Un giorno sul fiume (e altre storie) – Quattro ipotesi di futuro + intervista a Giorgio Pandiani

Copertina di "Un giorno sul fiume (e altre storie)" di Giorgio Pandiani.Quando ho finito di leggere l’ultima pagina di Un giorno sul fiume (e altre storie) di Giorgio Pandiani e chiuso il libro, ho dovuto fare un grande respiro, inspirare lungamente col naso ed espirare con la bocca, di nuovo, di nuovo, ecco ora mi sento meglio, di nuovo, va bene, ho gli occhi non proprio lucidi però mi fanno come male, un ultimo respirone, ok, vado a preparare un tè per calmarmi.

Quand’era stata l’ultima volta che mi ero sentito così, esattamente così, somatizzando l’ansia? Me lo ricordo bene. È stato il 13 ottobre 2018, quando sono andato per una mostra temporanea al Miraikan (“Palazzo del futuro”), il nome colloquiale con cui è noto il Museo nazionale della scienza emergente e dell’innovazione sull’isola di Odaiba (Kōtō, Tōkyō), e mentre aspettavo il mio turno per entrare ho visitato la straordinaria collezione scientifica permanente del museo: fra tante meraviglie, un’installazione video mostrava il mondo fra 50 anni nel caso in cui la crisi climatica continuasse con il ritmo attuale, e lo faceva in maniera estremamente vivida, quasi horror, attraverso la lettera di un bambino del futuro che descriveva il suo mondo brutto, grigio, ostile, arido, morto. Anche quel giorno ho sentito gola secca, pizzicore agli occhi e senso di vertigine: credo sia stata la mia prima esperienza di climate anxiety o, con un efficace neologismo in italiano, ecoansia, un disturbo che affligge sempre più persone nel mondo.

Foto dal museo Miraikan di Tokyo.
L’attrazione più celebre del Miraikan è il Geo-Cosmos, un enorme mappamondo sospeso nella hall del museo e ricoperto di pannelli a LED che mostra la Terra come si vedrebbe dallo spazio live, in quel preciso momento, con tutte le sue condizioni atmosferiche; di volta in volta scorrono anche video, infografiche e vari altri contenuti scientifici. La grande rampa a spirale che gira intorno al mappamondo riporta i nomi di tutti gli astronauti che hanno visitato lo spazio. Veramente impressionante.

Quella del Miraikan potrebbe sembrare una rappresentazione eccessiva, ma forse non lo è, e anzi i giapponesi fanno bene a preoccuparsi: stando al Global Climate Risk Index 2021, il Giappone è al 4º posto al mondo fra i Paesi a rischio climatico per via dei tifoni tropicali sempre più forti (Hagibis nell’ottobre 2019 ha lasciato almeno 100 morti, 230 feriti e 13’000 case distrutte, e non parliamo di baracche in un Paese via di sviluppo, ma di edifici del primo mondo) e del caldo estivo sempre più intenso (a maggio 2019 si sono registrati 39.5 °C in Hokkaidō, all’estremo nord dell’arcipelago, e ad agosto dello stesso anno 57 persone sono morte di caldo e altre 18’000 ricoverate in ospedale per ipertermia); è evidente che l’alterazione del clima genera anche enormi problemi economici e sociali, non solo ambientali. Nella media ventennale 2000-2019 della stessa classifica il Giappone è al 57º posto; per la cronaca, l’Italia è al 35º posto nel 2019 e al 22º nel 2000-2019, mentre il Regno Unito rispettivamente al 102º e 58º: tutti e tre nelle parti alte delle classifiche.

Il Regno Unito è il Paese dove si è trasferito il fumettista, illustratore e grafico lecchese Giorgio Pandiani. Nonostante le posizioni migliori di Giappone e Italia, la crisi climatica si deve sentire anche lì dato che Pandiani sta costruendosi una carriera proprio col fumetto di denuncia ecologica: nel 2011 pubblica in autoproduzione il volume I palazzi, nel 2014-2019 pure in autoproduzione i tre volumi di Radici stampati minimizzando l’impronta di carbonio, e nel 2022 disegna su sceneggiatura di Sergio Rossi la storia Quindi lo sapevano per il primo numero de La Revue Dessinée Italia.

