Storia dei fumetti nel XXI secolo – Intervista a Giopota: Mothersea, i webcomic e il fumetto prêt-à-porter
Mothersea segna il ritorno di Giopota al fumetto con un webcomic: uno strumento flessibile e distribuito in tutto il mondo che concede agli artisti grande libertà e ai lettori molta scelta. Partiamo per Capo Maree per osservare la Luna!
A venti anni dall’inizio del nuovo millennio è ormai possibile tracciare una prima retrospettiva sull’attuale situazione dei fumetti in Italia alla luce dei molti cambiamenti recentemente avvenuti: i cinecomic, Internet, la digital art, il mutamento del mercato domestico e internazionale, e molti altri fattori che hanno rivoluzionato la fruizione dei fumetti e di conseguenza anche il loro ruolo artistico, culturale e commerciale.
In questo terzo articolo: il fumettista Giopota ci racconta tutto sul suo nuovo progetto, il webcomic Mothersea. Un’opera realizzata e fruita completamente in digitale per raggiungere il pubblico più ampio possibile.
Ciao Giovanni! Raccontaci tutto del tuo nuovo progetto.
Comicio col dire che fino a poco tempo fa non pensavo che avrei mai fatto un webcomic. Nel 2020, però mi sono imbattuto in alcuni di questi fumetti e li ho trovati delle ottime letture. Ci sono delle piattaforme come Webtoon e Tapas che li rendono molto comodi da leggere, e in breve mi sono ritrovato come a mangiare ciliege. Ho iniziato col primo webcomic che mi sono trovato davanti per caso su Webtoons, Castle Swimmer, e da lì ho trovato tanti titoli scritti e disegnati molto bene.
Avevi dei pregiudizi sui webcomic prima di iniziare a leggerli?
Li guardavo da lontano con un po’ di diffidenza. Anche se molti webcomic di successo hanno lanciato carriere di successo, pensavo che passare dalla carta al digitale sarebbe stato un passo indietro, tornare fra autori che magari pubblicano sul web perché non riescono a farcela nell’editoria. Poi però ho cominciato a vedere la cosa sotto un’altra ottica, ovvero quella di un esordiente: per chi, come me, vuole pubblicare il suo fumetto fuori dall’Italia (e in questo sono un esordiente) il web ti dà più possibilità. D’altronde l’hanno fatto anche autori che ammiro, come Noelle Stevenson, l’autrice di Nimona, che è partito come un webcomic e stava diventando un film animato dai Blue Sky Studios (prima che la Disney se lo comprasse).
Un secondo motivo per cui ho scelto di fare un webcomic è che, come anticipavo prima, volevo realizzare un’opera fuori dal nostro mercato. Ho provato a vendere il fumetto a vari editori esteri, non ho avuto fortuna, quindi mi sono rivolto all’autoproduzione pur di avere un’opera che non fosse “nativa” italiana e che potesse arrivare da noi in un secondo momento. Non dico questo per disprezzo verso il mercato nostrano: è che mi voglio rivolgere a un pubblico non solo e non tanto maggiore, ma soprattutto più disposto ad abbracciare quello che faccio io. Quindi per me i webcomic sono passati da “figli minori” del fumetto cartaceo a opere che hanno un pubblico, delle loro risorse e soprattutto una dignità del tutto autonomi rispetto alla grande editoria.
In questo periodo in Giappone stanno convivendo in equilibrio sia i fumetti cartacei sia quelli digitali, che ormai non sono più una novità. Non si tratta di webcomic, ma di denshi manga (“fumetti elettronici”), si leggono esclusivamente su smartphone con app come Comico o Piccoma, e si presentano non come singole pagine divise l’una dall’altra, ma come un’unica lunghissima striscia che viene fatta scorrere verticalmente col pollice. Al di là dalla loro qualità, questi fumetti possiedono un potenziale rivoluzionario perché per la prima volta nella storia del fumetto moderno gli autori non sono legati alla pagina quadrangolare, ma a un lungo nastro, e devono quindi pensare vignette, disegni, balloon e quant’altro come un flusso continuo, basandosi quindi su un criterio spaziale e un linguaggio grafico radicalmente diversi rispetti a quelli abituali. Una sorta di arazzo di Bayeux verticale, in pratica. Come funzionano i webcomic che hai letto tu, e come funziona il tuo webcomic?
