Oceania – Il canto del cigno del Rinascimento Disney
Alla vigilia dell’uscita di Oceania 2, riscopriamo il primo Oceania: film meraviglioso nelle immagini, edificante nel messaggio e con una complessità strutturale e musicale seconda a nessuno.
In linea generale credo nella ciclicità delle cose. La storia si ripete la maggior parte delle volte: gli Eugenio in Via di Gioia cantano «Il futuro è circolare, guardati indietro se vuoi arrivare», ed è per questo che l’attuale carenza creativa di casa Disney non mi preoccupa più di tanto, stiamo semplicemente vivendo un nuovo Medioevo caratterizzato da un produzione infinita di remake, spin-off, prequel e sequel allo scopo di fare cassa e a discapito di opere originali, in particolare nella serie dei Classici (i film animati per il cinema). Non che sia un fenomeno nuovo, sia chiaro: già nel 1990 venne prodotto Bianca e Bernie nella terra dei canguri esplicitamente per capitalizzare sul buon nome Le avventure di Bianca e Bernie del 1977, ultimo successo prima di una serie di flop commerciali durante gli anni 1980, e anche durante gli anni 1990 sono stati prodotti molti episodi 2 e 3 dei Classici (alcuni peraltro rispettabilissimi). Tuttavia, il primo fu un episodio isolato fra i Classici mentre i secondi erano prodotti da studi minori e destinati al circuito home video e non alla grande distribuzione cinematografica; quello a cui stiamo assistendo da qualche anno è invece uno sfruttamento sistematico ed estenuante di franchise già avviati come Disney non aveva mai fatto finora.
Ne è purtroppo l’ennesimo esempio l’uscita di Oceania 2 nelle sale domani 27 novembre, un’opera pensata per essere inizialmente una serie TV e poi trasformata in film (pessima premessa) nel disperato tentativo di riportare i fan nelle sale dopo i clamorosi flop degli ultimi anni, incluso l’innominabile oltre che inguardabile film del centenario. E se ho cercato di chiudere gli occhi davanti ai mille Toy Story, all’annuncio di altri due Frozen e agli altri sequel non richiesti, Oceania 2 invece purtroppo mi colpisce nel vivo in quanto sono personalmente molto legata all’originale e lo ritengo indubbiamente il migliore Classico degli ultimi 20 anni, membro onorario del Rinascimento con qualche anno di ritardo.
Non uso queste parole con leggerezza, Oceania merita in tutto e per tutto di essere riconosciuto come film in stile Rinascimento (pur essendo in CGI), d’altronde lo staff dietro le quinte appartiene proprio a quegli anni: i due storici registi Ron Clements e John Musker sono stati la scintilla che ha fatto partire il Rinascimento con La sirenetta nel 1989 e hanno poi continuato a contribuire con Aladdin ed Hercules; agli stessi film ha collaborato Eric Goldberg, icona dell’animazione, tornato con loro per animare in 2D tutti i tatuaggi di Maui (per caso vi ricordavano le silhouette usate in Hercules? Forse perché sono state fatte proprio dalla stessa persona!). Se a questo uniamo il fatto che sia un musical con protagonista una principessa in una storia a struttura fiabesca con un classico viaggio dell’eroe… ecco che abbiamo la perfetta descrizione di un Classico da Rinascimento, e prima che venga molto probabilmente deturpato da un sequel che non ha nessun membro dello staff originale è giunto il momento di analizzarlo a fondo per apprezzarne la bellezza.
Il film è una storia originale che mette insieme la leggenda polinesiana di Maui con la “lunga pausa”, un curioso fatto storico reale di cui non si hanno reali spiegazione, ovvero i mille anni in cui per qualche misterioso motivo i polinesiani smisero di navigare: Oceania racconta del perché questo fatto è accaduto.