Copertine de "I palazzi" e del primo volume di "Radici" di Giorgio Pandiani, e prima tavola di "Quindi lo sapevano" di Sergio Rossi e Giorgio Pandiani.
Copertine de I palazzi e del primo volume di Radici, e prima tavola di Quindi lo sapevano.

In questo 2023 arriva infine il volume Un giorno sul fiume (e altre storie), ancora in autoproduzione ecosostenibile, che raccoglie quattro storie elaborate durante la pandemia di COVID-19. Benché siano tutte e quattro molto brevi (dalle tre alle 16 tavole, e l’intero volume occupa 48 facciate, pagine tecniche incluse), Pandiani è in grado di sfruttare al meglio il poco spazio per narrare al lettore storie che occupano mesi, anni, secoli, forse millenni.

Le storie sono così brevi che si fa prima a leggerle che a riassumerle. Basti dire che una racconta un caso di sfiducia nella scienza astronomica parallelo alla sfiducia nella scienza medica verificatasi durante la pandemia, una riporta un episodio più che verosimile di abuso ambientale, e una immagina distopicamente il futuro dal punto di vista di una famiglia della classe agiata; la quarta e ultima storia, che dà il titolo al volume, segue la giornata di un personaggio fra rituali preistorici e rovine postindustriali: per quanto sia già narrativamente completa e abbastanza ricca di dettagli da poter essere fruita come una storia completa e pienamente compresa nel suo significato, l’autore spiega nella postfazione che queste 16 tavole sono in realtà l’incipit di un futuro fumetto lungo.

Tavola da "Un giorno sul fiume (e altre storie)" di Giorgio Pandiani.Con la stessa potenza narrativa e asciuttezza visiva e verbale di certi cortometraggi, che riescono a concentrare un mondo intero in pochi minuti, i fumetti di Pandiani sorprendono il lettore per la loro capacità per niente scontata di raccontare tutto il necessario in pochissime pagine, con una sintesi formale esemplare per cui nessuna vignetta è sprecata o superflua, e tutte assolvono allo scopo esatto di comunicare uno specifico messaggio al lettore.

La terza storia è perfetta in questo, ma possedendo una trama complessa e tripartita, ambientazione dettagliata, numerosi personaggi, archi di trasformazione, colpi di scena, flashback, presagi e pure un finale a effetto (il tutto in 12 tavole!), non spoilerizziamo niente e lasciamo al lettore il piacere di scoprirla. Usiamo quindi la quarta storia/capitolo zero per fare esempi concreti:

– lo scaffale dentro la grotta, gli edifici in rovina e i macchinari abbandonati sono più che sufficienti per svelare al lettore che il personaggio si muove in un mondo post-industriale, magari dopo un disastro, o una guerra sociale, o un qualche ritorno alla natura forzato, un po’ in stile Nausicaä della Valle del vento (evocata nella scena dell’albero, molto miyazakiana);
– gli atteggiamenti del protagonista, i suoi indumenti e strumenti, le sue tecniche di caccia lo qualificano come un qualche “sopravvissuto” a un qualche evento cataclismo (ahimé non inverosimile);
– nel rifugio è appesa quella che sembra essere la foto di due persone davanti a una casa, uhm;
– la mancanza di libri nel rifugio e il fatto che il protagonista contempli le rovine più per guardarle che per usarle fanno supporre la perdita di competenze culturali;
– gli strumenti e le scritte a lui semi-incomprensibili, come lo sono per noi strumenti e scritte di una civiltà antica e perduta, fanno suppore la perdita di competenze tecniche;
– quanto all’edificio visitato dal protagonista, l’architettura esterna e le turbine Francis dell’ingegner Riva e c., Milano 1912, sono indizi che sembrano rimandare a vari luoghi reali come le centrali idroelettriche Semenza ed Esterle sul fiume Adda, ma il livello dell’acqua sembra diverso, chissà che cosa sarà mai successo;
– ci sono ancora molte piante e molti animali: la natura trova sempre una modo.

