60 anni di anisong – Dai, cantiamo insieme! 60 OP e 60 ED indimenticabili
Il 15 marzo 1964 l’anime Tetsujin 28-gō ebbe per la prima volta una OP e una ED distinte e cantate: è la nascita delle anisong! Festeggiamo i 60 anni da allora con 60 OP e 60 ED indimenticabili.
Tutte le persone che guardano animazione prima o poi hanno il loro anime awakening in cui si rendono conto che le serie TV animate giapponesi sono, in qualche modo, diverse dalle altre.
È difficile dire però in quale modo gli anime sono, anzi sarebbero diversi dall’animazione del resto del mondo: chiaramente non ci sono motivazioni necessariamente legate al luogo geografico di produzione o al passaporto degli animatori, entrambi dati facilmente smentibili (da decenni lavorano agli anime studi di produzione stranieri nonché immigrati che vivono in Giappone, e le coproduzioni internazionali ci sono sempre state) e che fanno anche venire in mente la parolina che inizia per “R”. Ci potrebbero essere motivazioni stilistiche o culturali, ma anche queste non valgono perché l’animazione giapponese ha sempre attinto grandemente da quella occidentale, e perché sono anime tanto le serie ambientate nell’antico Yamato quanto quelle nella Francia di fine Settecento, fra gli yōkai o alla NASA. Forse le fonti, allora? Nemmeno: ci sono anime da soggetti originali, da fumetti, da romanzi internazionali come per l’animazione seriale di tutto il mondo. L’unica differenza effettiva fra gli anime e i non-anime è probabilmente il modello produttivo che include la distinzione production e seisaku, il coinvolgimento di specifici attori contrattuali e la distribuzione attraverso certi canali, ma anche questo col tempo sta cambiando moltissimo e non è vincolante.
In ogni caso, qualsiasi cosa sia questa idea indefinibile che chiamiamo genericamente “anime”, è innegabile che possiede alcune caratteristiche salienti che, pur non esclusive nemmeno queste, vi sono inestricabilmente legate e la identificano, e fra loro ci sono le anisong.
Cosa sono le anisong
“Anisong” è un termine wasei eigo (inglese inventato dai giapponesi) composto dalle parole anime e song che indica le canzoni degli anime; la stessa parola “anime” è wasei eigo perché non è altro che il termine inglese animation pronunciato dai giapponesi animēshon e tagliato a metà per brevità.
Anche se ci sono delle caratteristiche ricorrenti, in particolare fino alla fine degli anni Settanta, in generale le anisong non sono in alcuna maniera diverse dalle canzoni “normali”, dato che ce ne sono di ogni genere musicale e di ogni qualità, esattamente come le canzoni per il cinema; la differenza delle anisong sta nel contesto in cui sono state prodotte, nell’uso che se ne fa all’interno dell’opera e al loro rapporto con le immagini della videosigla.
La sigla perfetta esiste ed è quella per la serie TV Cardcaptor Sakura del 1998. L’adorabile canzone Catch You Catch Me (voce di Gumi – poi autrice di Sorairo Days per Sfondamento dei cieli Gurren Lagann –, parole & musica della brillante cantautrice Kōmi Hirose, arrangiamento di Hirose con Akimitsu Honma) si sposa al meglio con immagini che presentano i personaggi prima fermi davanti a fondali finti e monocromi da studio fotografico, e poi in movimento durante lo svolazzante ritornello, introducendo alla perfezione il cast, i temi e le atmosfere della serie: perfection.gif, e infatti dopo quasi trent’anni la videosigla è diventata un modello per innumerevoli altre, e la canzone è ancora eseguita in maniera spettacolare da Hirose come pure da molti musicisti ed è amatissima dagli animefan in tutto il mondo.
Tipi, caratteristiche e valore
Ci sono vari tipi di anisong:
- le opening e le ending, anche scritte OP ed ED, ovvero le sigle di testa e di coda degli episodi delle serie TV
- le sōnyūka o insert song, ovvero le canzoni che si sentono negli episodi, le quali possono essere a loro volta intradiegetiche se cantate dai personaggi stessi o extradiegetiche se fungono da sottofondo
- le image song, ovvero canzoni non presenti affatto nella serie, ma che esprimono azioni ed emozioni dei loro rispettivi personaggi, cantate generalmente dai loro doppiatori; possono essere raccolte in apposite compilation dette image album oppure trovarsi nei drama CD, cioè avventure inedite composte da parti cantate e recitate (come un radiodramma)
Le anisong sono di importanza strutturale per gli anime, per qualsiasi anime: non è esagerato dire che possono rivelarsi determinanti per il successo delle opere per cui sono state scritte, e spesso sono quello che rimane di più nella memoria collettiva di quelle certe opere e in particolare per quelle più vecchie, sia perché sono state ascoltate migliaia di volte in anime visti da bambini sia per effettivi meriti artistici delle canzoni.
Inoltre, le anisong muovono uno dei side business degli anime di maggiore importanza insieme a quello dei giocattoli, della gadgettistica e del modellismo, ovvero quello della musica: OST (original sountrack, le colonne sonore), raccolte tematiche, best of, remix e album vari sono fra i materiali più appetibili per ogni otaku. Vale la pena ricordare che il mercato musicale giapponese è calcolato come il secondo al mondo in termini di resa economica dopo quello USA: giusto per intenderci, solo nel 2022 il giro economico ha superato i due miliardi di dollari (MILIARDI, eh, non milioni), con utili netti per oltre 700 milioni di dollari (di cui lo 0,8% grazie alle vendite fisiche, l’11% con il download e l’88,2% con lo streaming), e in tutto questo la fetta delle anisong occupa circa il 25% del totale, ovverosia in Giappone una canzone su quattro in radio, in TV, su Internet, ovunque è legata agli anime. Una su quattro: una presenza enorme, onnipresente, inevitabile.
Inoltre, le anisong rappresentano un collegamento fra gli otaku e il Paese Reale™, perché moltissimi musicisti giapponesi hanno durante la loro carriera presto o tardi almeno un contatto con gli anime, e dunque fungono da ponte fra spettatori e non-spettatori di anime: gruppi musicali come Official hige dandism e SEKAI NO OWARI, o cantanti come Maaya Sakamoto e Hikaru Utada, riscuotono grande successo anche fra i non-spettatori di anime nonostante una parte significativa della loro carriera sia legata a opere animate.
Infine, le anisong sono collegate a due aspetti psicologici fondamentali legati al tempo. Il primo, nel presente, è quello di fornire una cornice musicale e dunque introdurre mentalmente lo spettatore alla fruizione dell’opera: come il prologo e l’epilogo in un dramma teatrale shakespeariano, le opening e le ending fungono da sipari che separano il resto del mondo e della vita di ciascuno da quei 25 minuti in cui si entra nel mondo e nella vita di qualcun altro. Le anisong sono portali verso altri mondi. Il secondo e decisivo aspetto psicologico temporale che dà valore alle anisong è l’effetto sonata di Vinteuil: ascoltare le anisong del passato risveglia la memoria involontaria e con essa anche l’atmosfera, i ricordi e l’amore provati quando se ne guardavano le serie TV. Naturalmente riascoltare qualsiasi canzone del passato può avere un impatto emotivo forte, ma se quella canzone è associata a una serie TV, che per sua natura dura mesi o anni e dunque occupa intere fasi della propria vita, l’effetto viene amplificato e può essere davvero deflagrante.
Un po’ di storia
Come per i prodotti cinematografici e televisivi di tutto il mondo, anche quelli giapponesi hanno sempre avuto commento musicale da quando è stato tecnicamente possibile. La televisione giapponese, in particolare, è letteralmente nata con la musica: la primissimissima trasmissione del canale nazionale nipponico, oggi NHK G, risale al primo febbraio 1953 e non iniziava con le parole di un’annunciatrice come sarebbe stato dieci mesi dopo in Italia, ma proprio con la musica e i canti di cori di bambini.
Anche gli anime naturalmente hanno sempre avuto musica, perlomeno di sottofondo (BGM, background music). La primissima cosa animata mai apparsa alla TV giapponese è stata Manga news (poi rinominato Manga shock), un segmento quotidiano andato in onda dal 1º ottobre 1957 al 30 settembre 1959 in seconda serata su Nippon TV, ed era musicata. Ogni puntata di Manga news commentava le notizie del giorno, tutti i giorni, in maniera simile a un telegiornale: durava 80 secondi, era in bianco & nero e composto da vignette fisse e/o animazione cut-out, ed era realizzato all’impronta con circa dieci ore di lavoro dalla mattina alla sera (ecco perché andava in onda di notte) da Takashi Yanase e altri membri dell’associazione di fumettisti Manga shūdan, attiva dal 1932 al 1982 e di cui erano soci anche Shōtarō Ishinomori, Leiji Matsumoto e Osamu Tezuka; anche le musiche erano composte ed eseguite al volo ogni giorno dal maestro Naozumi Yamamoto. Tempi eroici.
Il 14 luglio 1958 sempre Nippon TV trasmise il primissimo anime di fiction e a colori, Mogura no aventure. Era un singolo cortometraggio da circa nove minuti, raccontava il sogno astronomico di una talpa, e di nuovo era animato in cut-out e musicato da Naozumi Yamamoto. I primi dieci secondi di video mostrano i titoli di testa su una base musicale: la prima OP della storia degli anime? Forse.
Per 55 anni Mogura no aventure si è creduto perso, ma è stato fortunosamente ritrovato nel 2013 in un archivio di Nippon TV, restaurato e ritrasmesso il 21 luglio di quell’anno sul canale satellitare Animax.
Fra il 1961 e il 1964 sono andate in onda le due stagioni di Otogi manga calendar, la prima intitolata Instant History su Fuji TV e la seconda omonima al titolo su TBS TV, diretta dal fumettista e pionieristico animatore Ryūichi Yokoyama. Anche questo era un rotocalco quotidiano in bianco & nero come Manga news, ma andava in onda nel pomeriggio, durava tre minuti a episodio, e ogni giorno raccontava eventi storici del passato accaduti quel giorno con un mix tecnico di filmati dal vivo, foto e disegni fissi, animazioni e quant’altro; poiché Yokoyama usava effettive animazioni disegnate su acetati e non cut-out, e per via della sua pianificazione preventiva e non soggetta a cambiamenti quotidiani, convenzionalmente si considera Instant History come il primo anime seriale. Era musicato con delle BGM, ma non ci sono pervenuti i nomi dei musicisti.
Finalmente, il 1º gennaio 1963 debuttò su Fuji TV il primo dei 193 episodi di Tetsuwan Atom, ovvero Astro Boy di Osamu Tezuka. La musica era interamente affidata al compositore Tatsuo Takai, che scrisse per la serie non solo le BGM, ma anche la sigla strumentale Tetsuwan Atom, uguale per i titoli di testa e di coda.
La prima sigla di Tetsuwan Atom: strumentale, ma già fischiettabile.
Il distributore statunitense NBC Enterprises mostrò subito interesse per la serie e il 12 marzo dello stesso anno ne annunciò la versione locale (poi trasmessa dall’anno successivo); quando la rete Fuji TV e il distributore Man’nen scoprirono che gli americani avrebbero messo un testo cantato alla sigla, pretesero che venisse messo anche alla versione giapponese: Tezuka telefonò al suo amico Shuntarō Tanikawa (poeta, scrittore e traduttore in giapponese di Leo Lionni e Charles M. Schulz) e gli commissionò un testo, e fu così che dall’episodio 31 del 30 luglio 1963 Tetsuwan Atom ebbe la propria sigla iniziale cantata, cioè la prima OP cantata della storia degli anime… in pratica, se abbiamo le anisong lo dobbiamo agli americani. La sigla finale però non cambiò e rimase senza parole.
LA PRIMA OP, che emozione.
Il 20 ottobre del 1963 debuttò sempre su Fuji TV la serie Tetsujin 28-gō tratta dall’omonimo fumetto di Mitsuteru Yokoyama, il cui remake del 1980 arrivò anche in Italia col titolo Super Robot 28. Per la prima volta, questa serie presentava due brani musicali diversi per i titoli di testa e per quelli di coda, uno cantato e l’altro no, rispettivamente Tetsujin 28-gō scritta e composta e arrangiata da Torirō Miki e cantata dal quartetto Duke Aces, e la strumentale Shōtarō march (“La marcia di Shōtarō”, che è il nome del protagonista) composta e arrangiata da Nobuyoshi Koshibe.
Un pezzo di storia degli anime: Shōtarō march, prima ED di Tetsujin 28-gō. Se vi sembra di averla già sentita da qualche parte, è perché l’avete già sentita da qualche parte: è stata infatti usata da Hideaki Anno come BGM per i lunghissimi riassunti delle puntate precedenti ne Le situazioni di Lui & Lei, leggermente riarrangiata da Shirō Sagisu. Anno, otaku che non sei altro, ti vogliamo bene.
Tuttavia, qualcuno in Fuji TV o negli studi d’animazione TCJ o chissà dove un bel giorno deve aver pensato che sarebbe stato bello mettere delle parole anche alla sigla finale, e fu così che a partire dall’episodio 22, trasmesso domenica 15 marzo 1964, Tetsujin 28-gō per la prima volta ebbe una sigla finale cantata: Susume Shōtarō (“Avanza, Shōtarō”), scritta da Akira Itō e cantata dal Nishi Rokugō shōnen shōjo gasshōdan (“Coro dei bambini e delle bambine di Nishi Rokugō”, un quartiere di Ōta, Tōkyō). Era la prima volta nella storia dell’animazione giapponese che una serie TV aveva una sigla di testa e una di coda originali, distinte ed entrambe cantate.
LA PRIMA ED, che emozione.
L’idea OP & ED entrambe distinte e cantate evidentemente attecchì molto bene perché da allora divenne lo standard, al punto che da allora fino a oggi è rarissimo e del tutto inusuale quando questo non accade, ad esempio con sigle strumentali (come quella di Trigun del 1998) o quando non c’è una delle due sigle (come per One Piece fra il 2006 e il 2023).
Durante gli anni Sessanta e Settanta le anisong venivano prodotte internamente agli studi d’animazione, cioè scritte, composte, arrangiate e cantate da musicisti stipendiati, dipendenti degli studi stessi o di case discografiche affiliate, in particolare Nippon Columbia. Per questo motivo alcuni cantanti, parolieri, compositori e musicisti vari di quel periodo hanno in curriculum centinaia di anisong: facevano quello di mestiere, dalle 8:00 alle 17:00 dal lunedì al venerdì. In questo contesto, sono assurti a icone pop tuttoggi celeberrime i cosiddetti Quattro Re Celesti delle anisong, ovvero Mitsuko Horie, Yōko Maekawa, Ichirō Mizuki e Isao Sakaki, che hanno prestato la voce a un numero troppo grande di sigle per citarle o anche solo contarle.
Dai primi anni Ottanta il mondo delle anisong subisce un forte cambiamento quando, oltre alle aziende alimentari, editoriali e di giocattoli, cominciarono a investire negli anime come sponsor anche dei nuovi attori: le case discografiche, le quali finanziano gli studi d’animazione in cambio del product placement dei loro artisti emergenti come cantanti di sigle o come doppiatori dei personaggi. Da questo periodo in poi le anisong smettono gradualmente di essere prodotte internamente agli studi d’animazione e cominciano a essere canzoni fornite dalle case discografiche, ovverosia sì inedite e scritte apposta per le serie TV, ma indipendenti da esse e apprezzabili sia dal pubblico degli otaku sia da quello generalista. Il risultato è che dall’inizio degli anni Ottanta si è passati da canzoni didascaliche e strettamente attinenti ai contenuti della serie (ad esempio le varie …no uta, ovvero “La canzone di [nome del protagonista]”, o le varie Tobe! …, ovvero “Vola! [Nome del robottone]”) a canzoni pop e rock da classifica: se ne hai visto l’anime meglio, ma anche se non l’hai visto possono benissimo piacerti lo stesso.
Negli anni Novanta, durante il massimo boom del j-pop, la situazione viene ulteriormente cementata da alcune hit davvero troppo grandi per essere ignorate dal pubblico generalista: gli anime danno successo agli artisti e gli artisti danno successo agli anime, scambio equivalente, meglio di così non si può. Di seguito una tabellina riassuntiva delle dieci migliori vendite di anisong durante gli anni Novanta:
# | Anno | Opera | Artista | Canzone | Vendite (milioni) |
---|---|---|---|---|---|
#1 | 1994 | Street Fighter II: The Animated Movie | Ryōko Shinohara with t.komuro | Itoshisa to Setsunasa to Kokorotsuyosa to | 2,02 |
#2 | 1997 | Pokémon | Rica Matsumoto | Mezase Pokémon Master | 1,85 |
#3 | 1990 | Chibi Maruko-chan | B.B. Queens | Odoru Ponpokorin | 1,66 |
#4 | 1993 | Slam Dunk | Maki Ōguro | Anata dake mitsumeteru | 1,24 |
#5 | 1996 | Jigoku sensei Nūbē | B’z | Mienai chikara | 1,23 |
#6 | 1994 | Slam Dunk | WANDS | Sekai ga owaru made wa… | 1,22 |
#7 | 1994 | DNA² | Sharam Q | Single Bed | 1,20 |
#8 | 1994 | Magic Knight Rayearth | Naomi Tamura | Yuzurenai negai | 1,09 |
#9 | 1996 | Kenshin samurai vagabondo | JUDY AND MARY | Sobakasu | 1,09 |
#10 | 1995 | Neon Genesis Evangelion | Yōko Takahashi | Zankoku na tenshi no these | 1,00+ |
Giusto per un confronto, il singolo italiano di maggior successo di sempre è E tu…/Chissà se mi pensi di Claudio Baglioni che si stima abbia venduto oltre 500’000 copie, cioè meno della metà di Zankoku na tenshi no these: che dire, i discografici giapponesi se la passavano bene durante quel decennio (e, in numerosi casi, coi soldi matti che fecero allora ci campano ancora oggi).
Nel XXI secolo si mantiene e rafforza il rapporto vicendevole fra anime e artisti pop, e la diffusione di Internet, di YouTube e poi dello streaming ha nient’altro che espanso sia le possibilità commerciali delle anisong, che ora hanno modo di essere ascoltate in tutto il mondo sempre ovunque, sia la visibilità degli artisti: un caso esemplare è quello di Kenshi Yonezu, nato artisticamente su Internet come hachi, compositore per Vocaloid, e pian piano diventato probabilmente il musicista più famoso del Giappone d’oggi proprio grazie alle sue numerose collaborazioni con titoli popolari come My Hero Academia, Chainsaw Man e naturalmente il film Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki.
In breve, anche se video killed the radio stars e Internet killed the video stars, nel campo delle anisong radio, video e Internet si sono venuti incontro in maniera virtuosa generando un enorme patrimonio musicale amatissimo dagli otaku (e non solo loro) da 60 anni… esattamente 60 anni! Proprio oggi venerdì 15 marzo 2024 ricorre infatti il 60esimo anniversario da quella mitica domenica 15 marzo 1964 in cui gli spettatori di Tetsujin 28-gō assistettero per la prima volta a una OP e una ED distinte ed entrambe cantate.
Per festeggiare questo meraviglioso anniversario, Dimensione Fumetto ha radunato dieci persone di generi, età, gusti, esperienze e culture diversi per chiedere le loro sei OP e sei ED preferite: (dieci persone × sei canzoni = 60 canzoni) × 2 = 60 OP e 60 ED! ♬♪
Non si tratta in nessuna maniera di una classifica di qualità, delle sigle più belle o più famose o più cantate o altro: si tratta di alcune delle PROPRIE anisong preferite, per qualsiasi motivo. La musica ha un valore nostalgico ed emotivo eccezionale: queste 60+60 canzoni rappresentano sempre, tutte, momenti di grande importanza nella vita delle persone che le hanno scelte. Tutte le scelte sono state commentate dai compilatori: a volte con ragioni tecniche, a volte emotive, a volte divertenti e a volte molto tristi e serie. Ma sono tutte importanti per chi le ha scelte. Indimenticabili, come tutte le cose importanti nella vita, e l’arte lo è.
Attenzione: per omogeneità fra serie edite e inedite in Italia, tutti i titoli delle canzoni e delle relative opere sono scritti come sono in giapponese (esempio: non Fullmetal Alchemist: Brotherhood, ma Hagane no renkinjutsushi FULLMETAL ALCHEMIST); solo quando si parla di anisong italiane si usano i titoli in italiano (esempio: non Yū☆Gi☆Ō, ma Yu-Gi-Oh!). Tutte le canzoni sono indicate nell’ordine:
#posizione — Artista: Titolo 📺 ← link al video su YouTube o su Nico Video
(paroliere/compositore/arrangiatore), Serie di provenienza, anno di debutto della canzone nella serie
DF desidera ringraziare tutte le persone che hanno partecipato a quest’articolo e in particolare Ivan Ricci per l’impagabile collaborazione.
Andrea Baricordi
OPENING
#1 — Hanazukin: Nippon mukashibanashi
(Kōhan Kawauchi/Jun Kitahara/Mitsuko Kotani), Manga Nippon mukashibanashi, 1975
Alps no shōjo Heidi e UFO Robot Grendizer non furono i primi anime ad arrivare nel nostro Paese, ma di sicuro furono i primi a fare il botto. Nel 1978 non si parlava di altro, e le relative sigle italiane raggiunsero la top ten dei singoli più venduti per settimane e settimane, superando perfino i brani dei cantanti e dei gruppi più importanti dell’epoca.
La prima fece capolino dagli schermi a febbraio, il secondo ad aprile, ma nell’ottobre dello stesso anno, arrivò Manga Nippon mukashibanashi col titolo Fiabe e leggende giapponesi, e senza nulla togliere ai primi due – che amo incondizionatamente – questa serie fece il botto… per me. A differenza degli altri due, che erano trasmessi dal lunedì al venerdì, questa serie la si poteva vedere solo una volta alla settimana, il sabato, all’interno del contenitore Qui cartoni animati. Per quanto mi riguarda, l’amore per il folclore giapponese è iniziato da qui. Mai viste o udite fiabe di quel genere, con personaggi e creature fuori da ogni possibile catalogazione occidentale: grazie a questo Bignami animato, quando nel decennio successivo arrivò in Italia Lamù, ero incredibilmente già ferrato su personaggi fiabeschi, leggendari e su buona parte del corollario di yōkai, e quindi in grado di riconoscere la provenienza della maggior parte dei personaggi usati da Rumiko Takahashi. Ma la cosa che attendevo di più di questa serie era la sigla, che la seconda rete tv (oggi Rai 2) aveva saggiamente lasciato in versione originale, forse per fare economia, forse per mettere l’accento sulla provenienza nipponica di quei racconti. Mentre il drago volava placido tra nuvole ricche di ghirigori simili a quelli delle antiche stampe, cavalcato da un buffo bambino che impugnava un tamburello denden, le magiche note di Nippon mukashibanashi fluivano ipnotiche cullando i timpani, come se fossero state create apposta per aprire un portale magico verso un’altra dimensione che andava oltre lo spazio, il tempo e la realtà. Un portale magico, come quello di Narnia, solo che il passaggio fra i due mondi non avveniva attraverso un armadio, ma con un tuffo nel tubo catodico, e invece di andare a ovest, si viaggiava verso l’Oriente Misterioso™︎. E un bambino di dieci anni, in quella dimensione ci si tuffava volentieri. Credo che non sia mai esistita una sigla più magica di quella, per me, nell’animazione giapponese.
#2 — Kazuo Kumakura: Gegege no Kitarō 📺
(Shigeru Mizuki/Taku Izumi/Takashi Ōgaki), Gegege no Kitarō, 1968
Forse proprio per via di Manga Nippon mukashibanashi, ho provato un’immediata simpatia per Kitarō, questo grottesco ragazzino che viveva tra lapidi, tetre boscaglie e case diroccate, circondato da spiriti e creature del folclore nipponico, appunto gli yōkai. Le atmosfere erano orrorifiche ma non horror nel senso stretto del genere cine-televisivo, e il tutto era ben impastato con ironia e comicità. La creatura più famosa di Shigeru Mizuki vanta una sigla scritta dall’autore stesso, ed è probabilmente la prima che ho imparato correttamente a memoria in lingua giapponese, e che mi ha garantito un discreto successo nei karaoke dei primissimi anni Novanta durante le uscite serali con editori, redattori e autori giapponesi. Dopotutto si tratta di un personaggio molto classico, e nessuno immaginava che qualcuno potesse conoscerlo al di fuori dei confini nazionali, all’epoca. Il brano è divertente, scanzonato, prende in giro le tematiche tenebrose proposte dalla serie, ma non ne prende le distanze, in una sorta di Halloween musicale alla giapponese. È una sigla talmente iconica che, dalla prima trasmissione TV del 1968 (anno della mia nascita: un caso?), è stata riproposta praticamente in tutti i successivi remake. E allora, come dice il ritornello, «cantiamo tutti insieme gegege no ge!».
