Il re leone – 25 anni nelle Terre del Branco
1994: usciva nei cinema di tutto il mondo Il re leone, destinato a trionfare come uno dei più amati film Disney di sempre. DF celebra questo anniversario con una settimana dedicata a Simba: in questo primo articolo, una analisi del film a mente fredda.
A 25 anni dal suo debutto nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, Il re leone non ha ancora smesso di affascinare il pubblico di tutto il mondo. Dimensione Fumetto dedica una settimana a questo titolo fondamentale del marchio Disney nelle sue varie incarnazioni dentro e fuori il mezzo animato.
Nel primo articolo: riflessioni molto a posteriori su Il re leone, il film originale del 1994.
25 anni fa usciva nei cinema di tutto il mondo Il re leone. Dopo la trionfale accoglienza nel mercato statunitense in estate (il periodo clou per le uscite cinematografiche negli USA), il film è arrivato anche in Italia il successivo 23 novembre 1994 portandosi dietro le stesse reazioni entusiaste da parte del pubblico e della critica, che in un periodo di grande successo per la Disney e sulla scia in crescendo dei film precedenti, riconobbero immediatamente ne Il re leone un capolavoro assoluto e come tale è sempre stato celebrato e considerato fino a oggi.
Il re animato
La mitologia di questo film non ha fatto altro che crescere negli anni.
Per prima cosa ci sono i soldi, ovviamente. Sono numerosi i primati che Il re leone ha o aveva detenuto, a partire dal fatto che è stato il film più visto al mondo nel 1994, il maggior incasso globale del suo anno, e il secondo film per numero totale di biglietti staccati nella storia della Disney dopo Biancaneve e i sette nani. Già nel 1994 aveva sfiorato il miliardo di dollari di incassi e il suo è rimasto il maggior risultato di sempre per un film animato fino al 2003, quando venne spodestato da Alla ricerca di Nemo, ma è comunque tutt’ora nella top 5 dei film animati e top 50 dei film in generale.
Poi c’è il successo hollywoodiano. Delle quattro nomination ai Golden Globe Awards, quattro agli Academy Awards e sei ai Grammy Awards del 1995, Il re leone si è portato a casa in tutto ben otto statuette, e considerando anche gli altri premi si arriva a un totale di 31 titoli vinti: record per un film Disney e per un film d’animazione in generale fino al 2010, quando Toy Story 3 ha collezionato 35 titoli.
Inoltre c’è lo sfruttamento del franchise. Tre sequel animati per il mercato dell’home video, tre videogiochi, due serie tv animate, un musical teatrale, varie riproiezioni al cinema (anche in 3D) e un remake in animazione fotorealistica del 2019 con Childish Gambino e Beyoncé, per non parlare della quantità semplicemente innumerevole di gadget in vendita nei Disney Store e nei parchi Disneyland, dove i peluche a dimensione naturale di Simba cucciolo si vendono come il pane.
Non c’è davvero modo di fingere di non conoscere questo titolo.
Infine, c’è la contingenza per cui Il re leone è stato l’ultimo film Disney a cavalcare il trend di incassi in crescendo, e questo gli ha donato uno status commerciale mitico. Il trend positivo era iniziato a partire da Basil l’investigatopo del 1986, successivo a quel Taron e la pentola magica tuttora ricordato come la peggior performance in sala di un film Disney, e proseguì con gli incassi via via maggiori di Oliver & Company, La sirenetta, discesa con Bianca e Bernie nella terra dei canguri, risalita con La bella e la bestia, Aladdin e infine Il re leone. Dopodiché, il crollo: il successivo Pocahontas incassò “soli” 350 milioni di dollari, ovvero un terzo de Il re leone, Il gobbo di Notre Dame meno ancora, ed Hercules meno ancora ancora.
Anche se i successivi Mulan e Tarzan risollevarono la linea del grafico dei profitti, e anche se in realtà La sirenetta ha incassato più o meno come Hercules (ma era parte del trend positivo, quindi appariva come un successo più grande di quanto non lo sia stato davvero), in quel fatidico 1994 Il re leone aveva fissato uno standard di successo per il quale fare meno soldi voleva dire essere un fallimento. Più o meno quello che accade adesso con i film del Marvel Cinematic Universe.
Il re solitario
Eppure Il re leone non è affatto un film rappresentativo della tradizione Disney.
È stato il primissimo lungometraggio animato Disney a non basarsi su una sceneggiatura non originale, benché nella trama e nei personaggi si rifaccia rispettivamente a Shakespeare e a Tezuka in modo evidente. Fortunatamente per la Disney nessuno dei due ha intentato causa per plagio: il primo perché morto secoli fa, e il secondo perché i detentori dei suoi diritti non ci hanno nemmeno provato a sfidare gli avvocati di Burbank.