Eccetera eccetera. In breve, fra dettagli e citazioni, Pandiani riesce a creare un mondo intero e a solleticare la curiosità del lettore in pochissime pagine, peraltro mute, attraverso la sola esplorazione dell’ambiente. Eccellente.

Tavola da "Un giorno sul fiume (e altre storie)" di Giorgio Pandiani.
Il paesaggio per cui si aggira il protagonista di Un giorno sul fiume: il fiume Adda, si ipotizza.

Alla sapienza narrativa si unisce una non meno ottima capacità grafica. I disegni sono associabili allo stile ligne claire, ma morbidi e corposi come fossero stati realizzati con la Tratto Pen o su una lavagna bianca: un bel segno pastoso, pulito e ben rifinito, corredato da un’ombreggiatura misurata e usata solo quando serve. Molto interessante l’uso delle vignette, con lo spazio bianco regolare, ma usato per tagliare sottostanti panorami orizzontali contigui allo scopo di segnalare il passaggio del tempo o il movimento dei personaggi all’interno dei vari ambienti.

Un volumetto impeccabile nel contenuto e delizioso nella forma pur nel suo essere terribilmente franco su un argomento terribilmente drammatico come la crisi climatica.

Nell’attesa di poter leggere il fumetto lungo a cui l’episodio Un giorno sul fiume fa da capitolo zero, abbiamo incontrato Giorgio Pandiani e discusso con lui di fumetto, ecologia e futuro.


Fotografia di Giorgio Pandiani.

Ciao Giorgio, presentati ai nostri lettori per favore.

Ciao! Sono Giorgio Pandiani, un autore di fumetti, grafico e illustratore. Autoproduco i miei fumetti da ormai quindici anni, ho iniziato a farlo dopo aver frequentato la Scuola del fumetto di Milano, e ho realizzato alcune storie brevi con cui ho partecipato a dei concorsi, in particolare a quello de La Revue Dessinée Italia che ho vinto con Futuro alternativo e che poi mi ha permesso di scrivere per la rivista Quindi lo sapevano insieme a Sergio Rossi.

Perché ti affidi quasi interamente all’autoproduzione ecosostenibile?

Ci sono due motivi, uno artistico e uno economico. Finita la Scuola del fumetto avevo provato a proporre delle idee ad alcuni editori, ma poi ho capito che stavo sbagliando nel farlo, perché per proporsi a un editore con successo è necessario pensare a un prodotto che possa interessarlo, mentre io realizzavo fumetti essenzialmente per delle mie necessità espressive e artistiche. Per questo ho iniziato a realizzare fumetti da solo rispettando dei parametri che mi davo da solo, come ad esempio stampare nel modo più ecologico possibile impiegando meno materiale possibile, non stampare più copie del dovuto, eccetera, e ovviamente parlare di tematiche che mi interessano, che non è detto siano quelle che interessano al mercato. Nel caso delle storie brevi che ho realizzato durante il COVID-19, le ho pubblicate direttamente online perché in quel periodo non aveva senso stampare.

Per quanto riguarda il lato economico, io vengo da una famiglia di operai e ho sempre lavorato fin da quando ho finito le scuole superiori, ma le condizioni economiche offertemi dagli editori erano abbastanza improponibili, nel senso che se anche un editore fosse stato interessato la paga sarebbe stata o nulla o comunque molto bassa, quindi non mi sarebbe stato possibile nella realtà lavorare e vivere. Con l’autoproduzione invece i tempi li detti tu, puoi alternare altri lavori, e in generale sei più in controllo.

Uno dei prossimi fumetti che ho in mente è molto lungo e vorrei preparare un proposal per gli editori, ma rimane sempre il dubbio: se qualcuno me lo accetta e mi dice che per realizzare trecento pagine mi dà – che so – due o tremila euro, come riesco a incastrare questo impegno nella vita reale, con le bollette e tutto? Uno dei motivi per cui ho lavorato per La Revue Dessinée è proprio perché comunicarono in anticipo quanto pagavano ed era una cifra compatibile col tempo che mi avrebbe richiesto realizzare le tavole.