#3 — Isao Sasaki: Uchū senkan Yamato 📺
(Yū Aku/Hiroshi Miyagawa/Hiroshi Miyagawa), Uchū senkan Yamato, 1974
Credo di poter affermare (quasi) senza possibilità di smentita che la sigla iniziale di Uchū senkan Yamato sia segretamente il secondo inno nazionale giapponese. A mezza via tra la marcia militare e l’opera lirica, ha una potenza musicale tale da incitare all’eroismo, al sacrificio e all’abnegazione per un fine comune, e in questi ritroviamo tutti gli elementi della filosofia nazionale nipponica, o almeno a quella di qualche decennio fa. La Yamato stessa rappresenta una sorta di resurrezione del Giappone dalle ceneri (letterali) del secondo dopoguerra, e infatti il compianto Leiji Matsumoto la ha fatta riemergere – ristrutturata e convertita in astronave – dalla nuda terra per lanciarla verso lo spazio, con un manipolo di coraggiosi a bordo, sola contro tutti, con i giorni contati e spinta da un motore a propulsione ma soprattutto dalla speranza: speranza che percepiamo anche nelle note, sottolineate dai vocalizzi eterei della voce femminile (Starsha di Iskandar?) e dai cori profondi delle voci maschili (l’equipaggio della Yamato?). Forse non è un caso se alcune delle migliori e più recenti interpretazioni di questo brano siano state gorgheggiate proprio dal coro della marina militare nipponica.
In alto i cuori.
A far da contrappunto a tutto l’eroismo espresso nella sigla iniziale, arriva poi quella finale Makka na scarf, dove la nostalgia, la solitudine e il timore di non fare più ritorno – e quindi di non completare la missione, a spese di tutta la razza umana – è estremamente palpabile, più nelle note che nel romanticissimo testo degno di un enka. La prima trasmissione italiana dell’anime col titolo Star Blazers avvenne su un adattamento della versione statunitense, che aveva mantenuto la musica della sigla originale giapponese, ma cantata in inglese: intanto, così, anche in Italia la melodia ci è entrata nell’orecchio, in epoche in cui era impossibile reperire materiale originale.
#4 – You & The Explosion Band: Lupin san-sei no thema 📺
(Tōkyō Movie kikaku-bu/Yūji Ōno/Yūji Ōno), Lupin san-sei, 1977
Yūji Ōno è per Lupin III (personaggio, serie e franchise) quello che Ennio Morricone è per i film di Sergio Leone. Qualsiasi tentativo di deviare dal percorso tracciato dal jazzista fin dagli anni Settanta appare semplicemente sbagliato – o stonato, se vogliamo rimanere in tema musicale – e i timpani tendono a rimbalzarlo al mittente con un “grazie, le faremo sapere”. Si potrà obiettare che questa sigla è strumentale, e che quindi non avrebbe il diritto di entrare in questa classifica, ma come Lupin c’insegna c’è sempre un modo per fare qualsiasi cosa, anche se a volte bisogna contravvenire a qualche imposizione: dopo tutto, le parole nel brano ci sono, perché il coro ripete più volte «Lupin the Third», per cui tutto in regola, ecco la sua patente, può andare. Questo pezzo, che mescola musica da jazz band e funky con tracce di disco anni Settanta – quest’ultime percepibili solo a livello subliminale – è capace di raccontare chi è il personaggio stesso di Lupin, evidenziarne lo spirito, l’energia, la simpatia, l’impudenza, la libertà dagli schemi preimpostati, il genio sregolato e perfino un certo romanticismo; connette perfettamente il DNA di tre decenni contigui molto diversi fra loro – gli anni Sessanta, i Settanta e gli Ottanta – attraversandoli in linea retta, frizzante come uno spruzzo di champagne sparato a sorpresa da una Walther P38 giocattolo. E tutto il resto è noia.
#5 — Ichirō Mizuki: Tekkaman no uta 📺
(Tatsunoko Pro. bungei-bu/Asei Kobayashi/Bob Sakuma), Uchū no kishi Tekkaman, 1975
Ci risiamo: la Terra è in pericolo per colpa di un invasore (molto) alieno al di sopra di ogni nostra possibilità di sconfiggerlo, per giunta dotato di una crudeltà sadica e strafottente. Che si fa, ci buttiamo giù e dichiariamo la resa? No: contro un esercito che ha conquistato intere galassie, inviamo un tizio in armatura medievale – e va bene, facciamola tecnologica – sul dorso di un robot che sembra il figlio illegittimo di Mazinga, Pinocchio e un pallone da spiaggia, e dotiamolo di una frusta e una lancia per affrontare ondate di dischi volanti. Proprio mentre in Italia apparivano in TV gli ultimi episodi di UFO Robot Grendizer – e noi, poveri frugoletti, ancora non sapevamo che i serial giapponesi avevano una conclusione! – sul finire del 1979 arriva in Italia Tekkaman a riportarci nello spazio in una guerra simile a quella di Grendizer contro Vega, ma apparentemente ben più disperata. La Terra è già ridotta a un luogo invivibile, e bisogna difenderla anche solo per avere un polo tecnologico per andare a cercarne una nuova. Tekkaman appare sugli schermi della TV italiana dotato di sigle originali giapponesi – cosa estremamente insolita per l’epoca – cantate dal mitico Ichirō Mizuki, e quella iniziale costituisce anche la colonna sonora della maggior parte delle scene di combattimento. L’introduzione fornita dalle prime note ci prepara, creando un’attesa, a quanto che sta per avvenire: George ha da poco attuato la trasformazione in Tekkaman all’interno di Pegas, dolorosissima, rappresentata come un vero martirio, con tanto di tecno-rovi che lo avvolgono sotto l’armatura, un cilicio necessario alla sopravvivenza nello spazio (ma solo per pochi minuti!); Pegas si lancia contro il drappello nemico; George/Tekkaman sorge dal suo dorso in ginocchio (!!!) si alza, estrae la lancia a due punte, e quella porzione di spazio esterno diventa un mattatoio di UFO. La sigla/colonna sonora lo accompagna in questi primi movimenti, che sono sufficienti a lasciarci capire che da adesso in poi qualsiasi disco volante diretto verso la Terra finirà letteralmente a fette, e non ce ne sarà più per nessuno. Se le truppe di Waldaster avessero avuto la possibilità di udire le prime note del crescendo di quell’introduzione musicale, avrebbero potuto battere in ritirata e mettersi in salvo, invece di rimanere in zona a farsi frullare come frutta esotica in un chiringuito. Un brano così, dopo essere associato a quelle immagini (se le hai viste e vissute a tempo debito e all’età giusta), diventa evocativo in qualsiasi situazione, e ti dà la carica necessaria per qualsiasi sfida, per un compito in classe, o una competizione sportiva. Ecco perché quando Tekkaman apparve in replica qualche anno dopo, rimasi deluso per la sostituzione della sigla originale con quella italiana dei Micronauti che era di ottima fattura, certo, ma non mi restituiva quell’energia di cui ero in attesa.
#6 – Linked Horizon: Guren no yumiya 📺
(Revo/Revo/Revo), Shingeki no kyojin, 2013
Se la sigla di Uchū senkan Yamato può essere considerata il secondo inno nazionale (segreto) giapponese, Guren no yumiya avrebbe tutte le carte in regola per candidarsi come terzo. O, quantomeno, assurgere alla valenza di canto partigiano per la riscossa di una identità e di un orgoglio a lungo negati a un popolo finzionale, ma con diversi punti di contatto con la realtà. Siamo oppressi da forze maggiori, schiacciati da qualcosa di apparentemente incontrollabile, che ci divora e ci priva della nostra libertà, chiusi come topi fra alte mura che fingiamo di credere incrollabili, ma che prima o poi cederanno: ma ora basta, alziamo la testa, guardiamo il nemico negli occhi, non saremo più le pecore che si lasciano sbranare, saremo noi i lupi, i cacciatori, e loro dovranno fuggire perché li elimineremo uno a uno e ci riprenderemo la nostra dignità. Porca miseria! Non pochi, all’epoca, lessero un sottotesto sociopolitico in questo brano, e associato all’immaginario dell’anime a cui è abbinato è palpabile il desiderio di rivalsa che brucia dentro da decenni. L’autostima del Giappone reale ha subito un duro colpo con la sconfitta avvenuta alla fine della seconda guerra mondiale: vittima di ben due bombardamenti nucleari, è stato costretto ad ammettere che l’imperatore non fosse una divinità, ha dovuto piegarsi all’occupazione statunitense, rinunciare al proprio esercito, e sottostare a una serie di severe regole che l’hanno messo in una situazione di inferiorità nei confronti delle altre nazioni asiatiche. Nonostante sia passato tanto tempo da allora, e il Giappone si sia perfettamente integrato nel tessuto delle relazioni internazionali – peraltro eccellendo in numerosi campi – l’amor proprio è ancora oggi pieno di ammaccature, e grida per essere ritrovato. Se l’anime è più una metafora del bullismo vero e proprio, la canzone tracima da questo tema, anche involontariamente, e va a toccare tasti dolenti. Noi la continueremo ad ascoltare nell’ambito della fiction, interpretandola come una potentissima Bella ciao composta per la lotta contro gli ebeti giganti divoratutto.
ENDING
#1 — Isao Sasaki: Uchū no ōja Grendizer
(Kōgo Hotomi/Shunsuke Kikuchi/Ken’ichirō Morioka), UFO Robot Grendizer, 1975
Solitamente le sigle finali costituiscono una sorta di chillout dagli eventi dell’anime, specie se si tratta di quelli d’azione. In questo caso, la regola viene infranta, perché il brano che chiude gli episodi con le avventure di Grendizer va a ribadire il concetto della sigla iniziale, ovvero che il nostro eroe ce la farà sempre, ma aggiungendo alcune note drammatiche a ricordare la gravità della situazione, per poi stemperarle con una parte lieve e consolatoria, quasi romantica. Tre brani in uno che danno la carica dopo la fine dei giochi e che, guarda caso, in diversi episodi è utilizzato come colonna sonora del combattimento fra il robot e il mostro vegano (nel senso “da Vega”) di turno, specie quando gli esiti del medesimo non sono poi così certi. È facile oggi ritenere che l’eroe di una serie non sarà sconfitto, ma alla fine degli anni Settanta questa serie TV era una novità assoluta sotto ogni aspetto: non eravamo abituati al dramma, nei cartoni animati per ragazzi, né al fatto che – come alcuni episodi ci avevano mostrato – qualcuno potesse soffrire o addirittura morire. Per cui, senza nemmeno sapere di quanti episodi fosse costituita questa serie (non avevamo informazioni in merito, né sapevamo che le serie nipponiche avessero una fine) eravamo continuamente in apprensione. Facevamo il tifo per il protagonista, ma non era scontato che in quell’episodio ce la facesse. Lo avevamo visto in difficoltà diverse volte, e alla fine di un episodio doppio addirittura gli strappavano un braccio, cosa inaudita all’epoca, tanto da farti stare male. Questa sigla finale, dunque, noi la sentivamo solo all’interno degli episodi (in Italia avevamo la comunque bellissima Shooting Star), e quello «UFO!» esclamato all’inizio del brano con pronuncia giapponese da Isao Sasaki (aka “l’altro Ichirō Mizuki”), a noi sembrava uno “YA-HOO!” per incitare l’eroe che di difendeva dalla minaccia aliena. Bei tempi di candore e ingenuità naïf, insostituibili.
#2 — H2O: Omoide ga ippai 📺
(Yōko Aki/Kisaburō Suzuki/Mitsuo Hagita), Miyuki, 1983
Se volete vedere un salary man giapponese di mezza età coi lucciconi agli occhi, fategli ascoltare il brano con cui si chiudeva Miyuki, l’anime tratto dall’omonimo manga di Mitsuru Adachi. È una delle canzoni più gettonate da questo campione demografico anche nei locali di karaoke, perché il motivo va a toccare certe corde nell’anima di chi ha vissuto il primo amore durante l’adolescenza, ormai lontana quanto l’anime stesso a cui era abbinata. La cosa curiosa è che il brano suonava nostalgico già nella prima metà degli anni Ottanta, proprio mentre la serie TV veniva trasmessa in Giappone. Anche se non ufficialmente (micro-plagio involontario?), un grappolo di note di questo brano riecheggerà in futuro nella celebre Anata ni aitakute, che assicurò a Seiko Matsuda – probabilmente l’idol giapponese più amata di tutti i tempi – il primo posto in classifica nel 1996, ovvero ben dodici anni dopo la fine di Miyuki. Nostalgia canaglia.
#3 — TOM★CAT: LOVE SONG 📺
(TOM/Kaoru Takagaki/Light House Project), Hokuto no Ken 2, 1987
L’effetto chillout delle sigle di chiusura raggiunge l’apoteosi nella seconda serie di Ken. Nella seconda metà degli anni Ottanta i muscoli ipertrofici degli eroi cinematografici statunitensi – in primis quelli interpretati da Sylvester Stallone e da Arnold Schwarzenegger – andavano a braccetto, anzi, a bicipite con la musica heavy metal in tutte le sue sfumature. Mentre il testosterone pompato a mille schizzava fuori dalle orbite dei personaggi che se le davano di santa ragione (no, non era sangue), mentre calotte craniche esplodevano come vulcani in eruzione, articolazioni si contorcevano, gambe e braccia si separavano dal resto del corpo come i pezzi del Lego, qualcuno pensò bene di abbassare i toni alla fine di ogni episodio con un brano romantico per uscire dall’orgia splatter degli episodi. E così ecco sopraggiungere un pezzo dolce dolce, camuffato da power ballad grazie alla chitarra elettrica nella intro, nel ponte e nel finale, ma che in realtà è la più classica delle canzoni dedicate agli amori impossibili, e che fa da contrasto con la carica di ottani della sigla iniziale: il gruppo è lo stesso, ma qui la voce è femminile e delicata, e accompagna le immagini in cui Lynn, ormai grandicella, cammina sola, guarda il cielo notturno, si accovaccia davanti a un piccolo falò da campo (piangendo?) e il ritornello dice «odio l’amore perché amo te». Non ti preoccupare, Lynn, ti vogliamo bene noi. E infatti, alla fine, lei ci sorride mentre sorge l’alba. Quello dello spettatore è un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare.
#4 — Noriko Ohara, Jōji Yanami e Kazuya Tatekabe: Tensai Doronbō 📺
(Masayuki Yamamoto/Masayuki Yamamoto/Masaaki Jinbo), Yattaman, 1977
Uno degli anime che ha maggiormente infranto la cosiddetta “quarta parete” è Yattaman, ovvero il secondo capitolo delle serie Time Bokan che ha dato il la alla saga ben più del primo, coi suoi personaggi auto-clonati, i suoi tormentoni e le sue incursioni nell’ambito della meta-fiction, tanto da contenere perfino una rubrica della posta (vera!) in cui gli spettatori più giovani potevano inviare i loro disegni su cui poi lo staff di produzione (e i personaggi stessi) progettavano nuovi robot da far combattere negli episodi. Ebbene, Yattaman è uno dei pochissimi anime la cui sigla di chiusura è dedicata ai nemici, in questo caso i Doronbō Ichimi (Trio Dronbo in italiano), che se vogliamo sono i veri protagonisti della serie. Il brano, cantato a tre voci dai doppiatori stessi dei personaggi, è anche uno dei punti chiave all’interno di ogni episodio, nell’immancabile momento in cui lo sgangherato ma indomito trio dichiara le proprie intenzioni e i propri piani – con tanto di balletto da avanspettacolo – mentre costruisce il nuovo, bizzarro mezzo con cui intende raggiungere l’obiettivo mentre contrasta gli odiati, integerrimi, biondissimi e sdolcinati Yatta-eroi. È una sorta di inno agli innumerevoli underdog presenti in qualsiasi storia di fantasia, ai vari Zenigata, Wile E. Coyote, Don Chisciotte, che nonostante i ripetuti insuccessi non si demoralizzano mai (ma sì, via, solo un pochino alla fine di ogni episodio), ma poi si rialzano e ci riprovano.
#5 — Mitsuko Horie: Ashita ga suki 📺
(Keiko Nagita/Takeo Watanabe/Yūshi Matsuyama), Candy♡Candy, 1976
Gegege no Kitarō non è l’unico anime a vantare una sigla scritta dall’autore originale del manga, ma anche Candy♡Candy: in questo caso, Keiko Nagita (autrice del romanzo originale col proprio nome, e della sceneggiatura del manga con lo pseudonimo Kyōko Mizuki) ha scritto sia la OP sia la ED di uno degli anime più popolari di tutti i tempi. La sigla di chiusura è importante a livello di testo e di musica perché – sempre nell’ottica del chillout – fornisce un po’ di conforto emotivo dopo il carico di eventi tragici che la Signorina Tuttelentiggini è costretta ad attraversare nei vari episodi, e che al giorno d’oggi sarebbe finita quotidianamente nel web in meme accompagnati dall’hashtag #maiunagioia. Candy è erroneamente ricordata da alcuni come una piagnona che le lasciava passare tutte, mentre in realtà è sempre stata una ragazza in gamba con una bella scorza e una resilienza (quella vera, non quella usata al posto di “resistenza’”) da far invidia agli eroi degli anime d’azione, capaci di reagire quasi esclusivamente menando le mani. Il motivo c’è, e ce lo spiega questa canzone, che dice che il futuro sarà migliore, grazie alla vocina della mitica Mitsuko Horie, caposaldo delle anisong anni Settanta e Ottanta al pari di Ichirō Mizuki e Isao Sasaki. La versione musicale entra poi anche negli episodi come colonna sonora dei momenti più dolci e romantici, e porta il sereno perfino dopo le tempeste, reali o figurate che siano, ed è pertanto consigliata a livello terapeutico anche nella vita reale.
#6 — Hiroshi Kakizaki + “r” Project: Jama wa sasenai 📺
(Masami Kobayashi/ Yutaka Takezawa /Yutaka Takezawa), F, 1988
Pochi sono stati in grado di coniugare comicità demenziale e dramma come Noboru Rokuda (autore anche di Dash Kappei, in Italia Gigi la trottola) all’interno del manga originale da cui è tratto F, forse uno dei pochi anime sportivi che è riuscito ad avvicinarsi per toni e atmosfere al capolavoro Ashita no Joe, anche se l’ambientazione non è quella del mondo del pugilato, ma quella delle corse automobilistiche, dove si rischia comunque la vita. Allo stesso modo, sigla iniziale e sigla finale rappresentano le due facce della serie: se quella iniziale è un concentrato di energia post-adolescenziale e rispecchia la determinazione (la cocciutaggine) del protagonista nel voler vincere a tutti i costi, quella finale, benché ritmata, è meditativa, si spinge oltre la facciata (di bronzo) e scende a scavare nell’anima, nel profondo, con tonalità notturne che mettono in discussione tutta la tracotanza da lui espressa pubblicamente, sulla pista e nella vita di tutti i giorni. Siamo alla fine degli anni Ottanta, i Novanta sono dietro l’angolo, e ormai, anche negli anime, è tempo di mettersi qualche dubbio su come girano gli ingranaggi della realtà: forse non è vero che tutto va bene, che siamo i migliori, e che gli eroi vincono sempre, e d’altra parte forse gli eroi non esistono realmente, sono solo un costrutto promozionale, uno spot pubblicitario, ed è ora di iniziare ad accettare le proprie fragilità. Sarà dura, con un personaggio come Gunma Akagi, ma così va il mondo, ragazzo. Take it easy.
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Nel film Dirty Pair gekijōban, la compianta Miki Matsubara non canta solo l’ottima Safari Eyes sulle immagini di una sigla – oggi definibile neo rétro – che rifà il verso alle intro dei film di James Bond (ottimo esempio di meraviglie che si possono ottenere abbinando grande animazione a bella musica), ma anche il reprise intitolato Over The Top che accompagna la lunga sequenza d’azione finale in ralenti animato (difficilissimo da realizzare a mano): capolavori e dintorni. Importante è anche l’abbinamento tra canzone e immagini nell’OVA Kidō senshi Gundam 0080: Pocket no naka no sensō: nella sigla iniziale Megumi Shiina canta la delicata Itsuka sora ni todoite sui disegni a gessetto di mobil suit che si battono, realizzati dai bambini dello Universal Century per elaborare il trauma della guerra di un anno; commovente proprio come la sigla finale Tōi kioku, uno slide show di istantanee della vita quotidiana dei bambini in tempo di guerra. Ottime anche le sigle degli OVA di Lodoss-tō senki del 1990: i due brani di Sherry, Adèsso e Fortuna ~Honō to eien~ e Kaze no fantasia evocano l’atmosfera fantasy alla Dungeons & Dragons a cui la saga è ispirata, e anche se nel primo titolo c’è un refuso, da bravi italiani perdoniamo volentieri perché il ritornello dice «Io sono prigioniera» nella nostra lingua.
EXTRA: ANISONG ITALIANE
Menzione speciale per la colonna sonora di Heidi, paradossalmente non quella originale giapponese, bensì a quella tedesca (da cui deriva quella udita in Italia, sigla iniziale Heidi inclusa) composta dall’olandese Gert Wilden, ormai marchio di fabbrica imprescindibile del primo anime di successo in Italia.
Giulia Boi
OPENING
#1 — Masami Okui: Rinbu-revolution
(Masami Okui/Toshirō Yabuki/Toshirō Yabuki), Shōjo kakumei Utena, 1997
Potevo non mettere Utena al top? Assolutamente no. Anime che mi spinge verso riflessioni diverse ogni volta che lo riguardo e a cui devo molto, ha una sigla che rimane sempre uguale per tutti e 39 gli episodi eppure non stanca mai. La parte con le rose che girano! Le scale, i cavalli, il castello! Il modo in cui presenta tutti i personaggi importanti (o quasi, Wakaba sei nei nostri cuori)! Il sottile foreshadowing del finale che acquisisce un senso solo a fine serie! La tonalità che cambia un semitono più in alto all’ultima ripetizione del ritornello, che dà sempre quella carica in più! E poi quel mood malinconico che viene sovvertito in maniera sorprendente nella versione proposta come ED dell’ultimo episodio, intitolata Rose&release e spogliata completamente del testo (come non servissero più le parole) e che cambia la risoluzione originale da minore a maggiore. Veramente splendida.
#2 — Etsuko Yakushimaru: Shōnen yo ware ni kaere 📺
(Tica·α/Tica·α/Kenji Kondō), Mawaru-Penguindrum, 2011
Sono innamorata di entrambe le sigle di Mawaru-Penguindrum, ma mentre la prima Nornir ha un tono sognante e – anche quando prende una piega più incalzante al ritornello – mi ha sempre dato l’impressione di essere sempre sottomessa da qualcosa di più grande (del resto canta proprio «Il destino ride di noi» l’attimo prima), la seconda suona da subito più determinata pur rimanendo sempre coerente con la precedente. Il cambio dell’OP accompagna inoltre un momento molto importante nella serie: nell’episodio precedente Sanetoshi, il vero villain della serie, interagisce per la prima volta con uno dei protagonisti e acquisisce un ruolo di primo piano nella vicenda; dall’episodio dopo la trama inizia a correre a rotta di collo, le cose si fanno man mano più chiare, ed è come se la OP cambiasse per confermare a chi guarda che no, non siamo necessariamente in balìa del destino.
#3 — ZAQ: Wareru dōkoku 📺
(ZAQ/ZAQ/ZAQ), Concrete Revolutio ~Chōjin gensō~ THE LAST SONG, 2016
Questa è la “sigla che conosco solo io ma che cito sempre”, perché il numero di persone che conosco che hanno visto Concrete Revolutio (la seconda stagione, per di più!) al momento ammonta a tre, delle quali una sono io e un’altra l’ha visto con me. Il motivo per cui abbiamo visto tutti e 24 gli episodi di questa serie misconosciuta? Semplice: avevamo beccato casualmente questa sigla fuori contesto e ci ha convinto a scoprire di che diavolo parlasse la serie, perché in un minuto e mezzo mostra di tutto, inclusi alieni, maghette, yōkai, fantasmi, viaggiatori nel tempo, cyborg, robottoni, gente che fa la breakdance a caso e quant’altro, e il tutto con in sottofondo una canzone che spacca. Probabuilmente molti si ricordano di ZAQ per Sparkling Daydream (la OP di Chūnibyō demo koi ga shitai!), ma per me rimarrà sempre “quella di Concrete Revolutio“.
