Frozen II – Riflessioni a freddo

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Per un film incentrato sul ghiaccio non si poteva non aspettare che arrivasse il freddo per parlarne bene: DF presenta un collage di tre opinioni diverse su Frozen II, la nuova avventura delle sorelle Anna & Elsa.

Con i suoi incassi stratosferici, sembrava molto difficile che la Disney non mettesse in cantiere un seguito per Frozen: e infatti.

Frozen II – Il segreto di Arendelle ha fatto parlare di sé come e più del primo, quindi servivano più persone per parlarne adeguatamente: a un mese dall’uscita nei cinema di tutto il mondo, Dimensione Fumetto dedica al 58esimo Classico Disney una recensione speciale composta da tre diversi punti di vista su un film fortemente divisivo seguito di un film fortemente divisivo.


Immagine promozionale di "Frozen II - Il segreto di Arendelle" di Chris Buck e Jennifer Lee.

Un Frozen che piace anche a me, finalmente

di Elisa “Aeris” Ferretti

La prima cosa da sapere su Frozen II – Il segreto di Arendelle è che si tratta di un film complementare al suo predecessore. Se il primo era incentrato sull’auto-accettazione e l’amore familiare, il secondo va un po’ più in là, indagando sulla comprensione del passato e di se stessi, nonché sul sapersi lasciare reciprocamente andare. Se Frozen girava ossessivamente attorno a porte che si chiudevano e aprivano, Frozen II parla di barriere da abbattere e ponti da costruire. Se nel primo capitolo la protagonista era Anna, nel secondo lo diventa Elsa.

La seconda cosa da tenere in considerazione è che Frozen II eredita parte delle debolezze del primo film, migliorandone però un aspetto fondamentale: l’equilibrio, sia musicale che strutturale.

La terza riguarda me, ed è una mia ammissione: nonostante sia stata presa in ostaggio per settimane mesi da Let It Go, come mezzo pianeta, con Frozen ho sempre avuto un rapporto piuttosto conflittuale. Amo i suoi messaggi, ma non la sfacciataggine con cui vuole farceli notare. Mi piace la storia, ma non il modo in cui viene sviluppata. Adoro gran parte dei suoi momenti musicali, ma non la loro distribuzione all’interno della pellicola. Apprezzo tutto sommato il film, ma non il fenomeno che ha generato. Comprerei tutti i pupazzi sul mercato di Sven, ma darei fuoco a qualsiasi cosa con le fattezze di Olaf.

Insomma, le premesse non erano delle migliori e Frozen II non stava sicuramente in cima alla lista delle priorità da vedere. Eppure mi è piaciuto, e dopo averci ragionato sopra aggiungerei più del primo, e anche di parecchio.

Non è sicuramente un film perfetto e, come anticipato, si porta dietro diversi problemi che caratterizzavano anche il Frozen del 2013, primo fra tutti una certa precipitazione degli eventi, e in generale la tendenza costante nell’ignorare i dettagli della propria storia, generando una mitologia debole e un intreccio narrativo parecchio traballante.

Penso al primo film e al ritratto che emergeva dei genitori di Anna ed Elsa, ad esempio, niente di diverso da due crudeli carcerieri. Penso al potere di Elsa, in grado di creare la vita senza che la storia si soffermi minimamente su questo (importante?) aspetto. Poi penso a Frozen II, in cui situazioni ingarbugliatissime vengono risolte grazie ad Anna e a doti deduttive che farebbero impallidire Sherlock Holmes. Penso alla facilità con cui i personaggi escono costantemente da situazioni potenzialmente mortali, senza la percezione che si stia rischiando davvero la vita.

Per carità, non è mia intenzione criticare troppo duramente Frozen per delle debolezze che potrebbero trovarsi facilmente in altri Classici Disney come in gran parte della filmografia pop anni ’80, fatto sta che con questa saga mi sono sempre sembrate parecchio evidenti, a tratti quasi intenzionali, come se la storia stessa ci stesse gridando in faccia di fare appello alla sospensione dell’incredulità, come se contasse solamente il viaggio interiore di Anna ed Elsa, non certo la logica o gli avvenimenti che lo accompagnano. E ammettiamo, funziona anche, visti i risultati.

Quel che invece mi ha sempre disturbata davvero, del primo Frozen, erano ritmo ed equilibrio, a cominciare dalla distribuzione dei suoi momenti musicali: cinque canzoni nei primi trentacinque minuti, lasciandone soltanto tre per i restanti sessanta circa. Bene ma non benissimo, insomma, se si considera che due di quelle ultime tre sono dedicate a Olaf e ai troll e la terza è un reprise.

