artisti visivi da Giotto in poi (raggiungendo un picco di realismo con Caravaggio), ma è piuttosto inusuale da trovare nei libri di fiabe per bambini, solitamente bloccati in un immaginario pre-industriale di abiti barocchi e niente elettricità. Non possiamo accusare Disney di questo, perché già da ben prima di lui artisti tradizionali come Arthur Rackham, e anche adesso avanguardisti come Lorenzo Mattotti hanno scelto di ambientare le loro versioni di Hansel e Gretel in un passato da “c’era una volta”. Credi che sia una scelta inconscia legata alla caratteristica delle fiabe di essere fuori dal tempo e dallo spazio? E perché hai scelto di ambientare il tuo Hansel e Gretel nel presente?
La fiaba originale dei Fratelli Grimm è stata per me una grande fonte per il mio adattamento. Ti dice tutto quello che devi sapere. Mi sono accorta che ogni frase è così ricca di informazioni e dettagli che non mi è stato difficile trasformare il testo nella mia versione grafica. Non ho nemmeno cercato qua e là altri adattamenti, come film o libri illustrati. Dopo aver iniziato con la prima pagina col bosco e la casetta, la storia mi ha trascinato.
Per l’ambientazione ho voluto una moderna atemporalità contemporanea. Non avevo assolutamente intenzione di tornare indietro all’immaginario del XIX secolo: volevo raccontare la fiaba per i bambini di oggi, quindi ci sono mobili moderni con forni e padelle e coltelli da cucina. Anche la casa della strega doveva sembrare deliziosa e colorata, e non come la “casetta di marzapane” ottocentesca. Non volevo fare un’altra versione da c’era-una-volta, quindi mi sono deliberatamente lasciata il passato alle spalle e ho creato qualcosa di nuovo. Suppongo che essendo una fiaba con elementi fantastici potrebbe sembrare logico lasciarla nel tanto-tempo-fa, ma preferivo realizzare qualcosa di diverso.
Per me era anche molto importante che le tasche del cappotto di Hansel fossero abbastanza capienti per contenere i sassolini così da poter realisticamente tornare a casa, e che la casa di torta fosse abbastanza grande per ospitare tre persone. Da bambina mi irritava molto quando dettagli come questi non erano verosimili.
Com’è stato possibile osservare nella mostra bolognese che ha accompagnato la pubblicazione di Hansel e Gretel, hai disegnato il fumetto a matita e poi aggiunto una colorazione a tinte piatte in postproduzione. La matita enfatizza il chiaroscuro, come nella splendide scene notturne, e al contempo sottolinea un preciso dettaglio: il nero puro. Ci sono solo tre elementi in nero puro nel tuo libro: la matrigna, la strega e gli alberi. Se i primi due sono chiaramente personaggi oscuri, cosa dire degli alberi? Poiché il bosco è totalmente muto e immoto di fronte alle sventure dei bambini, volevi forse suggerire che la natura ha un ruolo negativo, o comunque non positivo all’interno della vicenda umana, come se la natura fosse una rivale dell’uomo?
In questo caso non direi che la natura è una rivale dell’uomo. Direi piuttosto che gli alberi sono dei testimoni silenziosi. Quando mi sono resa conto che tutta la storia si svolge in una foresta mi sono leggermente preoccupata perché pensavo che non avrebbe offerto molto a livello di immagine, ma poi ho amato gli alberi, soprattutto nelle scene notturne col chiaro di luna e le ombre. Sì è vero, ho disegnato gli alberi come morti per enfatizzare la situazione disperata e la povertà dei bambini. Eppure, la natura qui è anche protettiva: Hansel e Gretel dormono sotto un albero, mangiano le bacche selvatiche, un’anatra li aiuta ad attaversare il fiume, il fuoco li tiene al caldo.
Quello che davvero mi è piaciuto è stato il modo in cui ho potuto usare i colori. All’inizio la casa della famiglia è molto povera, e quindi ho usato molti toni marroni, grigi e blu. La foresta di giorno è verde e piacevole, ma di notte diventa fredda e blu. Mi piacevano queste due atmosfere diverse. Mi sono divertita anche a dare alla casetta della strega dei colori rosa, arancioni e gialli dolci; anche all’interno tutto è caldo e zuccheroso e delizioso. Solo il giorno dopo tutto torna marrone e grigio e orribile.
