Settimana Canicola Bambini – I gioielli di Elsa

I canditi sono i migliori amici delle ragazze? Sì, almeno nel fantastico mondo de I gioielli di Elsa, il fumetto disegnato da Sarah Mazzetti per Canicola Bambini in cui una bimba diventa una famosa designer e i canditi dei preziosissimi gioielli.

Dimensione Fumetto in collaborazione con Canicola presenta la Settimana Canicola Bambini: un vasto approfondimento sugli ideatori, gli autori e le opere della collana intitolata a Dino Buzzati che l’editore bolognese dedica ai suoi giovani lettori.

Dopo aver parlato del progetto con le curatrici della collana e aver recensito i primi due volumi Hansel e Gretel e La mela mascherata, in questo quarto articolo si parla del terzo e finora ultimo titolo edito: I gioielli di Elsa di Sarah Mazzetti.


L’atmosfera natalizia che grandi e piccini aspettano per lunghi mesi è fatta di alcuni fondamentali ingredienti: i parenti, il presepe, l’albero, i regali, i dolci. Nell’infinita varietà di questi ultimi si distinguono per diffusione e gradimento il torrone, il pandoro e il panettone, che piacciono a tutti o quasi…Sì, perché la calorosa gioia della festa può essere turbata da un problema che affligge da tempo immemore le mamme, le nonne e le zie: i canditi. Nella stragrande maggioranza, i bambini odiano i canditi, quei pezzetti viscidi e gelatinosi che si celano in mezzo al soffice impasto del panettone e, se incidentalmente finiscono in bocca, lasciano nel loro palato un senso di fastidio che accompagnerà la loro crescita come un trauma indelebile. Le pasticcerie e le industrie dolciarie, consapevoli del dramma che attanaglia da decenni le famiglie alla fine di dicembre, si sono prodigate in varianti “depurate” e così, al pari dei dolci senza glutine, oggi si possono trovare panettoni “canditi free”. Ma anni di lotta per la sopravvivenza hanno affinato pure le armi di cui i pargoli, all’apparenza teneri e indifesi, si sono dotati per combattere contro le strane imposizioni degli adulti, usando nel caso in questione strategie di difesa infallibili: asportazione segreta dei corpi estranei, eliminazione metodica delle prove, occultamento dei relitti in luoghi sperduti.

Ma ecco che una nuova, sensazionale soluzione apre le porte a scenari impensati: se una bambina prendesse i canditi chirurgicamente asportati dai panettoni e ne facesse dei gioielli? Se le sue creazioni suscitassero l’interesse dello sfavillante mondo della moda? Se la bambina fosse così brava da divenire un’acclamata designer di gioielli?

Da questa idea nasce il fumetto I gioielli di Elsa, disegnato da Sarah Mazzetti, a cui ho avuto l’opportunità di rivolgere alcune domande sulla sua opera, le cui risposte saranno disseminate nel corso dell’articolo per supportare, completare e arricchire la mia analisi.

Riguardo allo spunto iniziale del libro l’autrice mi ha raccontato che è derivato da un disegno natalizio di un paio di anni fa; aveva appunto disegnato una bambina su un panettone gigante che guarda un candito come se fosse un gioiello. Ha sempre voluto fare qualcosa con quell’idea, ma poi invece è rimasta lì, fino a quando Liliana (Cupido, ndr) non le ha chiesto se voleva fare una storia per Canicola Bambini.

Il personaggio principale, la bimba Elsa, si muove con la schiettezza propria dell’infanzia nella nuova realtà adulta in cui si trova per caso catapultata dal momento in cui la sua intuizione trova il sostegno delle zie e le dà la possibilità di scoprire nel mondo della moda persone eccentriche e fuori dall’ordinario. La domanda spontanea è se nella protagonista l’autrice abbia trasposto o proiettato qualche aspetto della sua infanzia, infatti a questo proposito la Mazzetti ha confermato che somiglia molto a lei quando era bambina. Del resto, ha sottolineato che non si è ispirata a nessuno in particolare, ma voleva giocare sui gesti piccoli e apparentemente insensati dei bambini, perché invece proprio quei gesti contengono dei piccoli mondi immaginati, quei mondi sono ciò che le interessa.

Nelle sue avventure Elsa è sempre affiancata da Karl, un cagnolino che somiglia a un topolino per la sua forma minuta e a un gattino per la sua insaziabile voglia di dormire, creando con le sue azioni un sottile racconto nel racconto. Di lui la disegnatrice mi ha detto che è sempre più contenta di averlo disegnato così perché sia coi bambini che a volte con gli adulti spesso parte questa conversazione: «-che cos’è lui? – è un cane – ma sembra un topo! – eh sì, è un cane che sembra un topo – silenzio/accettazione», insomma il fatto che non rientri nel prototipo del cane, prima crea stupore, e poi una pacifica accettazione di Karl per quello che è, e le sembra un processo molto bello nel suo piccolo! Lui comunque non fa niente, è il compagno di Elsa ma non l’aiuta affatto nella storia, però poi ha tutta una sua storia personale fuori dalla narrazione principale.

Come in ogni fiaba che si rispetti, nel suo percorso di formazione la bambina affronta degli ostacoli e subisce un danno da parte dell’antagonista, l’invidiosa signora Antéf, i cui gioielli sono messi in ombra dai bracciali, dalle collane e dagli anelli tutti tempestati di canditi di Elsa. Come al solito, un mezzo magico tira fuori dai guai la piccola designer agevolandola nelle sue ricerche, anche se al posto della classica bacchetta fatata, in linea con i tempi moderni, la soluzione del caso è affidata a una sportina biodegradabile che vaga per la strada. In merito a questa singolare scelta la Mazzetti ha affermato che è stata casuale, però in quel punto voleva un personaggio che desse un limite temporale a quella fase, quindi la sportina nel suo scomparire progressivamente è come la mezzanotte per Cenerentola, il limite oltre il quale non si può andare.

