Shin Kamen Rider – Ritorno alle origini del tokusatsu

Con l’uscita oggi 18 marzo 2023 di Shin Kamen Rider, Hideaki Anno chiude il suo grande progetto di revival del tokusatsu SJHU e firma forse la sua opera meno ambiziosa e più autoreferenziale, ma anche più popolare e prodromo per futuri sviluppi nel genere.

Poster di "Shin Kamen Rider" di Hideaki Anno.Quando il 17 febbraio 2007 Hideaki Anno fece affiggere nei cinema di tutto il Giappone gli ormai iconici manifesti neri con cui annunciava l’inizio del progetto Rebuild of Evangelion, chissà se già immaginava che di lì a 15 anni, nel febbraio 2022, avrebbe non solo rivoluzionato la sua opera principale e dato una svolta decisiva alla sua carriera, ma soprattutto avrebbe letteralmente rifondato il tokusatsu come genere nobile dopo decenni e decenni di sottostimate produzioni per bambini: quei bambini sono diventati grandi e ora fondano lo Shin Japan Heroes Universe (SJHU).

Nelle intenzioni di Anno e del suo ormai consolidato entourage (Higuchi, Maeda, Yamashita e tutti gli altri), lo SJHU si prefigge di prendere quattro titoli tokusatsu diventati icone assolute nell’immaginario otaku, ovvero Godzilla, Evangelion, Ultraman e Kamen Rider, ed elevarle a un tale livello contenutistico e tecnico, a un tale livello intellettuale e artistico, a un tale livello di sense of wonder, da rendere chiaro a chiunque che quelle che sembravano storielle per bambini hanno in realtà il respiro del mito e la potenza narrativa delle grandi narrazioni epiche popolari.

Dopo Shin Godzilla del 2016, Shin Evangelion del 2021 e Shin Ultraman del 2022, è infine arrivato il 17 marzo 2023 in première nazionale, e oggi 18 marzo in tutti i cinema giapponesi il quarto e ultimo capitolo del progetto: Shin Kamen Rider.

Noi di DF eravamo all’anteprima nazionale delle ore 18:00 del 17 marzo e possiamo raccontarvi in anteprima il film (spoiler segnalati!), che conclude nel bene e nel male, e ci sono entrambi gli aspetti, la parabola creativa di Hideaki Anno, ovverosia: con questo film il regista raggiunge l’apice del citazionismo reintepretativo che caratterizza da sempre la sua produzione e paga definitivamente tutti i debiti che aveva coi suoi maestri, cosa farà d’ora in poi è tutto da capire, in primis per lui stesso.

 

Il motociclista mascherato

Mentre le saghe di Godzilla ed Evangelion erano già celeberrime in tutto il mondo da ben prima della fondazione dello SJHU, Ultra e Kamen Rider lo erano e lo sono molto meno essendo arrivate in Occidente poco e male: di Ultra è uscita dall’arcipelago nipponico solo la primissima serie delle 34 attuali e nessuno delle dozzine di film, di Kamen Rider invece sono state realizzate perlomeno due serie TV remake statunitensi nel 1995 e nel 2009, ma sono prodotti sulla falsariga dei Power Rangers, ovverosia usano solo le scene d’azione dagli originali giapponesi (quando gli stunt hanno i costumi) piazzandole in un contesto narrativo totalmente ricostruito da zero negli USA, quindi le trame non hanno alcun legame con le opere originali.

Le due serie remake Masked Rider – Il cavaliere mascherato e Kamen Rider: Dragon Knight sono state entrambe comprate da Mediaset e trasmesse sui suoi canali (rispettivamente su Italia 1 e Hiro). Francamente sono pattume, a parte per la STUPENDA SIGLA di Masked Rider scritta da Alessandra Valeri Manera e Valeriano Chiaravalle e cantanta da Marco Destro, canzone fra le più commoventi nella storia della musica leggera italiana tutta.

 

Al contrario di Shin Godzilla e Shin Evangelion, che erano rielaborazioni completamente originali dei rispettivi titoli e quindi potevano benissimo essere visti da chi non conosceva le opere originali, Shin Ultraman e Shin Kamen Rider sono remake che, pur reinterpretando fortemente il materiale originale, vi restano comunque fedeli, ed è dunque utile presentare brevemente la serie originale di Kamen Rider prima di passare al film (si ringrazia Matteo Caronna).

Attenzione: sia nella serie TV del 1971-1973 sia nel film del 2023 alcuni personaggi vengono chiamati sempre per nome, altri sempre per cognome, altri sempre con il loro ruolo; si è scelto in questo articolo di seguire lo stesso metodo.