#4 — Masaaki Endō: Asu e no michi ~Going my way!!~ 📺
(Masaaki Endō/Ryū Shun/Masaki Suzuki), Yū☆Gi☆Ō 5D’s, 2010
Da grande fan dei giochi di carte, degli anime coi bambini che giocano a carte e di Yū☆Gi☆Ō come massima espressione di entrambe le categorie, ho una mia personale top opening estremamente specifica. L’ultima sigla di 5D’s è ancora in cima alla classifica da quando ho avuto il coraggio di stilarla, e nel frattempo negli ultimi 14 anni di serie ne sono uscite un bel po’. Il video segue una struttura abbastanza standard: mostra il protagonista e i suoi amici coi loro mostri preferiti, un’occhiata ai personaggi secondari importanti, en passant anche i cattivi da sconfiggere e durante il ritornello li facciamo sfidare con i nostri eroi che non mollano mai; il tutto però acquisisce un suo valore distintivo grazie all’energia incontenibile del cantante Masaaki Endō, interprete non solo di una buona parte delle OP, ma anche di quasi tutte le insert song di 5D’s. Si tratta di un caso più unico che raro in Yū☆Gi☆Ō, che al momento conta otto serie all’attivo, ma in nessuna di queste usa insert song extradiegetiche a parte, appunto, in 5D’s (ce ne sono alcune nella penultima serie SEVENS, ma si tratta comunque di image song eseguite dai doppiatori dei personaggi). Si arriva quindi alla fine di 5D’s (dopo ben 154 episodi!) con un legame speciale con Masaaki Endō, che diventa implicitamente la voce cantante principale della serie, e quando intona le parole «Non c’è nulla da temere su questo sentiero per il futuro, seguo la mia strada, apro un passaggio e via!» noi non possiamo che dargli retta.
#5 — Masatoshi Ono: departure! 📺
(Hitoshi Haba, TEAM HUNTER/Hitoshi Haba/Yutaka Shin’ya), HUNTER×HUNTER, 2011
Si può mandare in onda la stessa identica sigla per 148 episodi di fila? L’adattamento animato del 2011 di HUNTER×HUNTER forse non è il primo anime ad averlo fatto (o forse sì?), ma è quello che non mi ha fatto desistere dal cantarla a squarciagola dall’inizio alla fine della serie, quindi ha tutto il mio rispetto. Aiuta anche l’idea intelligente di modificarla leggermente a ogni nuovo arco narrativo, cambiando sia le parole di entrambe le strofe della canzone completa (ma non il ritornello), sia le immagini della videosigla. Non importa che atrocità stiano accadendo nell’episodio, questa canzone continuerà a ricordarci allegramente che «You can smile!» e che «Comincia un’avventura senza fine». Inoltre, a una OP sempre uguale corripospondono cinque ED molto diverse fra di loro che definiscono il vero tono emotivo dell’arco corrente: queste ED spesso partono con una lunga introduzione strumentale che inizia proprio durante le ultime scene dell’episodio per traghettarlo verso la videosigla; incredibile la schitarrata iniziale di HUNTING FOR YOUR DREAM, lo «UAAAA UUUUUU UUUUU!!!» di REASON e il «Tuuu tu tuuuu…» di Hyōri ittai… ma in tutto questo, departure! rimane una certezza in un mondo pieno d’incognite come quello di HUNTER×HUNTER.
#6 — Masahito Arai: Anime ja nai ~Yume wo wasureta furui chikyūjin yo~ 📺
(Yasushi Akimoto/Hiroaki Serizawa/Shirō Sagisu), Kidō senshi Gundam ZZ, 1986
«La notte, mentre tutti dormivano, ho visto alla finestra una cosa incredibile nel cielo. Tutti gli adulti mi hanno detto ridendo “Guardi troppa TV”, ma io non direi mai e poi mai una bugia. Il nostro mondo non può essere visto attraverso la lente del buon senso, voi vecchi terrestri avete dimenticato i vostri sogni!». Questo è ben più del testo di una canzone: è una vera e forte dichiarazione d’intenti. Anime ja nai è il grido di protesta di una generazione che si oppone al disfattismo e all’indolenza degli adulti, un tema che ZZ porta avanti caricando sulle spalle dei bambini il peso di guerre che chi è venuto prima di loro non intende assumersi. È una canzone apparentemente buffa e allegra, ma il messaggio che passa se si va oltre al ripetersi scanzonato di «Non è un anime! Non è un anime!» è tristemente sempre attuale, senza per forza andare a combattere coi robottoni nello spazio. Sapevo di voler scegliere una sigla di Gundam da portare in classifica e la scelta è stata ardua, ma appena mi è venuta in mente questa sapevo di non poter scegliere altrimenti.
ENDING
#1 — Hyadain: Hanpan spirit
(Kenichi Maeyamada/Kenichi Maeyamada/Kenichi Maeyamada), Gundam Build Fighters, 2014
Ed è con la prima delle ED che mi riaggancio allo stesso discorso fatto con Anime ja nai, ma stavolta in maniera decisamente più allegra: «La gente mi dirà che ormai sono cresciuto, ma non posso certo smettere di fare ciò che amo. Dò il massimo nelle piccole cose, e puoi perderti sempre in qualcosa, che tu sia un bambino o un adulto. […] Voglio essere uno scemo domani e fra 50 anni ancora, fischiettiamo una melodia e torniamo a casa». Se Anime ja nai è una protesta, Hanpan spirit (“Lo spirito dei pantaloncini corti”, indumento simbolo dell’infanzia di molti, in Giappone ma anche nel resto del mondo) è una celebrazione del proprio lato bambinesco, quello che ci rende felici indipendentemente dalla nostra età; del resto entrambe le serie sono Gundam, ma mentre la prima tratta di guerre nello spazio la seconda racconta la storia di bambini che giocano coi modellini gunpla e, sebbene non manchino i conflitti più o meno seri, il tono è decisamente meno impegnato. Poi è ovvio che Sunrise vuole che continuiamo a sentirci bambini per venderci i modellini dei robot, ma rivendico volentieri il messaggio di non smettere mai di divertirsi e di giocare, domani e fra 50 anni ancora. È questo “lo spirito dei pantaloncini corti”!
#2 — REDMAN: Challenge the GAME 📺
(Satoshi Ishikawa/Satoshi Ishikawa, Ryō Sugihara/REDMAN), Yū☆Gi☆Ō ZEXAL II, 2013
Anche fra le ED finisco per citare la mia preferita di tutti gli Yū☆Gi☆Ō: in questo caso, l’ultima di ZEXAL II (si legge “Second” all’inglese). Siamo alla fine della serie, nel pieno di una guerra interdimensionale (normale) e con un’altissima posta in gioco. La canzone è carichissima e trasmette a pieno la serietà di questi ultimi episodi, dando comunque la speranza che serve per arrivare fino alla fine. La mia caratteristica preferita di Challenge the GAME è che nella sua videosigla c’è lo spazio per un montaggio amarcord dedicato al morto della settimana, visto che la mortalità raggiunge livelli altissimi in concomitanza con la messa in onda di quest’ultima ED. Sempre bello rincarare la dose.
#3 — Starlight Kuku-gumi: Fly Me to the Star 📺
(Kanata Nakamura/Hiro Tazunoki/Hiro Tazunoki, Kōtarō Odaka), Shōjo☆Kageki Revue Starlight, 2018
Il mio amore per Shōjo☆Kageki Revue Starlight è incontenibile e se parlassi a ruota libera del suo comparto sonoro ci metterei un mese, quindi mi limiterò a un parere stringato su questa ED, una bellissima ballata che ricorda Fly Me to the Moon già dal titolo e dall’arrangiamento, e sul modo magistrale con cui coinvolge attivamente lo spettatore. Partiamo dal fatto che ci sono ben nove (9!) versioni, tutte con video e interpreti (e, per solo una di loro, anche testo) alternativi, le quali si alternano a seconda dei personaggi chiave dell’episodio e raramente si concentrano su una soltanto delle protagoniste, ma più spesso le mostrano mentre scendono fluttuando circondate dagli oggetti che le rappresentano, fino a toccare la stella del titolo, motivo ricorrente di tutta la serie. Le differenze fra le varie sigle rendono i dettagli mostrati ancora più importanti e meritano discussioni approfondite che non possono essere fatte senza spoiler, ma l’importante è che ogni episodio trova nella ED un grande valore aggiunto perché fa pensare allo spettatore “chissà cosa ci sarà di speciale nella sigla, stavolta?”.
#4 — the peggies: Stand by Me 📺
(Yūho Kitazawa/Yūho Kitazawa/the peggies, Satori Shiraishi), Sarazanmai, 2019
Sarazanmai è una serie sui legami complicati fra le persone (e vabbè, è di Kunihiko Ikuhara, e questa è già la terza sigla da sue opere che scelgo): ognuno dei protagonisti vuole disperatamente stare accanto a qualcuno che però non ricambia nelle modalità che vorrebbe di più. I primi versi della sigla racchiudono secondo me il desiderio più genuino di tutti loro: «Stammi vicino, per favore, pensi che possa diventare più forte?». Non riesco mai ad ascoltarla senza che mi venga un nodo alla gola…
#5 — AiNA THE END: Red:birthmark 📺
(TK/TK/TK), Kidō Senshi Gundam Suisei no majo Season 2, 2023
Sarà forse già passato che sono una grande fan delle ED con una lunga introduzione strumentale che parte già dalla fine dell’episodio, e l’ultima serie TV di Gundam è uno di questi casi: come chiudere in maniera ancora più straziante un episodio già emotivamente provante? Ma certo, introduciamo la sigla finale con la voce sofferente della cantante. Il video, poi, è un capolavoro (oggi volano i paroloni!).
#6 — Sayuri: Hana no tō 📺
(Sayuri/Sayuri/Ryō “Lefty” Miyata), Lycoris Recoil, 2022
Mi ripeto sulle introduzioni strumentali prima dell’arrivo della videosigla, ma Hana no tō è un caso talmente eclatante da essere diventato un meme. Chiudere alcuni episodi più seri con una sigla così allegra è certamente una decisione curiosa, ma a differenza dell’ED precedente, questa mi ha permesso di chiudere sempre ogni episodio col sorriso. E poi è una bella canzone! Sono le piccole cose quelle importanti.
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Menzione speciale a StarRingChild come ending dell’ultimissimo OVA di Kidō Senshi Gundam UC la quale ha il potere di farmi scoppiare a piangere ininterrottamente ogni volta che oso ascoltarla (esattamente come succede con Hōseki no hibi dal finale di Kidō senshi Gundam: Suisei no majo Season 2). Allontanandoci dai robottoni, vale la pena citare anche Heaven’s falling down, OP degli ONA della parte 6 di JoJo no kimyō na bōken: non che manchino le sigle memorabili anche nella serie TV, ma il video di questa canzone ha la particolarità di essere una splendida celebrazione di tutto quello che è venuto prima.
EXTRA: ANISONG ITALIANE
Infine, per le sigle italiane, mi vengono subito in mente tre esponenti: Digimon per sempre per Digimon 02, che considero personalmente la miglior sigla di qualsiasi serie di Digimon e anche migliore dell’originale (e a me piace molto Target!), Digimon Tamers per l’omonima serie, splendido adattamento della sigla giapponese con testo (fantasioso a piacere) italiano, e infine Take a Chance ovvero sigla italiana di Yu-Gi-Oh! Zexal. Quest’ultima è un caso curioso: la base è quella della sigla statunitense e il testo italiano ne è una traduzione abbastanza fedele, ma oserei dire che il risultato finale è ben superiore all’originale, e ogni giorno penso a quella rima «ardente/mente». Purtroppo non sono mai riuscita a risalire ai crediti di questa versione e non ne esiste una versione completa, ma si merita la sua dignità! E poi sembra una canzone dei Finley e questo mi leva mentalmente ed emotivamente metà dei miei anni.
Ilaria Azzurra Caiazza
OPENING
#1 — Yōko Takahashi: Zankoku na tenshi no these
(Neko Oikawa/Hidetoshi Satō/Toshiyuki Ōmori), Shin seiki Evangelion, 1995
Non c’è dubbio: questa è LA opening per eccellenza. Ha decretato il mio amore immortale per Evangelion (quello per Anno era già nato anni prima su Fushigi no umi no Nadia), che è cominciato proprio a partire dalle prime note della canzone sovrapposte alle immagini della videosigla. E poi a distanza di tanti anni è ancora ballabile ed è impossibile non cantarla quando parte, non a caso è regina indiscussa anche nei karaoke da sempre. Inoltre, nel 2018 la paroliera e l’arrangiatore di Zankoku na tenshi no these si sono ritrovati per scrivere Fighting Gold, OP della parte 5 di JoJo no kimyō na bōken, e quando l’ho scoperto ho ricominciato ad ascoltare a manetta entrambe le canzoni. Infine, ho avuto la fortuna di incontrare Yōko Takahashi a un meet & greet e l’ho ascoltata cantare la canzone dal vivo, e questo ha decretato definitivamente il primo posto in eterno per questa OP.
#2 — Mikio Tsukada: The Chambara 📺
(Toyohisa Araki/Shiro’o Tsuchimochi/Kentarō Haneda), Manga Mito Kōmon, 1981
La versione animata del celeberrimo (in Giappone) telefilm Mito Kōmon, arrivata in Italia col titolo L’invincibile shogun, è uno dei miei primi ricordi di infanzia, di quando da piccola sapevo chi fossero i samurai ma non i contadini e, andata per la prima volta in campagna con la famiglia, vedendo i contadini ho iniziato a gridare «I samurai!» e poi a canticchiarla, ovviamente storpiando tutte le parole – cosa che tra l’altro facevo con mio cugino Mariano anche ogni volta che partiva Tatakae! Polymar, sigla di Hariken Polymar… infanzia felice e innocente!
#3 — PENPALS: TELL ME WHY 📺
(PENPALS/PENPALS/PENPALS), Berserk, 1997
Berserk mi ha riavvicinata a manga e anime: vederne gli episodi su Italia 1 di notte e poi telefonare agli amici (anche sui fissi, per la gioia dei genitori) per commentare ciò che si era appena visto era un rito. Come avrei potuto non inserire TELL ME WHY in questa classifica, visto che la cantavamo a squarciagola nelle auto da neopatentati? Giovinezza non poi così felice e innocente, ma sicuramente memorabile!
#4 — Keizō Toda con i Vocal Shop: Devilman no uta 📺
(Yū Aku/Gō Misawa/Gō Misawa), Devilman, 1972
Devilman era il mio anime preferito in assoluto da bambina, e appena sono stata capace di intendere e volere ho cercato di saperne di più, anche sulle sigle originali; questa OP poi l’ho cantata al karaoke in Giappone, quindi è anche uno dei ricordi di uno dei viaggi più belli della mia vita. L’ho amata anche nel riaggiamento proposto come insert song per l’ONA DEVILMAN crybaby, in cui regnava la musica elettronica e la cui OP è la potentissima MAN HUMAN (che PURTROPPO appare solo nella seconda puntata).
#5 Maaya Sakamoto: Hemisphere 📺
(Yūho Iwasato/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), RahXephon, 2002
RahXephon è un anime davvero sottovalutato, purtroppo anche a causa dei fan di Evangelion che lo vedono come una “copia” della serie di Anno. Peccato, perché se da una parte RahXephon omaggia tantissimo Evangelion (omaggia, non copia), dall’altra ha anche delle soluzioni narrative originali e interessanti. La OP poi è bellissima benché poco conosciuta, e per di più la canta Maaya Sakamoto, che poi nei film della quadrilogia Evangelion shin gekijō ban avrebbe dato la voce a Mari, e la musica è della divina Yōko Kan’no.
#6 — Minami Kuribayashi: Precious Memories 📺
(Minami Kuribayashi/Minami Kuribayashi/Masaaki Iizuka), Kimi ga nozomu eien, 2003
Come dice mio marito, Kimi ga nozomu eien è un anime relativamente pudico adattamento di una visual novel non proprio pudica… A me piace sia l’anime (soprattutto perchè i protagonisti sono giovani adulti) sia la sua OP che da ragazza ascoltavo tantissimo, quindi sono felice di includerla nella mia classifica.
ENDING
#1 — PICASSO: Ci · ne · ma
(Junko Ōyama/PICASSO/PICASSO, Yūji Toriyama), Maison Ikkoku, 1986
Come Zankoku na tenshi no these per me è LA opening per eccellenza, Ci · ne · ma per me è LA ending per eccellenza. Musica, testo, voce sovrapposti alle bellissime immagini di Kyōko e Godai sono scolpite nel mio cuore di NON inguaribile romantica. Se mi avessero chiesto di scegliere una sola ED sarebbe stato facilissimo: Ci · ne · ma!
#2 — Mai Yamane: THE REAL FOLK BLUES 📺
(Yūho Iwasato/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), Cowboy Bebop, 1998
Se Cowboy Bebop è un anime meraviglioso, la OST lo è ancora di più. La sua ED merita di stare in classifica tanto quanto la sua OP Tank!: giustizia per la mai troppo citata THE REAL FOLK BLUES!
#3 — Atsuko Enomoto e Chihiro Suzuki: Yume no naka e 📺
(Yōsui Ino’ue/Yōsui Ino’ue/Shinkichi Mitsumune), Kareshi kanojo no jijō, 1998
Kareshi kanojo no jijō è un anime del cuore e questa ED mi trasmette la leggerezza degli amori e dei tempi adolescenziali. È la cover di un classico del 1973 del cantautore Yasui Ino’ue ed è cantata dai doppiatori di Yukino Miyazawa e Sōichirō Arima: io sono un po’ Yukino ancora oggi, e riascoltando questa ED mi immagino nuovamente correre fra i banchi e i corridoi del liceo, in un momento della mia vita in cui ancora di tutto poteva succedere… poi cose belle e brutte sono successe, ma nessuno potrà togliermi il ricordo della speranza tipica di quegli anni, e che Yume no naka e riesce a far riaffiorare in me.
#4 — Kirari: Last Piece 📺
(Kirari/TARU/TARU), GTO, 1999
Se faccio l’insegnante è perché ho letto e visto GTO. Non è ovviamente l’unica motivazione sulla scelta del mio lavoro, però non nego che le vicende del candidato “Great Teacher” del Giappone Eikichi Onizuka, 22 anni, celibe, molto piacere mi abbiano folgorato. La OST con le sue bellissime sigle iniziali e finali la ascoltavo quando sceglievo fra i vari esami del mio curriculum universitario quelli che mi avrebbero poi consentito di insegnare.
#5 — Aimer: Ref:rain 📺
(aimerrhythm/Masahiro Tobinai/Kenji Tamai), Koi wa ame agari no yō ni, 2018
Guardavo l’anime Koi wa ame agari no yō ni poco prima di andare in Giappone e quando sono arrivata lì, in un’estate torrida e umida e piovosa in cui si potevano incrociare tante persone con i tipici ombrelli trasparenti, mi sembrava proprio di essere in questo anime. Ovviamente anche Ref:rain l’ho cantata al karaoke, quindi è anch’essa un bellissimo ricordo di viaggio.
#6 — OLIVIA: Starless Night 📺
(Space Critter, OLIVIA/Hideki Obata/Tomoji Sogawa), NANA, 2006
Scelgo questa ED come rappresentante che vale per tutta la OST di NANA, e come potrebbe essere altrimenti? La musica è fondamentale nella vita dei personaggi di questa storia tanto quanto è ed è stata fondamentale nella mia vita: pur non essendo né musicista né cantante, ogni mia giornata inizia con le cuffie nelle orecchie da quando avevo circa sei anni, e questa canzone è fra le più ricorrenti nella mia playlist.
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Menzione d’onore fra le anisong da film per Dai zero kan dei 10-FEET da THE FIRST SLAM DUNK: tutte le anisong della serie TV di SLAM DUNK avrebbero meritato di stare nella mia classifica, ma ho dato la priorità ad altre canzoni a cui ero maggiormente legata, quindi approfitto di questi extra per celebrare Dai zero kan, l’anisong che ho maggiormente ascoltato nell’ultimo anno per darmi la carica al mattino per andare a lavoro.
Matteo Caronna
OPENING
#1 — Gagaga SP: Zenkoku musekinin jidai
(Cozzak Maeda/Cozzak Maeda/Gagaga SP), Keroro gunsō, 2005
Guardo anime in lingua originale da più di una decina di anni e in questo lasso di tempo di anisong ne ho ascoltate, apprezzate e canticchiate (storpiandone, ovviamente, ogni parola) parecchie, ma è solo con la mia recente visione di Keroro gunsō che ho interiorizzato veramente quanto una opening possa diventare parte integrante di un anime e dell’esperienza che ne facciamo. Keroro gunsō è un anime lungo, anzi lunghissimo, e pur avendo tutta la serie a disposizione è impossibile non spalmarne la visione lungo un lasso di tempo piuttosto esteso. In altre parole, la visione di questa serie non può essere affrontata se non come un rituale integrato nelle nostre abitudini quotidiane, in maniera non troppo distante da come lo era per gli spettatori che ne seguirono settimana dopo settimana la trasmissione originale in TV. L’OP diventa quindi un aspetto importante di questo rituale, è il tornello d’ingresso che ci fa entrare nello stato emotivo che meglio si accorda con quel momento della giornata che gli dedichiamo. In questo, la prima bellissima OP Kero!tto march è uno splendido rituale: ha un ritmo da filastrocca che la rende facile da imparare, è incredibilmente orecchiabile e il testo è davvero divertente; non per niente, si tratta per ora dell’unica canzone giapponese, assieme a Honō no takaromono, di cui conosco a memoria e so cantare (in maniera stonata) buona parte del testo.
Tutte le OP di Keroro gunsō hanno i loro meriti, ma tra queste l’unica che metterei sullo stesso livello di Kero!tto march è proprio quella che l’ha seguita: Zenkoku musekinin jidai. Come il titolo scioglilingua può lasciare presagire, non si tratta di una canzone altrettanto semplice da imparare per noi non madrelingua come lo era invece la precedente, anche se rimane una canzone dal refrain molto orecchiabile. Quel che la contraddistingue è la scarica di energia che musica e testo infondono, espressione di una filosofia per cui meriterebbe di diventare un inno generazionale. “L’epoca dell’irresponsabilità nazionale”, questa la traduzione del titolo, è un invito ad accettare il fallimento come una parte normale dell’essere in vita («persino le scimmie cadono dagli alberi!», come recita un modo di dire nipponico ripreso nel testo della canzone) e dunque ad agire senza pensare alle proprie responsabilità: l’importante è fare qualcosa che si vuole fare e farla a cuor leggero!
Zenkoku musekinin jidai è un’anisong che fa bene alla sanità mentale, un inno alla spensieratezza da cantare a squarciagola per esorcizzare qualsiasi peso si possa portare sulle spalle, nonché il modo perfetto per aprire un rituale che ci porterà a passare venti minuti piacevoli in compagnia di una combriccola di personaggi colorati, divertenti e pieni di difetti quali sono i protagonisti di Keroro gunsō. Go-kurō-sama!!!
#2 — ASIAN KUNG-FU GENERATION: Haruka kanata
(Masafumi Gotō/Masafumi Gotō/ASIAN KUNG-FU GENERATION), Naruto, 2003
In termini molto banali e riduttivi, Naruto è un racconto di formazione incentrato su quel periodo della vita in cui si scopre sé stessi e gli altri dando così forma alla propria identità, o in una sola parola, l’adolescenza. L’intuizione della sua trasposizione animata è stata quella di esprimere questo concetto anche tramite il principio con cui sono state scelte la maggior parte delle collaborazioni per le OP della serie, che spaziano tra il j-rock, il punk e generi affini. Tra quelle della prima serie, per me svetta assolutamente Haruka kanata degli ASIAN KUNG-FU GENERATION, canzone che riesce a esprimere bene un certo tipo di urgenza, di desiderio di stringere un legame con qualcuno, e di drammaticità, che sono tipiche di quell’età.
#3 — Maximum the Hormone: What’s up, people?!
