I Guardiani del Louvre – Un artista tra le opere d’arte

Alla fine di un viaggio di lavoro in Europa, l’autore decide di visitare da solo Parigi. Una febbre improvvisa però lo costringe nel letto in albergo. Lontano da casa, in una terra straniera, è preda della solitudine. Decide così, nei pochi giorni che gli restano, di visitare soltanto il Louvre… Qui, incontra le opere dei più grandi artisti del passato, ma non solo. Queste diventano l’occasione per un viaggio tra sogno e realtà, tra la propria vita e quella degli artisti incontrati…

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Chi conosce Jirô Taniguchi non si stupirà nel sentire che ancora una volta la storia di un suo fumetto nasce da una sua esperienza personale.

Infatti, nonostante l’autore abbia attraversato nella sua carriera moltissimi generi, dalla fantascienza al giallo, dal western al pulp, secondo me dà il meglio di sé nella produzione più poetica e intimista.

Come è accaduto nel suo primo fumetto in cui mi sono imbattuto, L’uomo che cammina, la sensazione che crea la lettura è quella che l’autore si identifichi completamente nel personaggio principale, che è una «persona qualunque», e per questo crea un immediato contatto con il lettore, che a sua volta è portato a identificarvisi. Pertanto il personaggio diventa in qualche modo elemento profondo di contatto con il mondo dell’autore.

È una modalità che il maestro ha utilizzato più volte nelle opere di cui è stato anche scrittore e sceneggiatore, e che, insieme alla «normalità» dei disegni, crea in lettori «normali» come il sottoscritto una sensazione di pace e di serenità. Sembra di leggere storie profondamente ancorate alla realtà (che Taniguchi studia attentamente prima di proporre nelle sue opere), ma sapientemente portate in una dimensione introspettiva, fino a diventare onirica, grazie alle situazioni e ai personaggi delicati, ai disegni puliti e rassicuranti. Basti pensare a racconti brevi come L’olmo, o a storie più complesse come Quartieri lontani.

© Christophe Beauregard http://www.christophe-beauregard.com/en/jan-2015/

Taniguchi studia maniacalmente le inquadrature, gli sfondi, le atmosfere, cerca di renderle nel modo più realistico, che la storia sia ambientata in Giappone o altrove. Lo ha fatto in passato ad esempio ne La vetta degli dei, ambientata nell’Himalaya, e lo fa qui, con I Guardiani del Louvre, riproducendo gli scorci di Parigi, le sale del Louvre e le altre ambientazioni con dettagliato e poetico realismo. Inoltre da sempre i suoi personaggi hanno un aspetto realistico ma occidentale, a testimoniare la profonda passione nei confronti del fumetto europeo, specie quello franco-belga. E in questo caso sono anche perfettamente coerenti con l’ambiente…

La storia è semplice: un fumettista giapponese, di ritorno dalla Fiera Internazionale del Fumetto di Barcellona (che si tiene effettivamente ogni anno a maggio ed è giunta alla 34a edizione nel 2016) decide di fermarsi a Parigi per altri cinque giorni per visitarla. Viene però preso da una forte influenza ed è costretto a trascorrere i primi giorni nel letto dell’albergo, con tutte le difficoltà di comunicazione e organizzazione del caso. Già in questa premessa e nelle pagine che descrivono la malattia si intravede la dimensione onirica, con gli stessi colori e le stesse forme grafiche che poi ritroveremo nel corso della storia.

Rimessosi in salute, decide di dedicare tutto il tempo rimasto alla visita del Louvre, perché, come dice lui stesso, «per qualche motivo non vi ha mai messo piede». Pur convalescente, si avventura tra la folla e, in preda alla febbre, scivola in una «dimensione che esiste solo nella sua mente, assai più vicina alla realtà che al sogno».

Da quel momento attraversa nei due versi, continuamente, una soglia che lo porta a visitare il Museo nella realtà e nel sogno, pertanto passa dalle sale affollatissime a parti chiuse al pubblico («il sistema di condizionamento»!), dall’incontro con personaggi del passato, anche personale, ai dialoghi con il suo cicerone, che scoprirà essere la Nike di Samotracia.

