Tra Dylan e Mercurio intervista ad Alessandro Bilotta
Impegnato tra la timeline de “il pianeta dei morti” e il nuovissimo “Mercurio Loi” Alessandro Bilotta è uno degli sceneggiatori italiani più apprezzati. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui.
Alessandro Bilotta, per chi segue anche marginalmente l’ultima generazione di autori della Bonelli, non ha bisogno di presentazioni. Probabilmente è lo sceneggiatore più “d’autore” del fumetto popolare in Italia, avendo spesso scelto di creare opere sue (gli episodi autoconclusivi de Le Storie e Walter Buio, giusto per fare degli esempi) e molto spesso, quando lavora per personaggi seriali, utilizza dei presupposti inusuali (come il suo Dylan Dog alternativo, più anziano, che vive in un mondo popolato da zombi).
Apprezzato anche dalla critica, avendo ricevuto il premio Anafi e il premio Micheluzzi come Miglior sceneggiatore, abbiamo voluto fare due chiacchiere su come lavora e quali forze oscure sollecitano la mente di chi fa questo mestiere.
Grazie Alessandro per la disponibilità, innanzitutto e ti volevo chiedere: da dove viene un’idea? Da cosa parti solitamente? Possiamo anche fare l’esempio di come è nata la storia di Dylan uscita recentemente [La fine è il mio inizio]. Quali parametri utilizzi per capire se un’idea è valida o è da scartare?
È un’idea valida se mi coinvolge, se si fissa nella mia mente, progredisce e mi fa venire voglia di dedicargli tempo e lavoro.
Si dice che di solito a un soggettista/sceneggiatore vengono in mente decine di idee, ma quasi tutte si rivelano inefficienti. Succede anche a te?
Nel mio caso non è un problema di inefficienza, ma di selezionare le idee che mi interessano realmente, avendo a disposizione, come tutti, una vita con un tempo determinato.
Secondo te oggi si può essere originali?
Certamente. Ma penso che l’originalità sia sopravvalutata.
Quanto pesa il “come” raccontare rispetto al “cosa” raccontare? Intendo: si può rendere la storia di una principessa che viene salvata dal suo principe avvincente e moderna, con una sceneggiatura che mascheri la classicità degli eventi?
Sì. Penso che la scelta del “cosa” ci parli delle intenzioni dell’autore, ma è il “come” che fa la qualità di un narratore.
Vederti passare da Le Storie e Dylan Dog, a Corsari di classe Y pubblicati ne “Il Giornalino” ai cartoni animati delle Winx Club fa capire quanto sei poliedrico. Quanto è importante questa capacità in un autore, nel tuo campo?
È importante solo da un punto di vista strettamente lavorativo. Nel mio caso è naturale perché mi interessano moltissime cose, anzi potrei dirti che il fumetto è solo uno dei miei tanti interessi, però ho molta stima di coloro che scrivono la stessa cosa tutta la vita, mi sembra che coltivino un’ossessione.
La documentazione oggi quanto è importante, se si racconta un fatto riferito a un periodo storico reale? In quali casi le inesattezze storiche potrebbero essere plausibili?
Dipende sempre da cosa si vuole raccontare. Se la storia è incentrata sui personaggi, lo sfondo storico può diventare marginale.
Quale consideri un’opera perfetta dal punto di vista narrativo/sceneggiatura?
Watchmen.
Passando nel dettaglio: qual è il rapporto con il disegnatore? Come gestite l’impaginazione e la scansione? Dai direttive precise o preferisci affidarti a ripetuti scambi di opinioni? Potremmo anche parlare della genesi…
Parlo a lungo con il disegnatore prima di scrivere la sceneggiatura, ma dopo aver chiara in mente la storia. Mi confronto sulla direzione verso cui vogliamo andare. In seguito scrivo una sceneggiatura molto dettagliata. Dopo di che, mentre il disegnatore realizza le tavole, c’è uno scambio e un confronto continui.
Lavorare con un disegnatore esordiente o con un veterano del mestiere: a quali differenze sei andato incontro?
Un esordiente ha sempre molti problemi sulla prima storia, che in qualche modo per lui è l’occasione di imparare, però può essere molto disponibile a mettersi in gioco. Un veterano non ha alcun problema a realizzare una storia, ma potrebbe non avere interesse ad alzare l’asticella della sfida.
Spesso si parla con un disegnatore di come la tecnologia ha cambiato il modo di disegnare. E per uno sceneggiatore, quanto è cambiato il modo di lavorare negli ultimi anni?
È molto più semplice e rapido l’accesso alle informazioni e questo consente a chiunque lo voglia di ottenere in poco tempo e in modo credibile qualunque genere di documentazione.
C’è una piccola voce che circola e vorrei sapere se per te è vera: in Italia abbondano i disegnatori bravi e capaci, ma di sceneggiatori bravi e preparati ce ne sono pochi. Solo una voce o pensi che sia vero?
C’è oggettivamente un numero inferiore di sceneggiatori rispetto ai disegnatori, ma non è un problema italiano, è così in tutto il mondo.
Il fumetto italiano si sta muovendo molto in questi ultimi anni e tu sei uno dei protagonisti. Pensi che presto l’innovazione soppianterà la tradizione e vedremo (eresia!) Tex fatto da un mangaka?
Penso che nei fumetti, come in molti altri settori culturali, ci sia voglia e bisogno di novità, ma non penso che queste coincidano necessariamente con lo stravolgimento di quello che c’è già, anzi, questo potrebbe essere sintomatico proprio dello scarseggiare delle novità.
