Blankets: un “normale” capolavoro
Leggo fumetti sin da quando ho memoria, sono certo di essere finanche in grado, come molti altri appassionati, di ricollegare determinate opere a periodi “particolari” della mia vita. Credo tutti abbiano presente cosa intendo, è la stessa emozione che si prova quando, ascoltando le note di una canzone o una colonna sonora di un certo film, siamo in grado di rimembrare episodi pregressi, che si sono incisi nella nostra mente lasciando tracce indelebili.
Questa breve introduzione, noiosa e ricca di luoghi comuni, penso possa essere prodromica o almeno funzionale alla disamina dell’opera la cui (modesta, ci mancherebbe!) recensione mi accingo a proporre. Nella mente di ogni individuo rimane fervido il ricordo del primo amore, l’attimo in cui il cuore inizia a sussurrare emozioni che non avevamo mai provato o che credevamo fossero addirittura estranee alla nostra personalità. A pensarci da “grandi” (vogliate concedermi questo brutto termine, ma credo che parlando di grandi non si corra il rischio di pretermettere nessuno avendo un significato piuttosto omnicomprensivo) a quei momenti si prova tenerezza, li si ricorda talvolta anche con comicità, ma nessuno metterebbe in dubbio di quanto fossimo pervasi da un’emotività estremamente accentuata, che ci affliggeva, tormentava, per poi scioglierci con dolcezza come neve al sole.
Ed è questo che ci propone Craig Thompson con Blankets, una graphic novel autobiografica dove l’autore, magistralmente, riesce a cogliere con minuzia di particolari le reali sensazioni che un adolescente prova in quei momenti. In Blankets il lettore ripercorre, accompagnato per mano dai personaggi egregiamente caratterizzati, la giovinezza di Craig, un ragazzo che vive la sua intera fanciullezza in un contesto che non azzarderei a definire atipico (anzi) e fortemente iconografico. Mi spiego. L’accuratezza con la quale Thompson è in grado di denotare ambienti, nucleo famigliare del protagonista e personaggi è tale da richiamare alla mente qualche topos letterario, ma quel che è estraneo a Blankets è l’astrattezza o l’alienità. Le emozioni narrate sono talmente reali da non lasciare spazio a ritmi prosaici o comunque troppo azzimati e tali comunque da indurre il lettore a convincersi che l’autore si stia realmente raccontando senza filtri, esponendo al mondo con naturalezza e candore la sua vita da fanciullo, quella che l’ha poi condotto a divenire l’uomo odierno.
Craig Thompson non si esime dal manifestare come la sua famiglia, di forte impronta religiosa, abbia inciso con particolare nerbo sulla sua formazione caratteriale e umana, a tal punto che egli, divenuto adulto, è in grado di decidere cosa non vuole più essere o, almeno, come vorrebbe che la sua vita fosse impostata. La storia d’amore vissuta da Craig, che è tutto fuorché “barocca” (ampollosa e faziosa s’intende) è narrata in prima persona con umiltà ed enfasi (quanto basta) non lasciando incolti altri aspetti che l’autore vuole che i suoi lettori condividano e che nella storia si insinuano a contorno di un quadro più grande.
I compagni di scuola, il fratellino, la famiglia e la ragazza di cui si innamora costellano un personaggio complesso ma non troppo distante, quel che basta a indurci a ritenere che i suoi modi siano estranei alla nostra indole ma neppure troppo dai canoni ordinari.
Blankets è un capolavoro. Ha convinto critica e pubblico e si insinua a pieno titolo tra i romanzi grafici appartenenti al novero dei must have. Ogni appassionato non può esimersi dall’averlo in collezione, sia che siate lettori di comics, manga o graphic novel di altro genere, Blankets non può deludere, perché si accosta vertiginosamente a quei canoni di perfezione che ogni lettore pretende da un fumetto.
Daniele Paolanti