Così il Louvre diventa un vero e proprio tempio (Taniguchi stesso lo chiama così nel titolo del Capitolo 5) della cultura e dell’arte, di cui la Nike, nelle vesti di una donna dominata dal colore rosa e vestita come in epoca Tudor, è il guardiano-guida, quasi una dantesca Beatrice senza la quale l’autore non riesce a orientarsi. Lei ne conosce i segreti, sia inteso nel senso di loci, sia inteso nel senso dell’essenza del Museo. È lei a dire «il Louvre è un labirinto onirico che esiste al confine tra sogno e realtà».

E il protagonista incontra, in questo labirinto in cui si perde ogni volta che entra, nei giorni successivi, santi e sacerdoti di questo tempio. I santi sono soprattutto i pittori, che, in una escalation, vanno dal giapponese Asai Chū, in qualche modo antesignano dello stesso Taniguchi per il rapporto con l’arte e la cultura occidentale, fino all’incontro con Van Gogh. In realtà quest’ultimo non compare nel Museo, ma quando il protagonista decide di spostarsi a Auvers-sur-Oise, ultima residenza del pittore olandese. Così emerge un altro fattore: è il sogno a seguire l’uomo, non è legato al luogo, ma sembra essere una dimensione che l’uomo porta dentro di sé, proiettandola sui luoghi che visita.

Al suo ritorno al Louvre, il giorno successivo, incontra Antoine de Saint-Exupery, vestito da aviatore ma identificato come «lo scrittore», uno dei sacerdoti del tempio, che gli racconta la storia di Jaujard e Schommer, salvatori delle opere del Louvre dall’invasione nazista. E tra le opere salvate c’è la Nike, che infatti in questa parte del racconto diventa molto più reale, quasi carnale, perché se ne sente il coinvolgimento fisico in questa parte della storia.

L’ultimo incontro del protagonista è con la moglie morta, alla quale aveva promesso di andare insieme a visitare il Louvre, senza però averne avuto la possibilità. E in qualche modo c’è, nel tempio del Louvre, una redenzione, una storia di salvezza. Lei lo “libera” dalla sensazione di tristezza ovattata, che, ce se ne accorge solo qui, permea tutta la storia. La tristezza viene a galla solo nell’ultimo capitolo, dopo averci accompagnato sottotraccia per tutta l’opera. Quando se ne capisce il motivo, con le lacrime agli occhi, si scioglie il senso di angoscia, si comprende il significato di questa visita parigina, che all’inizio della storia sembrava quasi una forzatura. Nelle prime pagine, in una didascalia, l’autore-protagonista dice «ho salutato gli altri e sono andato a Parigi», con un senso di rottura improvvisa ed incompresa, che si ricompone qui. Nonostante sia la «terza volta a Parigi», non ha mai visto il Louvre perché doveva vederlo con la moglie. La Nike glielo profetizza: «presto arriverà la persona che lei sta aspettando».

È nel momento in cui si realizza la promessa fatta che si torna nella realtà; una realtà dalla quale il protagonista si è sentito lontano per tutta la storia, tanto che a un certo punto è lui stesso a esprimere i dubbi del lettore: «chissà… forse non mi sono mai mosso dal letto dell’hotel e sto delirando in preda alla febbre…». Il dubbio viene al lettore, e se lo trascina, fino quasi alla fine. Il labirinto del Museo è in realtà il labirinto che ognuno ha dentro di sé, misterioso ma popolato di guide e di guardiani, che restano punti fermi, come l’olmo di un altro racconto di Taniguchi. Così alla fine il dubbio si scioglie, nel modo meno doloroso: in realtà non importa se le cose siano successe fisicamente o no, perché è quello che noi sentiamo a succedere realmente.

Taniguchi sa essere come al solito delicato e commovente, senza essere stucchevole, in questo seguendo le orme di altri maestri giapponesi, come Miyazaki, e contribuendo egli stesso a tracciare un solco che lo distanzia dalla visione occidentale. Il tema della morte è trattato con rispetto e sollievo, perché il ricordo e l’arte possono essere entrambe forme di immortalità.