Martoz
Il fiume divenne rosa, dal vomitevole olezzo dolciastro. Quest’aria zuccherosa dava alla testa. Fu l’inizio di una rivolta!
(Martoz)
Intervista a cura di Silvia Forcina.
Ciao Alessandro, piacere di conoscerti, anche se in verità abbiamo già parlato di te sul nostro sito tempo fa: sei giovanissimo eppure sei già un artista apprezzato e impegnato in tantissime attività (illustrazioni, serigrafie, scenografia, street art, pittura) e con diversi titoli di fumetti alle spalle; cosa ti ha affascinato di questo progetto di Canicola dedicato ai bambini? Ti piaceva l’idea di avere un pubblico giovane da malleare o in realtà volevi far felice il bambino che è in te?
Devo ammettere che la sfida più intrigante era quella di misurarsi con la letteratura per l’infanzia, un terreno del tutto nuovo per me. Una bella sfida. Chi mi conosceva, al tempo, avrebbe potuto dire «Martoz? Col suo segno… e coi suoi precedenti? È inadatto», ma Canicola ha visto lontano. Per dire di più, i ragazzi di Canicola mi hanno conosciuto di persona e hanno capito che il fumetto per l’infanzia era nelle mie corde, era nelle mie possibilità. Per il resto, del progetto Canicola Bambini mi hanno affascinato la sfida, il rischio, l’inizio. Sì, l’inizio, perché io sono stato apriporta in tante situazioni, non perché io sia speciale, ma perché è quello che succede ai giovani di talento, si cerca di prendere due piccioni con una fava. Mi sono sempre divertito a partecipare a queste sanguinose prime linee, ma ci sono diversi modi di vedere la questione. Io vedo, in queste situazioni nuove, la possibilità di spaziare. Mi piace l’idea di avere un pubblico giovane, ma non da malleare, e sicuramente faccio felice anche me stesso perché è stato divertente, benché difficile, lavorare a La mela mascherata. Credo che tra queste due opzioni ci sia una terza sfumatura. Il bello è capire quanto ci somigliamo, creare una connessione reale. Non siamo io -scrittore grande e maestro, che deve immedesimarsi- e loro, bambini che hanno bisogno di un linguaggio alla loro portata. Ci siano noi, coi nostri punti in comune. Ne La mela mascherata si accendono delle spie presenti sia in me che nei bambini. È un fumetto molto sincero, dove, se c’è una magia, è quella di scoprire quelle spie e abbattere il dualismo grandi-piccini.
Anche se La mela mascherata è dedicato ai bambini, abbiamo notato con piacere che non hai modificato niente del tuo stile per disegnarlo: pensi che i piccoli lettori sapranno apprezzare le immagini che hai creato e perché? Magari ci siamo sbagliati, ma nel tuo immaginario abbiamo creduto di ravvisare una somiglianza con i disegni di Picasso, che non è esattamente un nome per l’infanzia: le opere dell’artista spagnolo sono tra le tue ispirazioni?
Beh, dopo un anno dall’uscita, abbiamo la fortuna di non dover parlare al futuro, sperando di essere compresi. Possiamo parlare di ciò che è già successo. Siete sicuri che Picasso non sia un nome per l’infanzia? Andiamo con ordine. Non è propriamente vero che non ho cambiato niente del mio stile, è stato invece quello l’aspetto più complicato, trovare una giusta evoluzione del mio stile. Volevo alleggerirmi, senza banalizzare il mio segno. Volevo rimanere me stesso, ma diventare agile e cedere alla simpatia. È significativo pensare che ho deciso di portare un po’ di questa agilità anche nei prossimi fumetti per grandi, è qualcosa su cui riflettere. Tornando all’inizio, i bambini lo hanno capito. Lo hanno apprezzato. Forse qualcuno ha detto «È un po’ strano, ma mi piace» e spero che qualcuno abbia detto «Non mi piace, lo odio». Piacere a tutti sarebbe la peggior sconfitta. Ma, grazie al dio dei gatti giganti, molti bambini lo hanno apprezzato. Perché? Non lo so. Forse perché per realizzarlo ho fatto un percorso di onestà. Forse perché non ho fatto un libro che finge di parlare ai bimbi, ma in realtà rassicura i genitori. Ho attinto alla mia età dell’oro e gli omini d’oro l’hanno capito.
