Storia del rock a fumetti – Fuori tutto il resto!
«Sono sempre stato solo, tranne la musica»: Così ha detto Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, una delle band rappresentate nella Storia del rock a fumetti di Enzo Rizzi, che ci conduce in un lungo viaggio tra le contraddizioni e l’energia di questo genere musicale.
Dimensione Fumetto dedica una serie di articoli ai fumetti sulla storia di vari generi musicali disegnati da Enzo Rizzi per la collana Music & Comics di Nicola Pesce Editore.
In questo secondo volume si affronta il rock e il suo turbinoso percorso. Il precedente articolo era dedicato alla musica metal.
Pleased to meet you
Hope you guess my name
Mick Jagger e Keith Richards lo avevano scritto cinquant’anni fa in Sympathy for the Devil, immaginando che fosse il diavolo a presentarsi in prima persona.
Da sempre il rock e il diavolo vanno a braccetto, anche senza dirselo, a partire dalle accuse di satanismo o di devozione a questo o quel demone, che spesso seguono le note dei diversi filoni della musica rock.
E Lucifero fa capolino nelle pagine del volume Storia del rock a fumetti di Enzo Rizzi, ancora una volta sotto le spoglie di Heavy Bone, lo zombie con due bestioline (chiamate «rock» e «roll») dentro la pancia che da oltre quindici anni si diletta a causare e raccontare la fine violenta di famosi musicisti e in occasione delle sue numerose apparizioni, da Diabulus in musica alla miniserie uscita nel 2017 sotto l’etichetta Heavy Comics, ha cercato di trovare vittime da immolare sull’altare dell’Hellsound.
Ma il nostro Heavy non è simile a un affabile uomo d’affari russo come quello del romanzo Il maestro e Margherita di Bulgakov, la cui lettura avrebbe ispirato a Jagger la canzone dedicata appunto a Lucifero, bensì uno spietato narratore raffigurato con le caratteristiche tipiche di molti cantanti dell’universo rock e metal: petto nudo con vistose suture, muscoli turgidi e tatuati, chioma ondeggiante, mascella prominente, sguardo (ovviamente) assatanato, sorriso beffardo, borchie, anelli, frange, pantaloni superaderenti, stivaloni e chilometri di pelle nera. Anche le sue pose sono sfacciatamente metallare: corna incrociate, gesti fallici, microfoni o chitarre afferrati come per un amplesso voluttuoso, in un’atmosfera cimiteriale traboccante di ossa, teschi, croci, degna della poesia sepolcrale di Thomas Gray.
Il tutto inserito in una struttura grafica e narrativa costante: due pagine per ogni solista o gruppo, in cui spesso nella prima o seconda vignetta compare il nostro «star killer» a introdurre la storia, magari richiamando in qualche dettaglio gli artisti presentati (abbigliamento, strumento, trucco) e interagendo talora con essi, come quando canta con Bob Dylan and The Band o si atteggia con i pugni protesi in avanti sostituendosi al leader dei New York Dolls.
Dopo la breve introduzione le immagini si concentrano sulle principali tappe della carriera dei musicisti e soprattutto sui dettagli torbidi, violenti o dolorosi delle loro vite private, con un’accentuazione maggiore del tono macabro e scandalistico rispetto alla Storia del metal a fumetti.
Le vignette sono disposte senza una griglia fissa, assecondando l’intento artistico comune alle altre storie della musica a fumetti dello stesso autore, ovvero quello di riprodurre con uno stile iperrealistico molte foto anche piuttosto note all’immaginario collettivo, in cui gli artisti sono immortalati durante i loro concerti o nei momenti di pausa tra un’esibizione e un’altra; in base a questa esigenza può accadere che parti di una scena sconfinino in una contigua e che sia adottata in modo libero la soluzione con fondo bianco e figure nere scontornate o viceversa per ragioni combinatorie più che semantiche.
Allo stesso modo le didascalie della voce narrante, il nostro sarcastico chitarrista infernale, si inseriscono fittamente con bordi marcati tra le vignette o all’interno di esse, rendendo in qualche caso poco chiara la loro successione. Non compaiono splash page, a differenza della Storia del metal a fumetti, rispetto alla quale inoltre viene seguito un ordine cronologico da Robert Johnson fino ai Foo Fighters, con l’aggiunta delle schede finali sui concerti e gli strumenti musicali e immancabilmente, in apertura e in chiusura d’opera, alcune pagine dedicate al nostro Heavy Bone.
