Wednesday Warriors #31 – Da Batman a Daredevil

In questo numero di Wednesday Warriors: AQUAMAN #48, DAREDEVIL #5 e BATMAN #71

In questo numero di Wednesday Warriors:

Bam’s Version

AQUAMAN #48 di Kelly Sue DeConnick e Viktor Bogdanovic.

Con la minaccia salina di Namma alle spalle ed un primo, solido arco narrativo a fare da sostegno per il futuro, Kelly Sue DeConnick da il via al nuovo story-arc di Aquaman con le brezze estive alle porte e un personaggio da ricostruire. Ferito, steso su un freddo tavolo, lontano da Atlantide e circondato da antiche e dimenticate divinità marine, “Andy” si trova a dover fare i conti con gli ultimi sviluppi di trama – il Campione dell’Oceano deve trovare un modo per colmare i vuoti della sua memoria.
I sottotesti mitologici portati da Kelly Sue DeConnick hanno completamente rivitalizzato la testata. L’autrice ha infuso un’aura mistica e affascinante al personaggio, colto al centro di una vera e propria guerra segreta tra le antiche forze oceaniche, una narrazione diametralmente opposta alla comunque solida scrittura di Dan Abnett, più concentrato sugli aspetti politici del personaggio. La DeConnick ha saputo modellare un intero pantheon senza intaccare il mythos del Re di Atlantide, proponendo un’ambientazione completamente nuova, co-protagonisti adatti e un mistero di fondo che sapesse scuotere il personaggio dalle fondamenta. Mai come in questa occasione, l’allontanamento dalle vicende Atlantidee e dalle sue meccaniche narrative – che, come già detto, Abnett aveva spremuto all’osso – hanno giovato particolarmente ad Arthur “Andy” Curry, naufrago senza memoria, adottato dagli abitanti di una misteriosa isola.
Dopo aver lavorato con un personaggio “vergine”, la DeConnick decide in questo story-arc di riportare Aquaman al suo vecchio status quo. Il protagonista della serie si imbarca in un viaggio abissale ed onirico, tra le fauci di un gargantuesco megalodonte: Madre Squalo, protettrice dei ricordi delle vittime del mare e custode dunque delle memorie perdute di Arthur Curry. Anche in questa occasione, è ammirevole notare la dedizione dell’autrice nell’inclusione di richiami mitologici reali nella narrativa di Aquaman. Lo Squalo come divinità – o come figura mitica – è presente in diverse culture, principalmente in quella Hawaiana. Non ci troviamo di fronte a niente di rivoluzionario, ma è corretto sottolineare come l’autrice stia cercando, riuscendoci, di diversificare il suo Aquaman rendendolo parte integrante di una cultura oceanica globale.
Il debutto di Mother Shark segna anche l’arrivo del secondo disegnatore, il Capulliano Viktor Bogdanovic. Le figure slanciate, taglienti segnano un cambio di stile brusco, ma non traumatizzante, dallo stile più morbido e dinamico di Robson Rocha – che tornerà con il terzo arco narrativo. Bogdanovic, già fattosi notare su serie come New Super-Man e Action Comics, mostra una discreta evoluzione mettendosi alla prova con elementi inediti al suo repertorio: momenti più silenziosi e riflessivi si alternano a grandi splash page “illustrative” con un buon ritmo.

Aquaman #48 rappresenta un’importante svolta e l’inizio di una fase cruciale per l’intera trama sviluppata da Kelly Sue DeConnick. Le ottime premesse costruite nella saga precedente forniscono adeguato supporto a questa nuova fase narrativa, che ha tutte le carte in regola per proseguire nel percorso di “ricostruzione” del personaggio.

DAREDEVIL #5 di Chip Zdarsky e Marco Checchetto.