Mi sono posto esattamente questo problema: per fare un webcomic posso continuare a fare quello che faccio di solito o devo stare alla regola di non stare alle regole del fumetto cartaceo? Mi sono informato consultando molti webcomic, e ho visto che anche quelli che hanno le classiche tavole ragionate come fossero pagine di un libro funzionano benissimo. Questa scelta di impaginazione non è detto che sia un “ripiego” in vista di una futura ipotetica pubblicazione cartacea, ma può essere una scelta specifica degli artisti per tante ragioni. Una delle cose meravigliose dei webcomic è che non c’è una regola di formato: può essere rettangolare in lungo o in largo, quadrato o in altri formati ancora. A me piace attenermi alla pagina, mi piace comporla e pensarla come un’unica immagine che si legge in vari momenti, ma questo non vuol dire che non possa essere adatta anche a una lettura su computer o su smartphone, una lettura più prêt-à-porter, per dirla come Elsa Schiaparelli.
Questo è un pregio fondamentale delle autoproduzioni: danno la libertà artistica di essere fedeli a sé stessi. Io sono convinto di non essere ancora un autore “formato” e di avere ancora tanto da imparare, però mi piace troppo essere libero di fare come voglio, perché è solo attuando questo modus operandi che sento di riuscire davvero a esprimermi genuinamente. È una cosa che ho capito a posteriori dopo aver realizzato il mio ultimo libro Inni alle stelle: l’essere assoggettato all’aspettativa dell’editore mi ha represso e ho finito per scendere a compromessi con me stesso ottenendo un’opera che non ha soddisfatto entrambi.
Con Mothersea (o Madremare che dir si voglia) voglio essere fedele solo alla mia personale aspettativa e fare il fumetto che io stesso vorrei leggere.
Raccontaci un po’ della genesi di Mothersea.
Mothersea nasce anni dopo aver letto la prima storia de Le cosmicomiche di Italo Calvino La distanza della Luna. In una pomeriggio molto noioso ricordo di aver trovato quel libro sul letto di mio fratello, lo divorai e mi piacque molto. Dopo un tempo che non saprei quantificare ho fatto un viaggio in Australia. Era agosto, quindi pieno inverno, ed ero solo in giro per Sydney, la giornata era gelida e tersa e quando ho guardato il cielo mattutino c’era una Luna enorme e candida sopra di me. Come un’epifania mi è balenato in mente quel racconto di Calvino e poco dopo ero all’Art Gallery of New South Wales che abbozzavo il personaggio di Maga Celeste e prendevo appunti attorniato da dipinti dell’Ottocento.
Tutto molto romantico, lo so, ma erano anni che volevo impressionare qualcuno e sentirmi un gran figo raccontando la genesi di questo fumetto!
Ad ogni modo, seppure il worldbuilding sia basato su un’idea di Calvino, la storia è ispirata dalla letteratura d’avventura per ragazzi di fine Ottocento, un po’ come Nadia – Il mistero della pietra azzurra. Un classico viaggio dell’eroe al quale ho però aggiunto un tema a cui tengo moltissimo, ovvero l’identità di genere. Qualcuno potrebbe dissentire, ma penso che di rappresentazione delle diversità non ce ne sia mai abbastanza e non sarà mai troppa. Voglio contribuire a soddisfare il desiderio (se non la necessità) di un pubblico che chiede di avere sempre più storie e personaggi LGBTAQ+ all’interno dei racconti di fiction, anche perché io stesso sono parte di quel pubblico.
L’industria del cinema di Hollywood sembra stia lavorando proprio verso una maggiore rappresentazione delle diversità. Per esempio, perfino in un film ambientato nella Scandinavia di secoli fa come Frozen II, dove pure non sarebbe stato strano vedere solo personaggi biondissimi (come succedeva nel primo film), il cast è molto diversificato fra numerose etnie, stazze e fisionomie. Credi che si tratti di una effettiva presa di coscienza delle diversità da parte dei media o è solo una mossa di marketing?
Entrambe le cose. Senza dubbio l’inclusività viene attuata con l’intento di centrare diversi target di mercato, ma le voci cambiano anche in risposta al sentire comune.
