Wednesday Warriors #50 – da Absolute Carnage a Batman
In questo numero di Wednesday Warriors:
Bam’s Version
ABSOLUTE CARNAGE #5 di Donny Cates e Ryan Stegman
Donny Cates è un nome caldo del fumetto americano – forse addirittura il più caldo. Energia travolgente, spirito larger than life come si addice ad ogni buon Texano, tante idee interessanti. Il suo lavoro su Venom è stato spesso analizzato qui su #WednesdayWarriors – ed è giusto tornare a parlarne in occasione del gran finale di Absolute Carnage. Al cuore della serie la profanazione del cadavere di Cletus Kasady e la rinascita di uno dei più crudeli serial killer della storia della Casa delle Idee, ora pedina nel gioco mortale orchestrato da Knull.
Knull, Dio dei Simbionti e Signore dell’Abisso, il centro del microuniverso narrativo di Cates all’interno del quadro più grande della continuity Marvel: l’autore ha costruito questa divinità primordiale dall’inizio della sua run, una “costola” del Gorr, Macellatore di Dei, di Jason Aaron. Rinchiuso all’interno della sua “Klyntar”, la prigione di simbionti costruita apposta per lui, sin dal #1 di Venom Knull ha cercato un modo di tornare in libertà, sfruttando il controllo sulla razza aliena da lui stesso creata. Profeta del vuoto e dell’oscurità che tutto abbraccia, il Re in Nero ha fatto di Kasady e di Carnage suoi fedeli discepoli.
Alla smodata ricerca di potere sufficiente per evadere dalla sua prigionia, Knull ha preso di mira l’intero Universo Marvel, alla ricerca di tracce simbiotiche, chiamati codex, appiccicati al DNA di chiunque abbia mai indossato un simbionte; per chi ha conoscenza della storia di Venom & Co., questo vuol dire che il 90% dei personaggi Marvel è vittima di questa caccia spietata.
Donny Cates e Ryan Stegman si trovano alla perfezione ed il climax di Absolute Carnage raggiunge lo scopo prefissato ma lo fa, purtroppo, in maniera terribilmente anticlimatica.
Come ogni evento Marvel che si rispetti, Absolute Carnage ha coinvolto mezza dozzina di testate tie-in e conta diversi spin-off che, nell’arco di quattro mesi, hanno avviluppato l’Universo Marvel in un viscoso liquido simbiotico color cremisi. Tuttavia, soltanto la storia sulla serie principale Venom è stata scritta da Donny Cates e, non a caso, è quella più visceralmente legata al sanguinolento scontro tra Venom e Carnage. Absolute Carnage soffre di un’eccessiva frammentazione, una narrazione che si appoggia a storie laterali che poco aggiungono alla narrativa principale, sottraendo invece potenziali sviluppi che l’avrebbero ulteriormente arricchita.
Il caos portato da Carnage sembra corrompere anche la struttura dell’evento, che si risolve in maniera frettolosa e tutt’altro che epica e memorabile, al contrario di quanto Cates avesse accennato o comunque suggerito. Potenzialmente, Venom e Carnage avrebbero potuto affrontarsi in un duello all’ultimo sangue, con in palio il destino di ogni simbionte mai esistito – in pratica, Absolute Carnage #5 si affretta a raggiungere il suo scopo donando ben pochi elementi soddisfacenti, conclusioni definitive o temporanee a trame importanti che gli autori hanno costruito per più di un anno in Venom. Diversi elementi all’interno della storia che sembrano chiedere disperatamente aria, prima su tutte la sottotrama che lega Eddie Brock a Dylan, ma anche il coinvolgimento del Creatore e dell’Uomo Ragno: Cates sembra schiacciato dal peso della storia stessa, che brilla soltanto quando il suo protagonista ha modo di tornare ai tratti e alle domande fondamentali che ne hanno mosso il percorso di redenzione in Venom.
Ryan Stegman, affiancato in un breve prologo da Mark Bagley, sembra ancora in grado di catturare l’orrore viscido dei simbionti – ed il suo lavoro con Carnage, reinventato secondo il perverso volere di Knull, facilita il forte impatto grafico che lasciano le sue tavole. Dozzine, centinaia di mini-Carnage su pagina assicurano azione e violenza, ma anche sotto l’aspetto artistico Absolute Carnage manca di impeto – basta fare il confronto con il primo, straordinario arco narrativo di Venom per vedere quanto Stegman possa dare “di più”. Inchiostri e colori di Leisten, Meyer e Martin supportano l’artista in ogni sua scelta, con un paio di momenti memorabili in una prestazione comunque più che dignitosa.