Un elemento apprezzabile sin dai primi secondi di proiezione è la sperimentazione creativa del film: si tratta sì di un’opera in CGI, ma con elementi di tecnica mista estremamente apprezzabili. Il film si apre infatti con un’animazione in 2D con elementi cut-out raccontando la storia di Te Fiti, dea in grado di creare la vita, e del furto del suo cuore che ha portato distruzione nel mondo. Ci viene poi subito presentata Vaiana e immediatamente viene inquadrata come una bambina diversa, mentre gli altri urlano lei ride, mentre tutti sono spaventati lei è incuriosita: imprinting istantaneo del perché LEI è la protagonista del film, a rafforzare quest’idea nella scena seguente la vediamo fare un piccolo sacrificio per poter salvare una tartaruga ed essere così notata dall’oceano che la sceglie come sua “prescelta” per premiare la sua gentilezza. Dopo neanche dieci minuti abbiamo già una descrizione molto precisa del personaggio e ci viene presentato anche il conflitto: il padre la porta via dall’acqua perché «non si deve andare lì», Vaiana viene strappata al suo volere per imparare il suo dovere ovvero come diventare il nuovo capo dell’isola.
È qui che parte la prima canzone-presentazione corale del mondo e del conflitto, un altro classico del Rinascimento: allo stesso modo in cui Belle si struggeva per essere una diversa nel suo villaggio cantando accompagnata dai compaesani o Aladdin spiegava il suo modo di vivere inseguito dalle guardie, così anche Vaiana canta del suo voler scappare verso l’oceano mentre gli altri abitanti le spiegano che sull’isola ha tutto ciò di cui ha bisogno; la grande differenza con gli altri esempi però è evidente: in questa canzone Vaiana canta pochissimo! Al contrario di Belle e Aladdin che sono protagonisti (seppur scontenti) della loro storia, Vaiana subisce la pressione del suo popolo, la sua voce ribelle è spesso bloccata da altri personaggi e dalla necessità di dover diventare qualcuno di importante.
Nota: per quanto l’adattamento italiano sia buono, in questo articolo verranno analizzati solo i testi in inglese scritti da uno dei migliori liricisti del nostro tempo, ovvero Lin-Manuel Miranda.
Where You Are, il titolo da solo sottolinea il conflitto di Vaiana: in una storia che vuol essere un viaggio alla riscoperta di sé stessi, alla ricerca del “who” tutti gli altri cantano del “where“. Viene ripetuto molto spesso «we need», il grande problema di Vaiana: scegliere fra ciò che lei vuole e ciò di cui gli altri hanno bisogno. All’interno della canzone la parola «we» è ripetuta ben venti volte (senza contare i cori di risposta), inizialmente in modo più sporadico fino a questo paragrafo:
We use each part of the coconut, that’s all we need
We make our nets from the fibers
The water is sweet inside
We use the leaves to build fires
We cook up the meat inside
In questa parte la parola «we» è quasi onnipresente, si ripete persino due volte in una frase e nell’unica in cui sembra mancare c’è comunque un rimando con la parola «sWEet». Tutto questo avviene in risposta all’UNICA frase che canta Vaiana nella prima parte della canzone: «I wanna see» (che rima magnificamente con «sea» giocando con il doppio significato di voler vedere e volere il mare).
L’unica volta che riesce a far uscire la sua voce contrasta tutti gli altri «we» con un «I», ma è una voce flebile che non riesce a emergere soffocata dalle altre; nella seconda parte della canzone infatti Vaiana non canta affatto, è solo spettatrice sofferente finché non riesce a scappare verso l’unica persona dell’isola che sembra capirla: sua nonna che comincia anche lei la sua parte con «I» («I like to dance with the water»). La nonna è isolata sia nel testo che nelle immagini, è sola a ballare sulla scogliera, è l’individualismo contro la collettività, ed è l’unica a esprimere un pensiero diverso: «that voice inside is WHO you are». Non più un “where“, ma un “who“.