(Maximum the Ryō-kun/Maximum the Ryō-kun/Maximum the Hormone), Death Note, 2006
Il genio degli artisti che hanno lavorato all’anime di Death Note sta tutto nell’aver identificato correttamente la vena assurda, sopra le righe e a tratti surreale che si annidava nell’opera originale e averla fatta emergere espandendola e rendendola un tratto distintivo della serie. Ammetto candidamente che questa declinazione del metal non è particolarmente vicina ai miei gusti, ma la scelta di usare come seconda OP la sfacciata e sregolata, ma anche divertentissima e memorabile What’s up, people?! dei Maximum the Hormone, peraltro accompagnata da una videosigla totalmente folle, è così tanto sopra le righe che non si può non applaudirla.
#4 — WINO: Taiyō wa yoru mo kagayaku
(Naoyuki Hisanaga/Jun Yoshimura, Shin’ichirō Tokawa/Shōkichi Ishida, WINO), HUNTER×HUNTER, 2000
Questa OP accompagna lo story arc di Yorkshin City nell’anime di HUNTER×HUNTER del 1999, ovvero quello che è, secondo me, il miglior adattamento animato del fumetto originale di Yoshihiro Togashi. In questa fase della storia assistiamo alla lenta discesa negli inferi di Kurapika, consumato dalla vendetta, e del tentativo dei suoi compagni di impedire che comprometta la propria anima ancora più di quanto non abbia già fatto. È una storia cupa, ambientata prevalentemente di notte, dalle atmosfere soffocanti, e la canzone dei WINO che apre ogni episodio cattura bene la ricerca di un attimo di tregua, di una luce nell’oscurità, portata avanti dai protagonisti: il titolo, traducibile come “Anche di notte splende il sole”, dice già tutto.
#5 — Hitsuji bungaku: Hikaru toki
(Moeka Shiotsuka/Moeka Shiotsuka/Hitsuji bungaku, F.C.L.S.), Heike monogatari, 2022
Hikaru toki è una canzone che celebra il presente. È un brano allo stesso tempo sommesso e vivace che dà l’impressione di contenere qualche verità sull’esistenza il cui significato non è immediato, se non nel suo essere una verità solare, come suggerisce il titolo che vuol dire “Quando c’è la luce” o “Il tempo della luce”, ovvero: adesso.
#6 — Nujabes feat.Shing02: battlecry
(Shing02/Nujabes/Nujabes), Samurai Champloo, 2004
A Shin’ichirō Watanabe non si può negare, fra i vari, il merito di saper scegliere bene gli artisti con cui collaborare, e scegliendo Nujabes per realizzare la colonna sonora del suo Samurai Champloo ha dato un palcoscenico internazionale a un musicista incredibile. battlecry sicuramente non è un’anisong di quelle che si possono cantare al karaoke con gli amici, ma il suo beat ovattato e rilassato, inframezzato da un piano che sembra suonare note imprevedibili e accompagnato da un rap mixato a un volume più basso del normale, dà vita a una canzone che sembra nata per accompagnare quei momenti della giornata che non hanno un colore vivace, quei tramonti di cui si fa esperienza in silenzio, anche quando non si è soli, e non si pensa a niente.
ENDING
#1 — Kirin: Cycling Recycle
(Kirin/Tetsuya Komuro/Tetsuya Komuro), Keroro gunsō, 2006
Cycling Recycle è una canzone anomala, un’entità difficile da spiegare. Nel testo (scritto e interpretato dal duo comico Kirin), l’Io parlante racconta di aver caricato sulla sua bicicletta un televisore rosso trovato per strada e della gioia che questo atto di riciclo gli ha dato. È un’epifania in parte nonsense, genuina nel suo apparire così disimpegnata, enigmatica nel suo essere limpida. C’è una gioia sincera nel modo con cui questo testo privo di qualsiasi pretesa viene cantato, e che si riflette anche nel gioco di parole che dà il titolo alla canzone e che fa quasi pensare essere stato l’intuizione da cui è nato il tutto. È difficile trovare collegamenti tematici fra questa canzone e l’anime a cui fa da sigla, e questo la rende forse ancora più memorabile: nella sua felicità, il protagonista della canzone è solo, isolato; è una gioia tutta sua, reale nel suo essere incomunicabile, incondivisibile e, proprio per questo, stranamente commovente.
#2 — Charlie Kosei: Lupin san-sei Shudaika II
(Tōkyō Movie kikaku-bu/Takeo Yamashita/Takeo Yamashita), Lupin san-sei, 1971
Quando si parla di Lupin III e delle sue musiche, il nome sulla bocca di tutti è quello di Yūji Ōno, il maestro del jazz che ha accompagnato quasi tutte le produzioni animate del franchise dal 1977 sino a oggi. Che le colonne sonore di Ōno siano leggendarie e che questo loro status sia del tutto meritato è indubbio. Non bisogna dimenticare, però, gli altri grandi musicisti che hanno prestato il proprio genio al franchise, e tra questi un posto di primo piano spetta sicuramente a Takeo Yamashita, compositore della colonna sonora della storica prima serie di Lupin III, quella in giacca verde, di cui adoro soprattutto il suo brano che fa da chiusura a ciascun episodio.
#3 — Aki Okui: Tsuki no mayu
(Rin Iogi/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), ∀ Gundam, 2000
La seconda ED di ∀ Gundam (si pronuncia “Turn A Gundam”) è un canto che sembra rivolgersi al cosmo mentre aspira a riecheggiare nel tempo. È una melodia epica che viene dal passato e canta di una malinconia ancestrale, una bellezza dolceamara.
#4 — Kō Ikeda: Eien ni Amuro
(Rin Iogi/Takeo Watanabe/Yūji Matsuyama), Kidō senshi Gundam, 1979
Yoshiyuki Tomino non è solo un grande regista, ma anche un paroliere di inaspettato talento, e con la ending della prima serie di Gundam coglie l’occasione di scrivere (sotto pseudonimo) una sentita lettera al suo protagonista. Come un padre che assiste all’affacciarsi alla vita adulta del proprio figlio, Tomino con Eien ni Amuro guarda ad Amuro con gli occhi velati di dolcezza mentre lo incita ad andare avanti, a superare la solitudine e a non guardarsi indietro. È una canzone che parte da una malinconia struggente e arriva a un sentimento agrodolce verso la fine che rimane dentro a chiunque la ascolti.
#5 — agraph feat. ANI: unified perspective
(ANI/agraph/agraph), Heike monogatari, 2022
Se la OP di Heike monogatari celebra il presente, la sua ED contempla il resto della linea temporale. Il suo suono distorto la fa sembrare un messaggio corrotto dal futuro, o dal passato, mentre il ritmo singhiozzante della parte rap ricorda un avviso registrato che si ripete uguale mentre rimane alieno al contesto. La melodia rapida e distorta alla fine aumenta lo spaesamento, come se la canzone fosse stata composta al contrario, lasciando completamente spiazzati. La prospettiva unificata a cui si fa riferimento nel titolo offre una chiave di lettura: il brano rappresenta l’esperienza di un tempo compresso, di un futuro e di un passato percepiti quasi nello stesso momento, e il raggiungimento di una conoscenza a-storica.
#6 — Aya Hirano, Minori Chihara e Yūko Gotō: Tomare!
(Aki Hata/Tomokazu Tashiro/Takahiro Andō), Suzumiya Haruhi no yūutsu, 2009
Dire che la ED della prima trasmissione del 2006 (quella con gli episodi in disordine) di Suzumiya Haruhi no yūutsu abbia travolto il Giappone è probabilmente dire poco: Hare hare yukai è entrata di diritto nell’Olimpo delle anisong più importanti della cultura otaku, non fosse anche solo per la quantità di persone che hanno ballato in cosplay di Haruhi ad Akihabara usando questa canzone come base. Tomare!, la canzone usata come ED per la ritrasmissione estesa e ordinata della serie del 2009, stilisticamente non si distacca troppo dalla sua precedente, ma secondo me riesce a essere un brano ancora più trascinante. Il ritmo e la vivacità del cantato la rendono un concentrato di energia davvero irresistibile.
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Una dei risultati più importanti che può raggiungere un film d’avventura è quello di generare nello spettatore un’immediata nostalgia per il mondo narrativo e i personaggi che lo abitano non appena partono i titoli di coda. Per ottenere questo effetto è assolutamente indispensabile una canzone di chiusura che tocchi le corde giuste e susciti una dolce malinconia in chi la ascolta. In questo, Lupin san-sei: Cagliostro no shiro e Tenkū no shiro Laputa sono due fuoriclasse: Honō no takaramono di Yūji Ōno nel primo e Kimi wo nosete di Joe Hisaishi nel secondo arrivano in punta di piedi al concludersi dei rispettivi film e prendono in ostaggio il cuore dello spettatore, facendogli desiderare che il film non finisca mai.
Altrettante iconiche sono le canzoni d’amore che chiudono i film di robottoni, come le incredibili BEYOND THE TIME (Möbius no uchū wo koete) dei TM NETWORK e Hitomi no naka no far away di Yōko Nagayama che chiudono rispettivamente i film Kidō senshi Gundam: Gyakushū no Char e Five star monogatari.
Infine, un posto d’onore fra le anisong spetta a qualsiasi canzone dei the pillows sia comparsa in FLCL, a partire dalla ED Ride on shooting star e includendo anche quelle nei sequel, per come hanno catturato e creato alla perfezione l’immagine di adolescenza che la serie di Kazuya Tsurumaki e dello studio Gainax cercava di descrivere.
Dany Cosmo
OPENING
#1 — Tomohisa Sakō: Getta banban
(Tomohisa Sakō/Toshiyuki Ogawa/Saku), Pocket Monsters XY, 2015
Una mia classifica personale non può che avere al primo posto qualcosa di associato a Pokémon, ma prima di arrivare alla sigla che ho scelto devo necessariamente introdurne alcune altre, e vado in ordine cronologico per evitare di strilare una classifica-nella-classifica.
Si parte quindi da Mezase Pokémon Master: dieci versioni differenti e solo una non cantata da Rica Matsumoto, doppiatrice di Satoshi/Ash Ketchum, e di queste quattro sono state usate come OP del cartone animato, inclusa la prima e l’ultima associate alla storia di Satoshi, 26 anni dopo l’inizio della serie; in particolare, quest’ultima variante ha avuto nella videosigla un’animazione costruita come citazione quasi letterale della prima, ma senza esserne un mero restyling e mostrandosi come un vero e proprio tributo alla serie e a chi l’ha seguita. In Occidente abbiamo sentito questa canzone nei videogiochi Pokémon Pinball come BGM e, più di recente, in Taiko no tatsujin come traccia giocabile. Personalmente trovo commovente il testo del bridge «Una persona cantava che i sogni prima o poi diventeranno realtà, e ora so che anche il mio sogno si realizzerà come un bocciolo che un giorno fiorirà», e ho anche realizzato che cantare a squarciagola la versione ballata realizzata per il 20ennale è un ottimo modo per calmarmi i nervi. Andando oltre, menzioni d’onore per Best Wishes!, Yajirushi ni natte! 2013 (pubblicata dieci anni dopo la messa in onda), XY&Z («Iku ze!»), Mirai connection (quell’uso come insert opening in chiusura di arco quanto fa piangere…), Kimi no bōken (adoro Taiiku Okazaki) e 1 · 2 · 3 (hanno messo veramente dentro il suono di accensione del GameBoy, ma di cosa stiamo parlando). Potrei scrivere un articolo dedicato ad ognuna di queste sigle… tuttavia, c’è tempo e luogo per ogni cosa, ma non ora!
Getta banban, dicevamo. Potrei dire che l’ho scelta perché nell’animazione appare Goomy, che è stato per lungo tempo il mio Pokémon preferito, nonché un personaggio stupendo nella serie stessa, o anche che semplicemente la canzone mi piace molto, ma la realtà è un’altra. Il 2015 è stato un anno molto “complicato” a livello personale, anche se probabilmente non esiste un singolo vocabolo che possa descrivere una situazione che porta ad un tentato suicidio. Ed è nel contesto in cui mi stavo riprendendo e ho per certi versi ricominciato a vivere che è arrivata questa opening, dal ritmo un po’ gioioso e con quel titolo che ancora oggi non ho capito cosa dovrebbe significare. Ma in fondo non mi interessa: nel ritornello si canta di andare «verso un futuro che non ho ancora visto», per me quella frase era sufficiente per poter cantare via il mio malessere. Avevo un futuro anche io, semplicemente non l’avevo ancora visto. Può sembrare una associazione idiota? Forse. Non è che in quel periodo stessi dimostrando il meglio delle mie facoltà mentali. Che è un po’ il punto. Le persone disperate che hanno bisogno di appigli possono trovarli in qualsiasi cosa, non potrete mai sapere se succederà con una gentilezza verso una persona sconosciuta o che conoscete appena le cambierete la vita. Però può succedere. Magari è già successo. O magari è un futuro che non avete ancora visto.
E comunque quel draghetto violetto molliccioso bavoso resta uno dei concept migliori di 1000+ Pokémon, superato giusto dal draghetto bruco che si porta in giro la mela che sta mangiando.
#2 — AKINO with bless4: Kimi no shinwa ~ Aquarion dai ni shō
(Gabriela Robin/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), Aquarion EVOL, 2012
Anche in questo caso ho un legame molto forte con la serie. Sōsei no Aquarion, primo titolo del franchise Aquarion, è stato il primo cartone guardato per intero nell’Anime Night di MTV con opening ed ending giapponesi. Parte della novità (per me) era stata la presenza di animazione originale usata per la sigla anziché spezzoni di scene dei primi episodi come avevo sempre visto fare su Mediaset. Il suo sequel Aquarion EVOL, poi, è stato invece il primo anime guardato in simultanea alla trasmissione giapponese in lingua originale. Aquarion rappresenta quindi una doppia “prima volta” per me, anzi una tripla: il franchise è stato anche la mia prima porta di accesso alle tematiche LGBTQIA+ in un periodo in cui l’ambiente in cui mi trovavo faceva di tutto per convincermi che fossero tutte devianze malsane. In questo contesto, il triangolo amoroso fra l’angelo Apollonius, il conspecifico Toma e l’umana Celiane risultava un cambiamento notevole dal mio punto di vista. E infatti nella messa in onda italiana è rimasta celebre la censura nella frase rivolta da Toma ad Apollonius «sei il nemico che ho sempre ammirato»… che però era “amato”, un verbo con un significato un attimo differente, ecco.
Nonostante i sei anni trascorsi dalla prima serie, Aquarion EVOL all’apparenza compie molti passi indietro su queste tematiche di genere, proponendo una fortissima dicotomia maschio/femmina come universi impermeabili fra loro e basa parte della trama sulla necessità di tenere separati i maschi dalle femmine per evitare che si possa sviluppare un amore fautore di distruzione. Forse proprio per questo motivo quella che è una plateale relazione romantica omosessuale tra Cayenne e Shrade viene derubricata verbalmente a semplice amicizia. Una spiegazione possibile a questa scelta di sceneggiatura è appunto che altrimenti sarebbe venuta a cadere la necessità della divisione per prevenire lo sviluppo dell’amore. Eppure, da queste premesse abbastanza discutibili, la serie finisce sorprendentemente per normalizzare la transizione di genere e afferma, tramite i personaggi, che anche una modifica così radicale non può essere un ostacolo al vero amore. Come fa ad uscire questo tema da una serie mecha? Guardatela per scoprirlo, se non l’avete ancora fatto, siete giusto in tempo per poter seguire anche la quarta serie, in arrivo prossimamente!
Ma tornando alla canzone, è scritta (Gabriela Robin è un suo pseudonimo), composta e arrangiata dalla mitica e impareggiabile Yōko Kan’no, autrice anche di tutte le altre musiche del franchise (tranne di Aquarion Logos, che potremo fare finta non sia mai esistito a parte se dovesse esserci qualche collegamento nella prossima serie). La conoscerete forse per Cowboy Bebop, oppure per Wolf’s Rain, oppure ancora per le musiche delle serie Macross Plus e Macross F. L’eclettica compositrice è in grado di produrre generi variegatissimi, che copincollo da Wikipedia: jazz, classica, orchestra, elettronica, new age, blues, folk, pop, art rock, ambientale, post-rock, heavy metal, bossa nova, jazz fusion, funk, soul e city pop. In particolare, se in Sōsei no Aquarion la musica prodotta era di stampo orchestrale/classicheggiante, in Aquarion EVOL ho invece apprezzato la capacità di mischiare perfettamente gli archi ad altre musicalità più elettroniche. Il risultato è stato che, quando ho iniziato a bazzicare su Internet, la mia foto profilo su vari forum è stata per lungo tempo la copertina dell’album Eve no shihen, colonna sonora di Aquarion EVOL. Insomma, fra musiche e testi, il repertorio di Aquarion di OP, ED e insert song è consigliato nella quasi totalità: fra le bellissime anisong Sōsei no Aquarion, Kōya no heath, Go Tight!, Gekkō symphonia, ZERO, Eve no danpen… è stato davvero difficile sceglierne solo una da mettere in questa classifica.
#3 — ClariS: Connect
(Shō Watanabe/Shō Watanabe/Atsushi Yuasa), Mahō shōjo Madoka☆Magica, 2011
Mahō shōjo Madoka☆Magica è una serie che mi ha un po’ cambiato la vita, perché non avevo mai visto nulla di simile prima di essa e ogni volta che la riguardo non posso fare a meno di piangere in svariati punti della trama che ormai conosco a memoria. E questa sigla, un po’ come tutta la serie, è la manifestazione di quanto sia stato studiato tutto alla perfezione: funziona e ha un significato all’episodio 1 e, senza cambiare di una virgola, funziona ancora benissimo, ma ha un significato completamente differente all’episodio 10. Menzione d’onore a Yuki Kajiura che ha realizzato tutte le musiche della serie (tranne questa, ironicamente), ottenendo un lavoro davvero sublime.
#4 — YUI: again
(YUI/YUI/Hisashi Kondō), Hagane no renkinjutsushi FULLMETAL ALCHEMIST, 2009
again serve a spuntare è la casella “sigla bella” e non ci sono molti significati personali dietro. La canzone funziona bene, l’animazione che ci hanno costruito sopra è ben fatta e potrei chiuderla qui. Oppure approfittare di aver nominato la serie per barare e lanciare qui dentro altre sigle che hanno lottato fino all’ultimo per essere incluse, visto che erano quasi tutte correlate a questo franchise. Sul lato OP cito Period e Rain, prima canzone su cui abbia pianto quando è stata usata come insert song in uno degli ultimi episodi. Passando alle ED, il consiglio ricade su Uso, di cui ho sempre adorato lo stile dell’animazione con la tecnica simil-gessetti e il tratto infantile (e infatti alla fine viene mostrato come gli “autori” dei disegni siano Ed e Al bambini), e su Shunkan sentimental, che ai tempi ho ascoltato fino alla nausea: parliamo dell’era geologica in cui giravano i lettori .mp4 che, avendo uno schermo LCD, permettevano di caricare il testo karaoke tramite degli appositi file .lrc, ed ecco, io di Shunkan sentimental, armandomi di animelyricsdotcom e tanta pazienza, avevo scritto a mano quel file aggiungendo tutti i time stamp ai versi con il blocco note di Windows senza avere la benché minima idea di cosa stessi facendo.
#5 Maaya Sakamoto: Replica
(Maaya Sakamoto/Takahito Uchizawa/Takahito Uchizawa), M3 ~Sono kuroki hagane~, 2014
Partiamo col dire che io di questa serie non ricordo assolutamente nulla. L’ho guardata giusto perché c’era Shōji Kawamori di mezzo, ma anche rileggendone la trama su Wikipedia ho il vuoto più totale nei suoi confronti. La OP Replica, invece, me la ricordo bene. Con questa canzone ho un rapporto un po’ particolare perché è stata per lungo tempo la suoneria del mio cellulare, sicuramente perché è una bella canzone e mi piace, ma soprattutto perché, di tutte le canzoni giapponesi che già ascoltavo all’epoca, è stata l’unica che mi sia capitato di sentire durante la mia vacanza in Giappone nel 2014: ero in un negozio quando è partita in sottofondo (evidentemente il singolo era stato appena pubblicato) e ho obbligato il mio amico con cui stavo girando a fermarsi per poterla ascoltare per la prima volta in versione integrale e non nel taglio da sigla. Altri tempi…
Beh, già che stiamo parlando di Maaya Sakamoto, non le vogliamo spendere due parole per Cardcaptor Sakura? Ma certo che sì. Sto recuperando con colpevolissimo ritardo la serie animata proprio in questo periodo e non ho messo nessuna una sua sigla solo per evitare bias di recentismo, ma quanto cavolo sono belle? Quella cantata da Sakamoto è Platinum, e il suo «il mio mondo è costruito con sogni, amore e ansia» è il verso più identificativo che mi sia mai capitato di leggere. Il Signor Maiale forse non lo sa ancora, ma quando ci vedremo e andremo al karaoke, Platinum sarà necessariamente l’apertura e/o la chiusura della sessione. Per forza.
#6 — HITORIE: 3-pun 29-byō
(Shinoda/Shinoda/HITORIE), 86 – Eighty-six, 2021
86 – Eighty-six è una serie che ho scoperto solo recentemente e che ho apprezzato per la sua originalità. Non di trama, che ripropone una versione alternativa del nazismo in cui la minoranza Colorata è oppressa e mandata a morire in combattimenti dentro mecha dalla popolazione maggioritaria Alba, che non la considera nemmeno umana. L’innovazione l’ho trovata nella regia che ha reso molto bene la totale separazione fra la comandante Alba e lo squadrone di Colorata che guida. Ad esempio, le comunicazioni fra le parti avvengono tramite dispositivi impiantati nelle orecchie della popolazione Colorata ed è solo audio, e per questo gli episodi anziché optare per il classico campo/controcampo per mostrare le parti che parlano, restano a lungo su un singolo punto di vista. L’altro lato della storia viene mostrato successivamente ripetendo gli eventi, ma permettendo a chi guarda di cogliere significati aggiuntivi tramite le espressioni facciali e vedendo azioni compiute in silenzio che l’altra parte può solo aver colto senza aver compreso veramente cosa stesse accadendo. Allo stesso modo, questa opening ha delle peculiarità che si comprendono solo proseguendo con la serie: dettagli che, una volta colti, sono sempre un pugno nello stomaco.
ENDING
#1 — Gen Hoshino: Kigeki
(Gen Hoshino/Gen Hoshino/Gen Hoshino), SPY×FAMILY, 2022
Piango.
Ok, rieccomi, sto bene. SPY×FAMILY è una serie che ho conosciuto con un po’ di ritardo appena l’anno scorso, nonostante abbia quantomeno iniziato quasi tutti i fumetti pubblicati su Manga Plus. Ho apprezzato molto il manga, in particolare l’analessi sull’origine di Twilight in cui ci ho letto molti parallelismi con la guerra in Ucraina, tema che ho molto a cuore. La visione dell’anime era dunque praticamente obbligata. Alla prima visione questa ending mi è passata un po’ sottotraccia: pur non saltando mai nessuna sigla per alcuna ragione al mondo, mi capita di non fare troppa attenzione ai testi. Anche perché in questo caso l’animazione è estremamente ben curata e integrata con la musica, che da un certo punto di vista quindi “distrae”. Poi al secondo episodio ho capito il ritornello, che parla di tenersi per mano, tornare a casa insieme e cucinare la cena, raccontarsi a vicenda quello che è successo nella rispettiva giornata per poi ridere insieme a letto. Alla terza visione mi sono accorto del patto instaurato che è più forte di un legame di sangue. E allora finalmente ho deciso di dedicarle tutta l’attenzione che merita e ho capito che il testo parla di un incontro fra persone ai margini che fanno finta di essere normali per mischiarsi nella società, e come se non bastasse, queste persone si creano pure un posto speciale dove stare bene (ecco quindi che il titolo “Commedia” è sia commedia nel senso di storia felice, sia commedia nel senso di recita nei confronti della società).
Questa storia minima, che viene raccontata anche dalle immagini, è narrata così bene che può essere la storia della serie stessa (con una bambina dai poteri psichici, un padre spia e una madre assassina che vivono tutti insieme, ma conservando i propri segreti), ma può essere la storia di tutti, e può essere anche la mia storia di persona fuori posto nella società che però un suo posto l’ha trovato grazie a una relazione arrivata in modo del tutto inaspettato. E visto che sono anni che ho come massima aspirazione di vita proprio di avere quella vita descritta nel ritornello, in cui si torna a casa felici e ci si racconta la propria giornata, quello che succede è che io piango quando guardo questa sigla, piango quando sento questa canzone e piango anche semplicemente quando ne parlo. Non può esserci alcuna canzone più adatta di questa per la cima della mia classifica personale.