Raccontaci di questo tuo nuovo lavoro Un giorno sul fiume (e altre storie).

Il volume è nato in modo un po’ strano, perché finito Radici nel 2019 avevo in mente questa suddetta storia lunga, ma prima di dedicarmici volevo realizzare “esperimenti” più brevi in cui provare vari stili di disegno e varie tecniche di narrazione, fra cui la storia muta (ma il fumetto lungo non sarà tutto muto, eh). Poi però è arrivato il coronavirus e durante la quarantena ho sensito la necessità di realizzare delle altre storie brevi che parlavano di quanto stava succedendo e che hanno avuto la precedenza, le ho postate gratuitamente sul mio sito, e nel frattempo mi sono dedicato ad altro. Una volta usciti dalla quarantena sono tornato all’idea iniziale della storia lunga: quando ne ho finito il capitolo zero mi sono reso conto che messo insieme alle altre storie brevi funzionava, sia per la coerenza stilistica sia per i temi, anzi sembrava quasi involontariamente un commento finale alle altre storie, dunque invece di stamparlo da solo ho pensato sarebbe stato più efficace realizzare una piccola raccolta. Credo che le quattro storie abbiano elementi che si richiamano fra di loro, o comunque si vede che nascono dalle stesse idee.

In fase di stampa ho cercato di di avere il minor impatto possibile, curando molto la produzione, usando carta riciclata, trovando una tipografia che mi assicurasse che usavano solo energia da fonti rinnovabili, e in generale cercando di realizzare un prodotto che valesse la pena avere su carta. Lo stesso per le spedizioni: anche lì è stata una bella ricerca di buste senza plastica ma abbastanza solide e sicure per non rovinare il contenuto, e alla fine ho trovato una soluzione soddisfacente in un’azienda inglese che produce buste in cartone riciclato o di bioplastica compostabile.

In breve, ho cercato di realizzare il lavoro migliore possibile da spedire nella maniera migliore posibile (con posta regolare, ovviamente, non col corriere).

Foto di una copia fisica di "Un giorno sul fiume (e altre storie)" di Giorgio Pandiani.
Alcune copie di Un giorno sul fiume (e altre storie) pronte per essere spedite, ovviamente in maniera ecosostenibile.

I tuoi lavori rivelano sempre un grande interesse per le questioni ecologiche: come e perché è nato il tuo impegno su questo tema? C’è stato un qualche evento scatenante che ti ha scosso in questo senso? Sei ecoansioso?

Credo il mio impegno sul tema ecologico sia nato perché i miei genitori mi hanno sempre portato a visitare gli spazi aperti intorno a Lecco, la città in cui sono nato, che è piccola e in mezzo alle montagne, sul lago, e circondata da bellissimi spazi naturali: non mi sono mai considerato un vero “cittadino”, e credo che l’educazione personale e familiare di ognuno influisca molto sulla percezione dell’ambiente. Frequentando un territorio, naturalmente ti interessi anche che stia bene e noti maggiormente quello che va storto: molti studi scientifici confermano che passare tempo nei boschi e nella natura ha effetti benefici sulla salute psico-fisica delle persone e riduce l’ansia, ma vederla sporca e rovinata aumenta l’ansia. In breve, ho sempre amato la natura.

Quanto all’essere ecoansioso, dipende dal punto di vista: sono abbastanza ansioso per le specie viventi, incluso l’essere umano, perché la situazione è grave e si sta facendo molto poco. Allargando lo sguardo sul pianeta Terra, beh, chiaramente si adatterà in qualche modo e la vita andrà avanti. Ovvero, il punto è che dandoci questa zappa sui piedi tiriamo con noi anche tante specie animali e vegetali innocenti. Non so se la mia sia davvero ecoansia, ma credo che anche dal mio fumetto si capisca che oscillo fra la necessità di fare qualcosa, di dare il proprio contributo per quanto minimo, e la consapevolezza che quanto si sta già facendo non è minimamente sufficiente, perché anche se fra la popolazione mondiale c’è consapevolezza del rischio, a livello pratico la politica e le amministrazioni non stranno facendo abbastanza: nella mia Lecco quest’inverno non ha nevicato quasi per niente e il Lago di Como è già bassissimo, non so dove si prenderà l’acqua quest’estate.