Nel 1970 alcuni produttori della Tōei vennero incaricati dall’emittente televisiva MBS di produrre per loro un nuovo lavoro. Decisa a creare una serie tokusatsu di supereroi, la produzione coinvolse il mangaka Shōtarō Ishinomori e da questo incontro nacque Kamen Rider. La serie andò in onda fra il 1971 e il 1973: raccontava le avventure dello studente universitario Takeshi Hongō che, dopo essere stato rapito e trasformato in un cyborg mezzo umano e mezzo cavalletta contro la sua volontà, riesce a scappare dalle grinfie dell’organizzazione criminale SHOCKER prima che gli venga fatto il lavaggio del cervello e decide di usare i suoi nuovi poteri sotto le sembianze di Kamen Rider per porre fine ai loro piani di conquista del pianeta. Il tono dei primi episodi della serie è cupo e melodrammatico: ad esempio il prof. Midorikawa, che aveva venduto il suo studente Hongō alla SHOCKER, se ne pente subito, ma viene assassinato dall’organizzazione e sua figlia poi si unirà a Kamen Rider; Hongō inoltre è un eroe sensibile e malinconico, che soffre per la sua condizione di cyborg che lo ha privato di parte della sua umanità ed è costretto a combattere contro gli esperimenti della SHOCKER che sono sì esseri mostruosi, ma sono anche dei cyborg proprio come lui.

Durante le riprese della prima decina di episodi, Hiroshi Fujioka, interprete di Hongō, subì un infortunio sul set durante uno dei tanti stunt e la produzione si trovò costretta a sostituirlo: nella storia Hongō viene quindi spedito a combattere la SHOCKER nel resto del mondo (in realtà l’attore era andato in riabilitazione) mentre in Giappone fa la sua apparizione un secondo Kamen Rider, Hayato Ichimonji interpretato da Takeshi Sasaki. Questo cambiamento divenne l’occasione per rinnovare la serie: Ichimonji viene caratterizzato in modo molto più gioviale di Hongō, vengono introdotti nuovi colorati personaggi di contorno fra cui vari bambini e le “Rider Girls” (ragazze di cui si circonda Ichimonji), e viene alleggerito il tono delle vicende, mossa che porterà gli ascolti a crescere considerevolmente. Ichimonji resta il co-protagonista della serie anche dopo la fine della convalescenza di Fujioka, che torna in pianta stabile come primo Kamen Rider dall’episodio 51 per combattere al fianco del secondo fino alla fine della serie, che si chiude con 98 episodi.

In parallelo alla messa in onda della serie, sulla rivista Shōnen Magazine di Kōdansha venne pubblicata la versione a fumetti di Shōtarō Ishinomori, nata per sponsorizzare la serie e sfruttata dall’autore per mettere su carta la sua versione del personaggio: rispetto alla serie televisiva, il manga manteneva i suoi toni cupi fino alla fine, accentuati da un forte uso del nero e da momenti di body horror, e conteneva persino espliciti messaggi politici non solo a difesa dell’ambiente, ma anche di condanna della classe politica dell’epoca.

Immagine promozionale da "Kamen Rider" di Tōei.
Quello col casco e costume interamente verde scuro è Takeshi Hongō ovvero Kamen Rider no.1, quello con i dettagli argentati sul casco e sul costume è Hayao Ichimonji ovvero Kamen Rider no.2: insieme sferrano un doppio Rider Kick contro il nemico. La foto acrobatica non tragga in inganno: Kamen Rider venne realizzato con due lire e solo l’ingegnosità dello staff riuscì a trasformare un telefilm-tappabuchi in un classico della cultura pop giapponese.

 

Nostalgia e novità

L’intenzione di Hideaki Anno di rimettere mano a questa pietra miliare dell’entertainment giapponese si colloca all’interno del suddetto progetto SJHU, un gruppo di opere ambientate in una sorta di mondo narrativo semi-condiviso attraverso alcuni espedienti artistici e narrativi, ad esempio attraverso il sistema dello star system tezukiano, ovvero il ritorno degli stessi attori in ruoli sospettosamente simili, ma diversi e con nomi diversi. In questo senso dunque lo SJHU non è come il Marvel Cinematic Universe o il DC Extended Universe, perché in questi due franchise statunitensi le opere sono effettivamente ambientate tutte negli stessi mondi narrativi e tutte con gli stessi personaggi, cosa che non succede nei film di Anno: simili, ma diversi.

Per Shin Kamen Rider, Anno ha chiarito il suo approccio all’opera di Tōei/Ishinomori durante un’intervista con il cast svoltasi il 30 settembre 2021 al museo NACT di Minato (Tōkyō), dov’era allestita una grande mostra retrospettiva sulla sua intera carriera: il regista ha raccontato che intendeva realizzare un renewal, cioè un’opera a metà fra il remake vero e proprio e l’opera originale con elementi originali, e che convogliasse messaggi attuali in un’ambientazione e con uno stile attuali. Anno ha dichiarato testualmente:

Non è solo nostalgia, voglio anche integrarci cose nuove… d’altro canto, non ho mica intenzione di buttar via la mia nostalgia. Voglio fare un’opera rivolta a quelli che 50 anni fa ogni settimana si divertivano vedendo Kamen Rider, ma anche rivolta a bambini e giovani d’oggi al tempo nemmeno nati che vedendola ci troveranno cose interessanti. Adesso non voglio pescare nello spazio intermedio fra nostalgia e novità, ma cercare il modo di realizzare un’opera che le fonda insieme.

Assolutamente chiarissimo, e giusto per rimarcare la sua intenzione di frullare passato e presente, ha pubblicato una top 10 dei suoi episodi preferiti della serie, che giocoforza contengono gli elementi contenutistici e formali che gli stanno più a cuore e che dunque avrebbe reintegrato in Shin Kamen Rider.

