Samurai Jack: una recensione televisiva
Da IDW una serie a fumetti che si inserisce tra le ultime due serie animate di Cartoon Network che hanno per protagonista il samurai che vuole tornare nel passato per sconfiggere il mago malvagio Aku. In vista della conclusione delle sue avventure, una trasposizione nella Nona Arte
Samurai Jack è stato uno dei primi cartoni animati che ho visto perché lo vedevano i miei figli. Il lavoro di Genndy Tartakovsky, a partire da Il laboratorio di Dexter, passando per le Superchicche, fino ai film di Hotel Transylvania, mi ha sempre stuzzicato, per l’impostazione grafica e per storie non (del tutto) banali, cosa non molto frequente (purtroppo) nei cartoni animati moderni. Ma per Samurai Jack ho avuto un interesse sincero. Mi è capitato di obbligare i miei figli a vederlo quando loro volevano cambiare canale.
Il cartone animato, mai concluso, ha avuto tanto successo che a distanza di tredici anni è stata prodotta la quinta e definitiva stagione, in cui finalmente si concluderà la lotta tra Jack e il demone Aku.
Così IDW e Cartoon Network hanno messo al lavoro lo sceneggiatore Jim Zub e il disegnatore Andy Suriano, che ha lavorato anche sul cartone, e tra il 2013 e il 2015 hanno prodotto un fumetto in venti numeri, poi raccolti in quattro volumi.
Gli episodi si collocano cronologicamente tra la quarta e la quinta serie e Panini Comics la propone a distanza di quasi due anni dall’uscita americana, in concomitanza con le nuove e conclusive puntate televisive, arrivate al numero 10 negli Stati Uniti.
Nel volume Samurai Jack fa quello che fa in tutti gli episodi del cartone animato: tentare di sconfiggere il demone, per tornare nel passato e contrastare il realizzarsi del futuro creato da Aku.
Vagando per il mondo del futuro, dominato dai demoni, tra arti marziali e tecnologia, Jack cerca manufatti più o meno magici per tornare indietro nel tempo.
Così in questo primo volume, cerca di recuperare la corda degli eoni, intessendo tra loro i fili del tempo. Samurai Jack gira per il mondo, incontrando (e sconfiggendo) mostri e demoni, liberando fantasmi e smascherando vecchie regine, con la sua ironia e qualche trovata divertente sulla falsariga di quanto accade nella versione televisiva.
Alla fine riesce a ritessere la corda, come dice lui stesso, visitando luoghi inesplorati, fino al più classico dei finali: l’ultimo pezzo si trova nella fortezza del nemico, al punto che Aku lo usa come… filo interdentale!
Ma ancora una volta, pur arrivando vicinissimo al ritorno nel passato, Samurai Jack si deve accontentare di prolungare la sua permanenza nel futuro corrotto, pur di sopravvivere.
Chi ha amato e ama il cartone animato ritroverà le stesse atmosfere, tra la nostalgia e l’angoscia per la lontananza, ma con la forza e la limpidezza del samurai. A volte, forse, con qualche battuta di troppo, anche se obbligata. In fondo il cartone animato, con le immagini in movimento, riesce con uno zoom o una carrellata a rendere l’idea dell’espressione di un viso anche senza parole, questo nel fumetto deve più frequentemente essere fatto verbosamente. Ciononostante, anche nelle pagine, si incontrano momenti di silenzio, in cui solo i rumori e i movimenti danno pienamente l’idea di quanto sta succedendo, esattamente come nel cartone.
I personaggi sono caratterizzati nello stesso modo, anche se il demone Aku forse era meno “buffo” (in alcune scene finali, con il filo interdentale, quasi tendente al ridicolo).
Ma la caratterizzazione di Jack è perfetta e aderente a come la conosciamo; carattere, forza, scaltrezza, fino alla scelta di vita e di coerenza: continuare a lottare fino alla fine, preferendo vivere nel mondo malvagio del futuro, piuttosto che tornare nel proprio passato a morire. Con uno sguardo che la dice lunga.
Maggiore è, per forza di cose, la differenza dal punto di vista grafico: ricordando che il cartone è giocato tutto sulla tecnica del masking, senza linee di contorno, utilizzando in modo magistrale il contrasto dei colori e il dinamismo delle immagini. Qui è stato possibile applicare questa tecnica solo nelle copertine e in alcuni punti. Proprio per riproporre lo stesso dinamismo, infatti, gli autori del fumetto hanno dovuto cambiare la tecnica di disegno, reinserendo i contorni, anzi, è proprio l’irregolarità dei contorni e il pesante utilizzo del chiaroscuro a far percepire lo stesso movimento che nel cartone viene dalle tecniche di animazione e dai movimenti delle camere. Anche l’elevato contrasto dei colori, insieme alla gamma utilizzata nelle diverse situazioni, contribuisce (bellissima la scena in cui la corda degli eoni parla a un Jack morente, fermando il tempo e portandolo in una sorta di limbo luminoso, in cui i colori sono i complementari della realtà).
Per rendere la rapidità delle scene, il disegno risulta a volte anche deformato.
Altro espediente utilizzato per riproporre sulla staticità della carta il disegno animato è la suddivisione in vignette, sempre diversa e per lo più molto irregolare. Spesso con sovrapposizioni dei personaggi che escono dai bordi, quasi mai sottili e uniformi.
Alla fine l’esperimento di inserire tra le stagioni del cartone animato una serie di storie a fumetti, al netto delle differenze di linguaggio dei diversi media, può dirsi riuscita. Anche se Tartakovsly non ha mai ufficialmente riconosciuto il legame tra il cartone e il fumetto, arrivando a dire che il fumetto non è canonico, il tentativo fatto da Zub e Soriano è stato quello di riproporre esattamente le stesse atmosfere e le stesse caratterizzazioni del cartone.
Ci sono alcune cose che non mi sono piaciute da amante del cartone, ma il fumetto regge il confronto, e regge anche in modalità stand alone. Anche se i personaggi, le atmosfere, le caratterizzazioni della serie animata restano negli occhi e mi sembrano superiori a quelle che ho trovato in questo volume. Però se Jim Zub attualmente è il principale sceneggiatore di Uncanny Avengers, dopo aver creato Skull Kickers, aver lavorato su Red Sonja, Suicide Squad, il fumetto di Munchkin, un motivo ci sarà.