Quel gran pezzo dell’Ubalda – Thor #341 di Walter Simonson

Torna Quel gran pezzo dell’Ubalda e questa volta si dedica al #341 di Thor, ai tempi di Jack Kirby e un giovane Walter Simonson che sa decisamente il fatto suo…

Torna Quel gran pezzo dell’Ubalda, la rubrica di critica fumettistica dedicata all’analisi di singole pagine di straordinario valore: stavolta studiamo come sia stato possibile in Thor fondere con successo la narrazione per ragazzini con le grandi epopee norrene.

I precedenti articoli di questa rubrica sono consultabili a questo link.


Ed eccoci tornati alla rubrica più affollata di Internet, nella quale i nostri impavidi recensori di Dimensione Fumetto ci mostrano dei grandissimi pezzi di bravura del nostro medium preferito.

Il tema di questo periodo sono i favolosi anni ’80, quelli dei giubbetti jeans e delle giacche con spalline, dei capelli cotonati e di Cristina d’Avena con la parrucca che interpreta Licia. In mezzo a questo museo degli orrori, però, spicca una casa editrice sull’orlo del fallimento (bei tempi!) chiamata Marvel, che prima di chiudere le sue testate storiche tentava il tutto e per tutto, affidandole a giovani autori dalle idee rivoluzionarie.

La cosa funzionò bene, soprattutto su Thor, dove un giovanotto appassionato di dinosauri di nome Walter Simonson cominciò a mostrarci come si poteva prendere Jack Kirby, la mitologia norrena, la Pop Art e l’energia atomica e frullarli ben bene fino a tirarne fuori dei pezzi da collezione, utilizzando soltanto matita, pennello, i quattro colori primari e carta di scarsa qualità.
In altre parole, ARTe POPolare.

Oggi abbiamo scelto una singola pagina, tratta da Thor n. 341, in cui il nostro biondone non compare mai. Mentre è in altre faccende affaccendato, infatti, da qualche parte nell’universo espanso, si prepara una minaccia terribile.

Il taglio scelto da Simonson per la prima delle tre strisce di cui è composta la tavola è immediatamente funzionale all’effetto che vuol ottenere: inquietarci, suggerendo il prepararsi di un pericolo che supera l’immaginabile. Cinque vignette alte e strette l’una all’altra scandiscono una panoramica al contrario, che parte da un primissimo piano e si allontana dal soggetto principale.

La prima delle cinque vignette ci mostra uno scorcio di un volto demoniaco dalle fattezze tipicamente kirbyane. Il volto è ottenuto da spesse pennellate di nero, che si assottigliano soltanto in prossimità degli occhi inespressivi, su uno sfondo di un rosso piatto e vivido. È una figura di puro male, ammantata di una potenza che emerge nella successiva vignetta.

Lo sguardo si allontana e intravediamo il corpo possente della creatura. Subentrano due elementi nuovi: un martello, pesante e rozzo, che riecheggia l’arma del tonante Thor; e il colore giallo, che evoca energia pura, un calore che si sublima nel bianco.

Ancora indietro e in alto, e due nuovi elementi. Un’incudine dura come la terra ancestrale e una lama incandescente, rappresentata di traverso. La grandezza della spada è suggerita dal fatto che non entra nella vignetta, viene verso di noi in diagonale, disegnando la prospettiva di uno sguardo che si perde.

La figura demoniaca perde definizione mentre ci allontaniamo ulteriormente. Il braccio si solleva e appaiono delle teste, intente, come noi, a osservare la scena. Le didascalie, disposte in modo trasversale tra le vignette le uniscono fluidificando la narrazione e creando il climax.

Il martello ruota, evocando il gesto tipico di Thor. Simonson crea, con le linee cinetiche, un mulinello in cui qualsiasi forma svanisce, diventando energia pura. Qualcosa ci aspetta, un’esplosione nucleare, che Simonson rende con una semplice parola.

DOOM. Un’onomatopea che è anche una parola, scritta in un font bordato che riecheggia le rune antiche. Irrompe un colore nuovo, e Simonson lo usa in combinazione con altri due soltanto, e linee rotte. DOOM, il suono e l’immagine del destino che aspetta Thor. Tre colori, una parola, linee frastagliate, lo ripetiamo: e voilà, il suono della pura energia è servito in una semplice vignetta.
DOOM, e leggendo sentiamo riecheggiare.

E poi, il nulla.

Torna il nero assoluto, solcato da una piccola didascalia. Cosa accadrà nel prossimo numero?

Simonson, in una semplice tavola, ci dimostra come non servono computer, software strabilianti e chissà quali strumenti per creare il miracolo: il calore, il suono, l’odore e le sensazioni del male ancestrale al lavoro possono essere resi alla perfezione anche solo con una matita che, inesorabile, cala sulla tavola con la potenza di un maglio infernale.

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