La solitudine del fumettista errante, ovvero: la Moleskine di Adrian Tomine

Una graphic novel divertente e buffa e al contempo una riflessione esistenziale che parla della vita di un fumettista più o meno celebre: l’autore indie Adrian Tomine.

Copertina de "La solitudine del fumettista errante" di Adrian Tomine.La solitudine del fumettista errante è l’ultimo graphic novel dell’autore americano Adrian Tomine, edito da Rizzoli Lizard e tradotto da Vincenzo Filosa.

Una raccolta autobiografica di incidenti di percorso nella carriera da fumettista di Tomine, che ricorda con leggera ironia episodi del passato più o meno imbarazzanti, che lo hanno portato a essere uno degli autori maggiormente apprezzati della scena del fumetto alternativo americano.

Da quando a scuola era l’unico ad avere la passione per i fumetti e quindi deriso da compagni e insegnante, ai firmacopie deserti in piccole fumetterie di quartiere, alle fan che lo scambiano per Daniel Clowes.

Una serie di comici eventi punteggiano la sua vita e carriera che, come ci dice il titolo del libro, ha passato per la maggior parte in solitudine, costantemente in conflitto tra cura della privacy e esposizione mediatica.

«Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?» si chiedeva Nanni Moretti in Ecce Bombo e così Tomine, desideroso di farsi riconoscere dal pubblico e dai suoi colleghi, di vedere il suo lavoro premiato e valorizzato, ma nello stesso tempo poco a suo agio con le luci della ribalta e i fan che lo riconoscono per strada.

La solitudine del fumettista errante è un volume decisamente ironico e onesto, che non si prende sul serio.

L’autore scherza sulla sua figura di “famoso” del fumetto e nello stesso tempo riflette sul suo lavoro, che l’ha portato a essere una persona sola, piena di insicurezze e ansie e che lo ha fatto rinunciare a una vita “normale” e “sociale”, in favore di una passione a cui non riesce a rinunciare.

Una graphic novel dedicata ai fumettisti o agli aspiranti tali.

Tomine spiega con schiettezza e candore che disegnare fumetti non è un passatempo, ma una vera e propria vocazione, che messo da parte il furor artistico, figlio di una narrativa bohémienne perpetrata nel tempo, quello che rimane è una vita di sacrifici, metodica applicazione e sconfortanti passi falsi.

Dettaglio di una pagina da "La solitudine del fumettista errante" di Adrian Tomine.

Adrian è tormentato dal costante rivolgere lo sguardo ai modelli che lo hanno portato a fare questo mestiere e il tentativo di allontanarsi da loro, per trovare la sua strada e il suo modo unico di parlare, cosa che ovviamente gli è riuscita molto bene. Questo però non è un libro auto-celebrativo, anzi.

La costante ansia di non essere sufficientemente bravo, di non piacere al pubblico, di non arrivare alle nuove generazioni e nello stesso tempo di non accontentare più i lettori della prima ora. Emblematico è l’imbarazzante episodio del ristorante, dove i suoi vicini di tavolo dissertano sul suo capolavoro Summer Blonde, definendolo «così vuoto!» e lui non solo è incapace di difenderlo, ma incassa il colpo, arrivando a giustificare l’improvvisato e crudele recensore con un commento indulgente.

Tomine parla al suo pubblico e ai suoi colleghi e racconta come lui ha vissuto per anni uno dei mestieri più affascinanti in circolazione, spiegandone i risvolti patetici e le piccole meschinità.

L’ambiente del fumetto è dipinto come una cerchia chiusa e autoreferenziale, dove tutto esplode e implode senza far rumore nel mondo reale. I luoghi, sempre quelli, i premi, sempre quelli, gli autori, sempre quelli, che anno dopo anno continuano a sedimentare un microcosmo autoportante e egoriferito. Se pubblichi per Drawn & Quarterly hai svoltato e tradito l’ambiente alternativo che ti ha cresciuto, ma comunque non sei Frank Miller e al tuo firmacopie si presentano solo in quattro.

Illustrazione da "La solitudine del fumettista errante" di Adrian Tomine.

Quante volte Tomine deve correggere la pronuncia del suo cognome? Non solo da chi non lo conosce, ma anche da chi, in teoria, dovrebbe far parte del suo stesso ambiente.

Quante volte si troverà in imbarazzo di fronte ai colleghi più blasonati? Che lo scambiano per un assistente tuttofare invece di riconoscerlo come l’autore che pubblica sul New Yorker.

Anche se spesso La solitudine del fumettista errante intraprende la via dell’autocommiserazione, non arriva però mai a quelle note di pietismo indigesto che rendono il protagonista una macchietta con cui è difficile empatizzare.

Tomine riesce bene a dosare i momenti di sconfinata depressione con quelli di leggera ironia e comiche gaffe.

Il finale intimo e familiare risolleva la narrazione a episodi in cui è strutturato La solitudine del fumettista errante, donandogli una chiusura corposa e una consistenza poetica che da dignità al flusso di coscienza che pervade tutta l’opera. Tomine si rivolge allo specchio/spettatore e mostra la sua intimità e fragilità, l’uomo che è diventato grazie o a causa di tutto quello che ha vissuto. Un padre di famiglia, un compagno, un fumettista in miracoloso equilibrio tra casa e carriera, ansie quotidiane e gioie professionali.

«È strano quando la tua passione d’infanzia si trasforma in un lavoro».


Adrian Tomine
La solitudine del fumettista errante
Rizzoli Lizard, 9 giugno 2020
brossura, pagg. 160, colore, 21 × 15 cm, €19.00
ISBN: 9788817148528

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