Martin Mystère, le Nuove Avventure a Colori – Un reboot di mezza età
Sapete, arriva nella vita quel fatidico momento in cui bisogna tirare giù un paio di conti.
Non arriva per tutti allo stesso momento, ma non se ne può fare a meno. È quando ti rendi conto che nel tuo futuro non c’è più abbastanza spazio per contenere tutti i sogni e le aspettative cui eri abituato. È il momento in cui devi fare una cernita delle speranze, e tenerti soltanto quelle plausibili.
È il momento in cui ti chiedi esattamente quale sia stato il momento della tua vita in cui le cose hanno preso una certa piega; quando fai l’elenco delle cose che avresti voluto cambiare, quando ti sforzi di immaginare dove saresti ora se potessi tornare con la mente nel corpo e nell’epoca dei vent’anni.
È la crisi di mezza età, baby, e non puoi farci niente. Chi scrive, che ha da poco passato i 40 inverni, ne sa qualcosa. Essendo il pubblico dei fumetti fortemente concentrato nella mia fascia anagrafica, è molto probabile che anche voi, che siete qui a leggere, ne sappiate ben qualcosa.
Ebbene, anche i personaggi dei fumetti soffrono della crisi di mezza età.
A noi, personaggi del mondo che chiamiamo “realtà”, la crisi si annuncia con le prime rughe di espressione. Per loro, personaggi del mondo che chiamiamo “immaginazione”, arriva quando le vendite cominciano a calare.
Per noi, la crisi di mezza età si conclude con l’acquisto di una macchinona, oppure con l’accettazione rassegnata.
Per loro, invece, si conclude usualmente con un bel reboot. Il reboot è immensamente meglio della nostra sorte: perché loro, fortunelli, possono davvero ringiovanire ed evitare gli errori commessi.

Martin Mystère, che nelle edicole italiane ci gira da più di 30 anni, ha avuto un bel reboot di mezza età, che si è concretizzato in questa maxiserie di 12 volumi, appena conclusasi per i tipi della Bonelli.
Ora, potremmo banalmente recensirla, ma cosa cambierebbe? Il danno ormai è fatto, perché la serie si è conclusa e chi l’ha presa fino all’ultimo ormai avrà già una sua idea. Qui invece ci interessa capire cosa sia mai passato per la mente delle teste pensanti bonelliane.
Quando il gruppo di scrittori ha cominciato a riunirsi nei patinati saloni della SBE, si sarà chiesto, proprio come un quarantenne qualsiasi: “Se dovessimo inventare oggi il BVZM, cosa cambieremmo? Cosa gli ha impedito di diventare un best seller internazionale che ci riempie le tasche?”
Questo articolo cercherà di capire, dopo la lettura della serie, qual è stata la loro risposta.
- Someday over the rainbow
La prima cosa che deve essergli balzata all’occhio è il malinconico bianco e nero con cui Martin Mystère è stato pubblicato. Figlio di un’epoca ormai superata, in cui il perbenismo e la barbosità veterofumettistica la facevano da padrone, il bianco e nero è stato una scelta che non ha pagato. Forse rendeva gli albi troppo economici, facendoli sembrare dei prodotti di bassa qualità, quasi come un “Il tromba” delle edizioni Squalo. Molto meglio 96 pagine tutte a colori sfavillanti, come è in uso ultimamente. Pazienza se adesso un solo numero ti costa come mezzo abbonamento a Netflix.
C’è da dire che Il Buon Vecchio Zio Marty aveva già esplorato le tonali lande del colore, in uno splendido Speciale che faceva proprio del colore il protagonista delle storie. Ma quella è roba di venti anni fa, quindi non c’è da farci caso.