Absolute Carnage #5 è un climax mozzato che non soddisfa a pieno le promesse degli autori. Sebbene la scala degli eventi e la portata dell’action sia stata notevolmente pompata, Cates e Stegman si allontanano dall’intrigante lavoro sui personaggi e sull’oscura fantascienza che ha caratterizzato Venom sinora.
La costruzione verso Absolute Carnage si è rivelata ben più interessante dell’evento stesso e il ritorno di Cletus Kasady lascia molto a desiderare, ridotto ad un semplice power-up del personaggio. Una volta rimosso il focus sull’astio tra “padre e figlio”, sull’odio atavico tra Venom e Carnage, la miniserie evento ha avuto ben poco da raccontare.
La fetta di lettori ormai affezionata e fedelissima al Venom di Cates troverà piuttosto interessante alcuni elementi e non si può imputare al team creativo noncuranza o approssimatezza – l’evento porta avanti la macrotrama della serie, aggiunge nuove domande e lascia Eddie Brock in una posizione completamente nuova.
In ultima sede d’analisi, Absolute Carnage non è il finale che si aspettava dopo un anno e mezzo di storie, quanto più un passaggio fondamentale tra la fase A e B di Venom – un escamotage camuffato da evento Marvel.
Gufu’s Version
BATMAN #83 di Tom King e Mikel Janin
Una delle conseguenze più significative dello sviluppo dell’industria dell’intrattenimento negli ultimi venti anni è stata quella di aver trasformato la nostra percezione della realtà. Se fino a pochi anni fa cinema, fumetto e soci ci offrivano in pasto un numero sufficientemente basso di storie da digerire, oggi ne siamo circondati: intere serie tv da guardare nel giro di pochi giorni, film “evento” che si susseguono l’uno all’altro, fumetti “imperdibili” e quant’altro. Affrontiamo in un anno un numero di storie superiore a quello che i nostri nonni non hanno potuto sperimentare in una vita intera.
La logica conseguenza di questo fenomeno è che la narrativa ha tracimato nella realtà, facendo sì che ci appaia come l’unica dinamica ragionevole del mondo tanto da farci apparire come sbagliata l’esperienza – ben più monotona – del reale.
Tant’è che i pubblicitari più smaliziati hanno cominciato a utilizzare lo strumento della narrazione per piazzare i propri prodotti: quando si entra da Ikea non si guardano semplicemente dei mobili ma, attraverso l’attento allestimento di scenografie curate al dettaglio, si assiste alle vite di famiglie immaginarie; in politica gli staff della comunicazione di alcuni partiti hanno capito che dare in pasto al pubblico un colpo di scena ogni pochi giorni (indipendentemente dalla sostanzialità dello stesso) genera attenzione e porta voti.
Le logiche della narrazione, allo stato attuale sono vincenti in quanto vengono percepite come più reali della realtà.
Uno degli elementi più importanti nella scrittura di una storia è quindi quello della funzionalità di quello che viene messo in scena: nella stesura di una sceneggiatura non c’è spazio per l’esposizione, per la decoratività, ma deve essere tutto funzionale al proseguimento del racconto. Secondo Robert McKee (autore di “Story – Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e l’arte di scrivere storie) se una scena o un beat non apportano un cambiamento allora possono, anzi devono, essere tolti dalla sceneggiatura.
Per farla breve: se una sceneggiatura non porta avanti l’intreccio, non offre colpi di scena, piccoli o grandi che siano, non è funzionale e pertanto sbagliata. Perdipiù, visto quanto detto sopra, una narrazione che si appoggi sull’esposizione e non sull’azione verrà percepita come non realistica.
Arriviamo quindi (finalmente) a Batman #83, o più generalmente all’opera di Tom King.
Come detto più volte in queste pagine, King, alla ricerca di un punto di vista diverso sulla narrazione seriale, cerca di opporsi a questa “dittatura del colpo di scena” (o se preferite dittatura della narrazione) e decide deliberatamente di disinteressarsi dell’intreccio per concentrarsi sull’esposizione cercando approfondimenti sui personaggi, sulle relazioni tra gli stessi e cercando costantemente una connessione emotiva con chi fruisce l’opera.