È stato diretto dai due registi Rob Minkoff e Roger Allers, entrambi all’esordio su un lungometraggio, che non hanno mai più prodotto niente di paragonabile a Il re leone e non hanno più diretto altri film per la Disney. Il primo ha preferito andare subito altrove con alterne fortune, mentre il secondo è riuscito a produrre dopo oltre dieci anni il cortometraggio La piccola fiammiferaia e poi se n’è andato anche lui. Estremamente inusuale per la Disney, un’azienda che fin dalla sua fondazione ha sempre vantato legami forti e duraturi con i suoi collaboratori.
È l’unico film della storia della Disney in cui non siano assolutamente presenti esseri umani e in cui non ci sia il benché minimo contesto storico, anche se poi la sceneggiatura tradisce continuamente entrambi questi assunti. Ecco una lista di cose e concetti citati nei dialoghi (italiani) del film di origine prettamente umana e a volte anche prettamente contemporanea:
– monarchia, cerimonie, etichetta, matrimonio, esilio, eccetera (benché questi concetti non siano del tutto estranei agli animali)
– Monte Olimpo
– scendiletto da sbattere
– rapporto del mattino
– sparare
– scoop del secolo
– Africa e competenze geografiche varie
– la ribalta (del teatro)
– cervello e competenze scientifiche varie
– pasta, pollo, ordinare una cena a portar via, pentola a pressione e competenze alimentari
– leggere
– giustizia, ingiustizia, colpo di Stato e competenze giuridiche varie
– poesia (“maestro” e “lezione” potrebbero essere presenti in un ipotetico vocabolario animale, ma la poesia è un’invenzione umana)
– lavoro
– trono
– bowling
– attimo, chilometro, miliardo, unità di misura
– canzoni esistenti come The Lion Sleeps Tonight e It’s a Small World
– bacchetta magica
– look hawaiiano e danza hula
– maiale con la mela in bocca
– maggiordomo (anche se in un ipotetico vocabolario animale potrebbe esistere una parola che intende il concetto di “servitore”)
E forse qualcos’altro ancora. Anche se solo per scopi ironici, magari per creare qualche spassoso scambio di battute (come nel celebre sketch del gas), gli umani e la loro cultura sono decisamente presenti ne Il re leone.
Inoltre, Il re leone è il film di rottura fra le sei colonne sonore consecutive di Alan Menken. Dopo La sirenetta, La bella e la bestia e Aladdin, Menken si prese più tempo per lavorare alle musiche per il successivo Pocahontas, che era il progetto di punta di quel periodo, lasciando Il re leone in mano ad Hans Zimmer per i brani strumentali e Tim Rice & Elton John per le canzoni: John era alla sua prima collaborazione con la Disney, Zimmer alla prima e mezzo avendo partecipato a Cool Runnings – Quattro sottozero del 1993, e Rice alla seconda dopo Aladdin.
Alla fine Menken produsse per Pocahontas quella che sarebbe stata la sua colonna sonora più complessa: un bilanciamento perfetto fra i suoi usuali riferimenti colti (in questo caso pesca molto da Dvořák), brani-manifesto come I colori del vento, e uno squisito e minutissimo gusto orchestrale che divide l’organico in aree tematiche (legni e percussioni per gli indiani, ottoni e fiddle per gli inglesi) e affida agli archi l’accompagnamento e quasi mai la melodia.
Hans Zimmer invece andò dalla parte opposta scrivendo per Il re leone musiche in pieno stile hollywoodiano: grande organico, grandi cori, grandi voli di violini, grandi melodie in pianissimo e fortissimo, grande epicità, grandi tutti orchestrali, grande tutto. Elton John fà del suo meglio consegnando due brani brillanti come la divertente Voglio diventar presto un re e l’iconica Hakuna Matata, un brano “da cattivo” e una ballata romantica scritta apposta per vincere un Oscar.
Il re incoerente
Soprattutto, però, Il re leone è l’unico film del periodo chiamato “Rinascimento Disney” in cui il protagonista non sia un escluso o un outsider o comunque qualcuno che si trova male nella società in cui vive e che deve trovarne/costruirne un’altra, ma al contrario è lui stesso ad andarsene benché fosse benvoluto. Oliver, Ariel, Bestia, Aladdin, Pocahontas, Quasimodo, Ercole, Mulan, Tarzan (e qualche anno dopo anche Lilo e Jim Hawkins) devono lottare a costo di grandi sacrifici personali per poter essere accettati nella società in cui vogliono vivere. Simba no, anzi è atteso e accolto a zampe aperte dai suoi sudditi quando torna alla Rupe dei Re dopo anni e anni, come un figliol prodigo. Questa scelta è molto inusuale, anche perché rende molto più complicato capire di cosa parla veramente Il re leone.
