Speciale Dylan Dog 30: una recensione turbata

Un nuovo episodio della saga de “Il pianeta dei morti”. Una Dylan Dog invecchiato prova a fuggire dall’omologazione dell’oblio, in una Londra che si rivela un’oasi in costruzione.

Ho già ammesso in passato di non essere (o almeno di non essere più) un assiduo lettore di Dylan Dog, così quando mi hanno proposto di recensire questo trentesimo Speciale, cosciente dei profondi cambiamenti che il personaggio ha subito, mi sono un po’ spaventato.

All’inizio sembra una storia in qualche modo rassicurante.

Fino a pagina 5, infatti, si riprende esattamente dalla fine de L’alba dei morti viventi, con Sybil e Dylan che rivivono la stessa scena finale del mitico numero 1, nei minimi dettagli.

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© Sergio Bonelli Editore

La prima pagina è più di una citazione…

Sembra la solita storia ucronica, un elseworld con Dylan che alla fine ha sognato tutto quanto è successo in questi anni e non ha fatto altro che costruirsi una vita con il primo dei suoi grandi amori.

E questo è rassicurante… Infatti le citazioni provenienti dall’inizio dell’avventura dell’Indagatore dell’Incubo sembrano continuare, almeno fino alla casa del titolo.

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© Sergio Bonelli editore

Ma il timore è tornato quando ho continuato a leggere.

Innanzitutto il fumo, così fuori dalle corde di Dylan, poi i dialoghi come se Dylan e Sybil fossero insieme da poco tempo, il non essere mai stato un investigatore…

Quindi non una storia del vecchio Dylan, ma un Dylan che io non conoscevo, una dimensione completamente altra da tutte quelle oniriche che pure mi era capitato di incontrare in passato.

Un Dylan senza Groucho, con i capelli bianchi (anzi tinti) in una Londra finta, in costruzione, a partire dal nulla.

Diciamo che ho faticato a raccapezzarmi, come succede quando cominci a vedere un film «di quelli impegnati» a metà del primo tempo…

Così ho cercato di documentarmi un po’ su questa nuova dimensione, che pure non è recentissima (Dylan Dog Color Fest 2, 2008).

Durante le ricerche mi sono imbattuto in una intervista di Alessandro Bilotta dello scorso anno, che, parlando di questa linea temporale del pianeta dei morti,  dice testualmente: «ogni singola storia, seppure avrà delle trame che andranno avanti nel tempo, sarà leggibile da sola».

In quella stessa intervista c’è una serie di citazioni collegate a queste storie (da Fellini ad Hannah Arendt) che, se dovessero essere seguite anche solo in parte, farebbero sì che questa recensione sarebbe pronta, diciamo, per il quinto speciale dedicato alla saga, e lunga un paio di tomi.

Infatti leggendo con attenzione in questo volume i riferimenti sono numerosissimi, molti dotti e difficili da seguire, dallo gnosticismo, ai discorsi difficili sul male e sull’amore, sulla necessità del male e sulla predestinazione dell’uomo. Bilotta si dimostra veramente colto, al punto che si fatica a seguire tutte le linee di pensiero, a leggere le caratteristiche dei personaggi in profondità. Soprattutto nelle prime pagine sono rimasto turbato, mi sono sentito fuori posto, come lo stesso Dylan.

Apprezzando moltissimo la grande ricerca di Bilotta, ho però cercato di leggere la storia da sola, cercando di legarla solo vagamente al mio ricordo dell’Indagatore dell’Incubo.

Quindi un Dylan Dog che vive una realtà del tutto diversa, in cui alcune delle cose che ho conosciuto da vecchio lettore (Groucho, la pistola che viene lanciata, il titolo di Indagatore dell’incubo) sono dei dejavu, mentre altre sembrano tornare con maggior decisione (la casa con i mostri a Craven Road, il ginocchio sul bracciolo della sedia, il gatto nero di nome Cagliostro, ad esempio).

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© Sergio Bonelli Editore

Una realtà in cui Londra stessa non esiste, ma viene ricostruita uguale a se stessa da una specie di onnipotente architetto, che crea e controlla una comunità di immemori, che viene chiamata oasi.

Mi hanno messo molta angoscia questo ambiente e queste persone senza passato, ho pensato alla psicostoria di Asimov. Il fatto che qualcuno si prenda la briga di decidere cosa è giusto o sbagliato per tutti, facendo vivere il presente e cancellando il passato, al punto di poter ricreare da zero l’intera Londra, ci pone di fronte alla terribile domanda se stiamo vivendo la realtà oppure no, e se sia possibile cambiare, tornando indietro, la nostra stessa natura…

Inoltre c’è una visione di ineluttabilità del male, incarnata dall’architetto Werner, che è una figura inquietante e che contribuisce a far crescere un senso di angoscia, che sale fino a che si trova, finalmente, una via d’uscita.

