Il manuale del cattivo papà – Leggere prima dell’uso
Storie di vita vera di Delizie alle prese con i propri figli.
Il manuale del cattivo papà è un libro scritto e disegnato da Guy Delisle, tradotto da Giovanni Zucca e edito da Rizzoli Lizard.
Delisle, animatore canadese classe 1966, ci ha abituato alle sue cronache da paesi remoti e complicati. Esponente di punta di quello che viene definito graphic journalism, cioè quel genere di fumetto non-fiction, in cui vengono narrati fatti reali.
Negli anni ha raccontato il melting pot della martoriata Gerusalemme, la fuga di Christophe André, collaboratore di Medici senza frontiere sequestrato e tenuto prigioniero in Cecenia, la Birmania, Pyongyang e le periferie cinesi di Shenzen, megalopoli asiatica definita la capitale dell’elettronica. Un autore dunque che defineremmo serio e impegnato e perennemente in viaggio. Tutto il contrario della figura che emerge da questo volume, un Delisle casalingo, pantofolaio, alle prese con quello che è senza dubbio il lavoro più difficile da fare.
Con questo volume, che riassume i tre diari del cattivo papà scritti negli anni, ci racconta infatti, le cronache ben più ordinarie ma non meno pericolose dell’essere padre o come si definisce lui, dell’essere un cattivo padre.
Si tratta ovviamente di un titolo ironico, come ironiche, anche se oneste, sono le vicende in esso narrate. Storie di ordinaria paternità, in cui scovare un lessico famigliare unico ma nello stesso tempo universale.
Ma che cosa fa esattamente di Delisle un cattivo papà? Forse l’invitare suo figlio maggiore a pensare alla sorella mentre prende a pugni un sacco da pugilato? Oppure barare clamorosamente cercando le risposte alle domande del figlio su internet? Mettere in scena macabri scherzi in cui si finge vittima di un incidente con una motosega? Piccoli grandi bluff di un uomo che si divide tra i suoi doveri di essere umano pigro e cialtrone e la necessità di aderire alla figura del buon padre di famiglia che la società gli ha cucito addosso.
Delisle non solo è cinico, ma a volte diventa addirittura crudele, nello spiegare con asprezza alcune verità assolute che assicureranno anni di analisi ai piccoli di casa. Finisce con lo spingersi ad elaborare i piani più abietti per gabbare i monelli e dimostrare la sua naturale superiorità. Tipo finire i cereali preferiti della figlia nottetempo e poi incolparla il giorno dopo.
Perchè solo con una buona dose di cinismo si riesce a sopravvivere ad un’era complicata come questa. Epoca fatta del rubikiano incastro di carriera e famiglia, di ansia perenne di non essere abbastanza, di parità di genere, di congedi parentali, di mancanza di asili e strutture ricettive, della quasi totale scomparsa della figura tradizionale dei nonni e via discorrendo (no in questo articolo non si parlerà della famigerata DAD che tanto ci affligge negli ultimi sciagurati periodi).
La formula per risolvere il problema della genitorialità contemporanea Delisle l’ha trovata, è l’ironia, una sana impudenza che alleggerisce la pesantezza dei dogmi eridatati dalle vecchie generazioni. Ci sentiamo tutti Delisle, incapaci di approfittare dell’ingenuità altrui per il proprio tornaconto, siano pure quest’ultimi la propria immacolata progenie. Questo lo assolve e ci assolve dal peccato originale di essere persone imperfette, peggio ancora, genitori imperfetti.
Perchè in fondo, dietro a molte delle aberrazioni educative che vengono spiattellate su questo libro, c’è un profondo amore. Il nostro protagonista alla fine del volume (spoiler) si accorgerà che i suoi figli non sono più disposti a subire le sue angherie perchè nel frattempo sono cresciuti e sono pronti a vivere la propria vita.
<<Però ci siamo divertiti un casino, vero?>> Urla Delisle ai figli ormai andati.
<<Si, davvero, un sacco!>> Rispondono loro.
Un libro perfetto per i giovani padri in crisi nel proprio ruolo genitoriale, per quelli che padri lo sono stati e si ritroveranno in molte delle scene descritte, per quelli che padri non lo saranno mai, ma che inevitabilmente sono stati figli, e potranno finalmente scoprire come ci si sente dall’altro lato della barricata.