L’impostazione enciclopedica è di necessità sintetica e non sempre prodiga di informazioni, dato che concentra in uno spazio purtroppo esiguo la parabola artistica talvolta anche lunghissima dei settantatre solisti o gruppi raffigurati e, come avviene per altri libri di storia della musica, non permette di cogliere appieno i legami o le influenze che attraversano la storia del rock, il fiume sotterraneo di ispirazioni, suggestioni, echi che carsicamente affiora e per ignota casualità dà vita a pezzi memorabili, creando un flusso inarrestabile e unitario pur nelle infinite diramazioni e commistioni, dal folk al punk, dall’electronic all’alternative.
Di sicuro è evidente il filo conduttore dell’interpretazione del rock come genere satanico, impersonato dal protagonista ed esemplificato da vicende di eccessi e dannazione, proponendo un’ampia rassegna di artisti eccezionali ma maledetti a volte fin dalla nascita, come Jerry Lee Lewis.
Seguendo questa linea è possibile trovare nelle biografie dei musicisti altri elementi ricorrenti: un’infanzia segnata dalla separazione dei genitori, come per Lenny Kravitz, dall’abbandono da parte del padre, come per Eddie Vedder dei Pearl Jam, o dalla sua morte, come per Roger Waters dei Pink Floyd, o ancora dalla povertà, come per Elvis Presley. E poi ci sono i concerti, il successo più o meno immediato, gli alterni rovesci della sorte, gli scioglimenti e le ricomposizioni di band, l’abuso di droghe e alcol, la depressione, gli amori duraturi, contrastati, fugaci, le morti tragiche o repentine.
Il quadro che emerge è a tinte talmente fosche e luttuose che viene da chiedersi, al termine della lettura del fumetto, se il diavolo abbia davvero lasciato un’orma così pesante lungo la via di questo genere musicale.
Ma noi che amiamo il rock sappiamo bene che non è solo questo: il rock è energia, passione, forza vitale, libertà. Così tra le pagine dell’opera possiamo cogliere implicitamente altri aspetti che avvicinano, ad esempio, i Beatles ai Red Hot Chili Pepper, i Sex Pistols ai Rolling Stones, David Bowie a Bruce Springsteen: talento, genialità, ostinazione, rottura con le regole o con il passato, carisma, fortuna. Alla stessa maniera possiamo avvertire le differenze tra i Queen e i Lynyrd Skynyrd, gli U2 e i Ramones, Johnny Cash e Ben Harper, soprattutto in base ai nostri gusti personali. Infatti accade a tutti noi di adorare una canzone ma detestarne un’altra, di associare una melodia a un momento particolare della nostra vita, di seguire o abbandonare generi e tendenze, di proiettare nei cantanti e nei loro testi le nostre debolezze e le nostre domande, di riconoscere nelle parole e nelle note di un brano un nostro lato intimo altrimenti inespresso. Veneriamo il rock per la tecnica musicale portata ai massimi livelli, per la melodia pura, graffiante, travolgente, per la dissonanza irrazionale, liberatoria, potente, per la bellezza sublime dei suoni della batteria, della chitarra, del basso, della voce, che intridono il nostro animo e la nostra pelle con un effetto ogni volta diverso. Magari non vediamo nel rock l’impronta del diavolo e crediamo di non aver mai «stretto la mano a Satana» o «dormito nel suo letto», come cantano i Pearl Jam in Satan’s Bed; non associamo Helter Skelter dei Beatles ai significati oscuramente allusivi del White Album, ma all’esclamazione finale di Ringo Starr «I’ve got blisters on my fingers!».
Insomma, per noi il rock è eclettico, sorprendente, incoerente, il rock ci esalta, ci sconvolge, ci culla, ci accompagna e ci sostiene fin da quando per la prima volta è entrato nel nostro cuore, ci si è piazzato come un irriverente sovrano e gli ha ordinato: «Fuori tutto il resto!»
NOTA: Ringrazio molto il mio amico Andrea Cittadini Bellini per aver preso parte alla stesura di questo articolo.
Il titolo e la conclusione dell’articolo sono una citazione di Leave Out all the Rest dei Linkin Park in ricordo del leader Chester Bennington, che non è presente con il suo gruppo nel fumetto, ma con la sua vita e le sue canzoni ha incarnato per me le molteplici contraddizioni e la magnifica bellezza del rock.
Enzo Rizzi
Storia del rock a fumetti
Nicola Pesce Editore
cm 21×29.7, b&n, brossura, 204 pagg., € 9.90
ISBN 9788897141235