Non ho altro da dire, se non che invito chiunque non conosca Kigeki ad ascoltarla per trovarci dentro tre minuti e cinquanta secondi di felicità.
#2 — Rica Matsumoto: Type: Wild
(Akihito Toda/Hirokazu Tanaka/Hirokazu Tanaka), Pocket Monsters, 1998
Anche lato ending devo necessariamente passare per Pokémon. E anche qui devo parlare di diverse altre sigle prima di arrivare a quella in classifica, dovendomi pure trattenere per evitare di fare un articolo per ognuna di esse.
Partiamo da Hyakugojūichi, cantata dal compianto Unshō Ishizuka, doppiatore storico del professor Ōkido (Oak in Occidente), prima sigla assoluta e riutilizzata per buona parte della serie finale delle avventure di Satoshi. Poi c’è Pocket ni fantasy, con un testo dolcissimo in cui la cantante dialoga con un gruppo di bambinз riguardo a cosa vogliano fare da grandi, prima di iniziare a cantare che lei invece vorrebbe tornare bambina per poter rincontrare il suo primo amore… adorabile. Pikachu no uta è associata a una delle peggiori figure barbine della mia vita e quindi bisogna per forza raccontare l’aneddoto associato: ero in aula studio in università e avevo la canzone in sottofondo, ma il mio vecchio PC aveva un simpatico bug per cui ogni tanto inserendo le cuffie restavano attivi anche gli altoparlanti, a un certo punto un ragazzo mi chiede se posso abbassare il volume della musica e io non colgo immediatamente il problema perché non stavo tenendo le cuffie a un livello così alto, ma poi realizzo che il bug aveva colpito di nuovo… e che era successo su una canzone che è letteralmente Pikachu che canta con il suo verso; se mai dovesse capitarvi di trovarvi in imbarazzo, potete pure ripensare a quella famosa aula studio in cui si sentiva a tutto volume «PI-KACHŪ PI-KACHŪ PI-KA-PIIIII» e rendervi conto che la vostra situazione non può essere poi così tragica. Chiudiamo con Pose, che includo perché so essere molto apprezzata da un rinomatissimo esperto di musica di fama internazionale, Mandarino-kun, che la fa spesso ballare anche al Signor Maiale.
Arriviamo dunque a Type: Wild, ending con cui il mio rapporto si è evoluto maggiormente nel tempo. Durante la serie originale era sicuramente una canzone apprezzabile, perché cantata da Rica Matsumoto e aveva l’attacco con citazione a Kaze to issho ni, ending del primo celeberrimo film Mewtwo no gyakushū (in Italia Mewtwo contro Mew), nonché canzone bellissima che si rifaceva un po’ alla sovracitata Pocket ni fantasy. Però si fermava un po’ lì, come una sorta di ennesima copia di canzoni migliori, anche per il nervoso di non riuscire mai a cantare quell’attacco scioglilingua («Masarataunnisayonarashitekaradoredakenojikantattadarooo!», ho buttato ore della mia vita a dire quei due versi, ma non ce la faccio, mi incarto sempre). Poi nel 2019 Type: Wild torna come ending per l’arco della Lega Pokémon di Sun & Moon (Sole e Luna) a fare da tie-in per l’uscita nei cinema del film Mewtwo no gyakushū EVOLUTION (Mewtwo colpisce ancora – L’evoluzione), remake in CGI del suddetto film. L’animazione della nuova versione è una citazione alla sigla di 20 anni prima, ma riadattata alla nuova serie, includendo tutti gli altri personaggi principali; aggiungiamo che l’arco in cui viene usata è il mio preferito di sempre, che la mettono in sottofondo al climax della lotta tra Satoshi e Kukui, lotta migliore di tutta la serie (anche di quella in cui Satoshi diventa Monarca), ed è usata nel finale strappalacrime della serie stessa. In pratica: da sigla minore, a novembre 2019 era diventata una canzone inarrivabile che mi avvicinava alle lacrime quando la risentivo, perché era caricata di tanti significati sovrapposti.
Ma arriviamo al 2023, con la miniserie Mezase Pokémon Master (Maestro di Pokémon), usata come commiato per Satoshi e Pikachu, in cui le ending sono riprese direttamente dalla prima serie senza rifacimenti di sorta. Il giorno della messa in onda dell’ultimo episodio ho fondamentalmente vissuto in clausura quasi completamente offline per evitare qualsivoglia spoiler, fino all’agognata visione. L’ho guardato con interesse e curiosità per capire come avrebbero mai potuto concludere 26 anni di serializzazione e da subito ho notato il dettaglio delle scarpe. Type: Wild era una canzone troppo apprezzata fra le prime ending ed era strano che non l’avessero mai usata, che sia una reference alle «migliori scarpe consumate» di cui si parla nel testo? Primo piano delle scarpe rovinate che sono state cambiate, dai che ci ho azzeccato. Scena finale, Satoshi lancia il ramo verso l’alto, parte l’armonica a bocca e scoppio a piangere di nuovo: è finita un’era. Quella è stata la consacrazione finale nell’olimpo delle ending da cui non potrà mai essere scalzata.
#3 — May’n: Diamond Crevasse
(hàl/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), Macross F, 2008
Fra le tipo 800 canzoni di Macross che ascolto continuamente è stato difficile riuscire a selezionarne solo una, che è un po’ il mio tema ricorrente di queste classifiche. Partiamo quindi dal franchise che ho conosciuto lateralmente a partire dal suo creatore e mecha designer, Shōji Kawamori, che ha gli stessi ruoli in quello già citato di Aquarion. Ovviamente mischiare mecha, triangoli amorosi e canzoni non poteva che farmi innamorare subito anche di questi titoli, a partire dall’iniziale Chōjikū yōsai Macross del 1982, che è invecchiato benissimo fino ai giorni nostri, con canzoni meravigliose, passando per Macross 7, Macross F e arrivando infine (per ora) a Macross Δ. Proprio Macross F ha il pregio di far entrare nel reparto musiche il genio di Yōko Kan’no, presente anche in questa Diamond Crevasse. Non mi dilungo a parlare di altre canzoni del franchise perché le adoro veramente quasi tutte, nonostante i generi siano cambiati drasticamente nei 40 anni di produzione, quindi recuperatevele in qualche modo. Dunque, perché proprio Diamond Crevasse? Facile: l’unico CD fisico che io abbia di anisong è proprio il singolo Diamond Crevasse/Iteza☆gogo kuji Don’t be late, per cui ho deciso di dedicargli questo piccolo tributo.
#4 — Mikuni Shimokawa: Mō ichido kimi ni aitai
(Mikuni Shimokawa/Gajin/Susumu Nishikawa, Yuki Kajiura), Full Metal Panic! The Second Raid, 2005
Canzone dolce, testo altrettanto (il significato del titolo è “Voglio vederti un’altra volta”), perfettamente in tema con la trama della serie. Animazione semplice ma comunque coerente con la musica. Ogni tanto posso andare veloce anche io su una descrizione, ma non fateci l’abitudine.
#5 – UVERworld: NAMELY
(TAKUYA∞/Akira, Yuzuru Kusugo, Satoshi Shibayama/UVERworld, Satoru Hiraide), Nanatsu no taizai Funme no shinpan, 2021
Questa ending è straziante. Non credo ci siano altri termini per descriverla. A parte gli spoileroni che si capiscono solo alla fine della serie, ma il testo e l’animazione sono veramente drammatici. Enorme plus: aver utilizzato la forma di racconto-nel-racconto per giustificare lo stile marionettistico che permette di semplificare forme e colori per rendere la tragedia in atto senza avere immagini cruente e di poter passare da una scena all’altra con semplicità. Già che siamo in tema Nanatsu no taizai, ne approfitto per menzionare uno dei compositori del cartone animato, Hiroyuki Sawano, famosissimo per altre millemila serie, a cui aggancio la OP Hikari are, che secondo me ha un vero e proprio tema da “finale epico” perfettamente adatto alla parte della serie per cui è usata (anzi, forse sarebbe stata meglio come seconda OP per l’epilogo vero e proprio).
#6 — Ryokuōshoku shakai: Shout Baby
(Haruko Nagaya/Haruko Nagaya/Naoki Itai, Ryokuōshoku shakai), Boku no hero academia, 2020
L’arco narrativo di Gentle Criminal è stato quello che più ho apprezzato di Boku no hero academia finora, forse perché si distacca dai temi triti e ritriti del salvare il pianeta dal megacattivo galattico, ma torna su una dimensione molto più umana di marginalizzazione sociale e festival scolastico da organizzare. In quest’ottica, nella canzone sento proprio uno sforzo che viene compiuto per raggiungere l’obiettivo, ma, ancora, un obiettivo molto umano e poco soprannaturale. Nella videosigla ho anche molto apprezzato l’animazione che si incentra sulle foto da giovani dei vari personaggi, in cui emerge con ancora più chiarezza quanto un’infanzia serena sia un lusso destinato solo alla fascia più privilegiata della popolazione. Con tutto ciò che ne consegue.
EXTRA: ANSIONG DA ALTRI MEDIA
Giuro, solo due righe di commiato a questa doppia classifica in cui ho sproloquiato all’infinito, però non posso davvero mancare di menzionare due canzoni che mi hanno e mi stanno cambiando la vita. Sparkle da Kimi no na wa. e Daijōbu da Tenki no ko. Le scene in cui sono usate nei film, manco a dirlo, mi fanno piangere tutte le volte in cui le guardo, e per entrambe la trascrizione a mano dei testi in kanji, rōmaji e traduzione è stato un regalo importante a una persona speciale. Anche le rispettive ending dei film, Nandemonaiya e Ai ni dekiru koto wa mada aru kai, sono perle del panorama musicale e io ringrazio i RADWIMPS per aver donato all’umanità queste meraviglie.
P.S.: un ringraziamento speciale al Signor Maiale per aver aiutato nella traduzione visto che io di giapponese ci capisco poco.
Alessandro Falciatore
OPENING
#1 — Goose house: Hikaru nara
(Goose house/Goose house/Goose house), Shigatsu wa kimi no uso, 2014
Amo le storie d’amore, e se hanno musiche accattivanti ancora di più. È questo il caso di Hikaru nara, tema di quello che da noi è Bugie d’aprile: una canzone adorabile, come pure lo è in ogni suo aspetto quest’opera che ho amato sia come manga sia come anime.
#2 — Kanako Itō: Hacking to the Gate
(Chiyomaru Shikura/Chiyomaru Shikura/Toshimichi Isoe), Steins;Gate, 2011
Kanako Itō e Steins;Gate sono un connubbio indissolubile: la cantante ha eseguito tre delle quattro sigle iniziali e finali dell’anime, e in particolare per me l’opening resterà sempre e comunque LA canzone di questa serie che anni fa arrivò da noi sull’onda del passaparola tra i fan. ¡El Psy Kongroo!
#3 — SiM: The Rumbling
(MAH/SiM/SiM), Shingeki no kyojin, 2022
Difficile scegliere tra le varie canzoni da Shingeki no kyojin, forse il più rappresentativo fra gli anime recenti. E le sue anisong non sono da meno. Tra tutte, però, secondo me la potentissima The Rumbling si impone all’ascoltatore e infatti è diventata quella che ascolto di più. Ti fa entrare subito nel mood della fase finale della storia e ti esalta anche come canzone metal stand alone, come dimostra il fatto che su YouTube il videoclip dei SiM per The Rumbling abbia superato all’oggi i 60 milioni di visualizzazioni e sia stato il video a tema anime in assoluto più visto sul sito nel 2022.
#4 — TOM★CAT: TOUGH BOY
(TOM/TOM/Tsuyoshi Ujiki), Hokuto no Ken 2, 1987
Dopo tanta musica post-2000 andiamo a svelare la mia vera età con una sigla che per me resta evergreen pure trasudando uno stile Anni Ottanta da tutti i pori. Questa per me è la canzone di Ken per eccellenza, e fu amore a prima vista nonostante di sigle originali all’epoca ne girassero davvero poche. Monumentale.
#5 — May’n e Megumi Nakajima: Lion
(Gabriela Robin/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), Macross F, 2008
In una serie che unisce idol e fantascienza la musica la fa da padrona, e in me scattò amore totale per questa opening cantata da May’n e Megumi Nakajima, che donano le loro ugole per il canto alle protagoniste Sheryl Nome e Ranka Lee. Dal 2012, è ancora oggi la suoneria del mio cellulare… fate voi.
#6 — Hiroyuki Okita e Yōko Ogai: Moete Hero
(Osamu Yoshioka/Hiroshi Naiki/Hiromoto Tobisawa), Captain Tsubasa, 1983
All’epoca era l’avvincente musica di sottofondo durante le partite di Holly & Benji e dei loro compagni alla conquista del campionato. Anni dopo scoprimmo quello che era davvero, ovvero nient’altro che la versione strumentale dell’iconica sigla di Captain Tsubasa, che da 40 anni ascolto ancora per caricarmi in determinati momenti della mia vita. Trascinante!
ENDING
#1 — Ai Kayano, Haruka Tomatsu e Saori Hayami: secret base ~Kimi ga kureta mono~ (10 years after Ver.)
(Norihiko Machida/Norihiko Machida/Toku, Sound Produced by estlabo), Ano hi mita hana no namae wo boku wa mada shiranai., 2011
Chi mi conosce lo sa: le serie “piagnone”, come le chiamano i detrattori, mi piacciono troppo! Non poteva quindi scappare Anohana e la sua ending che rimarrà sempre intrisa di lacrimucce nella mia memoria. È anche una delle song più richieste quando portiamo la gente al karaoke in Giappone. Mi è piaciuta anche la recente versione del live action, ma questa, cantata dalle doppiatrici, resterà per sempre la vera secret base!
#2 — Rie Kugimiya, Yui Horie Yui ed Eri Kitamura: Orange
(Akiko Watanabe/Funta3/Yukari Hashimoto), Toradora!, 2008
Se Tengen toppa Gurren Lagann è stato il titolo che mi ha riportato sulla via degli anime, Toradora! mi ha fatto scoprire la commedia scolastica che mai mi aveva interessato fino a quel momento. Le sue canzoni e la sua OST sono sempre presenti nei miei lettori musicali per darmi allegria, e in particolare la mia preferita è la seconda ending, un mix di semplicità e allegria che mi conquistò al primo ascolto. Bravissime le doppiatrici anche nelle vesti di cantanti, come ci si poteva aspettare visti i nomi in campo.
#3 — Izumi Katō: Kotoba
(Ken Takahashi/Ken Takahashi/Ken Takahashi), Bokura ga ita, 2006
Anche se non è un titolo famosissimo, Bokura ga ita è il mio shōjo preferito in tutte le vesti, siano esse il manga, il live action e naturalmente anche l’anime. Quest’ultimo ha ormai quasi vent’anni ed è forse graficamente superato, ma la colonna sonora resta fra le più belle che abbia mai sentito. Di ED ne ha diverse, ma Kotoba resta fissa nel mio cuore di romanticone.
#4 — OLIVIA: a little pain
(Masmi Kawamura/Hiro’o Yamaguchi/Tomoji Sogawa), NANA, 2006
Ok, arrivati a questo punto avrete capito con sono un romanticone vergognoso. Non poteva dunque mancare una canzone da quella OST strepitosa che è stata quella di NANA. Io però sono sempre stato fan della voce di OLIVIA, che qui presta la voce alla cantante dei TRAPNEST Reira, che d’altronde è proprio il tipo di personaggio che mi fa cadere in tentazione. Mettiamoci tutto il significato che ha questa canzone, e… niente la sto riascoltando anche ora!
#5 — SawanoHiroyuki[nZk]:mizuki: aLIEz
(Hiroyuki Sawano/Hiroyuki Sawano/Hiroyuki Sawano), ALDNOAH.ZERO, 2014
Sono un grandissimo fan di Sawano, le sue OST mi accompagnano in treno e in auto e me ne frego degli hater. Non mi era mai capitato di continuare una serie anime vistosamente mediocre solo per il suo comparto musicale: è successo con ALDNOAH.ZERO! Questa ED in particolare ha consumato il mio lettore musicale, catturandomi come poche e riuscendo anche a vincere l’imbarazzo per cantarla al karaoke… con scarsissimi risultati…
#6 — Aoi Tada: Brave Song
(Jun Maeda/Jun Maeda/ANANT-GARDE EYES), Angel Beats!, 2010
Ci sono canzoni azzeccate per un determinato momento. Questa lo fu per me in un momento molto importante di cambiamento, in cui lassciavo una città e delle persone per tentare un’altra avventura altrove. Mi rispecchiai quindi molto in questa sigla finale che parla di amicizia e distacco: «Ho sempre percorso questa strada da sola / quando guardo indietro, tutti sono così lontani / nonostante ciò, continuai a camminare». Bellissima. Credo che questa resterà per sempre la mia colonna sonora di quel periodo.
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Non è un mistero che ho avuto un periodo in cui gli anime non li seguivo più: a interromperlo è stata una trivella, quella di Tengen toppa Gurren Lagann! Il suo mix di citazioni del passato unito alla più moderna animazione trascinarono di prepotenza un bimbo cresciuto con i robottoni anni Ottanta dritto negli anni 2000. La sua OST è stata la mia personale colonna sonora per tanto tempo e in tanti momenti bui della mia vita, in cui però l’aggrapparsi alla voglia di lottare e non arrendersi mai l’hanno sempre vinta sulla depressione. In particolare, “Libera me” from hell, parte della serie di videoclip musicali Gurren Lagann Parallel Works, è una delle mie canzoni preferite e ti dà una carica come poche altre riescono a fare: la iniziai a sentire che neanche ero iscritto al sito AnimeClick e ora ne sono il webmaster e poi… conquisteremo l’universo!!! Fight the Power!!!
Giulia Pasqualini
OPENING
#1 — The Seatbelts: Tank!
(Tim Jensen/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), Cowboy Bebop, 1998
«I think it’s time we blow this scene / get everybody and the stuff together / okay, three, two, one, let’s jam». È una scelta gigiona? Sì. Ma che dobbiamo fare, è uno di quei casi in cui non si può prescindere da una scelta ovvia, perché non si può parlare di anisong senza celebrare quella che è diventata LA anisong per eccellenza. Quella presente in tutte le classifiche. Quella che qualunque amante di anime sa riconoscere dalla prima nota e di cui conoscono tutto il testo (anche perché sono tre righe). E quella che senza dubbio rimane immortale, senza tempo: Tank! potrebbe essere una sigla del 1968 o del 2028 e funzionerebbe lo stesso.
Della trilogia Cowboy Bebop–Samurai Champloo–Space Dandy di Watanabe, la prima opera rimane a oggi la più famosa e culturalmente impattante: si tratta di tre opere diverse fra loro, ma con molti punti in comune fra cui cast corale, trama orizzontale con singoli episodi a trama verticale, il legame fortissimo con la musica e un’impronta stilistica inconfondibile per le sigle, con silhouette monocrome su fondi coloratissimi che corrono, ballano e combattono (rientra nella categoria come menzione d’onore anche la sigla di Star Driver, serie di cui Watanabe ha diretto appunto solo la sigla iniziale). In tutti i casi i personaggi vengono presentati in modo efficace con pochi ma decisivi dettagli: in Tank!, ad esempio, nonostante vediamo Spike, Faye, Jet ed Ed fare poche cose uguali (fumare, correre, puntare la pistola, camminare) tutti lo fanno con sfumature diverse che aiutano a delineare il carattere prima ancora che la serie cominci, e difatti tutte e tre le opere di questa “trilogia” iniziano senza una presentazione vera e propria dei personaggi, anche a storia già bella che avviata perché di fatto ci sono già stati presentati più che a sufficienza nella sigla. Narrazione visiva eccellente.
#2 — MOB CHOIR: 99
(Jun’ichi Sasaki/Jun’chi Sasaki/Wataru Maeguchi), Mob Psycho 100, 2016
«If everyone is not special, maybe you can be what you want to be», «Your life is your own» e «One and only one»: queste le frasi centrali delle tre sigle di Mob Psycho 100 che, come lasciano intuire anche i titoli (99, 99.9 e 1), sono collegate fra loro come una catena, anzi forse più come un cerchio, dato che infatti le note finali di 1 sono quelle iniziali di 99 a creare un loop infinito, e possono essere tranquillamente considerate un’opera unica che mantiene una coerenza musicale e grafica. Tre canzoni che trasmettono in maniera chiara e diretta il messaggio della serie di accettazione e crescita da tre punti di vista diversi: Reigen, il Mob all’interno di Shigeo e Shigeo stesso. E analizzando il rapporto fra testo, musica, immagine e messaggio che vogliono comunicare, esce fuori tutta la loro straordinarietà: sedetevi perché sarà una cosa lunga.
99 si apre con un beat regolare, simile a quello di un elettrocardiogramma calmo e mantenuto, insieme a una batteria frenetica per poi recitare «If everyone is not special, maybe you can be what you want to be» che quasi ricalca la frase che Reigen dice a Mob nel loro primo incontro «…siamo nati con poteri speciali, ma questo non deve darti l’illusione di essere un “essere speciale”. Facciamo parte dell’umanità. A parte il nostro raro potere, non siamo diversi da loro». I primi sette secondi della sigla di 99 raccontano già TUTTO quel che c’è da sapere sulla serie: Shigeo che cerca di mantenere il controllo con il beat regolare, il Mob che cerca di scatenarsi con la batteria e gli insegnamenti di Reigen che guidano con il testo. Sette secondi. Dal punto di vista grafico la videosigla si apre con una città dai colori fluo in cui riconosciamo gli sguardi dei personaggi della serie, ma addentrandoci – mentre la batteria sfuma e rimane il beat – scopriamo che la città altro non è che Shigeo stesso (che quindi percepisce su di sé lo sguardo degli altri), poi vediamo cadere Mob con un colpo feroce di batteria all’interno di della città dall’occhio indifferente di Shigeo mentre passa il testo che recita di trovare la propria risposta. Mob che rinchiude all’interno di sé stesso una parte di sé e parte il conto 1, 2, 3, 4… siamo a 13 secondi e anche visivamente ci è stata già raccontata tutta la storia. A seguire insieme al conto abbiamo i tormenti di Mob e i “poteri” con cui risponde Reigen (cercando te stesso-telepatia), il tutto correlato da sequenze animate degne dei migliori viaggi mentali sotto effetto di LSD che Yellow Submarine spostati proprio, e in special modo nel coro che chiede «Mob? What do you want? Why do you want? Who do you want?» si esplode nel caos più totale. Nel ritornello, poi, sempre seguendo gli insegnamenti di Reigen in quella che forse è una delle migliori sequenze animate in una sigla di anime, vediamo un susseguirsi di elementi apparentemente senza senso, ma che spoilerano tutta la prima stagione; in particolare, è splendido il passaggio dai cucchiaini che si intrecciano su fondo caleidoscopico a Ritsu con dietro pesante lo sguardo di Shigeo mentre il testo recita «La tua vita è tua, ok?» per poi passare a Teru «È ok non essere speciali» e il richiamo all’inizio della canzone con il ritorno di Mob e la ricerca di una propria risposta.
Dopo un capolavoro di tale portata si potrebbe pensare che le sigle seguenti non possano essere all’altezza… E INVECE. 99.9, che può essere interpretata come il punto di vista del Mob dentro Shigeo, si apre con un caos totale all’interno della città della prima sigla e un testo che esorta a esprimere i propri sentimenti, anche la propria rabbia, anche esplodendo. Anche la base musicale non trova mai un momento di calma, è sempre in fermento. Laddove la prima sigla con Reigen invitava all’accettazione pacifica con il mondo, la seconda sottolinea la rabbia e la repressione «You’re a Mob. Can’t you feel your own frustration?» fino al vedersi prima del ritornello Shigeo che letteralmente perde il controllo di parti di sé (occhi, bocca, pelle) ed esplode. Il ritornello è un pianto disperato «Cryin’ my life, cryin’ my psyche…» sull’animazione di una battaglia, l’unica che vediamo in una sigla (e ricordiamoci che stiamo parlando di un battle shōnen) e alla quale non vediamo neanche Shigeo partecipare se non per fare da scudo e ritornare calmo nel momento in cui il testo recita «Your life is your own».