Il Frozen del 2013 partiva alla grande, concentrando nella prima mezz’ora momenti potentissimi declinati grazie a musiche e immagini straordinarie. Una potenza che però non riusciva a cavalcare l’intera durata del film, esaurendosi poco dopo la metà con la reprise di For the First Time in Forever. Da lì in poi, per quel che mi riguarda, il film iniziava a barcollare parecchio, concentrando troppi eventi e temi da sviluppare in troppo poco tempo, arrivando al finale ormai senza forze, e quindi senza la giusta potenza. La percezione generale è sempre stata quella di un film con poco equilibrio e dal pessimo ritmo, grandioso nel primo tempo, ma mediocre nel secondo, come se si fosse dimenticato che le gare si vincono all’ultimo giro, non al primo.

Ecco, la bella notizia è che Frozen II non ha di questi problemi, fortunatamente. È un film che si concentra su un unico obiettivo e lo insegue per tutta la pellicola. Non ha divagazioni troppo evidenti (se non quelle che si porta dietro dal primo film), e resta concentrato su quello che vuole raccontare, riuscendoci in un modo splendido, a tratti commovente. Le musiche sono gestite infinitamente meglio rispetto al suo predecessore, tant’è che i grossi momenti (musicali e non) di Anna ed Elsa arriveranno soltanto verso il finale, regalando al film quell’equilibrio costante – e sempre più potente – che il primo non era riuscito a mantenere; un aspetto fondamentale, visto che le crescite di Anna ed Elsa vengono scandite attraverso i rispettivi momenti musicali.

Vada come vada, Frozen II – Il segreto di Arendelle mi ha aiutata persino a rivalutare il primo capitolo, e questa forse è una chiave di lettura di gran lunga migliore: riuscire a considerarli come un unico film, come se stessimo guardando un primo e un secondo atto. Vista così, non posso che essere soddisfatta del risultato finale. Olaf a parte, sempre.

Voto finale: 8/10


Fotogramma di "Frozen II - Il segreto di Arendelle" di Chris Buck e Jennifer Lee.

Frozen II, da classico Disney a saga fantasy

di Riccardo Leone

Frozen II è un film da home video che ha avuto un budget da cinema. Non è un film brutto, ma la vaghezza di storia e personaggi stridono dolorosamente con la bellezza delle visuali. Ce n’era bisogno? Certo che no, ma almeno ci prova.

Frozen, che con il suo miliardo di incasso è stato il primo film animato della storia in grado di sorpassare Il re leone, è stato molto polarizzante. Chi lo ama per le visuali, per la musica, per il messaggio di solidarietà e autodeterminazione. Chi invece lo detesta per le principesse con gli occhi a fanale, la ruffianeria di Let It Go e la trama barcollante che si regge sulla capacità di Elsa di scagliare maledizioni glaciali per sbaglio. Che sia per amore oppure odio, la discussione attorno a Frozen è comunque tutta pubblicità e quattrini, quindi la Disney ha preso questo film che si era concluso con un lieto fine e una dea del ghiaccio dalla parte dei buoni e ha imposto a un gruppo di sceneggiatori di cavarne fuori un sequel.

Ma se non è la trama a dare spiragli per una continuazione della storia, dove andare a trovarli? Dalla fanbase, ovviamente.

La risposta è setacciare il web alla ricerca di articoli, teorie e discussioni sulle criticità del primo film, che si potevano tutte liquidare con “Hanno riscritto il copione dieci volte”, ma su cui i fan hanno invece speculato le più ardite spiegazioni in-universe. Quindi prendere le teorie che non si contraddicono fra di loro e metterci sopra il marchio Disney. Il gioco è fatto.

Frozen II è questo, una risposta ai punti oscuri del primo film. Che siano semplici espedienti narrativi, Elsa che senza motivo ha una magia del ghiaccio dalle possibilità illimitate, a veri e propri errori, come Elsa che non esce mai dalla propria stanza per dieci anni e non matura qualche grave deficit psichico e motorio.

È con loro che il film parte, con quei due genitori che non si sono fermati neanche un attimo a pensare che non fosse il caso di tenere propria figlia in isolamento, genitori di un’incompetenza così criminosa da superare la malevolenza di qualsiasi altro cattivo Disney, genitori che farebbero impallidire quelli di Hänsel e Gretel.

Il Re e la Regina di Arendelle.

Il film inizia con un flashback delle due principesse bambine, mentre giocano con figurine di neve, prima del fattaccio del primo film, Elsa pronuncia qualche dichiarazione per nulla ammiccante su principesse che non devono sposarsi e Anna vorrebbe solo far sposare tutte le figurine fra di loro. Al che entrano mamma e papà, sorprendentemente rilassati nel vedere Anna rotolarsi in mezzo a un diorama di pericolosissima neve magica, mettono le figlie a letto, e per farle addormentare raccontano loro la trama del film e la madre canta loro la canzone che accompagna la colonna sonora.

