Lucille degli Acholi: una donna tra l’Uganda e il mondo
Una storia al femminile. Una storia di scienza, di volontà, di solidarietà.
Lucille Teasdale e il suo sogno di un ospedale in Uganda.
Gli Acholi sono una etnia che vive principalmente tra Uganda e Sud Sudan, poverissima e vessata per decenni da guerre ed epidemie, una di quelle popolazioni di cui noi occidentali non “ci occupiamo”, perché le loro terre non sono ricche di nulla. Lucille Teasdale, medico canadese, se ne occupò, insieme a suo marito Piero Cortifacendoli, spostandosi a vivere in Uganda, nel centro dell’Africa nera, portandoci un po’ di medicina moderna.
Rispetto al suo stesso marito, Lucille aveva dovuto affrontare molte difficoltà, per prima, quella di essere una donna e medico negli anni ’50; la sua tenacia la portò a vincere moltissimi riconoscimenti, tanto che anche Rita Levi Montalcini disse di lei:
Lucille rimane il più fulgido esempio di dedizione all’attività medica svolta con eroismo sino alla fine del suo percorso.
Oltre al maschilismo imperante si aggiunse per lei la difficoltà di portare la medicina in luoghi dove non c’erano neppure le infrastrutture minime per garantire pratiche quotidiane come l’igiene ma così facendo gettò anche i presupposti per la crescita di tutta la popolazione a cui portò i suoi servizi.
Nonostante un profondo rapporto con l’Italia, la sua figura rimane per noi poco conosciuta e Lucille degli Acholi, di Ilaria Ferramosca e Chiara Abastanotti edito da Il Castoro, rilascia una biografia adatta alla lettura di tutti riuscendo a raccontare anche gli episodi più difficili e violenti senza esagerare. Le due autrici non sono nuove a storie “scomode” e ce ne hanno dato prova nell’altra loro opera dedicata a Lea Garofalo, ma se quella della Garofalo è una storia tutta italiana, quella di Lucille è un racconto internazionale fortemente intrecciato con il nostro paese.
Il rapporto con l’Italia di Lucille è merito del marito Piero Corti, medico italiano, che le ha fatto conoscere l’Africa, e in seguito l’Italia dove concluse la sua vita, a Besana in Brianza, dove morì prematuramente all’età di 69 anni a causa del virus dell’HIV contratto mentre lavorava nel suo Lacor Hospital, a Gulu.
L’ospedale è lo sfondo e il co-protagonista della storia, Lucille disse di suo marito: «Piero non può vivere senza l’ospedale; io non posso vivere senza Piero».
Ilaria Ferramosca è brava nel contestualizzare la storia nella nostra epoca e a creare un parallelismo tra la vita di Lucille e Piero, con quella di due studenti Atim, la narratrice, che racconta a Claudio in modo dettagliato le scelte fatte per arrivare a coronare il suo sogno, quello di percorrere le tracce del medico che salvò sua madre.
Così si parte dall’Italia, e passando rapidamente per l’Uganda, si arriva al Canada del 1941, alla lotta all’interno della famiglia prima, e con i colleghi poi, per affermare il proprio diritto a essere ciò che si vuole, prendendo la decisione di essere per gli altri e non solo per se stessi.
Infatti se la medicina inizialmente è una passione anche per Lucille, in seguito diventa una forma di autoaffermazione per mostrare al mondo che si può essere un ottimo medico indipendentemente dal sesso e dalla provenienza sociale, trasfomando la professione in uno strumento di solidarietà, di lotta sociale e politica.
La sceneggiatura del fumetto ragiona in senso quasi strettamente cronologico, pur portando avanti in parallelo la storia della relazione tra Atim e Claudio, ambientata nei giorni nostri, con una serie di flashback e flashforward.
Questo parallelismo tra presente e passato, rende la storia più empatica, mostrando nel contempo come Lucille e Piero, abbiano in qualche modo “aperto una strada” facendo comprendere che il loro esempio non è caduto nel vuoto e che le persone come loro gettano dei semi, che non vanno mai dispersi e che fioriscono, anche tra mille difficoltà. Il racconto della storia su un duplice livello che si alterna tra pubblico e privato, e intimo, definiscono i personaggi in modo completo, riuscendo a delineare bene anche le figure secondarie.
Graficamente Chiara Abastanotti sfrutta un registro realistico quanto basta, dando ai personaggi, e alla storia, una bella fisicità, con l’uso delle ombre che sembrano fatte a carboncino, e una colorazione soft e pastellata. La verosimiglianza con cui vengono delineati i personaggi, anche nella loro evoluzione, denota grande cura e studio da parte della disegnatrice che non utilizza una tecnica iperrealistica e che dà anche un’aura di storia che è archetipo dell’emancipazione attraverso il dono di sé. Il tratto della Abastanotti risulta efficace anche nei momenti drammatici, quando deve mostrare il sangue delle ferite o la violenza delle esplosioni, senza nascondere la crudezza dei gesti pur non essendo esplicita.
Lo schema delle pagine varia molto, e dipende anche dalla parte di storia che si racconta, di base è quello con tre righe per due colonne, piuttosto classico, mentre le vignette che raccontano di Atim e Claudio sono caratterizzati da un bordo che viene usato eccezionalmente anche per alcune vignette in cui si racconta delle violenze del 1989 che hanno coinvolto anche l’ospedale, ma probabilmente in questo caso serve essenzialmente a farle emergere dallo sfondo. Per il resto della storia, essendo “raccontata”, non si hanno contorni definiti. In effetti la vignetta senza una precisa definizione rilasciano proprio la sensazione di qualcosa che è filtrata attraverso gli occhi del narratore e quindi non ha contorni certi ma alla fine la narrazione è comunque precisa ed efficace. Le vignette che raccontano di Atim e Claudio “perdono il bordo” proprio verso la fine, quando la loro storia si fonde con quella di Piero e Lucille e passa a sua volta dal piano della realtà a quello della fantasia.
La griglia delle pagine più regolari non soffre di questa mancanza di confini, anzi, lo “spazio bianco” si allarga, consentendo a noi lettori di svolgere al meglio il nostro “lavoro”. In alcune pagine questo la lettura è ben supportato dall’utilizzo di altri espedienti grafici.
A volte le vignette hanno solo un colore di sfondo e un personaggio, altre situazioni molto più dettagliate. Le splash page raccontano alcuni momenti importanti, e vengono utilizzate con tecniche diverse: usando la pagina come sfondo su cui inserire le vignette, nella modalità teatrale “alla De Luca”, in cui i personaggi si muovono e vengono riportati più volte nel suggerire l’evoluzione dell’azione. Analogamente a volte troviamo pagine con schemi meno regolari, che sottolineano dei passaggi importanti, in cui non è la storia a dover emergere, ma altri elementi, come le foto nel giorno del matrimonio, oppure l’utilizzo dei giornali per raccontare i fatti ugandesi che fanno da sfondo agli eventi dell’ospedale.
Un fumetto certamente impegnativo, ma che riesce a rendere immediata e piacevole una storia fatta di tante difficoltà ma anche di vittorie. Due donne che scrivono e disegnano di una donna (anzi di due, non dimentichiamo Atim) per raccontarcela negli aspetti più intimi passando per quelli pubblici e finendo in quelli internazionali. Una storia poco conosciuta al grande pubblico ma che il fumetto ancora una volta aiuta a divulgare con forza ed efficacia.
Ilaria Ferramosca, Chiara Abastanotti
Lucille degli Acholi
208 pagg., colore, 15.8×23
Editrice Il Castoro, 2022, € 16.50
ISBN 9788869669057