Negli anni ’90, quand’ero piccolo, nelle scuole elementari distribuivano penne prodotte con plastica di mais e Il giornalino allegava alle sue uscite fascicoli informativi sull’ecologia: c’era molta più diffusione d’informazioni e attenzione all’aspetto climatico allora che oggi. Cos’è successo nel frattempo?

Secondo me l’attenzione c’è anche adesso, ma si perde fra green washing aziendali e distrazioni sugli aspetti superficiali e non strutturali, ovvero che non portano a una riflessione generale su cosa non funziona del sistema economico, o che portano a sostituire singoli dettagli con altri, e poco cambia. Alla fine credo che il problema sia proprio il modello economico del consumismo, anche perché negli ultimi due-tre decenni in Italia e un po’ in tutto l’Occidente la narrazione è stata sempre quella che spinge a desiderare la vita di un certo tipo.

Il problema dei danni ecologici è che per risolverli richiedono interventi nel presente che però daranno effetti sul lungo termine, mentre invece si dà sempre la priorità ai problemi del presente risolvibili nel presente. Leggevo sul The Guardian che nella fase attuale si rischia di entrare in un loop negativo a causa dei primi effetti del cambiamento climatico, poiché per rispondere ai primi e relativamente piccoli problemi attuali si rischia di destinare risorse che andrebbero invece destinate a cambiare i problemi strutturali che, finché restano, amplificheranno ancora di più gli effetti. Ecco quindi che destinando le risorse su problemi a breve termine, i problemi a lungo termine si ripresenteranno amplificati. Ovviamente c’è sempre qualche problema a breve termine da risolvere, dunque dovremmo lavorare su due piani separati.

Gli attivisti climatici di Ultima Generazione (e delle associazioni consorelle in altri Paesi del mondo) hanno dichiarato che le loro azioni sono a puro scopo di dimostrazione, non di danneggiamento, e servono ad allertare le amministrazioni che in futuro potranno esserci scontri violenti e guerre civili. Cosa pensi quando vedi opere d’arte imbrattate?

Diciamo che, data la gravità della situazione, capisco che sia necessario attirare l’attenzione in qualsiasi modo possibile, e comunque le proteste si sono sempre svolte avendo cura di non danneggiare le opere prese di mira. Qui nel Regno Unito, nella sua ultima dichiarazione il gruppo Extinction Rebellion ha dichiarato che è tempo di andare oltre le azioni di protesta perché l’opinione pubblica ha ormai capito ed è ora di parlare con le persone e coinvolgerle in azioni concrete, spostandosi dalla protesta mediatica alla costruzione di una comunità di persone che facciano cose concrete.

A livello pratico, credo che all’inizio siano state necessarie le azioni forti. Poi io magari non avrei scelto le opere d’arte, ma fa sorridere la reazione indignata verso l’imbrattamento dei dipinti o del Senato, che non ha causato nessun danno, e non verso le compagnie petrolifere che accumulano utili astronomici e generano danni enormi.

Foto dell'azione di protesta del gruppo Just Stop Oil sul dipinto "Girasoli" di Vincent van Gogh alla National Gallery di Londra il 14 ottobre 2022. Fonte: https://twitter.com/JustStop_Oil/status/1580894010134056961
14 ottobre 2022: alla National Gallery di Londra, Phoebe Plummer Anna Holland, due attiviste del gruppo Just Stop Oil, gettano della zuppa di pomodoro sul dipinto Girasoli di Vincent van Gogh e declamano quello che è ormai già diventato un discorso storico che inizia con la domanda «What is worth more, art or life?». Non era la prima dimostrazione di questo tipo (ad esempio, prima ancora, il 22 luglio, e in Italia, tre attivisti del gruppo Ultima Generazione si attaccarono al vetro della Primavera di Sandro Botticelli), ma grazie alla potenza del gesto plateale e iconoclasta, è certamente diventata la più celebre, e forse il momento di presa di coscienza per molte persone. Vittorio Sgarbi ha riportato che una volta il grande critico d’arte Roberto Longhi dichiarò che se mai un terrorista entrasse alla Cappella Sistina prendendo come ostaggio un bambino e ordinasse di distruggere gli affreschi di Michelangelo Buonarroti sennò l’avrebbe ucciso, lui non avrebbe avuto dubbi: la vita del bambino è più importante.