Nell’ultima parte della canzone Vaiana, dopo un discorso del padre, si unisce al coro accettando il suo destino, eppure il conflitto rimane perché cambia continuamente fra «I» e «we», ovverosia anche se cerca di nasconderlo continua ad avere desideri individuali.
So here I’ll stay
My home, my people beside me
And when I think of tomorrow, there we are
La differenza fondamentale fra personaggi come Belle e Vaiana è che lei ha un sincero amore per la sua condizione iniziale: il motivo principale per cui Belle vuole andarsene dal suo villaggio è perché non si sente capita e vuole «vivere di avventure», cambiare completamente vita, mentre il conflitto di Vaiana nasce proprio dal voler essere sia un buon capo che viaggiare per mare: questo sentimento viene perfettamente spiegato prima nella scena in cui orgogliosamente aiuta tutti gli abitanti e poi nella classica I want song, archetipo menkeniano di canzone da musical in cui il protagonista canta di ciò che appunto vuole. How Far I’ll Go è introdotta da un dialogo con la madre: scopriamo che già il padre aveva provato ad affrontare l’oceano, fallendo. Questo contestualizza l’irremovibilità dei genitori nel vietarle di navigare, non è semplice testardaggine ma volontà di proteggerla, e inoltre rafforza anche l’idea che abbiamo della volontà di Vaiana che anche di fronte all’evidenza che «a volte quello che vogliamo essere, quello che voglia fare non è possibile» continua a non rinunciare. Grande enfasi sul «vogliamo», il contrasto è di nuovo fra volere e dovere, difatti una delle prime frasi della canzone sintetizza tutto il film:
I wish I could be the perfect daughter,
but I come back to the water
no matter how hard I try.
Nella prima parte della canzone abbiamo due idee che si scontrano, dopo un inizio lento il tempo della musica si fa più serrato con un crescendo di violini mentre Vaiana canta di ciò che NON può fare e del suo dovere di capo per poi passare a una melodia più distesa con i fiati quando davanti all’oceano si libera cantando di quello che sente di voler fare. Quindi molto chiaramente violini = strumenti che non usano la voce = dovere, fiati = strumenti che usano la propria voce = volere. I violini ritornano ancora più serrati quando poi canta di come tutti siano felici sull’isola (stavolta è proprio la parola «island» a essere ripetuta più volte con sempre più enfasi, il problema è sempre il “where“), se tutti stanno bene evidentemente il problema è dentro di lei, no? Ma quando corre di nuovo verso l’oceano tornano i fiati che stavolta SI UNISCONO ai violini: la musica ci sta indicando chiaramente che il sogno di Vaiana non è solo viaggiare, ma far coincidere la sua passione con il suo ruolo, solo quando entrambe le realtà coesisteranno sarà felice. Ed è proprio per questo che il primo tentativo di navigare fallisce: Vaiana prende la barca per andare a pescare e aiutare il suo popolo, cercando di negare il fatto che sia anche un suo desiderio, ma quello della pesca è chiaramente solo una scusa e così la barca si ribalta e viene rimandata a riva dopo aver rischiato di annegare.
