Dylan Dog 353 – Una recensione inquieta

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C’è chi dice che i fumetti violenti siano catartici, e cioè ci servano per esorcizzare paure e sfogare istinti in maniera socialmente accettabile. “Il Generale Inquisitore” è un albo che non esorcizza alcuna paura: se volete sapere perché, leggete la nostra recensione.

Dopo aver letto questo numero di Dylan Dog non ho potuto fare a meno di riflettere sull’essenza di un fumetto dell’orrore. Cosa vuol dire nello specifico scrivere (e disegnare) un fumetto dell’orrore?

La risposta più ovvia sembra essere “spaventare il lettore”. Potremmo anche accettarla se non fossimo dei maledetti precisini; ma essendo dei maledetti precisini diciamo che “spaventare il lettore” non è una risposta.

Spaventare vuol dire “causare paura”, e la paura è un sentimento che serve a farci scappar via in situazioni di pericolo vero o presunto.

Dato questo, il fumetto non può spaventarci; sempre che qualcuno di voi non tema che sfogliarne le pagine e leggerne la storia possa costituire in qualche modo un pericolo per la propria incolumità (oddio, con certi fumetti è quasi così). Sono però abbastanza sicuro che nessuno sia mai morto a causa di un fumetto.

In genere quindi chiamiamo “fumetto horror” quei fumetti dove non ci si fa scrupolo di mostrare squartamenti, efferati omicidi, mostri sovrannaturali assetati di sangue. Chi ha veramente paura, nei fumetti horror, sono i personaggi: e se questo non fosse chiaro spesso si sottolinea la cosa con didascalie, espressioni del volto, chiaroscuri netti e “gasp” a iosa.

Ogni tanto, però, capitano quei fumetti che, in qualche modo, ci mettono paura. Ognuno lo fa in modo diverso, per motivi diversi, ma accade.

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Ecco, questo numero di Dylan Dog, scritto da Fabrizio Accatino e disegnato dall’esordiente (su Dylan Dog) Luca Casalanguida, ci riesce. Quello che segue è una tentativo di spiegare perché.

1- Delle sequenze mute

L’albo ha diverse sequenze mute, così tante e così ben piazzate che viene il sospetto siano una scelta stilistica ben precisa. Come spiegare altrimenti la pagina d’apertura?

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Un uomo si fa una doccia e si prepara ad uscire. Il silenzio, il tratto pulito, i gesti semplici e quotidiani, quelle mutande da uomo, definiscono l’atmosfera dell’albo una volta per tutte. Gli autori ci dicono che questa storia è profondamente immersa nella realtà, è una storia verosimile. Ed è proprio il silenzio a darcene la conferma definitiva. Quante volte, nella vita, compiamo azioni semplici, ripetitive, nel completo silenzio?

E in silenzio accadranno altre cose, nel corso dell’albo. Cose belle e cose brutte. Cose normali e cose meno normali. E tutte sono avvolte nella stessa atmosfera di silenziosa normalità, senza enfasi alcuna, né nella scrittura né nel disegno. Come a dire: c’è gente che si fa la doccia, e c’è gente che muore, ed entrambe le cose sono possibili, ed entrambe le cose accadono, tutti i giorni.

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Non vi fa un po’ paura?

2- L’orrore sotto casa

Londra non è certo a due passi, ma nemmeno così lontana. Leggere questo albo è un po’ come visitarla. Non credo siano casuali nemmeno i tanti rimandi a luoghi effettivamente esistenti: la Royal Albert Hall, i cinema, il British Film Istitute.

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Com’è il BFI nel fumetto e nella realtà

Londra non è esattamente sotto casa, ma la Londra di questo fumetto è la Londra vera, la Londra di pietra e mattoni; è la Londra che non è esattamente sotto casa, ma a portata di aereo.

È un luogo possibile e quindi anche gli orrori che vi si ambientano sono possibili.

Se poi questi orrori sono presi dalla storia dell’Inghilterra; se Mattew Hopkins, il Generale Inquisitore, ha ucciso trecento donne in tre anni, più di quante ne furono uccise per stregoneria nei cento anni precedenti; se le ha impiccate; se la prova della loro consapevolezza era se avrebbero o no galleggiato una volta gettate nel fiume con le mani legate; se tutto questo è vero, è accaduto, allora come possiamo non aver paura?