La domanda non è così oziosa come potrebbe sembrare: davvero, di cosa parla veramente Il re leone? Del fatto che Simba deve per forza diventare re perché è figlio del re, ovvero che uno deve diventare contadino perché figlio del contadino, o della vicenda morale di Simba che vuole riacquistare dignità in un caso di diffamazione? In parole povere, Il re leone è un film conservatore o progressista? Reazionario o rivoluzionario?
Simba torna alla Rupe dei Re per riavere il suo trono o per riavere la sua dignità? Si potrebbe rispondere molto comodamente con un “tutte e due” e sostenere che la riconquista del trono è la trama esteriore (il cosiddetto “viaggio dell’eroe”) mentre la riconquista della dignità è la trama interiore (il cosiddetto “arco di trasformazione“), oppure che il trono è la metafora della dignità o altro ancora, ma questo ragionamento cozza col fatto che nel film le due parti sono in forte squilibrio, con la riconquista della dignità che prende quasi metà film e la riconquista del trono che si risolve letteralmente in due minuti di combattimento in ralenti fra un leone giovane e forte e uno vecchio e malato.
Il re tripartito
Per i suoi 89 minuti Il re leone prova a seguire sia la trama-trono sia la trama-dignità, ma non si può essere al contempo una cosa e il suo opposto, e nel tentativo di mascherare l’indecisione tematica del film, i registi Allers e Minkoff decidono di spezzare il film in tre parti distinte rendendo il messaggio del film ancora più confuso.
Le tre parti sono naturalmente il complotto di Scar (che contiene il film-nel-film al Cimitero degli elefanti), il buen retiro nella giungla di Timon & Pumbaa, e il ritorno del re dopo l’incontro con Nala.
Ora, questa tripartizione evidenzia chiaramente il dato che più in assoluto definisce Il re leone come un film assolutamente non rappresentativo della tradizione Disney: il protagonista è un personaggio passivo. Un personaggio che non agisce. Un personaggio che si lascia condizionare dagli altri. Un personaggio che non cambia il mondo, ma si fa cambiare dal mondo.
Nelle tre parti del film, il protagonista Simba è sempre, esclusivamente passivo. Tutti i suoi movimenti sono regolati da agent provocateur, tutte le sue scelte sono imposte da terzi. Durante tutto il film Simba non fa una cosa, NON FA UNA COSA di sua spontanea volontà: tutto gli viene instillato da vari personaggi che lo spingono a comportarsi bene o male, a dimenticare o ricordare il passato, a fare o non fare la cosa giusta. E Simba esegue tutto senza fiatare.
La tripartizione del film annacqua l’ipotetico tema principale, perso fra una canzone e una apparizione miracolosa, e chiarifica benissimo che i veri personaggi principali sono i coprotagonisti.
È personaggio principale Mufasa, che prima nel suo straordinario discorso dell’antilope dà in 30 secondi una lezione di ecologia e rispetto per la natura di rara forza comunicativa, ma poi nella sua leggendaria apparizione celestiale sprona Simba a tornare a casa non perché è la cosa giusta da fare, ma solo perché è il suo mero dovere dinastico: «Ricordati chi sei», cioè un prode? No, solo il primogenito.
È personaggio principale Rafiki, forse l’unico totalmente positivo del film, che rappresenta la memoria storica delle Terre del Branco e raggiunge nel discorso sul passato il vertice della sceneggiatura.
Sono personaggi principali Timon & Pumbaa, personaggi così negativi che hanno dovuto renderli comici, dando loro i ruoli di Bianco e Augusto, per nascondere il fatto che in realtà sono il Gatto & la Volpe che circuiscono Simba e lo invitano a fregarsene di aver ucciso suo padre e abbandonato sua madre.
È personaggio principale Nala, la quale in un curioso parallelismo con Sally di Nightmare Before Christmas (uscito nel 1993 negli USA e nel 1994 in Italia, una settimana dopo Il re leone), «è l’unica ad avere un pizzico di buonsenso in questa gabbia di matti», come dice Babbo Nachele.
Non è personaggio principale Simba, il quale annuisce ed esegue.
Il re bellissimo
Il re leone è quindi un film che presenta grossi problemi dal punto di vista contenutistico, in particolare fra la fine della seconda e l’inizio della terza parte. Timon & Pumbaa, ad esempio, sono pessimi esempi morali: non sono hippie new age naturisti, sono solo degli accidiosi che scappano (e fanno scappare) dalla vita alla prima difficoltà, e peggio ancora sono pure presentati come comic relief. Non si può nemmeno dire che l’incontro con Nala faccia rinsavire Simba, Timon e Pumbaa, perché il primo torna a casa per meri motivi genetici e di noblesse oblige, mentre i secondi gli vanno semplicemente dietro. Nessuno ripudia l’immoralità dello stile di vita hakuna matata.