Così, giusto per puntualizzare che se anche da lì a qualche giorno cercheranno di traumatizzare a morte la più grande, in fondo sono dei bravi genitori.

Nei fatti, questo film è un retcon, ed è più facile da inquadrare facendo finta che gli undici anni di reclusione di Elsa non siano mai avvenuti. Prendetela come una crisi del multiverso Marvel che ha tangenzialmente riscritto la storia di quello di Frozen.

Voto finale: 5/10


Fotogramma di "Frozen II - Il segreto di Arendelle" di Chris Buck e Jennifer Lee.

Frozen II, il segreto che non doveva essere svelato

di Giulia Pasqualini

Frozen II è stato un sequel voluto da migliaia di persone per i motivi più disparati: chi ha amato il primo film era ben felice di avere un seguito alla storia, chi non ne era rimasto soddisfatto sperava di trovare le risposte alle tante lacune della trama, e poi c’era chi non era davvero interessato al film in sé quanto piuttosto alla possibilità che Elsa trovasse una fidanzata diventando la paladina Disney dell’LGBTQ+.

Incredibilmente il film è riuscito a deludere tutti.

Si distacca molto dal format del primo capitolo facendo storcere il naso ai fan storici, non risponde alle tante domande in modo appropriato, e persevera nell’idea di Elsa donna indipendente che non ha bisogno di partner.

Non ci sono però solo lati negativi: in Frozen II infatti regna la coerenza.
Il padre e la madre di Anna ed Elsa oltre che pessimi genitori si scoprono anche pessimi coniugi, almeno la moglie che senza alcun motivo nasconde le sue origini al marito ed alle figlie; il “mistero” inoltre viene svelato nei primi 15 minuti di film rendendo il segreto totalmente inutile.
Elsa continua a dimenticare la crescita del suo personaggio: esattamente come dopo All’alba sorgerò, in cui annunciava letteralmente di aver capito che il suo potere «non è un difetto è una virtù e non lo scorderò mai più» però poi si chiudeva nel castello a piangere, così per tutto il secondo film Elsa dimentica di aver imparato che l’amore fra sorelle è importante, non si confida mai con Anna e cerca sempre di risolvere la situazione da sola.
L’unica funzione di Kristoff è essere la controparte maschile di Anna.
Olaf è più odioso che mai, ma almeno (SPOILER) muore per circa 15 minuti, yuppi!
Tutti i nuovi personaggi secondari sono così inutili che se non comparissero affatto nel film la trama non sarebbe cambiata di una virgola… o meglio, TUTTI i personaggi a parte Elsa sono inutili e senza di essi il film non sarebbe cambiato di una virgola.

Nonostante tutti i difetti però, il film riesce davvero a risultare piacevole grazie ad alcuni lati estremamente positivi.
Il salto grafico è impressionante, non solo dal punto di vista tecnico: molto più che nel primo capitolo, viene sfruttato il potenziale grafico della neve creando delle scene spettacolari, come quella di Nell’ignoto, che da sole valgono il biglietto.
Parlando di canzoni, come nel primo film risultano un po’ troppe (senza di esse dubito si sarebbero superati i 20 minuti di film), ma sono perlopiù molto belle o divertenti (menzione d’onore alla canzone di Kristoff). Certo sarebbe stato meglio togliere quella inutile di Olaf e far spazio a quelle tagliate (decisamente migliori) che sono state pubblicate dal canale YouTube della Disney, ma ci accontentiamo.

Nel complesso quindi si avrebbe un film visivamente e musicalmente ottimo, con qualche buco di trama, personaggi scritti non proprio benissimo e ritmo altalenante in un bilancio finale medio-buono. Almeno se lo si considerasse singolarmente, perché il vero problema di questo film è che la regista, Jennifer Lee, tende a usare lo stesso schema per i vari film a cui ha collaborato rendendo i primi interessanti e poi gli altri via via sempre più noiosi e banali. Ecco quindi che i cattivi a sorpresa diventano la norma (Ralph Spaccatutto, Frozen, Zootropolis) e che il colpo di scena finale (ovviamente SPOILER) non è più tanto un colpo di scena in quanto è lo stesso di Ralph spacca Internet e Toy Story 4: i protagonisti si dividono, perché il messaggio è che l’amicizia e la famiglia sopravvivono alle distanze e ci supportano sempre, ma la vera forza viene da dentro di noi. Bel messaggio, ripetuto per tre volte di seguito.

Voto finale: 6/10

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