Tokyo vista dagli italiani – Tokyo capitale dei fumetti
Si conclude la settimana di DF dedicata a Tōkyō vista attraverso le opere degli autori italiani con… Tōkyō vista dagli italiani attraverso le opere degli autori giapponesi! Un florilegio di opere selezionate dai redattori di DF per scoprire la capitale del Giappone nei fumetti.
Dimensione Fumetto dedica una intera settimana speciale agli autori italiani contemporanei che hanno raccontato nel loro stile narrativo e grafico la grande capitale del Giappone: Tokyo!
In questo quinto e ultimo appuntamento, i redattori di DF raccontano la loro Tokyo vista attraverso i fumetti, i cartoni animati, i videogiochi e tutto l’immaginario pop della più grande megalopoli del mondo.
Tōkyō, luce della nazione, fuoco dei suoi lombi. Peccato collettivo, anima popolare. To-u-kyo-u: la punta della lingua si solleva appena e i fianchi lambiscono i denti. To. U. Kyo. U. Era Edo, null’altro che Edo, al principio, un villaggio di pescatori sull’oceano. Era Castello di Edo per lo shōgun. Era “la città dei fuochi” per la gente comune. È Prefettura della Capitale Orientale sulla linea punteggiata dei documenti. Ma sulla bocca di tutti è sempre Tōkyō.
Benché non sia più una città dal lontano 1943, quando aveva già raggiunto dimensioni talmente fuori scala da trasformarsi a tutti gli effetti in una regione, Tōkyō è tutt’ora percepita dagli stranieri e forse anche dai giapponesi come un nucleo urbano in qualche maniera unitario e omogeneo riassumibile sotto un unico grande nome-ombrello. Eppure è palesemente un inganno: con le sue dimensioni pari all’intera Campania o l’intero Trentino Alto Adige, ma completamente cementificata e stipata all’inverosimile con quasi 40 milioni di persone, la Grande Area di Tōkyō è troppo vasta, troppo diversificata e troppo complessa per essere indentificabile solo con un nome da cinque lettere.

Eppure, in qualche maniera questa magica parola “Tōkyō” raggruppa in sé innumerevoli significati, luoghi ed eventi eterogenei che i prodotti della cultura sia alta sia popolare hanno saputo convogliare e comunicare agli spettatori di tutto il mondo. Per dare solo una vaga idea della quantità di materiale ispirato o dedicato alla capitale del Sol Levante, la voce su Wikipedia in giapponese intitolata “Opere ambientate a Tōkyō” lista qualcosa come 606 manga e/o anime, 740 film, 546 libri, 207 telefilm, 13 radiodrammi e 51 videogiochi, e i numeri sono sicuramente sottostimati perché Wikipedia è per sua natura incompleta, perché si contano solo le opere interamente ambientate nella capitale (ad esempio non è contato 1999 nen no natsu yasumi dove pure c’è una scena a Shibuya), e soprattutto si contano una volta sola anche i franchise (ad esempio Detective Conan è contato una sola volta anche se ha decine di film e spin-off vari ambientati in Tōkyō). Tōkyō palcoscenico delle arti.

Nel caso particolare di manga & anime, la celebrazione definitiva del loro legame indissolubile con Tōkyō è avvenuta con la mostra Manga toshi Tōkyō, svoltasi per la prima volta nel 2018 a Parigi e approdata quest’anno nel NACT (Nuovo Museo d’arte Nazionale) ovviamente a Tōkyō dal 12 agosto al 3 novembre scorso, lo stesso museo che nel 2015 aveva già ospitato la mostra Nippon no manga*anime*game dedicata a riconoscere il valore artistico della cultura pop. Manga toshi Tōkyō presentava fumetti e animazione vecchi e nuovi divisi nelle quattro sezioni Introduzione, Il ciclo di distruzione e ricostruzione, Tōkyō quotidiana e Personaggi vs. Città con centinaia di opere esposte e, ciliegina sulla torta, un immenso plastico interattivo in scala 1:1000 di Tōkyō grande 17 per 22 metri dove ritrovare le location delle opere in mostra.
Ecco la grande differenza di Tokyo con altri luoghi celeberrimi dei fumetti come Gotham City o Paperopoli: Tōkyō esiste davvero e l’interscambio creativo fra la megalopoli reale e quella immaginaria è fortissimo e continuo.

Tōkyō capitale dei fumetti, insomma. Per chiudere questa settimana dedicata a Tōkyō, e dopo aver raccontato nei giorni scorsi alcune opere di autori italiani, stavolta DF fa il contrario: i redattori hanno scelto un’opera a testa di autori giapponesi che hanno usato l’ambientazione tokyota non come un mero sfondino, ma come una parte integrante e insostituibile della narrazione, trasmettendo tutta la sua potenza di cemento, acciaio e vetro agli spettatori di tutto il mondo.