Sono certo che la rappresentazione, finché non è trauma porn mascherato, sia sempre un atto dovuto nei confronti di un pubblico che è realisticamente eterogeneo. Il potersi riconoscere in personaggi che ci rappresentano cambia sia il singolo che il collettivo, facendoci sentire legittimati a esistere come chiunque altro, e trovo sia un’arma potentissima.
Nel caso di Frozen II, perasonalmente non vedo alcun problema nella presenza di varie etnie al Polo Nord: stiamo parlando di un fantasy in cui gli sceneggiatori potrebbero trovare agilmente una spiegazione per qualunque cosa. Ma anche così non fosse, chi se ne frega?
Come hai gestito la rappresentazione in Mothersea?
Nonostante il cast sia dominato dalla presenza di personaggi omosessuali, ho preferito puntare sulla diversità delle identità di genere. Ho dunque inserito personaggi intersex, transessuali e non-binary. In quanto omosessuale cisgender sono consapevole che farsi voce di qualcosa che non si è sia un rischio, e dunque per evitare strafalcioni ho cercato la collaborazione di un’editor che faccia anche sensitivity reading. Non tanto per non urtare la sensibilità di alcuni, ma per rappresentare al meglio e in maniera positiva e celebrativa i miei compagni LGBTAQ+. Ci tengo tantissimo e spero davvero di riuscirci.
Mothersea esce a puntate su Tapas e per ora è disponibile solo il primo episodio, ma in realtà l’hai già finito?
Al momento ho altri cinque episodi sceneggiati che sono in mano all’editor per la revisione dei testi. La trama generale è chiaramente già scritta dall’inizio alla fine, ma per quanto riguarda la sceneggiatura ho pensato che sarebbe stato più utile scriverla progressivamente, un po’ di episodi alla volta, con la collaborazione dell’editor. Questo metodo di lavoro mi permette di vivere in maniera più rilassata una fase che normalmente è per me molto stressante. Inoltre mi tiene aperto a nuove idee e possibilità narrative che fioriscono man mano che lascio ogni nuovo pezzettino di storia a lievitare sotto al canovaccio. Finora mi sembra sia la strategia vincente, più vado avanti e più mi riesce facile ricollegare tra loro dei pezzi di cui non avevo pianificato i nodi, diventa quasi un gioco, mi piace molto scrivere così.
Fra l’altro un pensiero che mi tranquillizza molto è che con i webcomic nulla è scolpito nella pietra. Mi spiego: se anche volessi fare delle modifiche in corso d’opera correggendo una vecchia tavola, questo sarebbe possibile, nulla mi vieta di intervenire anche su ciò che è già stato pubblicato. Tant’è che è una cosa che già faccio: prima di caricare le tavole su Tapas le metto online sulla mia pagina Patreon, dove gli iscritti fanno praticamente da beta tester aiutandomi a limare e lucidare. La versione corretta finisce su Tapas solo dopo il controllo qualità.
Clicca qui per accedere alla pagina Patreon di Giopota!
Da quello che dici sembra che quest’opera abbia una particolare importanza per la tua carriera artistica e umana.
Beh, è il sentiero che da quando ho cominciato a fare fumetti ho sempre voluto intraprendere. Mi sono reso conto che non era importante il mezzo: il punto era farlo. Cartaceo o non cartaceo, mi sono detto «Queste sono le mie possibilità», e il webcomic mi ha offerto l’opportunità di lavorare anche senza un editore.
Pubblicare il primo episodio di Mothersea è stato anche un modo per risvegliarmi dal torpore di un anno di pandemia durante il quale ho lavorato poco se non zero. Da un giorno all’altro mi sono detto «Basta, alzati da questo divano e vai a disegnare». Non so nemmeno se sono artisticamente pronto a farlo, ma preferisco non pensarci, perché tanto di base non mi sento mai pronto, e se non mi forzassi non farei mai niente. Iniziare un nuovo progetto per me è come chiudere gli occhi e saltare senza chiedermi dove atterrerò, non c’è coscienza, solo speranza di finire in acque chete e di saper stare a galla. Per ora sono soddisfatto di quello che sta venendo fuori, e per me è già tanto.