Infine 1, ultima delle tre sigle, vede chiaramente il punto di vista del protagonista Shigeo: nella prima parte più pacata la voce è soffocata, i veri pensieri che non può esprimere («faccio fatica attraversando l’adolescenza»), ma anche specchio di com’era all’inizio della prima stagione; poi la voce si fa più chiara e la base si alza diventando anche più incalzante quando il testo recita di combattere con la sua stessa psiche, la crescita della seconda stagione quando comincia ad aprirsi al mondo, poi un’accelerazione prima del ritornello che esplode con un «Break it down!!!». E finalmente nel ritornello c’è tutta la liberazione, la voce a pieni polmoni esprime tutto quello che vuole e non vuole, uno scontro di volontà che culmina alla realizzazione «accettare le cose come sono» così come Shigeo accetta il Mob all’interno di sé e accetta le bugie di Reigen. Negli ultimi cinque secondi non ci sono più colori folli, sfondi caleidoscopici o scene da LSD, ci sono solo Shigeo e Reigen su sfondo monocromatico che crescono e si accettano imparando l’uno dall’altro. Piango.
#3 — Kenji Ōtsuki: Hito toshite jiku ga bureteiru
(Kenji Ōtsuki/NARASAKI/NARASAKI), Sayonara Zetsubō sensei, 2007
In totale contrasto con l’opera precedente, Sayonara Zetsubō sensei conta una dozzina fra sigle iniziali e finali, e anche guardandole tutte non si capirebbe di cosa parla la serie. Il regista Akiyuki Shinbō con quest’opera comincia per la prima volta a osare delineando uno stile che esploderà meravigliosamente in seguito con le varie serie di Monogatari e Mahō shōjo Madoka☆Magica; nell’OVA (Goku·) Sayonara Zetsubō sensei e nella terza stagione (Zan·) Sayonara Zetsubō sensei vediamo anche le prime collaborazioni con il duo artistico Gekidan Inu Curry che darà poi vita alle tanto meravigliose quanto inquietanti e iconiche streghe di Madoka.
Tornando a Hito toshite jiku ga bureteiru, la videosigla si apre con una serie di scritte usate come pattern estetici (elemento che ritornerà prepotentemente nei lavori del regista) che si alternano a immagini di ragazze con volti coperti (sempre da scritte) in atteggiamenti soft-porn fino al bondage, mentre nella canzone viene ripetuta la parola «deformato»… Ecco, a questo punto mi preme dire che la serie è una commedia demenziale/slice of life che punta molto sul black humor, giusto per chiarire. A seguire si mischiano disegni in animazione 2D a foto reali: si vede il protagonista camminare fra vere statue buddhiste a cui vengono attaccate sopra le teste dei personaggi secondari creando scene surreali e vagamente inquietanti, e questo 14 anni prima che Hideaki Anno replicasse questo stile (peggio) in Shin Evangelion (non mi scuserò per quest’affermazione, tutto il resto del film è un capolavoro ma l’uso delle foto e del 3D proprio non ce la posso fare). L’apice si ha alla presentazione in bianco e nero del regista che posa allegramente con il suo enorme faccione a sinistra del protagonista impiccato con sotto immobili personaggi femminili dal volto coperto da scritte, il nome di Akiyuki Shinbō scritto enorme in rosso scarlatto. Un’immagine perfetta per qualunque serie horror, e invece.
Le altre sigle iniziali ripropongono bene o male lo stesso stile, pur rinnovandosi ogni volta, mentre in quelle finali si sperimenta oltre ogni misura usando anche stili grafici lontanissimi da quelli della serie, in particolar modo quelle della seconda stagione (Zoku·) Sayonara Zetsubō sensei variano dallo stile shōjo con ciglia lunghissime e occhi giganteschi allo stile horror vampiresco. Insomma il primo vero esperimento artistico di un regista che negli anni ha lasciato un’impronta indelebile.
#4 — SID: Ranbu no melody
(Mao/Aki Mimegumi/SID, Takayuki Katō), BLEACH, 2010
È molto comune nelle sigle di anime inserire spoiler che (idealmente) vengono capiti solo dopo aver visto l’arco che la sigla copre, e in questo penso che uno dei migliori esempi possibili sia Ranbu no melody di BLEACH. Siamo all’alba del finale di una battaglia e la sigla si apre in modo calmo e pacato, una stanza bianca con al centro l’hōgyoku (motivo dei conflitti) che viene preso e distrutto, e da lì il disastro: la musica esplode così come la stanza che viene distrutta. Nella prima parte della canzone ci viene ricordato come le persone normali in effetti non sono in grado di vedere le battaglie che si stanno svolgendo nella serie, così vediamo le riprese di una videocamera di oggetti che si spostano violentemente da soli, sottile ed elegante. Solo nel ritornello cominciamo a vedere i personaggi che combattono con le immagini che si mischiano fra loro, ancora come se fossero riprese da una telecamera che non riesce a seguie i movimenti di ognuno permettendo delle transizioni da un personaggio all’altro velocissime e stupende. Ci si ferma solo su Gin, personaggio di cui in quel momento non conosciamo ancora le intenzioni e nonostante il ghigno ingannevole il testo recita «Fino al giorno in cui finalmente incontrerò te che desidero proteggere», altre transizioni di combattimento random per confondere le idee e poi il pianto di Rangiku sulle parole «Ti amo, c’è solo questo» descrivendo perfettamente tutto lo scopo della vita e del sacrificio di Gin. In quel momento tutto comincia ad andare indietro, come un rewind, rivediamo persino le scene dei primissimi episodi della serie andare al contrario sulle parole «raccoglierò tutto e lo darò a te» finché finalmente non c’è più la ripresa con la telecamera e per la prima volta dall’inizio della sigla vediamo Ichigo e di nuovo la stanza bianca dell’inizio della sigla tornata indietro come nuova. Il piano di Gin, il sacrificio di Ichigo e le sue conseguenze sono tutti mostrati nella sigla, ma senza gli elementi per capirli: un uso magistrale del rapporto fra storia, immagini e musica.
#5 — Dean Fujioka: History Maker
(Dean Fujioka/Dean Fujioka, Tarō Umebayashi, Taku Matsushiba/Dean Fujioka, Tarō Umebayashi, Taku Matsushiba), Yuri!!! on ICE, 2016
Ho veramente poco da dire su questa sigla se non che è stupenda. Mi commuovo alle lacrime ogni singola volta che la sento. Nonostante la serie fosse a risparmio, con decine di scene riciclate e persino la sigla stessa ricicli più volte le stesse animazioni, l’effetto finale funziona, non sembra economico bensì sobrio ed elegante. Dei semplici disegni a matita su macchie di acquerello e una canzone con una promessa: «born to make history». E in fondo l’hanno mantenuta, perché otto anni dopo ancora nessun’altra serie anime non ufficialmente nata come boy’s love ha avuto il coraggio di inserire canonicamente una coppia gay con tanto di bacio e promessa di matrimonio, e probabilmente è per questo motivo che il film, nonostante sia stato annunciato anni fa, è ormai finito nel dimenticatoio. Eppure si continua a cantare questa canzone, persino agli eventi ufficiali come Fantasy on Ice con il campione mondiale Yuzuru Hanyū, senza perdere la speranza che «We’ll make it happen, we’ll turn it around».
#6 — Shinsei Kamatte-chan: Boku no sensō
(Noko/Noko/Megumi Umino), Shingeki no kyojin, 2020
Il mio rapporto con la serie Shingheki no kyojin è stato molto controverso: inizialmente era semplice odio, poi ho pensato fosse semplicemente molto sopravvalutata e solo molto tardi ho cominciato ad apprezzarla. In ogni caso, contrariamente alla maggior parte del fandom (perché che gusto c’è a non andare controcorrente?), per me la qualità si alza dalla quarta stagione dove peraltro troviamo la migliore accoppiata OP-ED a mani bassissime. In questa stagione scopriamo l’orrore della guerra non fra umani e mostri, ma fra umani e umani, e difatti per l’intera sigla Boku no sensō (“La mia guerra”, appunto) i giganti non vengono mai mostrati se non negli ultimi secondi. Vediamo un mondo grigio, in cui l’unica cosa che conta e che ha colore sono le esplosioni dei combattimenti. Gli uccelli e i bambini cadono morti dal cielo proprio mentre in totale e assurda contrapposizione è un coro infantile a cantare. «Destruction over salvation» è il mantra che spinge tutte le persone a combattere. Gli uccelli, simbolo fondamentale del finale della serie, legano la OP e la ED: mentre nella prima si vede l’orrore brutale più evidente con le esplosioni e la distruzione, nella seconda vediamo ciò che resta, la musica più lenta mostra le vittime psicologiche della guerra che va avanti da centinaia di anni, dei bambini che la combattono. Nonostante sia facile collegare la figura degli uccelli e le luci che collegano i giganti a Eren, il protagonista indiscusso dell’ED è Falco e così il testo si applica in modo diverso a entrambi: «Vivrò ancora dopo che le mie ossa si saranno trasformate in polvere» è la volontà di Eren di vivere attraverso la “stirpe” dei titani mentre per Falco è sapere che nonostante il sacrificio verrebbe ricordato dalle persone che ha salvato.
ENDING
#1 — Matsuko Mawatari: Sayonara byebye
(Lee Shaulon/Matsuko Mawatari/Matsuko Mawatari), Yū☆yū☆hakusho, 1993
Questa canzone è semplicemente bellissima. Quando mi si chiede di pensare a una ED, la mia mente vola istantaneamente a Sayonara byebye: l’esempio perfetto delle ending anni Novanta con una melodia city pop e una vena malinconica su pochi disegni statici che fanno da sfondo alla musica. Qui abbiamo un’unica lunga carrellata con una foto che vola via dalla mano di Keiko trascinata dal vento: semplice e perfetto. Se nelle sigle iniziali generalmente la canzone accompagna le immagini, nelle finali la musica la fa da padrone e in questo caso si vede benissimo. Matsuko Mawatari (che oggi si esibisce col nome Kisa) firma come autrice tutte le bellissime sigle iniziali e finali di Yū☆yū☆hakusho e ne canta la maggior parte, ma questa rimane a oggi la mia preferita, di una dolcezza unica perfetta per il rapporto fra Yūsuke e Keiko, costantemente obbligati a separarsi con la promessa di reincontrarsi, semplicemente una gemma.
#2 — Kalafina: Magia
(Yuki Kajiura/Yuki Kajiura/Yuki Kajiura), Mahō shōjo Madoka☆Magica, 2011
Immaginate di cominciare una serie di maghette, alcune scene sembrano cupe e il design dei nemici è… unico, ma a tranquillizzarvi ci sono la sigla iniziale e finale, allegre e colorate con disegni graziosi e scene da slice of life. Poi tutto cambia. Una delle maghette è morta?!? Mentre vi convincete che nel prossimo episodio troveranno il modo per riportarla in vita, parte la sigla finale e le vostre speranze crollano: è cambiata, è oscura, non c’è nulla di rassicurante. Questo anime vi ha preso in giro, non c’è nulla di allegro e colorato e grazioso, è drammatico e la maghetta È morta. Mahō shōjo Madoka☆Magica non ha avuto per caso tutto il successo che ha avuto: è stata una serie furba nel saper sfruttare anche le sigle per poter ingannare lo spettatore, che dove prima vedeva delle ragazzine scherzare con in sottofondo una canzoncina cantata con voce acuta, ora vede un’ombra che corre verso una luce che pian piano scompare e lei si perde nel buio, con in sottofondo dei drammatici violini e un testo che parla di un amore disperato che trascende il tempo. Fra le ombre che rimangono immobili al passaggio di Madoka, l’unica a girarsi nel tentativo di fermarla è Homura sul verso «Il cammino che compi con tanta avarizia porterà un lieto futuro?», dandoci già dal terzo episodio elementi per capire tutta la trama. Sono passati 13 anni e ancora i traumi nel fandom persistono.
#3 — ALI feat. AKLO: LOST IN PARADISE
(LEO, LUTHFI, ALEX, ALOLO/ALI, AKLO/ALI), Jujutsu kaisen, 2020
La popolarità di questa canzone è scandalosamente grande e meritatissima. Seppur molto recente, LOST IN PARADISE è già un classico fra le anisong tanto da essere stata usata come base per decine di parodie e animazioni con altre serie. Se la precedente Magia delle Kalafina serviva a spiazzare il fandom facendogli realizzare la crudezza della serie, LOST IN PARADISE se ne frega e parte con il suo mood allegro e pimpante dopo le peggio tragedie accadute 30 secondi prima, così che all’improvviso ti ritrovi a ballare in lacrime e non riesci più a capire che sentimenti stai provando. Lo stile grafico fuori registro è semplicemente splendido, perfettamente in linea con l’atmosfera della canzone, in un certo senso potrebbe considerarsi l’evoluzione della succitata History Maker da Yuri!!! on ICE (guarda un po’, si tratta sempre dello studio MAPPA). Una palette perfetta, animazioni stupende, un balletto facile da replicare, una canzone orecchiabile, questa sigla ha TUTTO.
#4 — COALTAR OF THE DEEPERS: DEAR FUTURE 📺
(Yūho Iwasato/NARASAKI/NARASAKI), Mawaru-Penguindrum, 2011
Di tutti gli artisti scelti per questa mia lista, solo i COALTAR OF THE DEEPERS sono entrati di prepotenza nei miei artisti più ascoltati, non solo per le sigle ma tutti i loro album. Un rock elettronico sporco contrapposto a una voce dolce, a volte distorta, DEAR FUTURE è tuttora una delle mie canzoni più ascoltate (insieme ad altri loro brani fra cui la splendida Evil Line). Le immagini mostrano il futuro che sarebbe potuto essere, quel caro futuro che è stato immaginato ma non realizzato: le Triple H che si preparano per cantare insieme, ma le Triple H non esistono, non sono un trio ma un duo (ops, spoiler). E sulle immagini di ciò che poteva essere pesa il testo «Non sei tu. Non è colpa tua. Abbiamo già avuto abbastanza dolore» e la domanda che ricorre lungo tutta la serie: se esiste un destino premeditato, ha senso resistere? Ha senso provare a cambiarlo? Possiamo davvero farlo?
#5 — supercell: Kimi no shiranai monogatari
(ryo/ryo/ryo), Bakemonogatari, 2009
Akiyuki Shinbō ama sperimentare nelle sigle finali: lo mostra (più volte) in Sayonara Zetsubō sensei, ci si diverte con Mahō shōjo Madoka☆Magica e lo fa ancora con Bakemonogatari. Mentre di solito si preferisce avere una sigla iniziale che sia iconica e più sigle finali, Shinbō decide di ribaltare la tradizione e a fronte di ben cinque sigle iniziali per soli 15 episodi (una diversa per ogni mini arco narrativo) c’è una sola sigla finale: Kimi no shiranai monogatari con le meravigliose illustrazioni di Hajime Ueda, disegnatore dell’adattamento cartaceo di FLCL. Protagonista assoluta è Senjōgahara, la prima ragazza incontrata da Araragi (nella storia, ma non in ordine cronologico) che nonostante l’inclinazione harem della serie si impone fin da subito come unica possibile fidanzata. La sua figura gigantesca sovrasta gli altri personaggi persi nella sua città ricca di materiale da cancelleria che lei usa come armi colpendo solo la persona che le interessa: Araragi. Il testo è un dolcissimo foreshadowing al primo appuntamento fra i due che accadrà molto avanti nella serie.
#6 — Chilli Beans.: Raise
(Chilli Beans./Chilli Beans./Chilli Beans.), ONE PIECE, 2023
L’anime di ONE PIECE è un caso studio. Nonostante la lunghezza dell’opera, la produzione non si è mai fermata e non ha voluto rallentare la cadenza settimanale, inoltre ci sono pochissimi filler rispetto al fumetto (il 4% di tutti gli episodi), non sono state adattate le mini-storie delle copertine (che sarebbero state ottime per prendere tempo), e dall’episodio 279 al 1070, cioè dal lontano 2006 fino al 2023 non c’era neanche una sigla di chiusura! Ciò che ne risultava era una serie con un ritmo lentissimo, tempi allungati all’inimmaginabile e scene riciclate all’infinito, MA almeno dallo scorso agosto hanno deciso di reintrodurre le sigle finali (quantomeno per guadagnare un minuto e mezzo ad episodio), e così dopo 18 lunghi anni è arrivata Raise, bellissima, radiosa, mostrando come dopo la battaglia il Paese di Wa sia riuscito a risorgere più colorato e forte di prima, e forse con un po’ di impegno può farcela anche la serie perché Raise non è arrivata sola: la nuova sigla di Wa ed ora quella di Egghead hanno dato nuovo lustro a un anime che tutto il mondo ama, ma che in molti (me compresa) avevano smesso di seguire a favore del fumetto, stanchi ormai di episodi da 20 minuti con un contenuto da cinque (scarsi). E allora che il titolo sia profetico: risorgi, ONE PIECE!!!
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Nella mia playlist di anisong su Spotify ce n’è solo una che non viene propriamente da un anime (anche se un adattamento esiste) ed è Wake Up, Get Up, Get Out There da Persona 5, uno dei videogiochi con la miglior colonna sonora di sempre (se non LA migliore) con le canzoni firmate dalla talentuosissima Lyn. Questo brano è letteralmente un inno anarchico rivoluzionario che sprona al combattere una società che reprime l’individualismo e ad agire contro le persone che la governano. «Raise your voice against liars, feed your anger like fire, why does nobody want change?»: in una società come quella giapponese, dove spesso l’individuo singolo viene represso a favore della comunità, sono opere artistiche come anime, manga e videogiochi ad esprimere il dissenso. Oltre a una trama spettacolare, Persona 5 vanta un comparto grafico eccellente in puro stile anime, inclusa l’animazione di questa OP che è una perla da recuperare.
Mario Pasqualini
OPENING
#1 — Aya Hirano, Emiri Katō, Naori Fukuhara e Aya Endō: Motteke! Sailor fuku
(Aki Hata/Satoru Kōsaki/Satoru Kōsaki), Lucky ☆ Star, 2007
Premetto subito che su Motteke! Sailor fuku si potrebbero scrivere varie tesi di laurea, quindi tutto quello che segue, per quanto prolisso, è un’estrema sintesi e solo la punta di un iceberg immenso: sedetevi perché sarà una cosa lunga.
Contesto. Il 3 aprile 2006 debutta su varie syndication televisive giapponesi la serie TV Suzumiya Haruhi no yūutsu, realizzata dallo studio di animazione Kyōto Animation come adattamento dell’omonima serie di light novel del 2003 su commissione della sua casa editrice Kadokawa. Kyōto Animation intuisce che la serie sarebbe stata una cosa grossa e decide di renderla molto peculiare con vari accorgimenti, fra cui una tecnica d’animazione che la charades Shōko Ikeda definisce “con meno linee e più disegni” (ovverosia semplificando il tratto, fino a renderlo a volte grossolano, pur di ottenere personaggi sempre in movimento), una regia di Tatsuya Ishihara oltremodo ricca di tutte le soluzioni tecniche possibili immaginabili, una sceneggiatura oltremodo intrecciata scritta a 14 mani, e persino la folle idea di trasmettere gli episodi in disordine secondo una logica non cronologica e (apparentemente) casuale. Il risultato è esplosivo perché la serie si propone come una sfida allo spettatore: se la trama di Shin seiki Evangelion era considerata “difficile” perché ricca di misteri e non detti, qui non è nemmeno “difficile” anzi è molto lineare, ma diventa incomprensibile se tu spettatore non ti impegni a riordinare i pezzi del puzzle per ottenere l’immagine completa, ovverosia lo spettatore è chiamato a diventare parte attiva dell’opera.
La sigla finale Hare hare yukai prende tutto questo e lo riassume in 90 secondi: all’animazione straordinaria diretta da Yutaka Yamamoto (per cui vennero realizzati oltre 1’000 disegni, un numero altissimo che spesso non si raggiunge nemmeno con un intero episodio) si somma una canzone cantata dalle doppiatrici e ballata dai protagonisti (come per le ED di Precure) con una coreografia eseguibile anche da dilettanti, così che i fan possano ballarla a casa, a scuola, in strada, ovunque e in questo modo – di nuovo – diventare parte attiva dell’opera.
Un gruppo di cosplayer esegue la coreografia per le strade di Akihabara… finché non viene interrotta dalla polizia, sì esatto in Giappone è vietato ballare per strada, rendiamoci conto (in compenso ubriacarsi e vomitare per strada è perfettamente legale).
La musica di Tomokazu Tashiro si sposa con le parole della scrittrice Aki Hata, la quale dichiarò in proposito:
Mentre scrivevo la ED mi venne in mente casualmente Madama Butterfly. Le donne in quell’opera pensano “Prima o poi succederà qualcosa” e aspettano, ma Haruhi e le altre non aspettano affatto. Allora ho pensato che, al contrario di quelle in Madama Butterfly, queste ragazze attirano a sé quel che vogliono da sole, lo fanno da sole, lo ottengono da sole: [nella mia canzone] il tema resta sempre “Un bel dì vedremo…”, ma volevo declinarlo come “…però le ragazze di oggi non aspettano mica”.
Assolutamente incredibile: dal Giappone all’Italia e ritorno, dalle case da geisha di Nagasaki ai cosplayer in strada passando per il Teatro alla Scala. Il primo verso del ritornello «Aru hareta hi no koto» è esattamente «Un bel dì vedremo…», ma prosegue come «…una felicità più grande della magia che pioverà senza fine, possiamo farcela!». Con le proprie mani.
Quando Kyōto Animation inizia a lavorare alla propria serie successiva Lucky☆Star, dunque, le aspettative sono a dir poco stellari. E il risultato è stellare. Stavolta la scelta del materiale di partenza appare decisamente ostico da adattare, un fumetto comico yonkoma (a strip da quattro vignette autoconclusive) di Kagami Yoshimizu sulle irrilevanti microavventure di alcune studentesse: amatissimo e riuscitissimo su carta, inutilizzabile su schermo. L’idea brillante che ha consentito il passaggio dal fumetto alla TV è stata quella di estremizzare il carattere spezzettato di Lucky☆Star rendendola una serie così varia e imprevedibile e stratificata e citazionista e metanarrativa e sempre diversa da sé stessa da diventare estremamente complessa, ovverosia estremamente otaku, probabilmente la cosa più otaku mai realizzata. Da fumetto semplicissimo ad animazione complessissima, e da una serie precedente tutta trama a una nuova serie senza trama: ribaltamento totale. Benché le avventure restino minime – come esemplifica l’ormai iconico dilemma se il cornetto vada mangiato dalla testa o dalla coda –, la ricchezza grafica, linguistica e stilistica, il contesto reale in ambienti reali (un prestito dalla serie precedente), l’umorismo deadpan, i continui riferimenti interni ed esterni e persino extranarrativi alla realtà (come quando le protagoniste commentano le tavolette ema veramente lasciate dai fan nel vero santuario delle sorelle Hiiragi) rendono Lucky☆Star il figlio naturale del processo postmoderno di auto-analisi degli anime che aveva visto fino a quel momento il suo vertice nella scena live action in Shin seiki Evangelion gekijōban Air/Magokoro wo, kimi ni.
In tutto questo, la sigla iniziale viene di nuovo scritta da Hata e di nuovo svolge il ruolo di riassumere tutto in 90 secondi, e di nuovo è un ribaltamento totale rispetto a Hare hare yukai: se la sigla precedente portava un testo chiaro con un messaggio forte, quello di Motteke! Sailor fuku è un’ammasso di frasi totalmente disparate che vanno dal sudore sul décolleté ai canti folk dell’Hokkaidō, dalle leggende buddhiste alla zettai ryōiki (la pelle a vista delle gambe dalla gonna alle calze), da «Love is ABC» alla necessità sociale di trovarsi un lavoro, dai rimproveri della mamma alla rivendicazione della propria identità. C’è di tutto, a tutti i livelli, e tutto incastrato insieme con innumerevoli giochi di parole e continui passaggi dalla prima alla seconda alla terza persona. Un flusso di coscienza. Qual è il senso? Nessuno, o meglio, tutti: esattamente come la serie, il messaggio che vuole lanciare la sigla di Lucky☆Star è proprio apprezzare la varietà e la complessità e la contradditorietà e la noia e la tragicomica ironia della vita, composta da una miriade di minuscoli dettagli incoerenti fra loro eppure proprio per questo bellissimi.
Ancora opposta al semplice pop di Hare hare yukai, è la ancora complessa musica di Satoru Kōsaki, che proviene dal sottobosco dei Vocaloid (come Kenshi Yonezu), che aveva scritto la OST di Suzumiya Haruhi no yūutsu (meno le sigle), e che apporta alla sigla di Lucky☆Star un forte stile denpa kei, nato proprio con Miku Hatsune & company, costringendo le cantanti (di nuovo le doppiatrici delle protagoniste, inclusa la mitica Aya Hirano) a un vero tour de force vocale velocissimo su una base oltremodo trascinante, con un arrangiamento ricchissimo e la miglior linea di basso della storia delle anisong.