P.S.: la questione Picasso viene tirata fuori spesso ed è una semplificazione tipica del nostro tempo. Picasso era troppo grande per farne un semplice motivo di ispirazione. Il mio stile è troppo piccolo per farlo derivare da questa singola fonte. Io mi ispiro a tanti e a nessuno. Disegno con la pancia. Mi piacerebbe che si smettesse di vedere Picasso in ogni cosa stramba.
Personalmente la storia de La mela mascherata mi è sembrata molto gradevole e divertente, arrivando alla fine del volume si scopre anche che i personaggi non sono esattamente inventati, ma fanno parte della storia della città di Cotignola: è stato divertente costruire una trama così fantasiosa basata su elementi reali o è stata una pesante responsabilità?
Ti ringrazio! Anche qui, forse è divertente perché ci siamo divertiti a farlo, io, Canicola e Cotignola. Ebbene sì, i personaggi della storia risultano essere ispirati, in nome e caratteristiche, a personaggi realmente esistiti nella storia del comune di Cotignola. Un mash-up di tanti tempi diversi. Mi è piaciuto parecchio dimenticare la distanza storica e far interagire tutti questi personaggi in un unico contenitore, che poi è quello che fa la memoria, solo che in questo caso la fantasia ha unito i puntini della memoria e lo ha fatto proprio come lo avrebbe fatto un bambino, a piacimento! È stato divertente ed è stato interessante scoprire e utilizzare le tante storie racchiuse in Cotignola. Quasi nulla è inventato, tutto rende omaggio ad aneddoti, fatti storici, pubblici e privati, leggende, cose antiche e attuali. Non ho vissuto questa trasposizione con pesantezza, nessuno mi ha chiesto di farlo, è avvenuto naturalmente. Quando mi è stata raccontata la storia di Cotignola, ho istantaneamente creato delle connessioni tra i vari fatti. Lontani nel tempo magari… ma uniti nell’immaginazione e, soprattutto, tutti vivi nel presente grazie agli abitanti di Cotignola, culturalmente iperattivi!
Sarah Mazzetti
Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere,
ed è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così,
a ogni monte,
sentiva nostalgia per una montagna ancora più alta,
e in ogni città,
sentiva nostalgia per una città ancora più grande,
ed è ancora così.
(Peter Handke – Elogio dell’infanzia)
Intervista a cura di Maura Pugliese.
Perché hai scelto di diventare una disegnatrice? Quale percorso hai fatto? Quali sono le opere della tua produzione a cui sei più affezionata e perché?
Disegno da quando sono nata, quindi è un po’ strano per me pensare che sia una “scelta” il disegnare in sé, certo il decidere di farlo come professione è stato un po’ roccambolesco forse, mi ero già laureata in Scienze della Comunicazione, e invece di continuare in percorso universitario ho deciso di punto in bianco di iscrivermi all’Istituto Europeo di Design. Non so spiegare com’è andata, mi piace studiare, non avevo rimpianti rispetto al mio percorso, ma in quel momento non avevo nessun dubbio sul fatto che fare Illustrazione fosse la cosa giusta, è andata così, mi sa che sono fatta così. L’opera a cui sono più affezionata è I gioielli di Elsa naturalmente, quando scrivi una storia i personaggi per te diventano gente vera, per cui provi affetto. Per il resto l’unica cosa per cui provo attaccamento sono certi disegni del mio sketchbook, non le cose che faccio per lavoro.
A quali artisti ti sei ispirata per lo stile grafico del fumetto I gioielli di Elsa?
A nessuno che io sappia, anche se i riferimenti interiorizzati sono sicuramente tanti, come per ogni disegnatore.
Se un bambino entrasse in libreria, prendesse dallo scaffale il tuo fumetto e lo sfogliasse, per quali ragioni potrebbe piacergli e potrebbe leggerlo?
Chi lo sa! Da quello che ho visto i bambini si fanno molto prendere dalla narrazione, dal fatto che c’è un mistero da risolvere, e graficamente devo dire che lo assimilano senza nessuna difficoltà, per loro è assolutamente normale entrare in un linguaggio grafico nuovo, sono veramente magnifici in questo rispetto agli adulti.
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