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Jean-Baptiste-Camille Corot, Souvenir de Mortefontaine

Dal punto di vista grafico, in quest’opera il colore, delicato, quasi acquerellato, sostituisce il tratto che ha definito i dettagli in altre opere di Taniguchi dal profondo carattere poetico.

Tuttavia non si perde il gusto del particolare: le tavole, in questo formato anomalo perché edito in Francia dalle stesse Edizioni Louvre, permettono il contatto con la realtà fisica anche nei momenti in cui la storia è più onirica.

Si distinguono infatti nei disegni le cesellature delle decorazioni barocche dei soffitti del museo, i dettagli delle statue sui palazzi parigini, ma anche alcune minuzie tecniche, come le tubature della centrale termica del Louvre o i particolari della stanza dell’hotel. Questo crea anche il contrasto con gli eterei guardiani, di forma indistinta e di colori irreali.

Le inquadrature, come d’altra parte il taglio delle vignette nelle pagine, sono molto dinamiche, cambiano continuamente, nell’ambito della stessa pagina. Contribuiscono entrambe, da una parte a dare il senso del sogno, perché sono irregolari e variabili, dall’altra a mantenere il contatto con la realtà, perché toccano ed evidenziano, anche se in modo fuggevole, i dettagli fisici delle scene.

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© Jirô Taniguchi/Futuropolis – Musée du Louvre

Il registro cromatico cambia per raccontare con le immagini i diversi momenti storici in cui si ritrova il personaggio. Così nella foresta dove incontra Jean-Baptiste-Camille Corot, il tratto e il colore ricordano lo stile del paesaggista francese. Durante l’incontro con Van Gogh i colori e lo stile dell’artista olandese tornano nelle pagine di Taniguchi. Perfino il personaggio Van Gogh sembra tratteggiato con lo stile del Van Gogh pittore. I colori mancano solo nel racconto del salvataggio delle opere nel 1939, sostituiti con un seppia che sa di storia e di “età oscura”. Taniguchi sottolinea forse che in quell’epoca l’arte e il sogno sono stati oscurati dalla grettezza umana, visti solo nel loro valore monetizzabile.

E i guardiani del titolo non sono stati sufficienti a preservare il sogno e l’arte dalla barbarie umana. Al punto da non comparire mai nella parte della storia che fa riferimento al 1939, sostituiti dagli efficientissimi guardiani in carne ed ossa che hanno imballato e portato via le opere d’arte. Solo in una delle vignette virate seppia compaiono i guardiani indistinti e colorati, quella in cui la Nike ricorda come è stata salvata lei stessa, quasi a sottolineare il legame con il presente e con un sogno che neppure la brutalità della guerra ha spento.

Il fumettista, alter ego dell’autore, si trova realmente tra le opere di uno dei musei più famosi al mondo, al quale ha voluto rendere omaggio. In effetti il Louvre può essere considerato uno dei luoghi dove è concentrata la massima espressione dell’arte occidentale, alla quale Taniguchi rende onore, e di cui non nasconde l’influenza sulla sua opera.

Credo che sia per questo che ne ha fatto il luogo deputato al contatto tra la realtà e il sogno. Un contatto che diventa fruttuoso e rigenerante per la vita dell’uomo soltanto se non si perde né, da una parte, in un materialismo becero e insensibile, né, dall’altra, in un astrattismo irreale. Questo il ruolo dell’artista, e quindi anche del fumettista: riuscire a tenere vivo questo contatto, sempre in equilibrio, facendolo percepire a tutti gli uomini.

Quindi in qualche modo, tra i guardiani del Louvre, insieme agli «spiriti che dimorano nelle cose», possiamo annoverare Taniguchi, tutti gli artisti, ma anche un po’ tutti coloro che vogliono vivere la propria vita, vagando nella «realtà onirica», lasciando una traccia reale nel sogno degli altri.

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