L’ispirazione da Kamen Rider non è cosa nuova per Anno: nel suo film Cutie Honey del 2004, in tutto e per tutto antesignano della serie SJHU al punto che lo si potrebbe considerare l’episodio zero e rinominare informalmente Shin Cutie Honey, il regista inserisce una citazione letterale dall’episodio 1 della serie TV del 1971, quando gli scagnozzi della SHOCKER circondano e girano intorno al protagonista.

Una scelta che riproporrà anche in Shin Kamen Rider.

 

Trama

La trama di Shin Kamen Rider prende le mosse da quella di Kamen Rider, ma se ne distacca notevolmente com’era nelle intenzioni di Anno.

Attenzione: questo paragrafo contiene spoiler importanti.

Un ragazzo e una ragazza fuggono in moto da due camion in uno spericolato inseguimento stradale: lei è Ruriko Midorikawa, figlia del professore in biotecnologie Hiroshi Midorikawa, che sta scappando dall’organizzazione terroristica SHOCKER di cui ha fatto parte con suo padre per anni, lui è Takeshi Hongō, una delle vittime dell’organizzazione, trasformato in un cyborg mezzo umano e mezzo cavalletta, e i due camion trasportano un ragno, o meglio uno degli agenti della SHOCKER anch’egli un ibrido umano-animale che sta inseguendo Midorikawa per punirla in quanto traditrice. Dopo aver messo in salvo la ragazza coi suoi nuovi poteri, Hongō si fa spiegare da lei e suo padre che SHOCKER recluta membri trasformandoli in ibridi umani-animali, e che è stato proprio il prof. Midorikawa a cooptare Hongō, cosa di cui ora è infinitamente pentito: lui e la figlia gli chiedono di usare i suoi poteri per eliminare l’organizzazione e gli donano una sciarpa rossa conferendogli il titolo di Kamen Rider. L’uomo-ragno elimina il prof. Midorikawa, ma Hongō riesce a sconfiggerlo e a salvare Ruriko: da ora in poi i due viaggeranno insieme, con l’aiuto di due misteriosi rappresentanti del Governo giapponese, per eliminare uno dopo l’altro i vari boss di SHOCKER (ibridi uomo-pipistrello, donna-scorpione, donna-vespa, uomo-camaleonte-lucertola, eccetera) fino ad arrivare al vertice della piramide. Hongō è fortemente spaventato dai suoi immensi poteri fisici e di agilità (spicca salti impossibili) e prova orrore nello sporcarsi col sangue, pur se di esseri ormai certamente non più umani, ma col tempo capisce che il contrasto a SHOCKER è inevitabile e anzi evitarlo sarebbe immorale dato che il suo scopo pare sia trasformare l’intera umanità in ibridi animali mentalmente assenti e soddisfatti di vivere in un «mondo habitat» perfetto.

Dopo vari nemici, Hongō deve affrontare un altro uomo-cavalletta: è Hayato Ichimonji, fortissimo e mentalmente succube di SHOCKER, ma sarà Ruriko a riportarlo al suo stato mentale purificandolo attraverso uno scambio di prana, la misteriosa energia vitale scoperta dal prof. Midorikawa che i membri elitari dell’organizzazione acquisiscono (succhiandola dagli esseri umani) e usano per nutrirsi, guarire le ferite, aumentare la forza e persino arrivare alla vita eterna. Dopo aver donato la sciarpa rossa a Ichimonji, conferendogli il titolo di Kamen Rider no.2, Ruriko resta vittima di un attentato dell’uomo-camaleonte-lucertola e muore: i due Kamen Rider, dopo averla vendicata, trovano delle videolettere registrate da Ruriko in cui li ringrazia per la loro guerra contro SHOCKER e contro gli errori suoi e di suo padre e li sprona ad andare avanti. Per esaudire le ultime volontà di Ruriko, i due corrono in moto verso la sede dell’organizzazione: sulla strada sono ostacolati da numerosi altri ibridi uomo-cavalletta, ma dopo averli sconfitti si trovano di fronte al capo Ichirō, fratello di Ruriko, sorta di santone che ha deciso di usare l’energia della prana scoperta dal padre per annichilire tutto il genere umano portandolo a una sorta di vita sub-umana in un «mondo habitat» ideale così che non esistano più i problemi e la tristezza, come quella provata da lui quando morì sua madre. Ichirō è anche il primo esperimento di suo padre: è Kamen Rider no.0, dalle forme di farfalla, splendido e fortissimo. Dopo un estenuante combattimento, Hongō e Ichimonji riescono a sconfiggere Ichirō, ma Takeshi deve sacrificare tutta la propria energia e muore.

Nel finale, i due membri del Governo, Taki e Tachibana, consegnano il casco tutto rovinato di Hongō a Ichimonji, ora l’unico Kamen Rider che corre verso l’orizzonte: Ichirō è sconfitto, ma SHOCKER è ancora attiva?

Immagine promozionale da "Shin Kamen Rider" di Hideaki Anno.
Ruriko Midorikawa (Minami Hamabe) fra i due Kamen Rider, Hayato Ichimonji e Takeshi Hongō (Tasuku Emoto e Sōsuke Ikematsu, rispettivamente a sinistra e a destra), con le loro rispettive moto Cyclone.