Vaiana decide di rinunciare al suo sogno letteralmente mettendoci una pietra sopra, infatti ogni capo villaggio aggiunge una pietra a una pila quando accetta il suo ruolo (la scena si svolge guarda caso al tramonto, la fine del giorno, la fine del sogno), ma la nonna le rivela un’antica verità: in origine il loro era un popolo di navigatori. Parte la canzone We Know theWay con cui viene rivelato il passato è in gran parte cantata in samoano, come molto altri brani di sottofondo, questo è stato possibile grazie alla collaborazione di Opetaia Foa’i, compositore e cantante samoano, e viene così mostrato un enorme rispetto per la cultura polinesiana: ben pochi sono i casi in cui in un musical Disney si è spinto a utilizzare la lingua originale, soprattutto per intere canzoni, l’unico altro esempio è Coco con un’intera canzone in spagnolo che è comunque una delle lingue più parlate al mondo, mentre scegliere volontariamente di lasciare una canzone in una lingua ai più sconosciuta ma riuscendo comunque a far capire il messaggio tramite le immagini è stato un atto incredibilmente coraggioso e rispettoso, plauso. Nella parte inglese invece vale la pena sottolineare come nuovamente viene messo in luce il messaggio del film nel passaggio:
We know where we are
We know who we are
Le due cose non si escludono a vicenda, anzi solo convivendo riescono a funzionare, solo conoscendo la tua strada puoi conoscere chi sei. Nonna Tala informa Vaiana che solo attraversando l’oceano e restituendo il cuore di Te Fiti la sua isola sarà salva: finalmente Vaiana ha una vera motivazione per DOVER viaggiare per mare e che è stato l’oceano stesso a sceglierla, è scritto nel destino, lei deve farlo.
Nel frattempo si è fatta notte, è l’ora più buia e proprio in quel momento Vaiana decide di partire spronata dalla nonna sul letto di morte. La fuga ricorda quasi quella di Mulan: di notte, di nascosto, piena di paura ma con la certezza che sia la cosa giusta da fare. Un’unica, enorme, differenza: la madre di Vaiana la scopre. Nonostante ciò l’aiuta e la lascia partire, seppure inizialmente questa possa sembrare una cosa positiva, non fa altro che aggiungere pressione sulle spalle di Vaiana: persino sua madre che voleva proteggerla sa che lei DEVE farlo, la carica ancor più del peso delle aspettative.
La reprise di How Far I’ll Go mi fa piangere ogni volta. Sempre. Vaiana parte lasciandosi tutto alle spalle e nonostante lo «I can’t turn back» si guarda indietro mentre è sulla barca e in quell’istante ogni luce si spegne, l’isola diventa scura, non è più il posto dove deve stare, ora deve andare nell’oceano guidata dalla luce della manta (spirito della nonna), ha una guida a garantirle che quella è la strada giusta. Solo all’ultimo momento, quando sa di essere rimasta da sola, la vediamo sorridere guardando davanti a sé dando le spalle all’isola.
From the great unknown where I go alone
Where I long to be
Il viaggio comincia e Vaiana scopre di avere a bordo anche Hei-Hei, pollo mononeurone che oltre a fare da spalla comica diventa un ulteriore carico da portare, anche quando finalmente sta realizzando il suo sogno non può dimenticare di farlo per aiutare qualcun altro. Fun fact su Hei-Hei: inizialmente il personaggio era COMPLETAMENTE diverso, doveva essere super intelligente e aiutare attivamente Vaiana, ma i registi si resero conto che non stava funzionando così diedero un ultimatum agli artisti: poche ore per ricreare da zero il personaggio o sarebbe stato eliminato, e così fecero la cosa più semplice e ribaltarono completamente la sua personalità, ottima scelta.
Nonostante non sappia guidare una barca, con l’aiuto dell’oceano Vaiana arriva sull’isola di Maui, che non è però molto collaborativo. In You’re Welcome il semidio illustra tutte le leggende della mitologia polinesiana e viene di nuovo utilizzata l’animazione 2D, la stessa identica tecnica dell’inizio del film quando appunto si narravano le gesta di una dea, perfettamente coerente.
Anche i tatuaggi di Maui come precedentemente detto sono totalmente animati in 2D e la sua backstory (letteralmente, dato che è posta proprio alle sue spalle) è coperta dai capelli, volontariamente nascosta da lui stesso. I tatuaggi sono infatti anche la sua parte più onesta, la sua coscienza: mini-Maui cerca di far ragionare il vero Maui che vuole abbandonare Vaiana, un piccolo ottimo espediente per farci capire che nonostante appaia egoista e presuntuoso, è un personaggio positivo. Vaiana, con l’aiuto dell’oceano, riesce a convincere Maui a partire insieme inizialmente per recuperare almeno il suo amo da pesca e il viaggio continua.