Rocky Joe di Asao Takamori e Tetsuya Chiba
Non sono mai stato in Giappone e quindi in Tōkyō, ma è uno dei viaggi che stiamo mettendo in cantiere appena si potrà viaggiare. Abbiamo anche alcuni amici nella terra del Sol Levante.
Ho letto svariati manga ambientati in Tōkyō: il più strano è senza dubbio Ooku – Le stanze proibite, che è anche quello che maggiormente mi ha insegnato sulla storia moderna giapponese, ma quello che mi ha maggiormente colpito è Rocky Joe, forse perché mostra che le periferie sono tutte uguali in tutto il mondo.
Takamori e Chiba parlano di Tōkyō in Rocky Joe mostrando i bassifondi di una città moderna degli anni ’60-’70 del secolo scorso, in cui le catapecchie convivono con i grattacieli. Il tema degli orfanotrofi si ritrova moltissimo nei fumetti dell’epoca: oltre a Rocky Joe penso anche a L’Uomo Tigre, ma moltissimi protagonisti di anime e manga della mia giovinezza erano orfani, come anche molte storie “occidentali” peraltro riprodotte nella serie World Masterpiece Theater. Credo che sia una medaglia a due facce da cui nessuna megalopoli possa scampare, tantomeno la capitale giapponese.
Non conosco lo stile di vita delle grandi città, abitando in una zona italiana “periferica” come le Marche, né ho avuto occasione di frequentarle per studio o lavoro. Mi piacerebbe conoscere gli “strati” della capitale giapponese, dalle zone più moderne a quelle dove si nascondono i piccoli tesori, la storia… non so se vorrei vederne anche la faccia più deteriore dei bassifondi… chissà come sono cambiati in questi cinquanta anni dalla pubblicazione di Rocky Joe. Credo, come da noi, che le povertà siano diverse, ma credo anche che in comune con il Giappone abbiamo una società che non sempre si prende cura adeguatamente degli ultimi.
Il posto di Tōkyō dove voglio andare è sicuramente il Museo d’arte Ghibli, ma suggestionato da Ooku – Le stanze proibite vorrei saperne di più anche sulla Tōkyō precedente ai contatti con l’Europa, che mi intriga moltissimo.
Andrea Cittadini Bellini
Maison Ikkoku di Rumiko Takahashi
Cara dolce Tōkyō…
Non sono mai stato in Tōkyō, ma mi sembra di conoscerla da sempre, da quando, piccino, divoravo puntate su puntate dei miei anime preferiti. Poi sono arrivati i manga, poi è arrivato Maison Ikkoku di Rumiko Takahashi.
La Tōkyō di Maison Ikkoku è una città di tetti e insegne, di viuzze di periferia, di lampioni e finestre accese. Gli edifici sono spesso inquadrati dal basso, il punto di vista è quello dei protagonisti, tanto spaesato quanto amorevole. Non c’è traccia della megalopoli frenetica che schiaccia i suoi abitanti, ma di un posto accogliente dove perdersi per ritrovarsi. Le strade sono spesso vuote, al contrario delle case, piene di persone e calore. Sembra di passeggiarci dentro, una Tōkyō anni ottanta, naïf e a misura d’uomo, dove è possibile fare incontri bizzarri e lasciarsi andare ai sentimenti.
Vorrei ritrovarmi in Tōkyō, no, non per esplorare le frenetiche Ginza o Shibuya, ma per passeggiare negli angoli meno battuti delle città. Ascoltare le grida felici dei bambini nei parchi, osservare i vialetti d’ingresso, annusare l’odore del pranzo che invade il selciato e conoscere le storie nascoste dietro i cancelli, le vite degli edochiani dentro le finestre.
Andrea Cozzoni
GALS! di Mihona Fujii
GALS! di Mihona Fujii non è solo un fumetto molto divertente e con personaggi molto carismatici, ma, per quanto mi riguarda, è anche il fumetto che ha reso Tōkyō un luogo vero e concreto, non il semplice sfondo di un microcosmo privato come in tante storie a fumetti ambientate nella capitale del Sol Levante.
Con GALS! ho conosciuto e respirato i vari quartieri dell’immensa megalopoli, con le loro caratteristiche peculiari: insieme a Ran Kotobuki e le sue amiche si va in giro per Shibuya, si attraversa il suo iconico incrocio, si dà appuntamento “da Hachi” (la statua del cane Hachiko posto all’uscita della stazione) per incontrarsi per fare shopping, si passeggia per Harajuku, ma non per Omotesandō, che ha negozi troppo costosi. Ma Shibuya non è il solo quartiere che dipana le sue meraviglie, bisogna affrontare anche la competizione con Ikebukuro, al secondo posto (ahimé) tra le zone più commerciali della città, e le sue rappresentanti capeggiate da Mami Honda.
