Capitano o mio Capitano – Je suis Wertham

Per la rubrica “Je suis Wertham”, un personaggio iconico e fighissimo, una maschio alfa di quelli che pure se brutti ti sconvolgono il cervello! Ah, è vero, non è una dichiarazione d’amore: è un Grazie per un personaggio, una storia, un simbolo, che ha dato un imprinting di valore.

Je suis Wertham perché… quando mi hanno proposto di scrivere per questa rubrica, quindi di parlare di un fumetto, un personaggio, una serie, imprescindibile per la mia storia personale, non ho avuto dubbi né incertezze né minuti di riflessione: io parlerò di Capitan Harlock.

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Io sono una della vecchia guardia, sono cresciuta con i primi anime giapponesi, quelli mitici ed epici, Goldrake, Heidi, Candy Candy. Eh lo so, sono stati la fortuna della mia infanzia e la pietra su cui ha iniziato a ergersi l’impero della mia fantasia. Ma niente e nessuno ha determinato un impatto così potente come quel «capitano tutto nero che per casa ha solo il ciel»: un pirata, una specie di Creatura di Frankenstein (se lo si guarda antropologicamente intendo, magrissimo, gambe lunghissime, orbo, sfregiato, capellone, con teschi dappertutto), un possibile stereotipo del male, dell’antagonista fiabesco, della malvagità. Eppure…

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Nato nel 1977 ad opera di Leiji Matsumoto, la saga di Capitan Harlock (prima un manga poi due serie di anime, poi prequel, sequel, film, reboot, cameo e comparsate nelle diverse storie dell’universo matsumotiano) racconta della sua battaglia personale contro i nemici della Terra, che possono venire dallo spazio (Mazoniane) o dal tuo stesso pianeta. Unico a comprendere il pericolo che i terrestri corrono nella loro ignavia, oltre a cercare di fermare la conquista nemica, deve anche fronteggiare le forze terrestri che lo ritengono un fuorilegge e un pazzo pericoloso. Solo alcuni che ancora si pongono domande, e non si sottomettono alla globale acquiescenza irresponsabile, decidono di combattere al suo fianco…

E dalla semplice trama inizia a comprendersi l’importanza simbolica di questo personaggio. Per quanto l’educazione familiare o scolastica ci provi, nulla, e ripeto nulla, insegna davvero come l’esempio. E il mio esempio migliore, più resistente ed elevato, il mio imprinting morale, è stato il Capitano.

Capitan Harlock mi ha insegnato che bisogna andare al di là di apparenze e pregiudizi: poco tempo fa un amico mi ha detto che da bambino era inquietato, per non dire spaventato, da questo pirata nero e brutto e io ho pensato che, a rigor di logica, ne aveva tutte le ragioni, normalmente la reazione dovrebbe essere questa, soprattutto per un bambino. Eterno onore al genio di Leiji Matsumoto che ha ribaltato completamente la prospettiva di questo archetipo, rendendo il Capitano il pirata della giustizia, colui che combatte per il bene, quando il male è rappresentato dalla gente comune, i colletti bianchi, gli stolti che si fanno fare il lavaggio del cervello dalla televisione, che non pensano più con la propria testa. Lo ha fatto così bene che anche io, bambina di campagna, ho compreso perfettamente che non è quel teschio sul petto a fare la malvagità dell’animo, ma sono le azioni, gli atteggiamenti e la volontà.

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Capitan Harlock mi ha insegnato che cosa vuol dire Libertà: me lo chiedevo da piccola, come può definirsi libero uno che deve per forza vivere su un’astronave, che se scende sulla Terra viene arrestato e perseguitato, che è malvisto da tutti? È che la libertà di cui si parla qui è quella mentale, interiore, morale, la libertà di poter scegliere con la propria testa, di decidere cose voler fare e perché farlo. Non importa se si hanno catene ai polsi quando dentro di te c’è l’universo. (Non confondete il concetto col “non seguire le regole”, perché siete sulla strada sbagliata eh).