Questa se la batte con Rio dei Duran Duran. Su YouTube si trovano decine di cover strumentali di Motteke! Sailor fuku anche per chitarra, batteria e numerosi altri strumenti.
Di nuovo in opposizione con la sigla precedente: anche nella videosigla di Motteke! Sailor fuku ci sono le protagoniste che ballano, ma stavolta il balletto non è semplice bensì – per l’ennesima volta – complesso, con coreografia da cheerleader che richiede allenamento, spirito di squadra e sincronismo, ma quando viene eseguita bene è davvero una meraviglia come nello spettacolo celebrativo per la serie del 2009 al Budōkan.
Delle cosplayer eseguono la coreografia di Motteke! Sailor fuku a una convention in Giappone, il presentatore dice “Siete liberi di unirvi al balletto!” e ci si infila un otaku marcio fradicio (nonché ballerino professionista di break dance): lo spettacolo è assicurato.
E poi le immagini: non più una cinepresa fissa indoors nell’aula della SOS-dan, ma numerose scene en plein air, peraltro ambientate in Saitama, la stessa prefettura così otaku da aver dato la cittadinanza onoraria alla famiglia protagonista di Crayon Shin-chan e da allestire matsuri shintoisti a tema anime. Ciliegina sulla torta, il fotogramma iniziale della videosigla che mostra una cornicetta floreale con dentro scritto “Teatro di Kagami Yoshimizu”, come all’inizio delle serie del World Masterpiece Theater, e su cui le protagoniste annunciano le battute introduttive «Saa, hajimaruzamasu yo! Iku de gansu! Fungaaa!» come Dracula, Uomo-lupo e Frankenstein nella sigla Yukai Tsūkai Kaibutsu-kun per l’anime Kaibutsu-kun del 1980: basta è troppo mi arrendo.
Infine, il dato definitivo che fa trionfare questa canzone: È BELLISSIMAAAAAA!!!
Nel suo essere un condensato clamorosamente ricco e – per l’ultima volta, giuro – complesso di una serie che è a sua volta un condensato di mezzo secolo di storia degli anime, Motteke! Sailor fuku si eleva dal suo ruolo di semplice anisong a quello di canzone-manifesto, canzone-icona, canzone-mondo rappresentativa dell’intera cultura otaku.
#2 — Kayoko Ishū: Oshiete
(Eriko Kishida/Takeo Watanabe/Yūshi Matsuyama), Alps no shōjo Heidi, 1974
Quando si parla di anime, nessuna classifica è completa se manca Heidi. Si può parlare di animazione, di narrazione, di emozioni, di successo, di qualsiasi argomento: Heidi dev’esserci. Anche per le musiche, e non solo perché noblesse oblige (anche), non solo perché ci hanno lavorato i mostri sacri (anche), non solo perché rappresenta l’enorme patrimonio musicale del World Masterpiece Theater (anche), ma perché se lo merita. Oshiete è un’adorabile filastrocca funzionalissima alla serie di cui è la sigla: il tema svizzero emerge fin dalle prime note, melodicamente si impara in tempo zero, e il testo è assurdamente semplice e riuscito («Perché un fischio si sente da lontano? Perché la sera le montagne innevate si tingono di rosa? Perché quand’è ora di dormire si vedono le stelle? Nonno, spiegamelo!»). Dalla seconda puntata in poi tutti i bambini la sanno a memoria, e dalla memoria non esce più.
#3 — SUEMITSU & THE SUEMITH: Allegro Cantabile
(Atsushi Suemitsu/Atsushi Suemitsu/Atsushi Suemitsu), Nodame Cantabile, 2007
Atsushi Suemitsu, classe 1971, pianista, laureato in Didattica musicale al Conservatorio di Nagoya, sangue di tipo 0, altezza 183 cm, peso non si sa (ma è bello grosso), è il paroliere e compositore e arrangiatore e unico membro permanente dei SUEMITSU & THE SUEMITH, circondato ogni volta da turnisti differenti. Ed è un musicista eccezionale, per sé e per altri. Fra il 2006 e il 2016 ha pubblicato quattro album in studio di un genere che lui definisce “grand piano rock”, dopodiché pare si sia ritirato a vita privata dato che da anni non dà segni di vita (mi sto anche preoccupando), ma quei quattro album sono uno più bello dell’altro e contengono dei gioielli fra cui Allegro Cantabile e Sagittarius, rispettivamente unica OP e seconda ED per Nodame Cantabile. La prima ha una videosigla realizzata da Kunihiko Ikuhara, un testo bellissimo e a tema, una melodia ricca e che riempie il cuore, ed è facile e appagante da cantare al karaoke: cosa volere di più da un’anisong?
#4 — Yōko Maekawa: Cutie Honey
(Claude Q/Takeo Watanabe/Mitsuru Kotani), Cutie Honey, 1973
Takeo Watanabe è uno dei più importanti compositori della storia degli anime: dagli anni Sessanta agli Ottanta ha scritto di tutto, e quello che non ha scritto lui l’ha scritto il compositore della sigla successiva, Shunsuke Kikuchi. Un po’ di name dropping: le storiche OST per Muteki kōjin Daitar 3 e Kidō senshi Gundam come pure per Attack No.1 e Candy♡Candy oltre al succitato Alps no shōjo Heidi sono tutte sue. In Cutie Honey raggiunge un vertice fondendo la musica militaresca da tokusatsu con sonorità funk e disco di moda al tempo, ottenendo uno stile tuttora molto cool. Le sigle poi sono stupende e quella iniziale in particolare è esplosiva: testo disinibito (riciclato da una pubblicità per cosmetici), musica uscita dallo Studio 54, videosigla con immagini maliziose basate su un’interpretazione contemporanea dello ichimatsu (quadrettatura a contrasto cromatico, una fantasia grafica tessile tradizionale giapponese), e voce di Yōko Maekawa, considerata una delle quattro cantanti di anisong più importanti di sempre con Mitsuko Horie, Ichirō Mizuki e Isao Sasaki. Davvero una sigla leggendaria.
#5 — Kumiko Ōsugi: Doraemon no uta
(Takumi Kusube, Susumu Baba/Shunsuke Kikuchi/Shunsuke Kikuchi), Doraemon, 1979
Shunsuke Kikuchi è uno dei più importanti compositori della storia degli anime: dagli anni Sessanta ai Novanta ha scritto di tutto, e quello che non ha scritto lui l’ha scritto il compositore della sigla precedente, Takeo Watanabe. Un po’ di name dropping: le storiche OST per Getter Robot e Tiger Mask come pure per Dragon Ball e Dr. Slump & Arale-chan sono tutte sue. Ma l’immortalità Kikuchi l’ha conquistata grazie al suo contributo a quella che è senza la minima ombra di dubbio l’icona più importante dell’intera storia della cultura pop giapponese: Doraemon. Questo capolavoro geniale, che si basa sull’idea incredibilmente commovente di diventare una persona migliore per sé e per gli altri, dopo oltre 50 anni non ha ancora finito di dire tutto quello che ha da dire e trova modi sempre nuovi per comunicare con un pubblico sempre nuovo. Lo stesso fa la sigla: «Che bel posto, ci piacerebbe andarci! Questo Paese, quell’isola, quanti sono! Facci andare tutti, tutti, tutti, esaudisci il nostro desiderio con una macchina del futuro! Vogliamo viaggiare per il mondo! “Ahahah, Dokodemo Door!” Lalala, ti vogliamo bene Doraemon!» Il solo fatto di usare il plurale eleva il testo da filastrocca a manifesto programmatico politico progressista, perché l’arte è sempre politica e Doraemon è estremamente politico. Doraemon no uta è un inno e una fonte d’ispirazione infinita: nel 2018 Gen Hoshino, probabilmente il cantautore più importante della sua generazione, ha scritto la ED per il 38esimo film di Doraemon Nobita no takarajima ed è una gemma agrodolce che incorpora anche un tema musicale di Kikuchi, intrecciando passato e presente verso un futuro migliore.
#6 — BUCK-TICK: Kuchizuke
(Atsushi Sakurai/Hisashi Imai/BUCK-TICK), Shiki, 2010
I musicisti visual kei sono i grandi unsung hero delle anisong. Benché il loro apporto sia quantitativamente limitato, è qualitativamente eccezionale. È eccezionale l’intero catalogo di Gackt per la saga di Gundam (in particolare Metamorphoze), è eccezionale l’intero catalogo di anisong dei SID, e poi L’Arc~en~Ciel, Nightmare, Plastic Tree, LM.C, X JAPAN e Yoshiki, persino i Dir en grey e altri ancora (per non parlare di quelli influenzati dalle anisong, come i LAREINE e i Raphael), e fra tutti spiccano per fama e talento i leggendari BUCK-TICK. Fra le loro sette anisong, Kuchizuke per l’horror Shiki è veramente portentosa per la sua viscerale potenza gotica vampiresca resa al meglio dal compianto e insostituibile vocalist Atsushi Sakurai: uno degli uomini più belli che siano mai esistiti, cantante di un carisma e una sensualità inarrivabili, gender bender per antonomasia, il 19 ottobre 2023 Sakurai è crollato durante un concerto e poche ore dopo è morto di emorragia cerebrale a 57 anni di cui 38 passati come frontman del gruppo. Qui un’esecuzione dal vivo di Kuchizuke veramente da brividi. Da segnalare anche l’altra OP di kanon×kanon (ovvero il duo Kanon Wakeshima, anche lei addentrissima alle anisong, e Kanon bassista degli AN CAFE, pure loro – ormai s’è capito? – addentrissimi alle anisong) e le due ED, una scritta dal succitato Atsushi Suemitsu e l’altra pure dei BUCK-TICK.
ENDING
#1 — Ushio Hashimoto: Romantic ageru yo
(Tatemi Yoshida/Takeshi Ike/Kōhei Tanaka), Dragon Ball, 1986
Romantic ageru yo è una delle canzoni più belle che abbia mai ascoltato in tutta la mia vita. Sono almeno trent’anni che l’ascolto, da quando guardavo Dragon Ball su Junior TV con mio fratello, e sono almeno trent’anni che quando nel pre-chorus c’è quel salto madrigalistico fa#-la su cui Ushio Hashimoto canta la parola «motto», mi sale un nodo in gola dalla commozione e mi vengono gli occhi lucidi. Ogni volta, innumerevoli volte, da trent’anni. Eppure, lo giuro, non è un’amore nostalgico o girellaro: la canzone è davvero di assoluto valore, composta in si minore e costruita su un build up progressivo dai toni gravi agli acuti che parte dall’introduzione e passa per la strofe fino a un punto di tensione assoluto, sottolineato da un’intera scala cromatica coronata da un istante di totale silenzio (quasi una citazione bachiana), che viene poi sciolto dal dolcissimo ritornello tutto in discesa dagli acuti verso i gravi fino, di nuovo, all’acuto finale. Eccezionale.
Il compositore di questo gioiello è Takeshi Ike, negli anni 1980 prolifico autore di anisong (giusto per restare dentro il franchise di Dragon Ball, sono sue anche la prima iconica OP Makafushigi adventure! nonché la ED Detekoi tobikiri ZENKAI power!) e dagli anni 1990 ancor più prolifico autore di canzoni per bambini, in particolare grazie alla collaborazione tuttora in corso col popolare programma TV prescolare in onda la mattina su NHK E Okaa-san to issho, con qualche incursione nelle anisong come per Ojamajo carnival!!, primissima amatissima OP di Doremi. Non meno nobile è l’arrangiatore Kōhei Tanaka, sì esatto, proprio lui, il responsabile di innumerevoli bellissime OST fra cui quelle per Top wo nerae! GunBuster, Sakura Wars e One Piece.
Alla musica si aggiungono le curiosissime parole di Tatemi Yoshida in cui un* mittente si rivolge un* destinatari* invitandol* a vivere una vita più avventurosa ma anche più sexy, più romantica ma anche più coraggiosa, più fantasiosa ma anche più semplice, a «perdersi nella giungla che è dentro le persone»… in breve, a non aver paura di godere di una vita più ricca, più bella, più felice.
Infine, l’uso delle immagini perfettamente a tempo con la musica, e che immagini: Bulma con le cuffiette che si riflette sulla finestra battuta dalla pioggia, le illustrazioni originali di Akira Toriyama coi personaggi a bordo di motocicli e dinosauri in versione animata, la gioiosa confusione di genere con donne vestite da uomo e uomini vestiti da donna, la stella cadente… stupendo, basta, mi viene da piangere solo a ripensarci, Romantic ageru yo best ED foleba.
#2 — Hiroko Suzuki: Ai no hikari to kage
(Michio Yamagami/Kōji Makaino/Kōji Makaino), Versailles no bara, 1979
La serie TV tratta dal capolavoro di Riyoko Ikeda ha una delle colonne sonore più belle, curate e iconiche della storia degli anime, e le sigle ne rappresentano il coronamento che ha consegnato quest’opera all’immortalità. Benché la OP Bara wa utsukushiku chiru (“Le rose sfioriscono in bellezza”) sia giustamente una delle anisong più celebri e celebrate in assoluto, trovo la ED Ai no hikari to kage (“Luci e ombre dell’amore”) se possibile persino più riuscita: IL DRAMMA che trasuda da ogni nota, l’arrangiamento che unisce un power trio rock con orchestra d’archi e clavicembalo, la parte cantata che si alterna a quella accoratamente recitata da Tarō Shigaki/André e che si conclude col grido «Oscaaar!!!», e il tutto su un dipinto meraviglioso di Michi Himeno… arte maestria sapienza sacrificio professionalità, c’è tutto, è un pilastro.
#3 — KOKIA: Ai no field
(Rin Iogi/Yōko Kan’no/Yōko Kan’no), Brain Powerd, 1998
Gli anime non sarebbero la stessa cosa senza Yōko Kan’no, una delle più importanti compositrici della storia di questo medium per quantità, qualità e varietà del suo lavoro. E Kan’no non scrive solo le OST, ma anche le anisong: è stata lei a regalare la prima, meravigliosa canzone Yakusoku wa iranai a Maaya Sakamoto (artista con cui ha intrapreso uno splendido percorso artistico), è stata lei a comporre Sōsei no Aquarion per AKINO, è stata lei a comporre Sakamichi no melody per YUKI. Con il bistrattato anime Brain Powerd, Kan’no arriva al miracolo artistico: prende le parole probabilmente trovate in sogno da Yoshiyuki Tomino (che qua si firma col suo usuale nom de plume) e le fa ricamare dalla cantante KOKIA su un tessuto musicale al contempo ctonio e celeste, diviso fra percussioni tenebrose e un quartetto d’archi che attinge dai momenti più perturbanti della Sagra della primavera, il tutto su acquerelli di Mutsumi Inomata. È sublime.
#4 — Maki Kamiya: Virtual star hasseigaku
(J.A. Saezer/J.A. Saezer/Shinkichi Mitsumune), Shōjo kakumei Utena, 1997
In altra sede ho già avuto modo di parlare a lungo di quanto ogni OST di ogni singola incarnazione della saga di Utena sia meravigliosa sconvolgente indimenticabile e di quanto J.A. Saezer sia un pazzo furioso genio totale, quindi qui mi limiterò a dire che questa è la canzone più stramegafikissima di sempre e che quando Maki Kamiya all’improvviso impazzisce e sale di tonalità e comincia a elencare le sfere celesti tolemaiche dà una botta di adrenalina che manco una siringa nel cuore potrebbe tanto. Incredibile.
Un AMV di un certo livello basato su Virtual star hasseigaku.
#5 — ALI PROJECT: Yūkyō seishunka
(Arika Takarano/Mikiya Katakura/Mikiya Katakura), Code Geass – Hangyaku no Lelouch, 2006
La cantante e paroliera e icona gothic lolita e diva totale Akira Takarano + il compositore polistrumentista sempre nell’ombra Mikiya Katakura = gli ALI PROJECT, che non sono cantanti di anigong: loro SONO le anisong. La loro intera carriera è inestricabilmente intrecciata con dozzine di titoli per i quali hanno prodotto innumerevoli sigle, tutte riconoscibili all’istante per via del loro genere personalissimo e pazzissimo a metà strada fra Antonio Vivaldi e Dance Dance Revolution, di volta in volta declinato in stile “bianco” (più melodico e orchestrale) o “nero” (più ritmato ed elettronico). Nell’impossibilità di scegliere il loro brano migliore perché tanti e belli, metto qui Yūkyō seishunka, la prima ED della prima serie di Code Geass nonché probabilmente il loro lavoro più famoso e rappresentativo (rappresentativo = pieno di nacchere).
#6 — Chihaya Yoshitaka: DELICIOUS HAPPY DAYS♪
(Saori Kodama/Hige Driver/Hige Driver), Delicious Party ♡ Precure, 2022
Ho io escluso da questa mia lista fior di capolavori pur di far posto a questa sciocchezzuola? SÌ. Provo io qualche rimorso? NO. Sono io completamente pazzo? FORSE, ma non è questo l’argomento quindi passiamo a lodare questo guilty pleasure, anzi diciamo meglio: l’intera discografia di Pretty Cure o per gli amici Precure è un unico, irrinunciabile, strepitoso guilty pleasure.
La serie Tōei, che festeggia quest’anno il ventennale, si distingue da qualsiasi altra majokko perché propone ai suoi spettatori storie fortemente morali e costruttive mascherate sotto strati di cuoricini e stelline: le stesse eroine acquisicono i poteri magici non da specchietti o alieni o gatte parlanti o altre ridicolaggini, ma dal desiderio del proprio cuore di aiutare gli altri. Chiunque può diventare una Cure: donne, uomini, bambini, adulti, sirene, alieni, esseri da altre dimensioni, persino animali, l’importante è la volontà di fare il Bene, di essere persone buone, di essere gentili con gli altri. Il potere si origina da dentro di sé.
La serie è composta da singole avventure distinte della durata di un anno: ogni anno arrivano nuove minacce che mandano i loro MOTD combattuti da nuove eroine a suon di botte da orbi. La ripetitività delle stagioni ha consentito a sceneggiatori e artisti Tōei di sperimentare stili, temi e linguaggi portando la serie a un’evoluzione senza precedenti negli anime, arrivando a parlare esplicitamente ai bambini di temi come ecologia, distanza di classe, disabilità, malattia, eutanasia animale, violenza domestica, elaborazione del lutto, uguaglianza, pacifismo, bullismo, differenze di genere (nel 2017 mostrò la prima coppia lesbica in un anime per bambini, nel 2018 la prima coppia gay, nel 2022 l* coprotagonista Rosemary aveva un aspetto non-binary) e quant’altro, fino al punto che nella serie attuale le Cure non combattono più coi nemici: LI ABBRACCIANO, aiutando loro a superare il disagio interiore che li aveva trasformati in mostri e riportandoli alla serenità mentale. È geniale. Ultimo ma non meno importante aspetto: la varietà delle stagioni fa sì che ce ne sia per tutti i gusti, e quello di Precure è uno dei pochi fandom non tossici in cui tutti sono consci di avere preferenze diverse e hanno deciso di agree to disagree.
Le anisong di Precure incorniciano perfettamente gli scopi comunicativi della serie: allontanandosi totalmente dallo standard zuccheroso majokko, si ispirano invece alle sigle dei tokusatsu con canzoni rock piene di coretti tipo “Go! Go! Go!” e “Yeeeh!” che richiedono la collaborazione da parte del pubblico, e coreografie di gruppo da villaggio vacanze. Precure non va “visto”, va vissuto: bisogna svegliarsi la domenica mattina presto, rispondere alle battute dei personaggi, commentarlo online (o il giorno dopo a scuola), e naturalmente cantarne e ballarne le canzoni. DELICIOUS HAPPY DAYS♪, la prima ED della serie 19, è gioiosissima e irresistibile e riassume davvero tutto quel che si può desiderare da un’anisong Precure: alzate i calici di succo di frutta e alzate il volume, è ora di ballare!
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
I film animati possiedono un patrimonio di anisong che non ha nulla da invidiare a quello delle serie TV: ad esempio, dato che escludere Catch You Catch Me dalla mia top 6 OP è stato doloroso come cavarsi un dente a mani nude, per bilanciare cito qua l’adorabile Tōi kono machi de della cantautrice Naomi Kaitani dal non meno adorabile primo film di Cardcaptor Sakura. Non potendo qui elencare centinaia di altri bellissimi titoli, mi limito a citare Ginga tetsudō 999 dei GODIEGO (si legge /Godaigo/) per l’omonimo film del 1979, Sakura nagashi di Hikaru Utada per Evangelion: Q del 2012, e Umi no yūrei di Kenshi Yonezu per Kaijū no kodomo del 2019: senza aggiungere altro, invito chiunque stia leggendo queste righe a provare a cantarle, non a canticchiarle, proprio a cantarle a pieni polmoni, perché lo sforzo fisico progressivo che richiedono chiarirà al vostro corpo, prima ancora che alla vostra mente, il profondo senso di ascesa spirituale che questi tre viaggi emozionali riescono a comunicare al di là delle parole.
Per gli OVA: Active Heart da Top wo nerae! GunBuster, e non servono commenti, solo fazzoletti.
Infine, per gli ONA non posso non citare a life, la prima e unica anisong mai scritta da Ryūichi Sakamoto, anche se non era nata con questo scopo. Il brano proviene infatti dall’album UTAU del 2010, progetto congiunto di Sakamoto con la cantante Taeko Ōnuki contenente sia brani editi che avevano già un testo, sia editi strumentali a cui Ōnuki ha aggiunto il testo, sia inediti fra cui appunto a life; per la sua serie Nihon chinbotsu 2020 il regista Masaaki Yuasa ha ricevuto il permesso di usare il brano, e così è nata questa sigla bellissima.
È bello essere vivi.
Ivan Ricci
OPENING
#1 — MAKE-UP: Pegasus fantasy ver.Ω
(Machiko Ryū/Hiroaki Matsuzawa, Nobuo Yamada/Kenji Hiramatsu, Yōgo Kōno), Saint Seiya Ω, 2012
Si può migliorare un pezzo perfetto? Forse sì, e i MAKE-UP con Pegasus fantasy ci hanno dimostrato che si può fare. Sebbene visivamente parlando il mix di immagini (con Shingo Araki alla direzione delle animazioni), musica ed effetti acustici che offriva la sigla originale dell’anime del 1986 rimanga superiore alla versione successiva, trovo che il rifacimento per la serie Saint Seiya Ω del 2012 abbia dato nuova linfa vitale al pezzo. In questa versione una delicatissima intro, che ricorda le storiche background music dell’anime, accarezza le orecchie dello spettatore; questa è seguita dalla prima strofa cantata da Shōko Nakagawa, doppiatrice di Saori Kido/dea Atena (con Mitsuko Horie sarebbe stato il massimo, ma ci accontentiamo), che prepara il terreno al dirompente cambio di ritmo che arriva al quarantottesimo secondo, momento in cui alla voce della cantante si aggiunge quella di Nobuo Yamada, carismatico leader del gruppo musicale.
Oltre a Pegasus fantasy, quest’opera ci regala tantissimi altri pezzi stupendi, fra cui la seconda sigla di apertura della serie storica Soldier Dream cantata da un adrenalinico Hironobu Kageyama, artista che ha realizzato negli anni un numero sterminato di sigle e che può vantare, tra le più famose, la celeberrima Cha-La Head-Cha-La da Dragon Ball Z. Qui trovate un’incredibile performance dal vivo di Soldier Dream in cui Hironobu Kageyama dà tutto sé stesso e dimostra di essere in grado di cantare meravigliosamente anche mentre corre, salta e si agita, cosa non da tutti.
#2 — Kōji Wada: Butter-Fly
(Hidenori Chiwata/Hidenori Chiwata/Cher Watanabe), Digimon Adventure, 1999
Qua c’è poco da dire: semplicemente, ci troviamo davanti a una delle sigle più apprezzate di sempre, e a ragione. Il pezzo è molto bello, e probabilmente la voce di Kōji Wada, artista purtroppo prematuramente scomparso, ha contribuito non poco a renderla immortale.
#3 — WHITE ASH: Crowds
(WHITE ASH/WHITE ASH/WHITE ASH), Gatchaman Crowds, 2013
Colpo di fulmine! Dopo la visione del primo episodio dell’anime mi sono precipitato ad acquistare il CD dei WHITE ASH Crowds, scoprendo poi anche le altre piacevolissime tracce contenute. Altrettanto bella è Insight, l’OP della seconda stagione dell’anime, sempre ad opera dello stesso gruppo rock.