Ok! Ora che sappiamo tutto su Mothersea, raccontaci come inizia…
La storia è ambientata in un mondo in cui la Luna orbita intorno alla Terra su una traiettoria fortemente ellittica che la porta continuamente lontanissima e vicinissima al pianeta, talmente vicina che, nelle notti di perigeo, fa alzare la marea di centinaia di metri, portando i pesci a galla e consentendo ai pescatori di avere pesche ricchissime. In una di queste notti di perigeo il protagonista Sidereo detto Reo vede nella rete da pesca una strana figura in mezzo ai pesci, ma nessuno gli crede. Reo vive a Capo Maree (come si sarà capito dai nomi, che tengo così anche in inglese, l’ambientazione è molto italiana, mediterranea) ed è un orfano 15enne che abita su una scogliera. In un sogno Reo vede una caverna, quando si sveglia va a visitarla e lì ritrova proprio la persona che era nella rete da pesca. Questo incontro dà inizio a un’avventura dove al centro c’è la relazione di questi due ragazzi, strettamente legati al destino della Luna stessa. Ci saranno pirati, civiltà antiche, aeronavi, luoghi esotici e città magnifiche. Sarà un viaggio meraviglioso.
A differenza delle mie opere precedenti il cast è molto ampio, sia per i motivi di rappresentazione di cui parlavo sia perché fungono da motore per portare avanti la trama. Ho fatto in modo che tutti quanti abbiano un ruolo importante e che abbiano un loro arco narrativo con una conclusione, e anche questo posso farlo grazie al webcomic, perché questo medium mi dà tutto lo spazio che mi serve senza preoccuparmi delle logiche tecniche editoriali sul numero di pagine. Anche nel primo episodio avevo stimato tot tavole e poi ne ho aggiunte un paio senza problemi, cosa che su un fumetto cartaceo sarebbe stato più faticoso fare. Il webcomic mi consente di sviluppare con grande libertà sottotrame e personaggi che, in condizioni differenti, sarebbero potuti restare “incompiuti”. Ciò a riprova che questo mezzo è stata la scelta ideale, dato che tengo molto a questi personaggi.
Come possiamo entrare nell’atmosfera di Mothersea? Puoi darci dei consigli di visione, di lettura o di ascolto?
Come dicevo in precedenza, questa storia è dichiaratamente ispirata da Le cosmicomiche di Italo Calvino, dunque ne consiglio vivamente la lettura.
Per quanto riguarda la musica, Marinai, profeti e balene di Vinicio Capossela. Quest’album mi ha fatto entrare all’interno dell’atmosfera marinara e mi ha aiutato a creare l’universo di Mothersea. C’è anche un personaggio del fumetto che è ispirato visivamente a Capossela sulla copertina del disco.
Credo poi di essere rimasto colpito da molti dipinti del periodo romantico, in particolare quelli dei pittori tedeschi che scendevano in Italia e dipingevano paesaggi campestri, templi romani in rovina e altri soggetti di questo genere.
Infine, per quanto riguarda il cinema direi La canzone del mare di Tomm Moore. Anche se l’estetica è molto nordica, celtica, quindi diversa dalla mia, lo sento comunque molto vicino a Mothersea: credo che le narrazioni marine di tutto il mondo in qualche maniera si assomiglino, che abbiano dei punti in comune, primo fra tutti la presenza di personaggi mitologici come elementi scatenanti della narrazione. Come in La canzone del mare, anche in Mothersea c’è un personaggio che si credeva mitologico e invece si scopre realmente esistente.
Il trailer italiano de La canzone del mare (2014), secondo dei tre film dedicati da Tomm Moore alla mitologia della sua amata Irlanda insieme a The Secret of Kells (2009) e Wolfwalkers – Il popolo dei lupi (2020).
Infine: dopo oltre un anno di pandemia e di problemi, lavorare a questo fumetto a cui tieni così tanto ti ha fatto bene?
Sì, tantissimo. L’atto di creare mi svolta la giornata, mi rende la versione migliore di me stesso. Non è mai facile per me fare fumetti, motivo per cui sono molto meno produttivo di tanti miei colleghi, ma quando riesco a dare forma alle mie idee mi ci dedico con tutto me stesso e ottengo indietro una soddisfazione che nient’altro può pareggiare.
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