Voglio fare per un attimo l’avvocato del diavolo. Secondo una ricerca dello Smithsonian Institution, i dinosauri a forza di migrare ed esplorare certe tratte hanno modificato l’orografia della Terra aprendo intere vallate, modificando il corso di fiumi, eccetera, per non parlare del fatto che hanno mangiato così tanta vegetazione da aver influito sulla sua evoluzione e distribuzione: dopo di loro il mondo non era più com’era prima. Magari anche l’uomo modificherà la Terra così tanto da renderla diversa da com’era prima, ma non necessariamente peggiore, semplicemente “diversa”… e se la nostra preoccupazione nascesse solo da uno spirito egoistico di conservazione dello status quo, del nostro patrimonio immobiliare e dei nostri ricordi e non da effettive necessità pratiche verso i nostri figli? Voglio dire, anche i mammut e il Lago d’Aral ormai sono andati, all’inizio è stato uno shock, però poi si sono trovate soluzioni alternative per sopravvivere. In breve: e se stessimo vivendo solo una fase verso un mondo diverso?

Certo, qualsiasi specie vivente modifica l’ambiente in cui vive, è un fenomeno perfettamente naturale e anzi influenzato dall’ambiente stesso. Detto questo, a parte l’uomo tutte le altre specie viventi, dinosauri compresi, non erano consapevoli degli effetti del loro “stile di vita”, quindi non potevano conoscere le conseguenze che avrebbe avuto sulle altre specie: l’uomo sì, invece. Come dicevamo prima, dal punto di vista della storia del Terra, noi potremmo anche bruciare tutti gli idrocarburi e al pianeta interesserebbe ben poco, continuerebbe comunque a girare, e comunque ci sono già state cinque estinzioni di massa e forse è attualmente in corso la sesta, che coinvolgerebbe anche noi e dopo la quale ci sarebbe la vita in qualche forma diversa.

Il ragionamento “egoistico” quindi varrebbe solo se ci fossimo solo noi sulla Terra e dunque le conseguenze delle nostre azioni riguardassero solo noi, ma non è così perché condividiamo il pianeta con altre specie che non hanno scelto di avere l’automobile e i grattacieli, quindi non capisco perché avremmo il diritto di cambiare l’abiente in cui vivono, consapevolmente peraltro.

Stai già lavorando al fumetto di cui Un giorno sul fiume rappresenta l’incipit? Che tipo di lavoro sarà? Pensi di proporlo a una casa editrice o di continuare con l’autoproduzione?

In realtà ci sto lavorando in maniera intermittente da anni, ho tantissimi appunti e quasi tutti i personaggi definiti, ma credo che verrebbe fuori una storia abbastanza lunga da circa 300-400 pagine, quindi sarebbe molto complicato da realizzare sia in autoproduzione sia, per altri versi, da proporre a un editore per il discorso che facevamo prima. Diciamo che ci sto ragionando su.

Nel frattempo sto portando avanti qualche storia breve, che a volte mi sembra più ugente per ciò di cui parla rispetto alla storia lunga che invece ha un argomento che non teme di non essere attuale.

Allora non ci resta che aspettare per vedere il futuro della Terra e della tua arte. Grazie mille!

Grazie a voi!


Giorgio Pandiani
Un giorno sul fiume (e altre storie)
autoproduzione, 2023
48 pagg., b/n, spillato, €11.53
ISBN: —

Mario Pasqualini

Sono nato 500 anni dopo Raffaello, ma non sono morto 500 anni dopo di lui solo perché sto aspettando che torni la cometa di Halley.

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