Hell’s Kitchen non è più come una volta – o forse è il suo custode ad essere profondamente cambiato? Questa domanda rappresenta il fulcro dei primi cinque numeri di Daredevil.
Dopo un tragico incidente, Matt Murdock è stato costretto a continuare il suo sentiero di dubbio, scarsa autostima, rabbia repressa e cattive scelte. Senza mettere da parte la crescita interiore e i forti scossoni subiti dal personaggio in Man Without Fear di Jed MacKay, Chip Zdarsky e Marco Checchetto si sono rimboccati le maniche per consegnare ai lettori la peggior versione di Devil possibile. Sia chiaro però che questa affermazione trova riscontro non nella qualità effettiva della serie, tuttalpiù nel vero e proprio nucleo narrativo dell’arco narrativo Know Fear. Dopo l’esperienza pre-morte attraversata, Matt Murdock ha finalmente conosciuto la paura. Paura di sbagliare, di non essere all’altezza del proprio compito, di diventare vittima delle proprie, irrefrenabili pulsioni violente. Come già accennato, New York ed Hell’s Kitchen sono profondamente diverse: sotto il controllo del Sindaco Wilson Fisk, la caccia a Daredevil è diventata più intensa e feroce. La tensione artificialmente costruita da Zdarsky traspare dalle pagine – Daredevil si trova più volte braccato dal NYPD e dal nuovo Commissario e, allo stesso modo, la comunità supereroistica è sempre più preoccupata del modus operandi del Diavolo. È straordinario notare come la semplice instillazione di un dubbio, legittimo, abbia saputo scatenare una reazione effetto domino, capace di mettere in discussione la caratteristica fondamentale di Daredevil: cosa succede all’Uomo Senza Paura quando quest’ultimo ha paura di se stesso?

Metodica ed ansiogena, la scrittura di Zdarsky in questo primo arco narrativo praticamente perfetto squarcia il personaggio con una lama affilata, lanciandolo in una spregiudicata e pericolosa corsa nella notte Newyorkese. I pensieri di Murdock sono quelli di un uomo in balia della sfiducia e dell’ansia ma questo status travagliato non si riflette nelle potenti tavole di Marco Checchetto. L’artista italiano sembra aver fatto tesoro delle sue esperienze nel mondo urban Marvel: la sua New York e il suo Diavolo sono sporchi, sanguinanti e pronti a prendersi a pugno a vicenda. La colorazione di Sunny Gho si sposa perfettamente ai corpi dettagliati in fuga attraverso i vicoli di Hell’s Kitchen. L’azione rocambolesca sa quando far respirare ed i ritmi sono perfetti – la costruzione dell’ultima pagina è potentissima ed efficace, un momento di respiro per Devil e per il lettore; eppure, ancora, per il Diavolo Custode non sembra esserci pace.

Gufu’s Version

BATMAN #71 di Tom King, Mikel Janin e Jorge Fornes

Premessa: questo articolo è corredato di alcuni brani presi dall’intervista rilasciata da Tom King a Hollywood Reporter

Quante volte, nella vita di tutti i giorni, ci è capitato di risolvere un problema prendendolo a pugni? A me, personalmente mai, sebbene un paio di volte ammetto di averci provato. Credo che ci siano delle situazioni che possono richiedere metodologie così drastiche, tipo quando si è vittima di un’aggressione o si vuole vincere il titolo mondiale dei pesi massimi, ma credo che possiamo essere tutti d’accordo quando sosteniamo che “prendere a pugni cose e persone” non è la prassi standard del problem solving.
Nel mondo dei supereroi invece è così.

“Batman è l’eroe per eccellenza. Risolve ogni crimine; non puoi affrontarlo con una cosa semplice. Un piano per sconfiggere Batman deve essere stratificato; devi essere sei passi avanti a lui, perché è già cinque passi avanti. Ecco perché ha così tanti strati. Batman sconfigge Bane con una testata [nel #20], ma no – perché non è così che funziona.”