 

Ridurre, riusare, riciclare, in una parola: reinventare

Nel suo tentativo di far rivivere la magia del 1971 sia ai bambini di allora sia ai bambini di oggi, Anno si mantiene da una parte estremamente fedele al materiale originale (soggetto, nomi e loro uso, ambientazioni, cattivi di schiuma e altri effetti speciali casalinghi, costumi dei due Kamen Rider, SHOCKER, eccetera), dall’altra lo modifica in maniera ai limiti dell’horror inserendo due inediti e terribili elementi caratterizzanti.

Il primo, di tipo narrativo, è la prana, sorta di energia vitale che fa parte delle credenze delle tradizioni religiose induiste, dove rappresenta più o meno quello che è l’anima nelle tradizioni religiose occidentali; in particolare, l’equilibrio della prana porta all’equilibrio psicofisico della persona, un po’ come nella medicina dell’antica Grecia.

In Shin Kamen Rider la prana è presentata come un fluido vitale vagamente simile al nen di Hunter×Hunter e usata dai membri di SHOCKER: si può scambiare fra persone e, se assorbita interamente da un’altra persona, porta a una condizione superumana a prezzo però della morte dell’altro. Il modo in cui lo scambio di prana è presentato nel film è inquietantemente, inquietantemente, inquietantemente simile alla devozione verso le figure dei santoni delle sette religiose: senza particolari spoiler in contesto, quando una delle boss chiede la prana a un suo galoppino per diventare più forte, questi le risponde «Con piacere», si fa assorbire la prana e muore. La sensazione è disturbante, ma non nuova nel mondo narrativo di Anno, che già in varie occasioni aveva messo in scena episodi di subordinazione mentale, come Gargoyle sull’imperatore Neo in Nadia – Il mistero della pietra azzurra, o evocato metaforicamente sette religiose di ieri e di oggi, in particolare nel Progetto per il perfezionamento dell’uomo di Gendō Ikari di Evangelion, sorta di para-culto universale in cui i fedeli si privano del corpo per entrare in una dimensione omogenea universale incorporea. Fatta di prana.

Piccolo dettaglio per niente piccolo: la sigla SHOCKER sta per “Sustainable Happiness Organization with Computational Knowledge Embedded Remodeling”, veramente un nome più che sospetto e con un riferimento all’utopica «felicità sostenibile» (?) veramente in stile setta religiosa.

Confronto fra un mandala indiano e un fotogramma da "Shin Kamen Rider" di Hideaki Anno.
Sopra: un telo ricamato a lampasso risalente all’inizio del XVI secolo e proveniente dall’Assam (India) decorato con un motivo a mandala di fiore di loto, tipico delle civiltà del subcontinente indiano e ancora oggi spesso usato come cornice intorno al monogramma in sanscrito om. Lo stesso motivo compare anche come una sorta di aureola in moto perpetuo dietro al boss di SHOCKER, interpretato da Mirai Moriyama (sotto). Trivia: om si pronuncia anche aum, sì esatto lo stesso aum di Aum shinrikyō, quindi in pratica il boss di SHOCKER usa un’iconografia che rimanda direttamente a una setta criminale: due più due fa quattro.

L’altro aspetto che spinge Shin Kamen Rider verso terreni semi-horror (in Giappone il film è vietato ai minori di 12 anni non accompagnati) è la sua componente visuale veramente forte. Il film presenta scene di combattimenti con una violenza inusitatamente esplicita anche per Anno, che pure nelle sue opere non aveva mai lesinato immagini forti (come i fiumi di sangue che fluiscono dagli Angeli abbattuti di Evangelion), ma che qua perdono quel valore estetico e surreale, e dunque non veramente pauroso, e ne assumono uno grezzo e verosimile, e dunque veramente pauroso, raggiungendo un livello di brutalità quasi da exploitation movie, col suono delle ossa craniche spaccate dai pugni di Kamen Rider e gli schizzi di sangue sul vetro della cinepresa.

A ciò si aggiunge il fatto che questi combattimenti così efferati, anche quando si svolgono all’aperto e di giorno, sono comunque ripresi con una fotografia quantomai insatura, terrea, fosca, e con un’abbondanza di colori sobri e spogli (inclusi quelli del vestiario dei personaggi umani) e soprattutto di nero impossibile da non notare. L’intera atmosfera di Shin Kamen Rider è tratti veramente acluofobica, e in effetti già il trailer finale dà una chiara idea che il film non è tutto lustrini e arcobaleni:

Infine, ci sono i cattivi, ovvero i boss di SHOCKER. Mentre nella serie Kamen Rider del 1971-1973 i nemici erano chiamati kaizō ningen (cioè cyborg, ma letteralmente vuol dire “umani rimodellati”), nel film di Anno si chiamano molto annescamente Jingai gōsei-gata Augumented (traducibile come “Modelli di sintesi senzienti Augumented”, dove con “senziente” si intende senziente come una macchina, non umano, non come una persona) o per brevità Aug. Tutte le creature ibride persona-animale di SHOCKER si chiamano qualcosa-Aug: Kumo-Aug (kumo è “ragno” in giapponese), Kōmori-Aug (kōmori è “pipistrello” in giapponese) eccetera, fino a Batta-Aug (batta è “cavalletta” in giapponese) ovvero Kamen Rider stesso. La scelta di sottolineare quanto Kamen Rider non sia in effetti diverso in niente dai cattivi che combatte, che sia anzi né più e né meno che uno di loro a parte per la basilare differenza che lui ha scelto di non essere come loro, è Anno al 100%, anche qua rintracciabile metaforicamente già in Evangelion poiché le Unità Eva e gli Angeli non sono sostanzialmente diversi, se non per il diverso lato della barricata in cui si trovano (quindi in effetti era Evangelion a essere Ishinomori al 100%, uhm).

Ebbene, tutti questi Aug FANNO PAURA. L’uomo-ragno è ancora passabile, un po’ cyberpunk un po’ Matrix, ma già l’uomo-pipistrello è una sorta di freak al contempo ridicolo e inquietante (un tipo di ruolo grottesco a cui è ormai abituato l’attore Tōru Tezuka, storico collaboratore di Anno & co., era quello che chiede alla protagonista di masturbarlo in Love & Pop, il maggiordomo del boss finale in Cutie Honey, un impiegato comunale random di Nihon chinbotsu, il ministro dell’educazione in Shin Godzilla, era poi l’hacker in Gamera 3 e per la cronaca ha partecipato anche al film del 2009 del franchise di Kamen Rider, quello con la sigla di Gackt), la donna-scorpione è camp senza essere per niente risibile (e propone uno dei soli due spunti sul tema dell’erotismo in tutto il film, ci torniamo sotto), la donna-vespa è la figlia ricca di Asuka Sōryu Langley e Beatrix Kiddo, eccetera eccetera, tutti con caschi che sembrano usciti da incubi notturni e tutti segnati da orrende ferite… no, nemmeno ferite: spaccature della cute sanguinanti e profonde fino al muscolo che attraversano tutto il loro corpo. Orrore.

Se già la serie TV del 1971 era relativamente molto paurosa considerando il target infantile, elementi così forti come la violenza sanguigna, l’abbondanza di nero e i cattivi con la pelle tagliata sono tutti elementi che vengono invece dal fumetto di Ishinomori, dai toni molto più horror della serie TV: l’ennesimo segno di devozione di Anno a uno dei suoi grandi maestri.

Fotogrammi da "Shin Kamen Rider" di Hideaki Anno.
Sopra, Tōru Tezuka interpreta l’uomo-pipistrello Kōmori-Aug in elegante completo bianco; sotto, Nanase Nishino interpreta la donna-vespa Hachi-Aug in splendido kimono dorato (probabilmente ideato da Moyoco Anno, che già aveva collaborato al design di Scarlet Claw, pure in kimono, in Cutie Honey). Mostri violentissimi, scurissimi e orrendissimi. Piccola nota su Hachi-Aug, deadname da umana Hiromi: è palesemente la Asuka della situazione, carattere tsundere, tendenza a dare soprannomi e look con codini e fermagli inclusi.

Che l’aspetto horror del film sia una caratteristica specificatamente ricercata è confermato da Mahiro Maeda, designer dei riuscitissimi costumi del film e storico collaboratore di Anno, il quale in un’intervista sul numero di marzo 2023 della rivista di moda SO-EN ha raccontato che:

Il Kamen Rider che vedevamo in TV quand’eravamo bambini faceva paura, ma proprio per quello ci appassionava. Le trasformazioni erano insieme curiose e orrende, a pensarci ora erano una forma di “trasformazione” in morte. [La morte] è un argomento che attrae naturalmente gli uomini, ad esempio anche in alcuni rituali religiosi si usano maschere e costumi che rappresentano esseri provenienti dall’altro mondo. Quando Kamen Rider indossa la maschera non è più né uomo né insetto: pensare che un essere del genere proteggeva la pace del mondo e la libertà degli umani fa capire quanto fosse una storia curiosissima. Stavola [nel film] abbiamo dato particolare importanza alla parola-chiave “transform“.

E in questa dichiarazione c’è letteralmente tutto il film.

 

Non più di tanto service service

Come avviene sempre nelle migliori narrazioni simboliche, anche in Shin Kamen Rider il Thanatos (spinta alla morte) è freudianamente accompagnato dall’Eros (spinta alla vita), rappresentati rispettivamente dall’orrore e dalla sessualità. È uno dei temi dialettici certamente più ricorrenti di Anno e più noti e analizzati dal suo fandom, che ne hanno segnalato la presenza fin dalle primissime opere. In questo senso, ripercorrere il modo in cui l’Eros è rappresentato nelle opere del regista equivale in qualche maniera a ripercorrere la sua intera carriera e l’evoluzione della sua poetica.

In Shin Kamen Rider il tema è affrontato in maniera sorprendentemente pacata e sottotono rispetto agli standard di un autore che ha abituato il suo pubblico a vagine in fronte, full frontal improvvisi, mutande in faccia e in generale che ha fatto del fan service erotico un marchio di fabbrica a partire dall’ormai storico Gainax bounce. In effetti il film si concentra molto più sulle altre due tipologie standard di fan service, ovvero quello tecnologico e soprattutto quello della violenza, relegando quello erotico a pochissime e castissime scene.

