The Graveyard book – recensione

The Graveyard Book è la trasposizione a fumetti, in Italia grazie a Nicola Pesce Editore, del romanzo fantasy per ragazzi scritto da Neil Gaiman nel 2008, adattato da P. Craig Russell, disegnatore e sceneggiatore (già visto all’opera in Dottor Strange, o Sandman, e scusate se è poco) che oltre a ritagliare uno spazio per i suoi stessi disegni, ha mantenuto la divisione in otto capitoli, corrispondenti a otto racconti che si susseguono a due anni di distanza l’uno dall’altro, affidati alla sapienza grafica di altri disegnatori (oltre allo stesso Russell, come dicevamo): Kevin Nowlan, Tony Harris, Scott Hampton, Galen Showman, Jill Thompson, Steven B. Scott e David Lafuente, molto noti e amati.

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Come prima notazione potremmo partire direttamente da qui: ogni artista interpreta la parte della storia che gli è stata affidata con personale maestria, ma seguendo, apparentemente, una linea guida che tende all’omogeneità, a partire dalla griglia: a vignette fitte che rende la pagina ricca di immagini e di particolari, ma lasciando la lettura agevole e mai faticosa. Nonostante la varietà artistica, e le diverse caratteristiche del tratto, che restano ben delineate, la linea grafica è uniforme, e la coerenza esteriore viene supportata dall’uso dei colori (di Lovern Kindzierski) tutti giocati su bianco, nero, grigio e azzurro, molto eleganti (con delle fughe verso colori più accesi ma freddi, come il rosa o il verde, ma in momenti determinati, al servizio della trama) che rendono perfettamente l’ambientazione del cimitero. Solo questo vale l’acquisto del cartonato elegante dell’editore italiano, ma ancora di più il valore si accresce considerandone il contenuto (e non solo la superficie).

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La storia, per chi non la conoscesse è questa: un assassino fa strage in una famiglia in piena notte, ma il bambino più piccolo riesce a fuggire, finisce in un cimitero dove le anime dei defunti coniugi Owens lo trovano e decidono di salvarlo. Lo spirito appena trapassato della madre del piccolo lo affida a loro, insieme a un segreto che si svelerà solo negli ultimi racconti. Essendo gli abitanti del cimitero solo ombre non possono procurarsi cibo e altri oggetti di conforto solidi, così sarà il guardiano, il misterioso Silas, né vivo né morto (dalle fattezze draculesche) a occuparsi di tutte le necessità del piccolo, che avrà “la libertà del cimitero”, cioè potrà girare liberamente al suo interno, entrando ovunque, ma non potrà uscirne fuori. Perché fuori lo aspetta un mortale pericolo…

 

The-Graveyard-Book-pg119L’impostazione del romanzo originale si ispira, per stessa ammissione di Gaiman, a Il libro della Giungla di Kipling (che l’autore ammira molto) e il piccolo Nobody (cioè Nessuno, oh quante citazioni!) Owens, detto Bod, è il protagonista di mille avventure tutte trascorse all’interno delle yard del cimitero, o nelle sue viscere. I suoi amici sono fantasmi, o personaggi del folklore horror (la sua insegnante, Miss Lupescu, è un lupo mannaro, la sua migliore amica è una strega) e da loro impara moltissime cose: a tratti il suo sembra un viaggio di crescita in stile Commedia dantesca, ma con toni molto più leggeri, con Silas da ermetico Virgilio, a volte la rocambolesca avventura di un Pinocchio di carne, più o meno.

La forza di questo volume infatti è tutta nella storia: Nobody è davvero Nessuno, riesce a far scomparire la sua essenza, non ha casa, non ha storia, non ha compleanno; il cimitero è il suo nowhere, è un luogo fisico, ma anche un infinità di altri luoghi e di misteri, come una macchia sfuggente che vive parallelamente al mondo degli umani. Ma lui non appartiene a nessuno dei due. Non ha nemmeno una vera storia, perché vive diverse avventure a contatto con diverse situazioni, il racconto è una miriade di micro racconti che si allargano e si raggruppano nel campo cimiteriale; il tempo passa, ma lì nessuno conta gli anni, o i giorni, è un nowhen che esiste all’infinito. Tutto quello che lo circonda è un astratto, e lo stesso ragazzo sembra solo una figura di fantasia, grigio, quasi trasparente, lieve, quasi non umano, eppure è vivo semplicemente perché non è morto.

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Tutti questi elementi mancanti, essenziali per la vita normale, diventano davvero concreti e pesanti solo nell’epilogo della storia, quando Bod dovrà venire a patti con chi è davvero, con il suo destino che lo vuole invece solidamente vivo e attivo… e che scoprirete leggendo la storia.

Mettendo insieme i due fattori dunque, disegni e storia, non si può che definire quest’opera un’ottima trasposizione a fumetti, ben pensata e ben realizzata (e infatti ha vinto solo un centinaio di premi), perché Gaiman è uno di quegli autori con una fantasia così sciolta che si comprende meglio quando qualcuno decide di imprigionarla in immagini, come film o fumetti appunto. Per quanto pensata per ragazzi, la storia di Bod qui diventa un prodotto decisamente per adulti, per divertirli e farli riflettere, rendendo davvero giustizia alla creazione dell’autore inglese e al suo protagonista.

Silvia Forcina

Non pratico il nerding estremo pur essendo nerd nell'animo, ma non ho niente da condividere con i Merd che popolano il mondo. So solo quello che non sono. Come Balto.

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