- Le spalle comiche non fanno ridere

Diciamoci la verità, un Neanderthal in smoking che si esprime a grugniti deve avergli fatto mettere le mani nei capelli. Ma cosa aveva avuto in mente Castelli? Un personaggio del genere può andar bene in un film di Ringo Starr, non certo in una serie dei fanta-archeologia popolata di alieni, antiche razze estinte, santoni dai poteri magici e città mistiche di altre dimensioni.
Java è stato un grave errore, e oltretutto sembra la pubblicità di un linguaggio di programmazione. Molto meglio sostituirlo con un hipster nerboruto e logorroico probabilmente immortale; quella sì che è una roba che funziona.
- Le donne devono essere gnocche
Una cosa che colpisce dell’immaginario di questa serie è che ogni personaggio femminile, senza nessuna esclusione, è una gnocca pazzesca. Che si parli di blogger nerd, di accademiche paraplegiche, di avvocati, di androidi millenari o lupi mannari gitane, la galleria di eroine sembra tirata fuori di peso da un catalogo Victoria’s Secret.
La cosa non ci sorprende, comunque: tutti noi quarantenni rimpiangiamo di non aver passato la giovinezza in mezzo a delle supermodelle. Il nuovo Martin se la spessa alla grande, bontà sua.
- -“Cosa desideriamo, Clarice?”, -“Quello che vediamo tutti i giorni, dottor Lecter”
Un altro problema che i Mysteriani devono aver riscontrato nelle storie del BVZM classico è la lontananza dalla vita di tutti i giorni dei giovani. Il Detective dell’Impossibile passava troppo tempo tra rovine azteche, paradossi temporali, e vestigia polverose di Mu, tralasciando quello che davvero fa audience: i superpoteri e i talent show.
Se poi ci metti un talent show dei superpoteri hai fatto il botto: ed ecco quindi Martin che, come un novello Fedez, siede sul banco dei giudici.
- Pochi, maledetti, e subito
Come ben sa chiunque frequenti la scuola, a qualunque titolo, una delle piaghe giovanili dei nostri decenni è il deficit di attenzione: i nostri figli si distraggono facilmente, rifuggendo qualsiasi narrazione che li tenga occupati per troppo tempo. Il vecchio BVZM ci ha messo circa 200 numeri, cioè 200 mesi, quasi dieci anni, per definire il set della propria mitologia.
A questa velocità crescono i fili d’erba e i peli della barba, si saranno detti i Mysteriani. Molto meglio condensare il tutto in 12 numeri, e quando diciamo tutto intendiamo proprio tutto: un bel Bignami Mysteriano, che fior di italiani ci hanno passato la maturità coi Bignami, altroché. Intere biblioteche di (fanta)archeologia frullati insieme e distillati minuziosamente come un raffinato prodotto omeopatico: il risultato, in effetti, fa lo stesso effetto dell’oscillococcinum sul raffreddore stagionale.
Conclusioni
Una volta il sottoscritto ha provato a scrivere un racconto in cui rebootava se stesso, per vedere dove avrebbe potuto arrivare se avesse cambiato qualcosa. Da piccolo volevo fare il miliardario di mestiere, e così ho cercato le scelte che mi hanno impedito di realizzare il mio piccolo innocente sogno.
Uno qualsiasi dei momenti che cambiavo, nel racconto, mi portavano da qualche parte, ma nessuno mi dava la garanzia che, pur miliardario, potessi essere felice come sono ora, con la mia famiglia, i miei amici, e il lavoro che ho. Alla fine ho rinunciato, pensando che con ogni probabilità non morirò miliardario, ma morirò Francesco.
Con ogni probabilità Martin Mystère un giorno chiuderà, e quando chiuderà, non lo farà da best seller. Almeno, però, chiuderà come Buon Vecchio Zio Marty, allontanandosi con il suo amico Java e Diana Lombard verso qualche remota regione di un mondo in bianco e nero. Allora, forse, potremo ripensare a questa maxiserie di 12 numeri a colori e farci una bella risata sulle scemenze che la crisi di mezza età ti mette nella testa.