Cinque assassini nella pineta: ballate a fumetti

Il cartoonist olandese Erik Kriek mette insieme la sua passione per la musica folk anglosassone con quella per le storie che oggi si chiamerebbero noir. Il suo stile si adatta benissimo a questo mix, godibile nella sua penombra.

Di questo fumetto diviso in ballate ha già parlato Virio qualche mese fa, ma non ho potuto fare a meno di dire la mia..

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In the pines, in the pines,

where the sun never shines

and we shiver when the cold wind blows…

L’immaginario popolare di ogni paese è ricco di storie di ogni genere, non raramente storie di morte e di assassini, per allontanarne il timore. Da sempre, gli aedi prima, i menestrelli poi hanno usato la musica per rendere più lieve e godibile l’ascolto. E fin da tempi antichissimi affreschi e quadri hanno raccontato le storie ed esorcizzato le paure (basti pensare alle chiese medievali con le frequenti rappresentazioni dell’inferno). Le storie sono passate in modo del tutto naturale dal racconto, orale o scritto, ad altri media, da una parte la musica, dall’altra il disegno.

Così un fumetto che parli di storie che provengono dalla musica popolare si innesta in modo del tutto naturale in questo filone.

Erik Kriek ha pensato bene di trasporre a fumetti cinque ballate (Murder ballads le chiamano inglesi e americani) che raccontano storie di assassini e di assassinii, di vittime e di comprimari.

Lo ha fatto mettendo insieme canti tradizionali (alcuni dei quali possono essere trovati nel Great American Songbook) e canzoni più moderne, perché questo è un filone che mai si è esaurito, originario addirittura delle isole britanniche e poi esportato nel Nuovo Mondo.

Il lavoro di sceneggiatura ha aggiunto ai testi delle canzoni dei particolari che hanno arricchito coerentemente le storie, intensificando quel senso di angoscia che in un modo o nell’altro alla fine trova una sintesi nell’epilogo, a volte più tragico, a volte più “liberante” (come accade ad esempio in Caleb Meyer).

Pur essendo l’autore olandese, ma appassionato di questo tipo di musica e di storie, è riuscito a riprodurre le atmosfere indistinte già presenti nella sua trasposizione a fumetti di alcuni racconti di H.P. Lovecraft.

Le stesse atmosfere che ho apprezzato nella lettura anche di alcuni racconti di Sherlock Holmes (su tutti Il mastino dei Baskerville), e che oggi ritroviamo in alcune delle serie TV provenienti d’oltremanica (mi vengono in mente DCI Banks o Broadchurch) che d’oltreoceano (non essendo io un super appassionato del genere, non riesco a citare che Criminal Minds).

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Come ha detto anche Virio, l’ambientazione può non sembrare autenticamente americana, ma a me è parso in parte voluto. Per mantenere un legame con l’origine britannica ma anche per dare una generica connotazione, che consente al lettore di collocare i racconti in un mondo pseudoamericano, in cui trovare comunque elementi che lo facciano sentire sia a casa che vicino ai luoghi dove le ballate sono ambientate.

Un po’ come le città dei fumetti Disney…

E infatti il successo di quest’opera è andato ben oltre i confini olandesi e americani.

Anche se poi l’autoritratto che l’autore ci regala in fondo al libro con banjo, bretelle e bottiglia XX sembra testimoniare una maggiore immedesimazione nello spirito di monti Appalachi (e fa pensare un po’ a Luke e all’Insetto scoppiettante dei Wacky races).

La splendida bicromia (bianco, nero e un colore pastello, diverso per ciascuna delle storie e del tutto indistinto nelle pagine di passaggio), indipendentemente dalla tonalità del colore, che va dal rosa, al violetto, all’ocra, fa sì che ciascuna storia sembri svolgersi tutta in una sorta di crepuscolo. Infatti il bianco è usato soprattutto per separare le vignette e per dare volume ai personaggi e profondità alle scene, quindi lo sfondo non lo è quasi mai.

In questo modo si ha l’impressione di essere costantemente avvolti dalla foschia in una sorta di brughiera, e quando ciò non è possibile, come sulla nave del primo racconto Pretty Polly and the ship’s carpenter, c’è la pioggia a rendere le scene “faticose”.

Inoltre l’acqua del mare, dei laghetti, dei fiumi, nei colori e nelle linee grafiche, fa pensare a un liquido molto più viscoso e denso, quasi appiccicoso.

Kriek mi ha fatto pensare, sia per lo stile di disegno, molto pieno e con volumi sempre tondeggianti, sia per le ambientazioni, agli Assassini Vittoriani di Rick Geary, per quanto quest’ultimo sia sicuramente più luminoso nel tratto e didascalico nel racconto, ma con la stessa sensazione di angoscia e tragedia imminente.

Senso di angoscia che viene accentuato anche graficamente dalle vignette senza bordo, regolari o irregolari a seconda del contenuto: rettangolari quando raccontano momenti di passaggio o parti definite della storia, meno nitide, quasi come in sogno o offuscate dalla nebbia, quando ne raccontano le premesse del passato o la parte tragica.

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Senso d’angoscia che si vede in tutte le vignette che ci mostrano i pini dal basso in alto, che si ergono insormontabili, o da angolazioni inconsuete, come se fosse impossibile uscire dalla pineta dove l’orrore è ineluttabile.

Senso d’angoscia che si propaga per tutta l’opera sulle ali dei corvi che sono il trait d’union del libro, comparendo in volo e sulle tombe, come un triste presagio, in tutte le ballate, e legando idealmente gli episodi. Tornano ogni volta nei momenti di maggior pathos e alla fine della storia (tranne ovviamente sulla nave in mezzo all’oceano), come dei messaggeri.

E quasi ci si aspetta di sentirli parlare, come per il corvo del famoso racconto di Poe. Forse non a caso sono disegnati con il becco aperto e in maggior dettaglio proprio nelle pagine a ridosso delle storie, come se volessero parlare, e a sottolineare anche il simbolo che viene loro associato in diverse culture: quello del passaggio tra il mondo fisico e l’aldilà.

Le ballate, tutte e cinque, si leggono in pochissimo tempo. Le parole dei personaggi sono quasi inutili, le trame sono semplici, facilmente intuibili. E anche se si tratta di episodi separati, lontani nel tempo e nello spazio, vanno letti tutti insieme, perché altrimenti si perde il filo tessuto dai corvi nelle pinete.

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Lo stile grafico rende a sua volta necessaria una lettura tutta d’un fiato, quasi per liberarsi in fretta dalla nebbia appiccicosa che serpeggia nella pineta…

Da leggere ascoltando:

Murder Ballads, Nick Cave and the bad seeds, 1996

Hell among the yearlings, Gillian Welch, 1998

 

In the pines
Erik Kriek
Eris Edizioni
136 pagine
brossurato
17×24 cm
ISBN 9788898644193
16,00 €

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