Anche il lieto fine è d’obbligo, con l’insegnamento che da cose insignificanti si possono trarre grandi soddisfazioni e, tutto sommato, una bambina non può agire come i grandi e diventare una stilista, ma ha bisogno di vivere una vita tranquilla con la sua famiglia e il suo cagnolino. Ma poi sarà proprio vero che questa fiaba debba insegnare qualcosa? A sentire l’autrice no, anzi, come ha precisato, proprio non le interessa l’aspetto “funzionale” delle storie, però certo ci sono valori importanti per lei, come quello sull’esaminare, fare attenzione ai piccoli gesti, le piccole cose, il fatto che è una storia in cui i protagonisti e gli “extra” sono creature minime, fino al batuffolo di polvere e sporco, che anche lui ha il suo piccolo excursus – e la capacità di vedere altro nelle cose che abbiamo attorno, l’avere voglia di trasformarle e reinventare sempre, tutto. Trovare valore al di là di quello che socialmente viene definito di valore.

La narrazione si sviluppa in tavole a pagine piene, senza bordi e campiture, con una struttura molto variabile delle vignette, separate tra loro da sottili closures e talvolta inserite a fianco di vignette scontornate che, insieme con le pagine intere o doppie, sono quelle di maggiore impatto visivo, in cui l’artista sembra avere più agio nell’esprimere la propria abilità grafica. Infatti, come lei stessa ha suggerito, ha deciso di lasciare tutto il più libero possibile, non avere una griglia fissa di riferimento, semplicemente perché non le era utile. Non nascendo come fumettista, per lei (nel senso di “quando lavora lei sulle sue cose”) la griglia fissa è sempre un elemento che definisce il fumetto “a priori”, se la usa è per definire un ritmo preciso, mentre per questa storia voleva sentirsi assolutamente libera di cambiare impostazione delle vignette e della pagina a seconda delle esigenze. L’unica parte che ha un ritmo preciso e sempre la stessa dimensione sono le strisce di Karl, che appunto ha queste avventure solitarie in una dimensione narrativa altra rispetto alla storia. Per il resto è di nuovo un discorso di gusto personale e modo di lavorare, questo fumetto è stato disegnato e colorato nel modo per lei più istintivo e naturale possibile.

A proposito delle soluzioni cromatiche, sono stati impiegati solo tre colori, il rosso, il verde e il marrone, anzi quest’ultimo, come mi ha fatto notare la disegnatrice, deriva in realtà dalla sovrapposizione dei primi due. Il tono d’insieme risulta pieno e uniforme e permette di concentrarsi più sui personaggi e sulla vicenda che sulle sfumature dei colori. Riguardo a questa scelta, che potrebbe apparire rassicurante ma forse anche un po’ monotona per gli occhi dei bambini, Sarah Mazzetti mi ha dato una precisa spiegazione, che permette di comprendere anche la passione per il suo lavoro: il colore per lei è uno strumento di lavoro, una cosa familiare e quotidiana, che quasi per scontata, ed è molto bello vedere che chi invece non ci ha tanto a che fare per mestiere, magari può scoprire qualcosa attraverso una scelta cromatica “diversa”. Ha dunque optato per questi colori perché funzionano bene, e il rosso naturalmente è perfetto per i canditi. Probabilmente è un po’ difficile spiegare come li ha gestiti, nel senso che per lei è una cosa molto istintiva, sa che vuole un certo ritmo ed equilibrio formale nella pagina – e nella sequenza di pagine – e agisce di conseguenza, aggiusta il tiro fino a quando non ci sono, ma è proprio un po’ come comporre una melodia, una cosa per cui si forma una certa consapevolezza, ci si fa l’occhio. E lei è ossessiva in questo, non riesce a tradire il suo occhio, se una cosa non va bene lo sa.

Lo stile grafico è caratterizzato da linee spesse e pochi tratti per le figure, che risaltano in ambienti definiti con elementi essenziali su sfondi vuoti, in una varia combinazione dei due colori, usati anche per i bordi delle nuvolette e per il lettering manuale. Si possono avvertire vari influssi, dalle pubblicità futuriste fino a Blexbolex, però bisogna riconoscere che questa ricerca dei modelli, legata all’indagine dei recensori, di fatto interessa poco agli artisti, che non creano miscelando con il misurino un po’ di questa e un po’ di quella fonte, ma si lasciano guidare dal loro estro e dalla loro ispirazione. A conferma di ciò, la Mazzetti mi ha risposto che non saprebbe definire il suo stile, per lei è tutto molto naturale, sicuramente porta con sé molti riferimenti a cose e autori che ama, ma sono elementi da lei interiorizzati, che fa fatica ad esaminare. Lo stile in questo caso è davvero un modo di disegnare che per lei era molto naturale. Dopo la fatica del pensare e strutturare/progettare la pagina, disegnarla poi era la parte facile, quella che viene istintivamente.

E così mi auguro che per voi possa essere facile e piacevole la lettura de I gioielli di Elsa e che magari dal prossimo Natale le bambine più intraprendenti si divertano a utilizzare in qualche altro fantasioso modo quei colorati, insopportabili canditi.


Sarah Mazzetti
I gioielli di Elsa
2017, Canicola Editore, Canicola Bambini, collana Dino Buzzati
cm 17×24, 48 pagg., colore, € 16
ISBN9788899524227

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