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La storia e la Storia s’intrecciano, passando attraverso un film realmente girato, su un personaggio realmente esistito, girato da un regista realmente vissuto e realmente morto. E Accatino fa di tutto questo dei personaggi veri e vibranti della storia, mostrandoci tutto nella sua agghiacciante, piatta normalità. Come il sorriso da casalinga di Estelle, mentre compie il suo lavoro con la stessa concentrazione che avrebbe nel passare l’aspirapolvere (sembra quasi di sentirla provare lo stesso, strano, atavico piacere che si prova a veder sparire quelle briciole sul pavimento). Come le pene d’amore di Jeremy e la sua incredibile confessione a Rebecca.

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Normalità e orrore che si mescolano fino a diventare indistinguibili. Come se, forse, non fosse veramente mai stato possibile distinguerle.

3- E il protagonista? Nessuno pensa al protagonista?

E Dylan Dog? Quando scrivi un fumetto dal taglio così realistico, e quando la sensazione di verità è così importante perché il lettore faccia quello che vuoi tu, ovvero spaventarsi, infilarci il personaggio di fantasia diventa un rischio enorme.

Ci sono molte sequenze dell’albo senza Dylan, molto più del solito, ma non è per paura. Dylan c’è, e c’è pure Groucho. Su quest’ultimo Accatino compie il suo capolavoro; perché, se dopo Groucho ancora ti sembra di essere nel mondo reale, allora niente può più rovinarti l’atmosfera.

E come fa, Accatino? È semplice, ce lo mostra per quel che è, una macchina da battute che non interagisce con il contesto; come un pazzo chiuso in sé stesso, un’isola del mondo, talmente assurdo da assomigliare terribilmente agli alienati che talvolta incontriamo per strada. Talmente pazzo da non smettere nemmeno a letto, nemmeno nei sogni. È il Groucho di Sclavi, pazzo e reale.

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Scavallato il problema-Groucho (che un autore più codardo avrebbe semplicemente potuto evitare), affrontare Dylan è un gioco da ragazzi. Accatino può permettersi persino di affondare la penna in alcune delle sue caratteristiche più sopra le righe, come il vegetarianesimo. È una sequenza magistrale perché, di nuovo, ci mostra come la realtà abbia da tempo superato persino le peggiori manie di Dylan, al punto da farlo risaltare nelle sue contraddizioni e, quindi, umanizzandolo.

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È un Dylan imperfetto, forse un po’ vittima degli eventi, come a Recchioni non piaceva; eppure stavolta gli vogliamo bene per questo, per il suo essere semplice e forte anche nel momento più drammatico. Protagonista discreto della storia, che senza di lui non sarebbe così buona.

4- La fine

Accattino, alla fine, si gode il risultato dei suoi sforzi. Il finale ha tratti grotteschi, spinge sull’acceleratore e si inoltra nel campo dell’horror più classico, ma la costruzione della storia ha funzionato così bene che ormai siamo come creta nelle sue mani, pronti a credere persino a uomini in fiamme che non fanno una piega. Anzi, poiché si è guadagnato la nostra fiducia, ora abbiamo paura.

Accatino avrebbe costruito una storia pressoché perfetta, se la perfezione esistesse.

Una nota di merito va anche ai disegni di Casalanguida: il suo tratto pulito, versatile, abile nel tratteggio e nella pennellata sono perfettamente fusi con i testi. Casalanguida rappresenta perfettamente il gruppo di nuove leve che la Bonelli si sta crescendo, capaci di modernizzare lo stile classico a cui ci ha abituati la casa editrice.

Dylan Dog 353, “il Generale Inquisitore”, è uscito nel mese di gennaio per la Sergio Bonelli Editore. Resterà nelle edicole per un mese, quindi affrettatevi, perché le edicole sono infami: non hanno arretrati.

 

© SERGIO BONELLI EDITORE 2016
Dylan Dog è un personaggio creato da Tiziano Sclavi
Soggetto e sceneggiatura: Fabrizio Accatino
Disegni: Luca Casalanguida

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