Io sono stata due volte in Tōkyō, la prima volta ho pernottato proprio a Ikebukuro (lì per lì ho anche pensato che Ran mi avrebbe deriso) e già nel mio primo viaggio ho capito una cosa fondamentale: che tutto quello che viene disegnato e raccontato nei manga (escludendo ovviamente quelli fantasy, SF e distopici) è ASSOLUTAMENTE REALISTICO. Giuro, niente di esagerato, inventato o minimizzato. Nel caso specifico, passeggiando per Shibuya si può rivivere esattamente la stessa atmosfera descritta in GALS! e sentirsi per un attimo (anche se decisamente non si ha né l’età né lo stile) la gal numero 1 del Giappone, varcando le porte del centro commerciale 109, e fingere (vergognandosi assai) di aspettare qualcuno (mentre ti scattano una foto) vicino alla statua di Hachiko.
Cosa avrei voluto fare e non ho fatto nei miei viaggi per onorare al meglio Ran Kotobuki? Non sono mai entrata in un negozio “tutto a 100 yen”, ed è ancora un mio rimpianto.
Silvia Forcina
The World Ends with You di Square Enix
La Torre di Tōkyō, la statua di Hachiko, i giardini di Shinjuku… luoghi che qualunque nerd che si rispetti conosce e sogna di visitare, ma nella mia lista dei must see di Tōkyō c’era qualcosa di più inusuale: il 109, il caratteristico centro commerciale che si staglia davanti al famoso incrocio di Shibuya. Non un monumento, non un museo, non un parco… un semplice centro commerciale, ma che assume un significato importante per tutti coloro che dal lontano 2007 hanno giocato a The World Ends with You, videogioco per Nintendo DS che avrà un adattamento anime nel 2021, ben quattordici anni dopo l’uscita del gioco.
Nell’incrocio di fronte al 109 (rinominato nel videogioco “104”) il protagonista Neku si risveglia senza alcun ricordo e scopre di stare partecipando a un misterioso gioco il cui obiettivo è completare delle missioni giornaliere e sopravvivere per sette giorni, altrimenti… si viene “cancellati”. «You have 7 days», questo compare minacciosamente sul megaschermo del 104. In questa settimana Neku è confinato nel quartiere di Shibuya e vaga da una zona all’altra per completare le missioni, e così facendo il gioco si trasforma in un tour del quartiere dei giovani, riportando palazzi, negozi e monumenti veramente esistenti. Un’immersione totale e non solo per la mappa della città: il sistema di gioco impone di comprare delle spille, il bello però è che girando per le strade si trovano negozi diversi con brand diversi, ognuno specchio di una diversa moda giovanile, dalla celebre gothic lolita della “Lapin Angelique” alle modaiola “D+B” (chiaro rimando a “Dolce & Gabbana”), passando per negozi punk, kawaii e tradizionale giapponese.
The World Ends with You ti porta in Tōkyō senza bisogno dell’aereo, e quando finalmente si riescono a visitare davvero i luoghi visti sullo schermo, vi si possono riconoscere dettagli che altri turisti non noterebbero, come la statua del Moai fuori dalla stazione (snobbata perché tutti preferiscono il dolce Hachi), e altri che scoprirete giocando… o guardando la serie l’anno prossimo. Ecco perché sarò sempre grata a questo videogioco e perché, anche se l’ho già visitato due volte, farò SEMPRE tappa al 109 nei miei futuri viaggi in Tōkyō per rendere omaggio a quest’opera.
Giulia Pasqualini
Tokyo Babylon di CLAMP
Il percorso geo-artistico del collettivo CLAMP è certamente molto peculiare: quattro autrici di Kyōto e dintorni che fin dall’inizio della loro carriera nel 1989 hanno ambientato tutte le loro opere (escluse quelle fantasy, e qualche volta anche quelle) sempre e solo nella grande Tōkyō.
Che cosa è questo posto, cosa rappresenta nell’immaginario collettivo, quale irresistibile forza attrattiva esercita questo ombelico del mondo che all’inizio del Settecento, dopo appena un secolo dal suo incastellamento, aveva già superato il milione di abitanti? Su queste stesse domande si sono probabilmente interrogate anche le CLAMP, tentando di dare delle risposte attraverso le loro opere che presentano sguardi urbani sempre diversi: il quartiere benestante e ovattato di Card Captor Sakura, l’oscura e decadente metropoli di X, l’enclave di giochi e risate di CLAMP Detective, il luogo delle malizie e delle miserie di xxxHOLiC… e ognuno di questi è veramente Tōkyō, tanti luoghi diversi che convivono insieme.