#4 — SWITCH: Shanimuni shake shake!
(Bun Ono’ue/Yoshiyuki Ōsawa/SWITCH), Ike! Ina-chū takkyū-bu, 1995)
Shanimuni shake shake! è un trascinante delirio, un’irriverente esplosione vulcanica (guardare per credere). Non si può raccontare, va vista e ascoltata, anzi vissuta, e se dopo averla vissuta vi ritroverete ad acquistare online un tutù con la testa di cigno mentre canticchiate «Shake! Shake it up! New dance!» non date a me la colpa. Altrettanto meritevole è la seconda travolgente OP Man’in densha ni hitomebore, ma l’opera ci regala anche le gradevolissime sigle di chiusura Itsu ni natte mo Itsu made mo dei THE ZIP GUNS e BOOING di Sakura Uehara: tutta roba buona.
#5 — orange pekoe: Marigold
(Tomoko Nagashima/Kazuma Fujimoto/Kazuma Fujimoto), Ristorante Paradiso, 2009
Ristorante Paradiso è un altro di quegli anime di cui ho acquistato la colonna sonora in tempi brevissimi, espandendo il recupero anche agli album degli artisti che vi avevano contribuito. Forse dal punto di vista visivo la sigla non è delle più belle, anche per le incursioni di CGI non proprio sopraffina, ma Marigold degli orange pekoe è un bel pezzo, una musica che trasmette sicuramente un senso di calore e quiete. Ottima anche la sigla di chiusura Suteki na kajitsu di Lisa Komine che per l’anime ha cantato anche poco a poco ~ Chotto soko made e Futatsu no gelato, deliziose insert song arrangiate dai bravissimi Sachertorte, anche se l’insert song più bella per chi scrive è la sognante Palette ~Petit Short~ cantata da Natsumi Kiyo’ura e arrangiata dai ko-ko-ya.
#6 — Anna Tsuchiya: rose
(Anna Tsuchiya/Ayumi Miyazaki/Ayumi Miyazaki), NANA, 2006
rose mi ha reso all’istante fan di Anna Tsuchiya, artista che ho seguito per diversi anni, anche quando ha perso la sua vena più rock. Amo tutto il suo periodo legato alle musiche di Nana: Anna Tsuchiya in quei pezzi diventa davvero una perfetta Nana Ōsaki, e anche nei videoclip è completamente posseduta dal personaggio, con un lesbo power non indifferente che rapisce e seduce l’ascoltatore. Vanno assolutamente citate anche le bellissime LUCY, terza opening dell’anime, e Kuroi namida, terza sigla di chiusura, entrambe sempre di Anna Tsuchiya.
ENDING
#1 — Cathi Linn: Dancing with the sunshine
(Yoshiko Miura/Yūichirō Oda/Kazuo Ōtani), Cat’s Eye, 1983
Cat’s Eye è un’opera molto importante dal punto di vista musicale e di fondamentale importanza nella storia delle anisong, perché propose per la prima volta nella storia degli anime musiche stilisticamente in linea con i gusti del tempo, ovvero dance elettronica e city pop. In particolare la prima sigla di apertura, la splendida CAT’S EYE di Anri, ottenne un enorme e tuttora duraturo successo anche al di fuori del pubblico di appassionati di anime: il suo impatto epocale diede una nuova direzione a questo settore dell’industria musicale, che da quel momento in poi iniziò a orientarsi sempre più verso canzoni pop da classifica abbandonando gradualmente le marcette, gli inni e le nenie che avevano caratterizzato le anisong per vent’anni fino a quel momento.
Altro carattere distintivo delle canzoni di Cat’s Eye rispetto a quelle degli anime coevi erano i testi parzialmente o interamente in lingua inglese e cantati da artiste non giapponesi, proprio come Dancing with the sunshine: a questo link possiamo ammirare Cathi Linn in un’esibizione direi in linea con quanto si vede nella sigla dell’anime.
La seconda ED HOT STUFF di Sherry Savage è il perfetto seguito di Dancing with the sunshine. Quanto graficamente proposto in precedenza viene qui elevato all’ennesima potenza: le animazioni, che vedono come assolute protagoniste le sorelle Kisugi, sono realizzate al rotoscopio riprendendo i movimenti di ballerine in carne e ossa che eseguono sensuali esercizi di aerobica; la parte che visivamente preferisco è quando sul finale vediamo le gambe di Hitomi passare oltre la telecamera che la riprende dal basso: guardare per credere, decisamente NSFW. Satoshi Hirayama, direttore delle animazioni di tutte le puntate nonché character designer della seconda stagione, dichiarò all’epoca che lo staff lavorò per far risaltare ulteriormente il sex appeal delle tre gatte e far felici così i fan, e l’ottimo risultato si vede ancora oggi con una sigla che sprigiona alti livelli di feromoni.
#2 — Karen Mok: Silently
(Karen Mok/BEGIN/Ken’ichi Sudō), Silent Möbius, 1998
Per la serie TV di Silent Möbius sono stati selezionati molti ottimi pezzi AOR di artisti stranieri (fra cui uno di Joseph Williams dei Toto, tanto per dire), e fra questi c’è anche la prima ED Silently, composta dai gruppo pop giapponese BEGIN ma scritto e cantato dalla leggendaria cantante e attrice hongkonghese Karen Mok. Trovo che sia un pezzo che regala grande quiete a chi lo ascolta, e si sposa bene con le belle immagini della sigla che svelano un po’ alla volta un’illustrazione del fumettista Kia Asamiya (pseudonimo di Michitaka Kikuchi, nome che invece utilizza quando lavora nel campo dell’animazione), mentre sullo sfondo vediamo lo scorrere del tempo su una skyline della Tōkyō futuristica in cui è ambientata la storia.
#3 — Manna: Detekoi tobikiri ZENKAI power!
(Naruhisa Arakawa/Takeshi Ike/Kenji Yamamoto), Dragon Ball Z, 1989
Saltavo sempre questa sigla, sia quando compariva in video, sia quando ascoltavo i CD che la contenevano, forse anche perché, al contrario di oggi, all’epoca non amavo particolarmente il personaggio di Gohan, protagonista principale della sigla. Alcuni anni fa mi è capitato di ascoltarla senza saltarla (forse per pigrizia?) e mi è venuta la curiosità di cercare in Internet il testo perché mi sembrava abbastanza “pazzerello” e un po’ difficile da cantare per chi non conosce la lingua. Navigando su YouTube ho visto questo video in cui la cantante Manna si esibisce in una meravigliosa versione acustica del pezzo: dopo la visione mi sono reso conto di aver vissuto nel peccato per i decenni precedenti, quindi ho salvato il video e chiesto scusa. Manna ti amo, perdonami.
#4 — PICASSO: Begin the Night
(Etsuko Kisugi/PICASSO/PICASSO), Maison Ikkoku, 1986
Maison Ikkoku è una franchise che vive fortemente della propria musica: una serie e un film animati in TV, tre film dal vivo al cinema, tre OVA, e tutto con colonne sonore diverse e composte da nomi del livello di Joe Hisaishi e Kenji Kawai (!), poi cinque OP e sei ED per la serie e altre due theme song per i film e numerose image song, il tutto raccolto in molti album. In tutta quest’ampia discografia, amo in particolar modo le sigle dei PICASSO, che hanno firmato quattro delle sei ED della serie TV: ho scelto come rappresentante l’ultima, Begin the Night, che assieme all’ultima OP Hidamari non è mai andata in onda in TV in Italia, o sembrerebbe essere stato così almeno per tutti gli anni Novanta. Begin the Night mi ha regalato l’emozione di scoprire che c’era ancora un pezzetto di Maison Ikkoku che non conoscevo.
Chi ha seguito l’anime avrà certamente notato che il ventiquattresimo episodio presenta come sigle, per la prima e unica volta, le canzoni Alone Again (Naturally) e Get Down di Gilbert O’Sullivan, artista all’epoca pubblicato da Kitty Records, l’etichetta discografica associata alla Kitty Films che si occupava della produzione animata di Maison Ikkoku; non è chiaro il motivo per cui dall’episodio successivo questi brani vennero rimpiazzati con quelli utilizzati in precedenza, forse per problemi di diritti.
La bellezza delle canzoni di Maison Ikkoku però non si limita alle sole sigle, e non posso esimermi dal segnalare almeno TRY YOUR LUCK AGAIN della compianta CINDY (contenuta anche nel suo album LOVE LIFE in cui fra gli arrangiatori e tastieristi troviamo Hiroshi Satō e Stevie Wonder, e scusate se è poco!), Aoi hitomi no Elis degli Anzen chitai e Mō sukoshi tōku di Takao Kisugi.
#5 YAWMIN: Friends
(Junko Ōyama/Shun’ichi Minami/Hideharu Mori), Ranma 1/2, 1990
Ranma 1/2 offre davvero tante sigle molto piacevoli da ascoltare e realizzate con grande creatività, delicatezza e un tocco di romanticismo. Fra di esse, ho scelto di mettere in classifica la quarta ED Friends, sia perché lo trovo un pezzo molto rilassante da ascoltare, sia perché Yōko Takahashi (qui al suo debutto assoluto, sotto lo pseudonimo di YAWMIN) ci regala una performance vocale particolarmente dolce, lontana dal tono più “solenne” usato per i pezzi di Evangelion. Friends è una di quelle canzoni che possono essere ascoltate più e più volte di seguito senza annoiare.
#6 — STR!X: Kimi ni Woo…!
(Kenji Terada/Jun’ichi Kawauchi/Jun’ichi Kawauchi), Yoroshiku Mechadoc, 1984
Kimi ni Woo…! degli STR!X è l’unica ED di Yoroshiku Mechadoc (in Italia intitolata A tutto gas). Non ho mai visto un solo episodio di questa serie, ma quando arrivava il momento della sigla mi sintonizzavo sempre sulla rete che la trasmetteva per ascoltarla. È un ottimo esempio di city pop, e trovo che le immagini della videosigla si sposino benissimo con la musica. Mi piace molto il riflesso di luce baluginante che si ripete ciclicamente sull’auto da cui si affaccia il protagonista e che mi ipnotizza, così come il ripetersi del passaggio dei coriandoli che volano via con il vento. E poi? Poi c’è il tramonto, il semaforo, le palme e i cartelloni stradali: praticamente una versione animata delle illustrazioni di Eizin Suzuki (prima ancora di California Crisis: Gun Salvo). Kimi ni Woo…! la vedrei davvero bene in una di quelle compilation commentate dalla voce del dj statunitense Kamasami Kong. Sembra quasi un’anticipazione dei giorni d’oggi, in cui si usa caricare su YouTube video musicali con canzoni city pop o vaporwave e che ripropongono a ripetizione brevi scene tratte dagli anime di un tempo.
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Segnalo per le anisong da film mi preme particolarmente citare THANATOS -IF I CAN’T BE YOURS- di LOREN & MASH (dietro il nome MASH si nascondono Martin Lascelles e il geniale Shirō Sagisu) dal film Shin seiki Evangelion gekijōban Air/Magokoro wo, kimi ni, poi sayonara wa iwanai dei PERSONZ, sigla del film Yū☆yū☆hakusho Meikai shitō hen Honō no kizuna, ancora la visivamente strepitosa OP del film Dirty Pair con le bellissime animazioni di Kōji Morimoto sulle note di Safari Eyes di Miki Matsubara, e per finire #ceancheunpodItalia con la bellissima I do composta da Yōko Kan’no e scritta e cantata dalla napoletana Ilaria Graziano per essere usata come ED in Kōkaku kidōtai STAND ALONE COMPLEX (se siete curiosi recuperate almeno l’album From Bedlam to Lenane realizzato in coppia con Francesco Forni).
Tra le sigle delle opere realizzate per il mercato dell’home video non posso non citare Street Are Hot di Miho Fujiwara, brano d’apertura del pirotecnico OVA California Crisis: Gun Salvo e esempio perfetto di city pop, e la coppia IDLING for you di Norihiko Tanimoto e LONG SILENCE di Dynamite Shige, rispettivamente OP ed ED degli ultimi tre episodi della serie Kidō keisatsu Patlabor 2.
EXTRA: ANISONG ITALIANE
Vorrei spendere due parole per le edizioni italiane delle sigle di Inuyasha in quanto penso che siano belle almeno quanto le originali giapponesi, e in particolar modo My Will, eseguita in lingua inglese dal gruppo italiano Name, è in tutto e per tutto una sigla migliore della controparte giapponese, ascoltare per credere.
Per chiudere segnalo Reporter Blues e We’re Goint to Paris, le sigle cantate in inglese da Simona Patitucci (famosa per essere la voce di Ariel ne La sirenetta Disney) realizzate per Reporter Blues, serie co-prodotta dall’italiano Studio Pagot e dalla giapponese TMS.
Andrea Sale
OPENING
#1 — KODOMO BAND: SILENT SURVIVOR
(Tsuyoshi Ujiki/Tsuyoshi Ujiki/Tsuyoshi Ujiki), Hokuto no Ken, 1986
La seconda OP di Hokuto no Ken è la mia sigla di apertura preferita dell’intera opera. È vero, l’hard rock di Ai wo torimodose!! dei Crystal King (col suo iconico «You wa shock!») e di TOUGH BOY dei TOM★CAT danno una carica non indifferente a livello di ritmo e sonorità, ma il rock della KODOMO BAND ha sempre quel qualcosa in più che riesce a coinvolgermi a livello emozionale, soprattutto con i loro testi. SILENT SURVIVOR va perfettamente a ritmo con le immagini della sigla di apertura sia nel testo sia nella musica, donando una caratterizzazione aggiuntiva a Kenshirō, quella di un guerriero silenzioso che deve chiudere il suo cuore per sopravvivere e lottare in attesa di una nuova alba che potrebbe non arrivare mai. «DO SURVIVE!»
#2 — Hiroshi Kitadani: Uuuuus!
(Shōko Fujibayashi/Kōhei Tanaka/Kōhei Tanaka), ONE PIECE, 2024
La OP numero 26 per ONE PIECE, che segna il ritorno di Hiroshi Kitadani, mi ha letteralmente folgorato e riportato al 1999, anno in cui l’anime ha iniziato il suo lungo viaggio, partito da un we are! per poi diventare un us!, quasi a indicare che il viaggio di Monkey D Luffy (ricordatevi, senza il punto sulla “D”!) è partito da una singola persona per poi abbracciare l’intero mondo. «Sogni, salvateci!»: così debutta la canzone, con una richiesta d’aiuto al mondo non così tanto lontana dalla realtà, perché se ci pensiamo bene la nostra società ha davvero smesso di sognare diventando un mostro nero e cinico (un po’ come Im-sama). Ma i sogni non muoiono mai (Barbanera docet) e quindi c’è ancora un barlume di speranza anche nella più buia oscurità. New entry nella mia playlist personale, Uuuuus! è ormai una presenza fissa che mi tiene compagnia durante la giornata.
#3 — Tommy february6: ♥Lonely in Gorgeous♥
(Tommy february6/MALIBU CONVERTIBLE/MALIBU CONVERTIBLE), Paradise Kiss, 2005
Poteva mancare il pop di Tommy february6 (al secolo Tomoko Kawase, vocalist della band pop-rock the brilliant green) nella mia playlist personale? Ovviamente no! Ho conosciuto questa artista proprio grazie all’OP di Paradise Kiss, spin-off di Go-kinjō monogatari, e il ritmo pop della canzone mi ha preso con estrema facilità. Certo, il testo non sprizza felicità da tutti i pori, dona quasi la sensazione che stia narrando una relazione sentimentale tossica che alterna il lasciarsi e il tornare insieme più volte, ma nonostante ciò il videoclip è simpatico e riesce a intrattenere.
#4 — Rina Aiuchi: Bara ga saku Bara ga chiru
(Rina Aiuchi/Hisanao Oshima/Takeshi Hayama), Sōten no Ken, 2006
La hit di Rina Aiuchi è uno dei pochi casi in cui ho conosciuto prima la canzone rispetto all’anime (Sōten no Ken, prequel di Hokuto no Ken che narra le gesta dell’omonimo antenato di Kenshirō nella Shanghai degli anni 1930). Essendo lei una delle mie artiste j-pop preferite, il commento potrebbe essere di parte, ma i suoni rockkeggianti uniti ai ritmi pop delle sue canzoni restano sempre fra i miei preferiti. Certo, considerando la poca attinenza di Bara ga saku Bara ga chiru con i temi dell’anime e persino con la sua videosigla, sia con lo scorrere delle immagini sia – ancor meno – per il testo, si potrebbe pensare che la presenza di questa canzone sia fondamentalmente un’operazione di marketing, ma beh, essendo Rina Aiuchi l’unica cosa che posso fare è chiudere gli occhi e ascoltare.
#5 — Isao Taira: Fukkatsu no Ideon
(Rin Iogi/Kōichi Sugiyama/Kōichi Sugiyama), Densetsu kyojin Ideon, 1980
Volgendo lo sguardo ai titoli classici, fra le mie canzoni preferite spicca sicuramente la OP di Densetsu kyojin Ideon cantata dallo storico interprete di anisong Isao Taira. Come gran parte delle sigle degli anni 1970 e dei primi anni 1980 (ovvero prima che l’industria musicale iniziasse a lanciare le hit da classifica come sigle), il tema musicale segue quasi in simbiosi ogni frame dell’anime e nel caso del leggendario gigante Ideon il risultato è a mio parere molto gradevole (nonostante il suo stesso creatore abbia definito come «orrendo» il robot protagonista dell’opera, motivo per cui gli venne coniato il soprannome “Tomino il massacratore”).
#6 HIGH and MIGHTY COLOR: PRIDE
(HIGH and MIGHTY COLOR/HIGH and MIGHTY COLOR/HIGH and MIGHTY COLOR), Kidō senshi Gundam SEED DESTINY, 2005
Il mio contatore Last.fm parla chiaro, PRIDE dell’ormai ex band degli HIGH and MIGHTY COLOR è praticamente la canzone che ascolto più assiduamente da anni. La seconda opening di Kidō senshi Gundam SEED DESTINY, con il suo coinvolgente j-rock, ha dei ritmi che ascolto sempre con molto piacere. Nonostante sia concepita come una hit da classifica (e infatti rimase per diverso tempo in seconda posizione nella Oricon Chart), PRIDE ha il pregio di un testo che va a sposarsi bene sia con le immagini della sigla sia con le emozioni dei tre protagonisti dell’anime (Kira, Athrun e Shinn), con le loro indelebili cicatrici nell’anima come pure con l’orgoglio di alzarsi e andare verso il futuro procedendo per la propria strada.
ENDING
#1 — Yumiko Kosaka: ENERGY OF LOVE
(Yumiko Kosaka/Yumiko Kosaka/Tatsuya Furukawa), Uchū no kishi Tekkaman Blade, 1992
Prima sigla di chiusura del remake dedicato al classico eroe SF della Tatsunoko Production, ho scoperto ENERGY OF LOVE per puro caso, ma ho iniziato ad amarla soltanto dopo la visione dell’intera serie. Ascoltandola mentre se ne guarda l’anime, la canzone si trasforma da hit a elemento portante dell’opera, come se fosse quel qualcosa in più che si aggiunge alla caratterizzazione del protagonista D-Boy, un uomo che segue un tragico percorso, senza alcun ricordo del passato e in preda a un disperato bisogno d’amore che possa alleviare le sue sofferenze.
# — 2 Yuna Itō: trust you
(MARKIE/MARKIE/Jin Nakamura), Kidō senshi Gundam 00, 2009
Quarta e ultima sigla di chiusura di Kidō senshi Gundam 00, la hit della star Yuna Itō è per me una delle canzoni più belle del panorama musicale giapponese della seconda metà degli anni 2000. Se nell’anime è sostanzialmente un’espressione dei sentimenti di Marina Ismail verso il protagonista Setsuna F. Seiei, a livello musicale reputo la canzone una poesia che eleva l’amore e invita alla comprensione reciproca (tema che va a sposarsi perfettamente con l’opera). «Perché ci feriamo? Perché non possiamo comprenderci l’un l’altro?». Visti i tempi che corrono, è una domanda che risulta più attuale oggi nel 2024 rispetto al 2006, anno di produzione dell’anime.
#3 — Shōnan no kaze: KING OF THE WILD
(Shōnan no kaze/Shōnan no kaze/Shōnan no kaze), Tiger Mask W, 2016
Sigla di chiusura di Tiger Mask W (sequel canonico del leggendario Tiger Mask del 1969), la hit della band reggae Shōnan no kaze (ovvero “Il vento di Shōnan”, nome ispirato alla celebre zona costiera della prefettura di Kanagawa), è una delle canzoni perfette per allenarsi (soprattutto se si è praticanti di arti marziali e si ha bisogno della giusta carica). Il testo con i suoi ritmi che mixano folklore giapponese e rap è molto coerente con l’opera, dove luce e oscurità vengono abbracciate per diventare più forti, un chiaro riferimento ai due protagonisti Naoto Azuma e Takuma Fujii.
#4 — TM NETWORK: Get Wild
(Mitsuko Komuro/Tetsuya Komuro/Tetsuya Komuro), City Hunter, 1987
Poteva mancare una delle più belle hit del panorama musicale giapponese nell’immenso mare di canzoni che sommerge il mio hard disk? Ovviamente no! Get Wild, singolo di debutto dei TM Network, ha un videoclip che oggi possiamo considerare uno spaccato di società giapponese del tardo periodo Shōwa, ma la sua popolarità è dovuta soprattutto all’essere la prima sigla di chiusura di City Hunter, le cui immagini formano un eccellente connubio con il testo della canzone. «Ottieni fortune e occasioni. Da qualche parte c’è qualcuno che puoi proteggere. Ottieni fortune e occasioni. Anche se da solo recupererò i miei sogni perduti». Sembra quasi un ritratto del nostro sweeper preferito con la passione per il mokkori!
#5 — Casey Rankin: Kokoro wa gipsy
(Kōji Miura/Casey Rankin/Casey Rankin), Chōjikū seiki Orguss, 1983
Quando il country va alla conquista del Giappone! La sigla di chiusura di Chōjikū seiki Orguss, cantata dal veterano del Vietnam ed ex membro degli SHŌGUN Casey Rankin, è una di queste canzoni e, per quanto mi riguarda, va oltre l’animazione. Il suo ritmo rapisce e istintivamente si inizia a battere mani o tambureggiare sulla scrivania: «Sono un gipsy illuminato da una fiamma ardente nel cielo oscuro della notte. Danzando fino all’alba ho visto il domani nei tuoi occhi». Poco attinente alle immagini della sigla finale, ma a livello di testo richiama per certi aspetti la ciurma vagabonda della nave Glomar e i protagonisti Kei Katsuragi e Mimzy.
#6 — Kanako Wada: Natsu no mirage
(Reiko Yukawa/TSUKASA/Shirō Sagisu), Kimagure Orange☆Road, 1987
Chiudo la mia top 6 delle ED con un pizzico di sana nostalgia che non fa mai male. L’adolescenza, i primi manga e i primi personaggi femminili preferiti… mi unisco alla moltitudine di appassionati che negli anni più belli hanno trovato in Madoka Ayukawa la propria fidanzatina ideale. Ho scoperto la prima ending di Kimagure Orange☆Road grazie all’edizione integrale in VHS e sicuramente è la mia preferita fra le tre scritte per questa serie. Da adolescente (e senza capire le parole) il testo sembrava qualcosa che faceva sognare a occhi aperti, da adulto dona una sensazione di spoiler su cosa accadrà ai protagonisti della storia: «Amami teneramente, dorato miraggio estivo. Un giorno, un giorno, ti prego, bacia la mia pelle nuda nel mattino in cui mi chiamerai amante. Un giorno, un giorno, ti aspetterò per sempre». E infatti, leggendo i romanzi di Izumi Matsumoto…
EXTRA: ANISONG DA ALTRI MEDIA
Sappiamo bene che la produzione di anisong è sconfinata per film e altri media, ma se dovessi scegliere alcuni titoli, per me sono degne di menzione almeno Sabaku no illusion, opening del terzo OVA del bellissimo Area 88 di
Kaoru Shintani, e Sugao no mama de, sigla di chiusura del lungometraggio di Uchū senshi Baldios.
EXTRA: ANISONG ITALIANE
Non sono un amante delle sigle italiane, ne ascolto pochissime, ma fra quelle adattate dalle originali giapponesi mi piacciono Virtua Fighter e Mitologia delle labbra, le due sigle di Virtua Fighter molto piacevoli all’ascolto.
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