N.B.: l’oceano aiuta Vaiana sempre e solo DOPO sue azioni, tentativi falliti o richieste dirette del suo aiuto, non ha mai l’iniziativa. Non trasporta semplicemente la barca sull’isola di Maui, ma aiuta Vaiana solo dopo che la ragazza ha già navigato abbastanza e in un momento di estrema difficoltà prega il suo aiuto la fa naufragare sulla spiaggia. E quando Maui tenta di scappare, l’oceano aspetta che Vaiana cominci a nuotare per prenderla di peso e portarla sulla barca.
Dopo lo scontro con i kakamora (espediente per dimostrare a Maui ciò di cui Vaiana è capace) i due si dirigono a Lalotai, il regno dei mostri dal design a dir poco meraviglioso. Il tempo passato in questo posto è breve ma essenziale. Si tratta di una “missione secondaria”, un film dentro il film il cui scopo è creare un vero legame fra i due protagonisti. Mentre si dirigono all’entrata, Maui espone i suoi dubbi sul fatto che Vaiana sia la persona adatta all’impresa, al che lei viene costretta a ripetersi di essere stata scelta, che ciò che sta facendo è il suo dovere (imposto da qualcun altro) e una volta entrati in Lalotai la vediamo per la prima volta spaventata, nonostante tutto il suo coraggio rimane molto umana e per prima dubita di sé stessa.
A questo punto entra in scena Tamatoa, il meraviglioso splendente Tamatoa. Non credo di poter fare un lavoro migliore di Schaffrillas Production che spiega il perché sia un grande personaggio in quasi un’ora e mezza di video essay, quindi mi limiterò a poche righe: si tratta di un vero classico villain Disney, niente plot twist, nessuna pragmatica ragione al suo essere incredibilmente avaro ed egocentrico perché sì, un nemico semplice, diretto e che svolge alla perfezione il suo ruolo, mettere in difficoltà i due protagonisti che si aiutano a vicenda e creano un forte legame. Non avrebbe avuto senso che Vaiana e Maui si fidassero l’uno dell’altro senza conoscersi, invece rischiando la vita insieme viene a crearsi un rapporto solido in pochissimo tempo. Aggiungiamoci il fatto che Tamatoa non comparisse in nessun trailer o poster, un personaggio totalmente inaspettato con una canzone super orecchiabile, a surprise to be sure but a welcome one. Letteralmente cinque minuti di presenza nel film sono sufficienti a delineare alla perfezione il personaggio e a renderlo iconico, come?, semplicemente rendendolo l’esatto opposto di Vaiana, se il messaggio del film è la riscoperta di sé stessi e di ciò che siamo dentro di noi, Tamatoa celebra l’esteriorità prendendo persino in giro gli insegnamenti della nonna:
Did your granny say listen to your heart
Be who you are on the inside
I need three words to tear her argument apart:
Your granny lied
Infine come se non avesse fatto abbastanza, nell’ultima parte della sua bellissima canzone Shiny Tamatoa ci da un indizio sul trauma di Maui, la palette si inverte e da buffo si trasforma in minaccioso mentre Vaiana sfrutta la bioluminescenza dei materiali di Lalotai per ingannare il nemico, quella che finora sembrava essere solo un scelta estetica è un dettaglio fondamentale.