E la via d’uscita è fornita da un personaggio che ha un aspetto e un nome a sua volta inquietanti.

Infatti si riconoscono i tratti fisici di Dario Argento, e il nome è quello di uno dei più importanti scienziati del XX secolo.

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© Sergio Bonelli Editore

Herbert Simon, nobel per l’economia, ma anche padre fondatore dell’intelligenza artificiale, psicologo cognitivista, studioso di management e di filosofia della scienza.

Un nome sicuramente non scelto a caso, visto che Bilotta pesa con il bilancino citazioni e dettagli.

Una persona, il vero Herbert Simon, complessa e ricca, come complessa e ricca è la materia di cui è fatta la storia di questo speciale, che ha veramente tantissimi livelli di lettura.

E ogni volta che si riprende in mano se ne scoprono di nuovi, si vedono passaggi prima inespressi, e che modificano la percezione di tutta la vicenda.

Ho avuto la sensazione che l’insieme degli elementi che costituiscono questa trama formi una nube, con molti tratti indistinti, e dalla quale a ogni passaggio emergono particolari diversi. Sensazione confermata anche graficamente dai passaggi improvvisi e fugaci di alcuni personaggi, vissuti come allucinazioni (Groucho, il marito di Sybil), o dall’incapacità da parte dei personaggi di ricordare cose accadute solo poche vignette prima.

La mancanza della memoria passata è l’elemento di rottura, che consente di avviare la ricerca.

Così mentre Werner vuole che gli uomini dimentichino per cambiare in meglio, senza ottenere risultati, e dichiarando il suo fallimento, proprio la ricerca dei ricordi fa risorgere Dylan dalla stasi dell’oasi (dove non ci sono bambini…), lo porta alla presa di coscienza e al cambiamento.

Anche il linguaggio ha una forte impronta messianica (resurrezione, salvezza, salvatore del mondo) lungo tutta la trama.

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© Sergio Bonelli Editore

Con il ritorno della coscienza e dei ricordi c’è però un ribaltamento di prospettiva: Werner, che era apparso come un personaggio inquietante, inebriato del suo potere decisionale sul mondo da lui creato, sembra porsi in realtà come colui che ha offerto una seconda possibilità a un mondo senza speranza. Un osservatore esterno che, resettata la situazione, ha lasciato gli abitanti dell’oasi liberi di scegliere, restando a guardare.

L’uomo che invece sembrava aver aperto gli occhi a Dylan, (e che, così si intuisce, apparentemente ingiustamente ritenuto l’incarnazione del male, era stato tenuto prigioniero da Werner) si dimostra autoreferenziale e assai più pericoloso.

Così Dylan torna nel suo pianeta dei morti, atteso da tutti e da qualcuno ritenuto l’«unico in grado di salvare il mondo».

Fuggito per dimenticare che «un ritornante ha morso il mio migliore amico e io non sono stato in grado di sparargli», anche in questa realtà (della quale però lo stesso Dylan ci fa dubitare), da subito si riconosce l’old boy conosciuto fin dalle prime storie: fedele agli amici, sempre con un punto interrogativo (il quinto senso e mezzo?) e con uno speciale rapporto con la signora con la falce.

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© Sergio Bonelli Editore

E la storia alla fine diventa effettivamente l’elseworld dylaniato che mi aspettavo.

Un (im)possibile futuro in cui Dylan torna un uomo d’azione, recupera Sybil dall’oasi, e si prepara a incontrare la sua nemesi, che, per completare il rovesciamento di prospettiva, è proprio colui che si proclamava salvatore del mondo, e che diventa Xabaras.

Così alla fine dello speciale ci ritroviamo all’inizio dell’intera storia di Dylan Dog

Penso che su queste 160 pagine, disegnate inoltre benissimo da Giulio Camagni, ci si possa trascorrere un bel po’ di tempo, anche se la sensazione di angoscia non è facile da dissipare.

La storia si può leggere e, soprattutto, reggere da sola, anche senza aver mai letto nulla del pianeta dei morti, anzi, ha un substrato ricchissimo che consente tante chiavi di lettura e tanti livelli (e a questo punto mi rammarico di non poterla collocare meglio, avendo perso le puntate precedenti).

Mi auguro di averne toccati un po’, ma ho la sensazione che ogni volta che rileggerò questo speciale ci troverò dentro qualcosa di specialmente nuovo.

P.S.: l’immagine in alto è il logo del film che ha lo stesso titolo dello speciale, tratto da un libro di Tiziano Terziani. Un logo che ricorda l’ouroboros, il serpente che si mangia la coda, a sua volta un simbolo dello gnosticismo, dottrina che, come ricorda anche Herbert Simon-Xabaras, afferma che la salvezza si ottiene attraverso la conoscenza.

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