Fra tutte le opere delle CLAMP è Tokyo Babylon quella che elegge il teatro della storia a vero personaggio, fin dal titolo. I grattacieli, le strade, i caffè, i negozi, le mode, i monumenti, il cemento, l’acciaio e il vetro sono continuamente mostrati e citati, ma ancor più degli elementi fisici urbani sono i suoi abitanti, la sua massa umana informe, fredda, odiosa, malata, disperata a essere oggetto delle vicende dei tre protagonisti. Il posto migliore e peggiore del mondo, come in effetti si potrebbe dire di qualunque altro posto: Tōkyō bellissima e degradata, Tōkyō come Babilonia, Tōkyō metafora del mondo intero.
Solo nel 2010, dopo oltre 20 anni di carriera, le CLAMP hanno avuto finalmente l’ardire di usare la natìa Kyōto come location per GATE 7, ma è stata una parentesi durata poco, dato che poi nelle opere successive le autrici sono comunque tornate nella loro amata e odiata Tōkyō. Nel 2021, per festeggiare il 30ennale dalla pubblicazione del fumetto, Tokyo Babylon riceverà un adattamento a cartoni animati: già dalle prime immagini sembra che ci siano state delle modifiche rispetto all’opera originale, ma sarà comunque interessante vedere come questa serie tratterà la sua quarta protagonista, la megalopoli nemica di Dio.
Mario Pasqualini
Akira di Katsuhiro Otomo
Quando sono arrivato per la prima, e per ora unica, volta a Tōkyō ho provato esattamente ciò che immaginavo e pregustavo da anni. Tōkyō è una realtà urbana cyberpunk, se non LA realtà urbana cyberpunk per antonomasia, con i neon color fluo, la tecnologia onnipresente, il rumore incessante, il brulicare di gente da ogni strada e dietro ogni angolo a tutte le ore, e palazzi ovunque io rivolgessi lo sguardo.
Sebbene il cyberpunk sia una corrente artistica e culturale nata negli USA degli anni Ottanta, ha sicuramente subito influenze dalla realtà del Giappone dell’epoca, e a sua volta ha influenzato l’arte giapponese: se penso a Tōkyō e al cyberpunk, non posso che pensare ad Akira, capolavoro del fumetto e dell’animazione del mai troppo celebrato Katsuhiro Ōtomo.
Nel cyberpunk la città non è solo il teatro in cui si svolge l’azione, ma addirittura è la coprotagonista delle vicende narrate, e Akira non fa eccezione: la Neo-Tokyo che leggiamo e vediamo nella rappresentazione di Ōtomo è una bestia ferita eppure fortemente vitale, un’entità di carne, metallo e cemento; è Tetsuo nella sua forma finale, all’apice dei propri poteri ESP ormai fuori controllo; è la città che avrebbe dovuto ospitare le Olimpiadi del 2020, in un inquietante vaticinio che ha profetizzato il rinvio delle Olimpiadi “reali” di Tōkyō a un momento più consono; Neo-Tokyo è vita e morte, è uomo e macchina.
La Neo-Tokyo di Akira, come la Tōkyō di Shin Godzilla e la Neo Tokyo-3 di Neon Genesis Evangelion, È Tōkyō.
Filippo Petrucci
Sailor Moon di Naoko Takeuchi
La combattente che veste alla marinara è famosa in tutto il mondo. Con il suo girl power, Sailor Moon ha contribuito a far conoscere il Giappone e le sue tradizioni. Oltre alle trasformazioni e ai combattimenti, quello che la serie ci racconta è infatti anche la cultura del popolo che l’ha ideata.
Caratteristica peculiare della serie è quella di contrapporre la modernità dei quartieri commerciali, con sale giochi, boutique e invitanti pasticcerie, dove il team spesso si riunisce, a location più classiche e tradizionali come il santuario religioso gestito dalla famiglia di Rei. Tradizione e modernità si sposano dunque perfettamente. Il monumento iconico per eccellenza però rimane la Tōkyō Tower, una maestosa antenna televisiva che è divenuta simbolo della città e del romanticismo. Non a caso la ritroviamo spesso protagonista di illustrazioni, squarci o inquadrature della Takeuchi.
Le avventure di Sailor Moon ci hanno fatto appassionare alla vita di questa buffa ragazzina che racchiude in sé tanta forza di volontà, ma al tempo stesso ci ha fatto incuriosire e fatto desiderare di visitare le zone dove la storia si dipana. Purtroppo ancora non ho avuto modo di andare in Giappone, ma se riuscissi ad andare credo che non lascerei da parte la visita all’iconica e romantica torre.
Maurizio Vannicola
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