Alan Moore e Lovecraft (prima parte)
Una raccolta di storie a fumetti di un certo peso, sia per la struttura dell’opera stessa sia per l’interposizione di due grandi nome dell’immaginario fantastico: Alan Moore e Lovecraft si uniscono nella nuova impresa editoriale Panini.
Che Alan Moore abbia qualcosa di lovecraftiano non lo scopriamo certo adesso, sicuramente lo troviamo nel suo aspetto, ma anche nel suo modo di scrivere e di sceneggiare, soprattutto nella capacità di “creare atmosfera”.
D’altra parte Lovecraft da sempre “stimola” autori e disegnatori (ci si è messo anche il buon Roberto Recchioni a riscrivere Le montagne della follia), così Panini Comics ha pensato bene di tradurre (da Avatar) e proporre in Italia alcune delle storie più recenti del visionario autore di Watchmen, che si è cimentato nell’ambientare le sue trame in un mondo ancor più visionario dell’inventore della Miskatonic University, e che ha poi dato origine al nome del più famoso manicomio dei fumetti (chiedere ai fan di Batman).
Il primo libro non è esattamente un fumetto, o meglio, è una raccolta di storie brevi a fumetti, non tutte scritte da Moore, anche se contiene diverse sceneggiature, interviste, e altro, per cui richiede anche un certo “impegno” nella lettura.
Il titolo italiano è Funghi di Yuggoth e altre colture e raccoglie «una pletora di classiche storie brevi di Alan Moore, fuori catalogo o addirittura mai viste prima» (dalla quarta di copertina), di stile molto variegato e accompagnate da disegnatori altrettanto variegati: da un Brian Talbot d’annata (1983) a Jacen Burrows che recentemente ha lavorato molto con l’accoppiata Moore-Lovecraft (ma su questo ci torniamo).
L’opera appare come una raccolta di moltissimo materiale (come già detto, di Moore ma non solo, oltre la metà delle pagine sono storie di Antony Johnston) che più o meno gravita nell’orbita lovecraftiana. La lettura richiede tempo e pazienza, sia per la struttura, sia per la densità e gravità delle storie stesse, ma anche per i ricchissimi (a volte fin troppo) inserti. La qualità dei disegni e delle storie è variabile, ma godibile, anche per chi non conosce troppo il mondo di Lovecraft. Il bianco e nero, spessissimo senza alcun retino, sottolinea bene le ambientazioni e non toglie nulla alla percezione delle storie, anzi, dà quel senso di onirico che si sposa benissimo con le ambientazioni, i personaggi e in generale con quello che si aspetta l’appassionato lovecraftiano.
Il volume va quindi preso a piccole dosi, e alla fine può risultare interessante per la molteplicità di linguaggi contenuti. Anche prese singolarmente, le storie non sono male; a volte la comprensione può essere difficoltosa, ma Antonio Solinas ed Elena Cecchini in calce al libro offrono una nota abbastanza ricca delle citazioni e delle altre informazioni necessarie (compresa la storia editoriale del volume) per orientarsi in oltre 300 pagine tra realtà e sogno (o meglio incubo).