La prima riguarda la donna-scorpione della SHOCKER (interpretata da Masami Nagasawa), la cui prima inquadratura la vede ritratta dalla caviglia in su fin dentro la gonna con uno spacco vertiginoso, e che anche durante il suo combattimento sarà sempre ripresa in modo da esaltare le sue gambe affusolate e allungate da décolleté coi nastrini sui polpacci. Nonostante ciò, la donna-scorpione resta un mostro assassino e con un look fra i più disturbanti del film, quindi il suo bel fisico e l’abbigliamento provocante si collocano più nella sfera del grottesco che dell’erotico: è una bambola per giocare, non una donna vera. L’altra boss femminile di SHOCKER, la donna-vespa, è ancor più bambola e ancor meno donna, letteralmente una Barbie con un bel vestito e un bel set di mobili; non ha alcuna connotazione erotica (nemmeno simbolica, come quando Beatrix Kiddo deflora con la katana O-Ren Ishii in Kill Bill), e l’unico appiglio narrativo possibile per gli autori di dōjinshi sarà di immaginarsi una fantasia lesbo con Ruri-Ruri.

Attenzione: da questo punto in poi il paragrafo contiene spoiler.

Totalmente all’opposto delle due boss di SHOCKER si colloca Ruriko Midorikawa, che al contrario delle suddette è totalmente donna e per niente bambola. In una delle scene migliori del film, Ruriko e Hongō sono chiusi insieme in un enorme tendone messo a loro disposizione dal Governo in cui possono riposarsi, ma è completamente vuoto, senza pareti interne o pannelli divisori, e i due sono dunque forzati ad avere rapporti personali; Ruriko chiede a Hongō di lavarsi perché puzza (ma poi non vediamo il bagno né di lui né di lei, occasione mancata); poi Ruriko ordina a Hongō di non pensare nemmeno «cose erotiche» quando andranno a dormire, e lui non sa nemmeno di cosa lei stia parlando; ancora, quando Ruriko si denuda per cambiarsi d’abito lo fa avvolgendosi completamente in una coperta fino al collo nonostante Hongō restasse di spalle; infine, quando vanno a dormire affiancano i futon, Hongō dorme supino mentre Ruriko di lato e si parlano gentilmente senza guardarsi.

Non sfuggirà al fan di Anno quanto queste dinamiche di coppia fra Hongō e Ruriko siano sovrapponibili con quelle di Shinji e Asuka di Evangelion. Eppure, c’è una differenza enorme: Shinji e Asuka erano ragazzini ormonali che più o meno volontariamente pensavano sempre al sesso, Hongō e Ruriko sono adulti tranquilli che non hanno alcuna ossessione erotica. Se Shinji non può non guardare il petto di Asuka quando se lo trova davanti, Hongō ormai ha soddisfatto il desiderio e può dormire sereno a fianco a una donna. Il paragone fra i 30 anni narrativi che dividono Shinji e Asuka da Hongō e Ruriko e i 30 anni trascorsi fra la loro creazione nella vita reale del loro autore Hideaki Anno appare inevitabile.

 

Il cinema è animazione

Uno degli aspetti più interessanti della serie TV Kamen Rider del 1971 è il fatto che fu realizzata da Tōei con un budget visibilmente risibile: gli effetti speciali poverissimi anche per i tempi, i costumi awkward tipo l’incomprensibile blazer a doppiopetto di Takeshi Hongō, le location rimediate (tipo la base segreta di SHOCKER foderata di plastica da imballaggio, quella con le bollicine che si fanno esplodere con le dita) sono aspetti che lo spettatore adulto non può non notare, ma che risultano ininfluenti sul target infantile, e da questo punto di vista la serie funzionava e funziona tuttora decorosamente. Quello che invece funziona e molto sullo spettatore adulto è l’ingegno profuso dai realizzatori per sfruttare al massimo i pochi mezzi che avevano e inventarsi soluzioni creative artigianalissime e raffazzonatissime, ma spesso incredibilmente creative e funzionali, per ovviare alla mancanza di fondi. L’idea dei cattivi che si sciolgono in schiuma (mostrati come un video in cui viene pompata schiuma da un foro del pavimento, ma mandato al contrario e quindi la schiuma sembra ritirarsi nel pavimento invece che fuoriuscirne) o che si dissolvono come fili che scorrono via (realizzati con fili in controluce), l’abuso onirico e oppiaceo di luci colorate e fumi misteriosi che in realtà servivano a coprire mancanze tecniche, gli stunt totalmente assurdi e montati in maniera incoerente con le effettive azioni di combattimento, sono soluzioni che avrebbero suscitato l’entusiasmo di André Breton e degli artisti surrealisti.