Per riuscire nel suo intento lo scrittore cerca di sganciare la sceneggiatura del fumetto dal rapporto di subordine che vive con quella cinematografico/televisiva per agganciarla a una logica espositiva più comune al mondo della poesia, e lo fa senza nascondersi: nel caso specifico di Batman #83 l’autore esordisce e chiude con due poemi di Henry Wadsworth Longfellow.
N.B. DA QUI IN POI È TUTTO UNO SPOILER
Il primo è The Children’s Hour (1860)
“And there will I keep you forever,
Yes, forever and a day,
Till the walls shall crumble to ruin,
And moulder in dust away!”
Poema che apre una sorta di audiotestamento registrato da Alfred, il maggiordomo di casa Wayne, ucciso da Bane relativamente da poco tempo. Quest’opera di Longfellow celebra le gioie della vita familiare mettendole in un inquietante contrasto con i termini che useremmo per descrivere un assalto o una battaglia alla fine di un assedio: un esercito che si avvicino pronto a una “carica improvvisa” attraverso “porte lasciate incustodite”. Una scelta che riesce a suggerire la connessione familiare tra Bruce Wayne e il suo padre putativo Alfred e allo stesso tempo tenere presente la battaglia in corso tra Batman e la sua attuale nemesi: che non è Bane bensì Thomas Wayne, il padre biologico di Bruce. Un conflitto tragico-familiare che viene suggerito invece che spiattellato alla maniera delle soap-opera (“Bruce, l’assassino di Alfred non è Bane ma sono io. Tuo padre che viene da un mondo parallelo!” zan-zan e stringi l’inquadratura sul volto basito di Batman. Didascalia “to be continued”).
King e Janin proseguono la loro narrazione su due piani separati ma paralleli e connessi: da una parte vediamo Batman agire, elaborare il lutto e cercare una via di fuga dalla stanza in cui è chiuso; dall’altra leggiamo il testamento di Alfred che approfondisce, offrendo una sorta di flashback, il legame tra lui e il suo figlioccio. Non vediamo Bruce dirci quanto è addolorato, non c’è una sottolineatura didascalica che serve a spiegarci il dolore, ma assistiamo a una narrazione fatta da due voci distinte, come un accordo, che ce lo mostrano cercando di renderci partecipi sfruttando espedienti tipici della composizione e delle regole dell’armonia in musica (come visto anche QUI)
King chiude l’elegia funebre di Alfred, prima di passare alle ultime pagine dedicate a Batman, proponendo un altro poema sempre di Longfellow (stavolta citandone il nome): The Reaper and the Flowers
Con questo poema Longfellow cercava di venire a patti con la tragica morte, a seguito di un aborto spontaneo, della sua prima moglie: qui la morte viene descritta in termini umani, sofferente ma al servizio di Dio. È un poema catartico che permette a Tom King di far muovere il suo Bruce Wayne verso il passo successivo. Il confronto finale con l’Avversario.
Continuando la ricerca del linguaggio poetico lo scrittore propone, in fase risolutiva, lo strumento della rima riprendendo una frase del testamento di Alfred…
…inserendola in un contesto differente che ne muta il significato.
First Issue
LEGION OF SUPER-HEROES #1 di Brian Michael Bendis E Ryan Sook
Considerato l’andamento dell’albo, si può azzardare una chiave di lettura: l’autore chiede al pubblico di mettersi nei panni Superboy, originario del XXI secolo e appena giunto nel XXXI, mentre osserva con occhi spalancati la realtà che si trova davanti. Ecco allora che quel modo di parlare nevrotico, che caratterizza i personaggi di alcuni fumetti di Bendis, è giustificato dall’esperienza che sta vivendo e dalle novità incredibili che sta scoprendo. Ecco che la sua irrequietezza e il suo saltare di qua e di là nel desiderio di conoscere, comportano inevitabilmente uno sviluppo della trama rapido e a singhiozzi, nel quale la carne al fuoco sembra essere tanta, poiché coinvolge un nemico potente e indecifrabile, un’autorità ambigua, una componente fantascientifica che chiama in causa l’ambientalismo e l’immancabile avventura con quel sense of wonder un po’ retrò.