Eppure, per quanto tema, personaggi e sceneggiatura siano pieni di criticità, non sono le uniche parti di cui è costituito un film, tantomeno un film d’animazione in cui la componente grafica è veramente basilare, e in questo Il re leone vince facile, dato che presenta una affiancata all’altra una serie di scene di una qualità visiva veramente eccezionale. Si potrebbe quasi argomentare che Il re leone ha la sua massima qualità proprio nelle singole parti e non nel tutto, dato che paradossalmente il tutto è meno della somma delle singole parti, e le singole parti prese da sole sono ineccepibili.
L’opening Il cerchio della vita è certamente una delle scene più iconiche, più perfette, più clamorose della storia del cinema tutto, animato e non.
La scena della mandria impazzita è stata una delle prime scene animate in CG della Disney, dopo gli ingranaggi del Big Ben di Basil l’investigatopo o la fuga dalla Grotta delle meraviglie in Aladdin. Eppure, a differenza di questi altri due esempi, a distanza di 25 anni la qualità grafica della scena della mandria impazzita è intatta e l’uso del computer non salta affatto all’occhio, complice anche un corollario di scelte registiche di altissima qualità, alcune di palese eredità hitchcockiana come il montaggio frenetico di Psyco o l’effetto vertigo de La donna che visse due volte, e altre in omaggio all’eredità disneyana stessa, come gli occhi che restano luminosi mentre il resto dell’immagine diventa scuro come in Cenerentola.
Il processo a Simba è veramente ansiogeno, con l’inquaratura che gira tutta intorno a Simba in senso orario mentre Scar gira in senso antiorario, creando una sensazione di profondo disagio visivo proprio come nella scena della trasformazione della regina Grimilde in Biancaneve e i sette nani.
Dulcis in fundo, il riuscitissimo doppiaggio italiano, portato allo stato dell’arte dalle performance straordinarie di un parterre di attori nientemeno che clamorosi, fra cui si ricordano (in ordine alfabetico) Tonino Accolla, Laura Boccanera, Roberto Del Giudice, Riccardo Rossi e Tullio Solenghi, solo per citarne alcuni.
Una menzione d’onore la meritano i genitori di Simba: Vittorio Gassman, semplicemente impressionante, in grado di colpire al cuore anche solo pronunciando il nome di Simba, e Paola Giannetti, attrice che ha più volte prestato la sua voce alla Disney in ruoli da poche battute eppure sempre ai massimi livelli, fra cui la signora Placidia in Basil l’investigatopo, Sarabi ne Il re leone e la voce cantante di Nonna Salice in Pocahontas, sempre indimenticabile.
Interessante infine notare che tutti e tre i membri del Trio hanno a loro tempo doppiato personaggi Disney. Nel 1994 Tullio Solenghi è il mellifluo Scar ne Il re leone, nel 2000 Anna Marchesini regala al pubblico la perfomance di una vita con Yzma ne Le follie dell’imperatore, e nel 2016 Massimo Lopez doppia con tono regale il sindaco Leodore Lionheart in Zootropolis.
Dopo 25 anni, insomma, Il re leone è ormai più di un film: un simbolo pop universalmente riconosciuto che è ancora oggi in grado di vantare record, di generare discussioni, e di splendere come un diamante africano.
[ Il re leone (1994) • L’arco di trasformazione • Il re leone (2019) • Il musical • Il queer coding ]
Il Re Leone è conservatore, ma così conservatore da non avere nulla a che fare con il conservatorismo attuale. È un film basato sul ripristinare l’equilibrio originario grazie al legittimo erede, non perché Simba sia più competente di Scar, ma perché è lui il prescelto dal “cerchio dalla vita.” Infatti durante il regno di Scar il “cerchio della vita” rifiuta l’usurpatore e manda la savana in rovina.
È un concetto ancestrale di monarchia, cioè di re che sono tali perché favoriti (o discendenti) dagli dei, che portano prosperità alla loro terra con la loro mera presenza.
Vedi i re Maia o i faraoni d’Egitto. E in qualche modo i re medievali che si facevano incoronare da papi e vescovi.
Dubito sia stato applicato coscientemente dagli scrittori del film, ma è un archetipo che fa parte di noi.
Re santo, re divino, re faraone. Infatti siamo in Africa. È una lettura affasciante e non è effatto detto che gli sceneggiatori non l’avessero in mente, o quantomeno non vedessero in Simba un qualche “prescelto” (divino o meno).