Dopo aver rischiato la vita, Vaiana e Maui sono finalmente pronti ad aprirsi l’una con l’altro e in un momento di estrema sincerità Vaiana ammette le sue insicurezze, di non credere di essere all’altezza del suo compito e di andare avanti solo perché DEVE, ciò spinge Maui a raccontarle del suo passato e di come sia convinto di essere riuscito a diventare chi è solo perché era il volere degli dèi e tutta la sua sicurezza deriva dall’amo che loro gli hanno donato, non sarebbe nulla senza quello. Maui ha passato esattamente quello che sta passando la ragazza, ha compiuto grandi imprese per altri dopo essere stato scelto da qualcuno: ironicamente è proprio Vaiana a spiegargli che è stato lui con le sue forza a realizzare quelle imprese, anticipando la lezione che lei stessa deve ancora imparare sulla sua pelle: non sono gli altri a determinare ciò che siamo. Anche in questo caso l’uso delle ore del giorno è quasi didascalico: i due raccontano delle loro debolezze nella notte e quando queste vengono risolte e superate si vedono le prime luci dell’alba.
Vale la pena notare anche un altro dettaglio: i tatuaggi sulla schiena di Maui sono le caratteristiche che delineano il suo carattere, la sua spina dorsale si potrebbe dire: c’è la sua nascita con il trauma che ne è derivato, posta in alto per essere nascosta dai capelli come Maui cerca di nascondere il fatto agli altri e a sé stesso; l’acquisizione dell’amo fondamento dei suoi poteri e fonte della sua fiducia e presunzione, si trova al centro della schiena essendo l’elemento centrale del suo carattere; l’emersione delle isole prova della sua forza e la sconfitta da parte di Te Ka che l’ha portato a dubitare di sé stesso sono due facce della stessa medaglia e in quanto tali sono speculari ai lati della schiena; in ultimo in basso la folla urlante, la basa della sua ragion d’essere.
Una volta ammesse le sue debolezze e ritrovato sé stesso, Maui riacquisisce completamente i suoi poteri sulle note di Logo Te Pate, canzone non scritta per il film ma pre-esistente di Te Vaka che canta di una danza fatta insieme, solo con l’aiuto di qualcun altro poteva superare i suoi ostacoli, e così finalmente i due si dirigono a da Te Ka.
Vaiana cede il cuore di Te Fiti a Maui, convinta che sia compito suo rimetterlo a posto, però nonostante la fiducia ritrovata il semidio sembra avere la peggio contro Te Ka, in quel momento Vaiana tenta un azzardo ma fallisce miseramente. I due vengono spazzati via, la barca ha subíto dei danni e ancor più grave l’amo è stato incrinato così come la sua fiducia nella missione e in Vaiana. La scena si svolge ovviamente di notte, ma diversamente da tutte le altre che abbiamo visto finora stavolta il fumo copre le stelle, non siamo solo in un periodo buio, siamo nel più buio, senza neanche una piccola luce, senza speranza. Mentre Vaiana ripete a Maui (ma soprattutto a sé stessa) di essere stata scelta dall’oceano e che per questo devono ritentare, lui la abbandona con le parole più dure che la ragazza temeva di sentirsi dire: «Ha scelto male». Le parole colpiscono la ragazza al punto che restituisce il cuore all’oceano pregandolo di scegliere qualcun altro, qualcuno più adatto, qualcuno di migliore che sia veramente speciale, non come lei. Qualcun altro riporterà il cuore al suo posto, non lei, non è necessario che sia lei.
Vaiana ha fallito.
Ha rinunciato alla missione e ha perso tutto.
Da sola, crolla in lacrime nel buio più assoluto.
Ma un flebile «no», un piccola voce che non vuole arrendersi richiama lo spirito di nonna Tala. Un’unica luce mentre il cielo è ancora coperto e l’animo ancora turbato. La nonna libera Vaiana dall’ultimo giogo che la teneva legata: se vuole può tornare a casa, il peso che le aveva messo sulle spalle era troppo pesante e può liberarsene.
Vaiana non ha più il DOVERE di continuare il viaggio, non per l’oceano, non per la sua isola, non per la sua famiglia, è pronta a ripartire eppure nel momento di immergere il remo si blocca, senza capire cosa sia a trattenerla.