Capitan Harlock mi ha insegnato il rispetto per gli altri: come dimenticare la toccante vicenda del capitano Goram (Zoru) che, costretto dalle Mazoniane a combattere per loro, vittima di un vile ricatto, decide di morire piuttosto che coprirsi ancora di tale vergogna. Mentre ancora il fuoco dell’esplosione della sua navicella brilla nel vuoto siderale, Harlock alza il suo bicchiere commosso e brinda all’”amico” (episodio 21). Goram è un alieno, un avversario, ma Harlock fa breccia nel suo animo e lo risveglia: parlando i due si riconoscono come spiriti affini, come pari nella battaglia per la dignità. E per questo Harlock non intende fermare il suo gesto da kamikaze: è quello che il suo amico ritiene giusto fare, per riscattare il suo onore e quello del suo popolo, e, anche se triste, non si può impedire a qualcuno di portare a termine il suo obiettivo. Da piccola non capii: anche io ormai conquistata dalla testa verde a uovo di Goram non volevo che morisse e pensai che bisognava impedirgli di fare una cosa tanto stupida come andare incontro a morte certa. Ma il rispetto di una persona comprende accettare le sue scelte, di vita e di morte: è un insegnamento crudele ma enorme. Inoltre la vita, in ogni sua forma, deve essere salvaguardata, anche se non se lo merita (vedi i terrestri, nella serie classica) (e per questo la scena iniziale del film in CG del 2013 è semplicemente inaccettabile).

Due coprotagonisti di cui torneremo a parlare: Tadashi Daiba e Yuki Kei.
Due coprotagonisti di cui torneremo a parlare: Tadashi Daiba e Yuki Kei.

Harlock mi ha insegnato l’etica e la tolleranza: sono due concetti diversi, ma riguardano entrambi il modo del capitano di essere un capo, una delle cose più difficili che esistano. Conosce il nome di tutti gli uomini del suo equipaggio, ma non dà confidenza a nessuno di loro, neanche al suo giovane padawan Tadashi Daiba, che come tutti i ragazzetti strepita e si agita invece di cercare di comprendere, ad esempio quando non capisce come sia possibile che la maggior parte degli uomini sulla nave passi il tempo a giocare o dormire o bere (scena indimenticabile della sua prima volta sull’Arcadia) senza che il capitano intervenga a rimproverarli. La risposta di Harlock è semplice: i suoi uomini sanno perfettamente cosa fare nel caso in cui sopraggiunga un pericolo o un problema, si fida di loro e non ha motivo di vessarli quando possono invece divertirsi e non pensare alla morte e alla tristezza della guerra.

Traduco: Sono Mime, la donna che ha dato la sua vita per Harlock (tu-tum)
Traduco: Sono Mime, la donna che ha donato la sua vita ad Harlock (tu-tum!)

L’unica persona a cui Harlock svela paure e sentimenti è Mime, aliena bellissima, senza bocca e che si nutre solo di alcool (fantastica). E insomma, lei è la sua fidanzata!!! Da bambina io volevo accoppiare tutti i personaggi di ogni serie che guardavo; all’interno della rosa dei personaggi DOVEVA esserci per forza un compagno o una compagna per ognuno, sarebbe stato troppo triste altrimenti, no? Ed ero così sciocca da cercare in tutti i modi di mettere insieme Harlock con Yuki Kei, quando anche uno scemo capirebbe che lei sta bene con Tadashi (ehm). Ed è altrettanto evidente che Mime ama Harlock, ma io proprio non ne volevo sentir ragione perché Mime è … diversa. Ecco la parola che oggi neanche si può pronunciare senza tema di denunce, ma che invece è un concetto bellissimo e sottovalutato: lei è diversa, non è umana, eppure è l’unica persona che riesce a stare con lui, che lo capisce davvero e darebbe la sua vita per lui (citazione diretta dall’opera).

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Infine, Capitan Harlock mi ha insegnato cosa è il fascino. Non ho spiegazioni da dare su questo punto, se ne avete bisogno vuol dire che non lo capireste comunque.

PS: Tristezza per chi oggi cresce con Peppa Pig e i suoi grugniti.

 

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