Tutto questo è stato recepito da Anno a pieno e in tempi non sospetti: per citare di nuovo il già pluricitato Cutie Honey del 2004, ormai senza dubbio episodio sperimentale, o se si preferisce episodio zero dello SJHU, la tecnica della honeymation (una sorta di stop-motion con l’azione ripresa fotografando gli attori in pose impossibili fotogramma per fotogramma) è appunto un’eredità delle soluzioni poverissime ma efficacissime della serie del 1971. L’idea viene ripresa, e moltiplicata a un livello di complessità immensamente maggiore, nella scena col combattimento fra Kamen Rider e Hachi-Aug (la donna-vespa), tutta in notturna e coi personaggi che muovendosi lasciano scie di luce che ricordano forse volontariamente Akira di Ōtomo. Veramente notevole.

Fotogrammi da "Cutie Honey" di Hideaki Anno.
Due fotogrammi da Cutie Honey, l’inizio di tutto. Sopra: uno screenshot da una delle varie scene in honeymation, geniali. Sotto: il primo ruolo di Mikako Ichikawa in un film di Anno non si scorda mai; dopo questo film l’attrice collaborerà col regista altre due volte (ops, spoiler).

 

Tirando le somme

Ora, dopo tutto questo lunghissimo panegirico su quanto il film sia importante poiché omaggio a uno dei capolavori della storia della cultura pop giapponese e a Shōtarō Ishinomori, a quanto sia complesso e profondo nei suoi valori metaforici, a quanto sia studiato nella sua realizzazione pratica, a quanto sia segno dei tempi per gli spettatori e per il regista, in breve, a quanto sia ricco nelle intenzioni e riuscito in molti aspetti, potrebbe sembrare inaspettato leggere a questo punto che Shin Kamen Rider è una delle opera meno riuscite in assoluto nella carriera registica di Hideaki Anno, se non la meno riuscita in assoluto. Eppure è così, almeno per l’opinione di chi scrive.

Mi dispiace scrivere quanto sto per scrivere, ma Shin Kamen Rider mostra un Hideaki Anno invecchiato. Non è più un incendiario, è un pompiere. Non è più un progressista, è un reazionario. Non è più antisistema, è il sistema. In sintesi, è invecchiato.

Nonostante tutti i pregi possibili immaginabili, la visione del film è lineare e scorrevole, ma fondamentalmente noiosa o quantomeno noiosa per gli standard a cui Anno ha abituato il suo pubblico in termini di shock visivo, di ritmo dell’azione, di climax emotivo, di immagini iconiche e di abbinamento immagine-suono. Shin Kamen Rider non spunta nessuna di queste caselle:

  • quanto allo shock, una volta esauritasi la sorpresa iniziale per i combattimenti splatter, il resto del film appare semplicemente, immotivatamente gore senza sapersi reinventare o giustificare tale consumo di sangue finto;
  • il ritmo è incredibilmente mal gestito: si parte in quinta con un inseguimento in strada adrenalinico ma poco chiaro (la cinepresa sembra sempre piazzata al posto o al momento sbagliato, tipo gli ostacoli con cui vanno a sbattere gli avversari di Kamen Rider vengono mostrati dopo che ci sono andati a sbattere… che senso ha?), poi si rallenta, poi di nuovo colpo di scena!, poi noia, poi OMG UN MOSTRO, poi spiegone, eccetera eccetera per due ore un minuto e 13 secondi di tira e molla;
  • per il precedente motivo non c’è un gran climax generale verso il finale del film, ma nemmeno nelle singole scene dato che il montaggio è così frenetico che molto semplicemente spesso non si capisce cosa stia succedendo, gente che se mena;
  • sull’impatto visivo, dopo aver prodotto per decenni immagini che puoi sentire e che hanno sconvolto più di una generazione (esempi? Due ragazze in un ascensore, una sediolina in un teatro scuro, una mano coperta di uno schizzo bianco, altro?), evidentemente Anno si è accorto che il suo pubblico apprezza le sue simmetrie e i suoi treni e i suoi panorami di Ube e deve aver capito che ormai non c’è bisogno d’inventarsi altro e può andare avanti lasciando la marcia in folle;
  • infine la musica: per la prima volta da Cutie Honey del 2004 (rieccolo), Anno non ricorre alla collaborazione di Shirō Sagisu preferendogli invece Taque Iwasaki, compositore di sicuro mestiere e legato a franchise di successo come R.O.D, Sfondamento dei cieli Gurren Lagann, Bungō Stray Dogs e moltri altri, ma che per il film non produce altro che riletture di dubbio gusto delle musiche originali della serie TV o brani sospettosamente simili a quelli di Sagisu, e alla fine le parti migliori della colonna sonora sono quelle non scritte da Iwasaki, ovvero i due brani di Mozart e di Vivaldi inseriti in scene di snodo della trama.
Fotogramma dal video parodia "Girls react to Shinji fap.".
SHOCK GENERAZIONALE.

Shin Kamen Rider vuole essere una rilettura contemporanea del telefilm del 1971, e ci prova fortissimamente ispirandosi a un soggetto solido e storicizzato, partendo con le migliori intenzioni nel rispetto delle generazioni, inserendo innumerevoli temi e motivi visivi cari ad Anno e quant’altro, ma quel che ottiene è purtroppo solo una versione depotenziata dell’originale, che vuole omaggiare di cuore senza prendersi però alcun rischio, come il rischio di cambiarla. Anno è troppo, troppo fan per farlo.