Inizia qui I am Moana (Song of the Ancestors). Una delle canzoni più belle della Disney e nessuno mi farà cambiare idea al riguardo. Il primo paragrafo è una descrizione dall’esterno di Vaiana, come è vista dagli altri e quale ruolo la vedono ricoprire, nonna Tala le si avvicina fino ad arrivare ad accarezzarla:
I know a girl from an island → «Io sono Vaiana di Motonui»
Così più volte si è presentata durante il film, il posto da cui proviene è parte della sua identità, lei è la persona che è proprio perché viene dall’isola, MA:
She stands apart from the crowd → nonostante l’amore per le sue origini, lei è comunque diversa, non è solo una dei tanti fra la folla, ha una sua voce e individualità
She loves the sea and her people → il conflitto centrale del film, il desiderio di viaggiare ma di essere comunque un buon capo
She makes her whole family proud → una rassicurazione fondamentale nel momento più duro di Vaiana, quando crede di aver fallito e deluso le aspettative le viene ricordato che la sua famiglia è ancora e sarà sempre fiera di lei
Il secondo paragrafo invece è sul viaggio e la sua missione, quindi specularmente la nonna si riallontana da lei come il viaggio ha allontanato Vaiana dalla sua famiglia, ma la ragazza le cammina dietro perché lo scopo della missione era rincorrere proprio il desiderio di salvare le persone che erano lontane da lei:
Sometimes the world seems against you
The journey may leave a scar
But scars can heal and reveal just
Where you are
Torna il «where you are», titolo e tema della primissima canzone. Laddove però prima indicava il posto dove era nata, cresciuta e le chiedevano di restare, qui si tratta di dove è riuscita ad arrivare, combattendo e ferendosi, vivendo. Un classico di Lin-Manuel Miranda riutilizzare le stesse parole, ma attribuirgli un significato diverso. Le cicatrici le vediamo sulla barca e verranno poi riparate dalla stessa Vaiana con un filo molto spesso, il segno resta ma indica il superamento delle difficoltà.
A contrapporsi al “where” ovviamente nel terzo paragrafo c’è finalmente il “who“, Vaiana e nonna Tala sono perfettamente al centro della nave, l’una davanti all’altra e il fumo che copriva le stelle è scomparso. Il cielo e le stelle che finora venivano citate con il “where” si mischiano all’oceano sempre associato al “who“, entrambi sono di nuovo limpidi e tutto si sta chiarendo:
The people you love will change you
The things you have learned will guide you
I due elementi contrapposti e complementari: le persone e le esperienze, che nel caso di Vaiana si traducono nel dovere e nel volere. Il contesto in cui nasci e cresci, le persone con cui vivi, le cose che fai, i fattori esterni plasmano la tua persona, MA:
And nothing on Earth can silence
The quiet voice still inside you
Nonostante le influenze degli altri c’è anche l’individualità, c’è la persona che siamo, due persone possono affrontare in modo diverso la stessa esperienza e trarne interpretazioni diverse in base a ciò che sono.
And when that voice starts to whisper
“Moana, you’ve come so far
Moana, listen
Do you know who you are?”
E alla fine si riduce tutto a questo: Vaiana deve avere il coraggio di ascoltare solo la sua voce, quella di nessun altro, per questo passando al paragrafo seguente lascia le mani della nonna, le da le spalle e si allontana da lei per cantare la sua versione:
Who am I?
I am the girl who loves my island
I’m the girl who loves the sea
It calls me
I am the daughter of the village chief
We are descended from voyagers
Who found their way across the world
They call me
Sembra ripetere solo ciò che è stato già detto nel primo paragrafo, ma in realtà aggiunge il sentire una chiamata, non solo dall’oceano ma anche dal suo popolo. La stessa chiamata dal dovere e dal volere.