“Voglio dire, non è l’istinto più maturo: ‘Non importa chi mi affronterà, li prenderò a pugni’. Questo non funziona nel mondo reale. Il mondo reale richiede a volte di mostrare le tue vulnerabilità, e il mondo reale richiede che tu ti appoggi alle persone a volte, e ti richiede di commettere errori e di tornare da loro. Questo è ciò che gli sto lanciando contro. Richiede questa ridefinizione di ciò che Batman può essere, e ciò che può insegnarci di noi stessi. Gli permette, come ha fatto per anni, un modo migliore di essere, una via d’uscita che è meglio della semplice vendetta.”

Questo è solo uno dei tanti capisaldi del fumetto superomistico che Tom King e soci stanno scardinando in questa discussa run di Batman.
Vediamo gli altri:
L’assunto preferito dei fan dell’Uomo Pipistrello è quello che dice “Batman vince sempre”. Sempre, senza possibilità di scampo, senza se e senza ma. Che è l’estremizzazione di un canone del fumetto d’azione che non può fare a meno del proprio protagonista, in quanto nella maggior parte dei casi una sconfitta equivarrebbe alla morte dell’eroe.
Il Batman di King subisce continue sconfitte (o quantomeno non vince) da circa un anno se non di più. Anzi, ad osservare bene tutta la run dal primo numero del 2016 a oggi, probabilmente il Nostro non ha mai davvero vinto una volta.
Ed è proprio in questo episodio che questo ci viene detto in maniera forte e chiara per bocca di Alfred.

“Per me, l’arco ‘Knightmares’ era il più importante, forse dell’intera serie. Qui è dove abbiamo, in un certo senso, ‘slegato’ Batman. Abbiamo portato via la sua difesa. Il punto è che Batman non dubita mai della sua causa. La fine di “Knightmares” – la rivelazione che fosse quasi felice, che ce l’avesse quasi fatta, ma è stato il suo voto [quello di vendicare la morte dei suoi genitori] che gli ha impedito di esserlo – questo, per me, è: ‘Ora è vulnerabile’. Ora ha dei dubbi.”

Quello del linguaggio è un altro punto nodale: il fumetto popolare, o mainstream se preferite, esige che quanto è più vasto il tuo pubblico tanto più devi rivolgerti al suo minimo comun denominatore. Essendo Batman la testata di punta dell’intera DC Comics è obbligatorio che tutto venga raccontato in maniera estremamente esplicita e chiara anche al lettore più distratto. Se quindi su un personaggio di seconda o terza fascia si può e si deve giocare con la forma, sui fumetti ad alta tiratura queste “sperimentazioni” vanno contenute e ragionate all’interno di un contesto che sia comunque chiaro a tutti.
Questo non succede e non è successo nel corso dei precedenti 70 numeri e non succede nemmeno in questo settantunesimo: sebbene la narrazione degli eventi sia dilatata, King utilizza questo spazio per aumentare l’esposizione a discapito della spiegazione. Ogni dialogo racconta poco o nulla sottintendendo contenuti diversi, ogni passaggio è suggerito e raramente mostrato.

Questi fattori fanno sì che il percorso su due binari, illustrati uno da Janin e l’altro da Fornes, risulti spiazzante e costringa il lettore alla faticosa opera di “unire i puntini”, del cercare di capire il prima e il dopo e di leggere nei volti disegnati dai due artisti dei contenuti che non sono esplicitati in altro modo. Fornes ci disegna un Batman col capo chino e le spalle afflosciate, a un passo dalla sconfitta fisica ma già presente in nuce sin dalla prima tavola; Janin invece mostra il lato muscolare del protagonista e la rabbia visibile del volto sotto la maschera.
Per riprendere un parallelo con le nozioni di armonia possiamo dire che tutto l’albo è una nota sospesa che non trova risoluzione, non la soluzione attesa, non quella a cui decenni di letture di supereroi ci hanno preparato, l’ultima pagina dell’albo è una “cadenza dell’inganno”. Rimanda a una risoluzione vera che non sappiamo quando arriverà. E a questo punto non siamo sicuri se arriverà o meno.

 

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