Lo Shin Kamen Rider di Anno non è poi così shin rispetto a Kamen Rider del 1971: al netto delle modifiche di trama necessarie ad Anno per esprimere i suoi messaggi (messaggi peraltro già espressi più volte e in maniera più convincente nelle opere precedenti, metafora delle sette religiose inclusa), l’unico vero cambio del film rispetto alla serie TV è il punto di vista che cambia da quello dei due Rider a quello della figlia del prof. Midorikawa, stop, per il resto è tutto uguale. E questo non è necessariamente un bene, perché dimostra, o perlomeno offre il fianco alla possibilità di dimostrare che la vena creativa di Anno o si è esaurita o, peggio, di fronte all’autorità non si permette di fare un gesto artistico e politico preciso, ovvero imporre la propria visione autoriale.

Lo Shin Godzilla di Anno del 2016 è MOLTO più diverso dal Godzilla di Ishirō Honda del 1954 rispetto a quanto Shin Kamen Rider lo sia dal Kamen Rider del 1971: molto più elaborato, molto più personale, molto più sfaccettato e interpretabile e aperto a una enorme possibilità di letture anche contraddittorie fra di loro, Shin Godzilla continua tuttora a far discutere gli spettatori e i critici cinematografici. È stato un film incendiario, divisivo e fortissimo prima ancora che bello o brutto. Shin Kamen Rider invece è pompiere, unificante, debole: piacerà a tutti, farà tanti soldi e venderà tanti gadget, e stop, capitolo chiuso.

Confronto fra fotogrammi da "Shin Godzilla" e "Shin Kamen Rider" di Hideaki Anno.
Senza alcun confronto qualitativo: Shin Godzilla interroga costantemente e deliberatamente lo spettatore su cosa sta guardando, Shin Kamen Rider propone allo spettatore una storia da guardare. Nessuno dei due approcci è giusto o sbagliato né facile o difficile, ma intrattengono con lo spettatore rapporti diversi: nel primo caso è richiesto un livello di partecipazione, interazione e discussione molto maggiore che il secondo non richiede. In questo senso lo spettatore, i suoi gusti, le sue aspettative e altre variabili possono influenzare enormemente il godimento di questi due film così diversi.

Poi naturalmente è innegabile che il film è una vetrina per i quarant’anni di arte maestria sapienza sacrificio professionalità di Anno, quarant’anni di esperienza che si vedono tutti: lo studio del design dei personaggi, i costumi, i colori, la grafica, tutta l’eredità dell’animazione portata in campo dallo staff dei fedelissimi dai tempi della Gainax, e poi il montaggio a un livello di sofisticazione veramente ai massimi storici mondiali. Ma la pigrizia di certe messinscene, la logorrea inarrestabile dei personaggi che non riescono a chiudere la bocca nemmeno quando si prendono a cazzotti sul muso, e il formalismo delle scelte di composizione (ormai una parodia di sé stesso) rendono Shin Kamen Rider nemmeno brutto o noioso, no, peggio: accomodante. Un film forse meno inventivo, meno ambizioso, meno coraggioso, meno polemico e meno divisivo dei precedenti del regista. Un film per tutti.

Essere per tutti e dunque popolari è un difetto per un film? Essere particolarmente devoti all’opera originale quando si gira un renewal (come suddetto, Anno non lo considera un remake, giustamente) è un difetto per un creator (la precisa parola usata da Maeda quando parla di Anno nell’intervista a SO-EN, non regista non sceneggiatore non autore, no, «creator»)? Qualunque risposta a entrambe le domande è lecita.

In una recente intervista per il sito web giapponese Pia, il regista Mamoru Oshii ha dichiarato che considera Anno «più un produttore che un regista», ovvero un uomo d’affari che è disposto ad abbassare il livello della sua arte e della comunicazione pur di farle arrivare al maggior numero di persone possibile (attenzione: non lo dice come critica, ma come constatazione di un metodo comunicativo). Oshii si è spinto fino a dire che mentre per i registi della sua generazione come lui e Hayao Miyazaki comunicare un tema è una priorità, in particolare comunicare temi che mettono in discussione critica certi aspetti della società, per quelli delle generazioni successive come Anno, ma anche Mamoru Hosoda e Makoto Shinkai, la priorità sta nello stile comunicativo poiché fondamentalmente raccontano sé stessi e non un concetto (anche qua, non è critica, ma constatazione di un approccio diverso). Shin Kamen Rider è in effetti molto autoreferenziale e dunque dà ragione a Oshii: è un film in stile Anno realizzato col team solito di Anno ambientato nella città di Anno dedicato a un mito di Anno con attori feticcio di Anno che leggono battute di Anno espressione dei temi ricorrenti di Anno. Alla fine questo film è un autoritratto del regista.

In breve: Shin Kamen Rider è un buon film se l’avesse diretto chiunque altro, ma potrebbe essere considerato una delusione se collocato all’interno del percorso artistico di Anno poiché segnala con grande chiarezza una fase, se non di declino artistico, quantomeno di acquietamento del linguaggio e di rilassamento creativo.

Anno, sei invecchiato.


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©Ishinomori Production, Toei / 2023 “Shin Kamen Rider” Production Committee

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