I’ve delivered us to where we are
I have journeyed farther
I am everything I’ve learned and more
Still, it calls me
Nonostante l’impegno e il fallimento, nonostante sia già arrivata più lontano di quanto si pensasse, ancora la chiamata non si è fermata. Lo spirito del suo antenato china la testa in forma di rispetto, ma ancora sente di dover andare avanti, fino alla risoluzione:
And the call isn’t out there at all
It’s inside me
It’s like the tide, always falling and rising
La voce che la chiamava era dentro di lei, non era solo il dovere, era lei stessa a voler viaggiare a voler andare avanti. A detta dei registi, il messaggio del film era «Diventa ciò che sei destinato a essere perché VUOI e non perché DEVI» e questi versi lo esplicano perfettamente, non importa quante chiamate vengano da fuori e quali difficoltà ti butteranno a terra, la voce che ti farà sempre andare avanti viene da dentro.
I will carry you here in my heart
You’ll remind me
Come what may, I know the way
I am Moana!
Il cuore come guida. Vaiana si getta in acqua e recupera il cuore di Te Fiti, e il gesto è molto significativo: mentre prima era stato qualcun altro a darle un incarico, stavolta è lei a scegliere sé stessa, lei con le sue forze nuota fino a riprendersi la sua missione diventandone per la prima volta veramente protagonista; fino a quel momento infatti il suo ruolo era accompagnare Maui a restituire ciò che aveva rubato, ma le sue nuove parole sono «Io sono Vaiana di Motunui, a bordo della mia barca solcherò il mare e restituirò il cuore di Te Fiti» (piango).
In una meravigliosa sequenza che va di nuovo dalla notte al giorno, Vaiana arriva di nuovo a Te Fiti dove viene di nuovo raggiunta da Maui: per la sua risoluzione è necessario che anche lui, parallelamente alla ragazza, perda tutto e così nel combattimento contro Te Ka Maui sacrifica il suo amo. Nel frattempo Vaiana scopre che il mostro di lava è la stessa dea che cercavano di salvare, Te Fiti, che nel perdere il suo cuore ha perso la sua guida e la sua voce interiore.
L’ultima canzone del film, Know who you are, è di poche parole ma pregna di significato:
I have crossed the horizon to find you
I know your name
They have stolen the heart from inside you
But this does not define you
This is not who you are
You know who you are
Per poter restituire il cuore e l’identità a Te Fiti, Vaiana doveva prima capire a sua volta l’importanza di ascoltare la propria voce a dispetto di quella delle altre. Non è importante che lei abbia viaggiato a lungo o che sappia il suo nome, è solo Te Ka a poter decidere di sé stessa, e lei decide di tornare ad essere Te Fiti.
Maui ottiene un nuovo amo (dopo aver capito che la sua identità non si basa su di esso), Vaiana ha una nuova barca e Te Fiti torna a dormire, happy end. Ah no, c’è altro, perché Vaiana ha sì realizzato il suo desiderio e compiuto la sua missione, ma non sarà mai completa finché non sarà anche un vero capo, così tornata a Motunui diventa ciò che era destinata ad essere… ma a modo suo, insegnando al suo popolo a viaggiare e ampliare i propri orizzonti.
In conclusione, Oceania pur essendo considerato dai più un buon film è indubbiamente, a parere personale, incredibilmente sottovalutato e meriterebbe di essere amato tanto quanto i Classici del Rinascimento a cui è incredibilmente vicino per forma e contenuti. La forza di questo film è nei dettagli: ricordo di aver classificato Oceania come “buono” dopo la prima visione (e nel caso non ve ne foste accorti la mia valutazione è migliorata un bel po’, it did grow on me), per cui val la pena riguardare con occhio più attento e critico questa perla, e quale miglior momento se non giusto il giorno prima che il sequel lo rovini per sempre? Ok, scrivo così, ma ovviamente entrerò in sala e lo farò colma di speranza che le mie aspettative negative vengano distrutte, incrocio le dita.
Riguardate Oceania, fatelo per tutte le lacrime che ho versato riguardando il film mentre scrivevo, e riscoprite voi stessi.