Wednesday Warriors #35 – Superman: Year One #1
In questo numero di Wednesday Warriors: Superman Year One di Frank Miller e John Romita Jr.
In questo numero di Wednesday Warriors:
SUPERMAN: YEAR ONE #1 di Frank Miller e John Romita Jr.
Bam’s Version
Inserendo “Frank Miller hates” come ricerca su Google, il testo vi verrà auto-completato in “Frank Miller hates Superman”. Dell’odio di Miller nei confronti dell’Uomo d’Acciaio se n’è discusso sin da Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, opera del 1986 che insieme a Watchmen di Moore e Gibbons rivoluzionò il concetto di supereroe per gli anni a venire.
Il Superman di Miller è sempre stato visto come servile, assoggettato dal Governo Statunitense – una chiave di lettura solo in parte corretta, dato che il suo era un compromesso necessario per mantenere la pace e proteggere i suoi compagni d’arme supereroi, messi al bando dal Governo anni prima. Quello di Miller, per alcuni, è sempre stato visto come un Superman umiliato, servo del sistema, cane da guardia di politici spaventati dall’eroe vigilante Batman, protettore degli innocenti. Superman agiva per un bene superiore, mascherato dalle bugie dei politici e dei capi di stato. Come tutti noi, almeno una volta nella vita, l’Uomo d’Acciaio si è fatto ingannare ed ha creduto in un futuro pacifico. Non bastò Il Cavaliere Oscuro Colpisce Ancora, sequel del 2001 della graphic novel originale, tantomeno il capitolo successivo, il più recente Razza Suprema del 2015. Il percorso di redenzione dell’Uomo d’Acciaio e la sua presa di coscienza del proprio ruolo nel mondo non furono capite da chi leggeva Miller, forse più concentrato a criticarne l’evoluzione artistica, le volute esagerazioni narrative o i lunghi ritardi nella produzione.
Con il debutto della linea “per adulti” Black Label, DC Comics ha approfittato dell’occasione per spingere sui propri personaggi di punta e tornare ad offrire serie a fumetti in formato prestigio dai toni sferzanti, audaci e sicuramente non convenzionali. In quest’ottica va fissato il ritorno di Frank Miller sul personaggio. Superman: Year One offre all’autore del Maryland una nuova occasione per tornare in quell’universo narrativo e raccontare le origini del “suo” Superman, accompagnato per l’occasione dai disegni di John Romita Jr.
Le 68 pagine dell’albo si aprono su Krypton, un pianeta sull’orlo della distruzione. La voce narrante appare impersonale, distaccata eppure metodica e “viva” nell’analisi delle emozioni e degli eventi che circondano il neonato Kal-El. Il narratore segue diverse prospettive: alle volte, il suo tono è solenne nel descrivere i venti del Kansas spezzati dall’atterraggio della navicella Kryptoniana, “come la Mano di Dio” che purifica il raccolto nei campi. Altre volte, si abbassa e si mescola alla voce degli abitanti di Smallville, diventa volgare e umana: Jonathan Kent prende “il bastardino” tra le braccia, chiedendosi di “cosa cacchio” sia fatto per pesare così tanto. La griglia rigida, ma mai soffocante, delle tavole di John Romita Jr. segue i primi giorni del piccolo Clark sulla Terra. La scoperta dei poteri è graduale e legata a momenti particolari della crescita di un bambino: le prime corse nei prati, accompagnate da balzi inumani; un boccone di pappa troppo caldo, che scatena la vista termica del bimbo Kryptoniano; una nottata di sonno inquieta, disturbata dal suono di milioni di creature, dalle più grandi alle più piccole, che friniscono, bubolano, gracidano, un tormento per un ragazzino che scopre il suo super-udito. Il Clark Kent di Frank Miller dorme e senza accorgersene vola lontano, risvegliandosi la mattina dopo in un campo di grano lontano. “Now, how the heck am I gonna get home?” si chiede, “Come cavolo faccio a tornare a casa?”. Il ragazzino venuto dallo spazio, caduto sulla Terra ricorda, forse non a pieno ma ricorda Krypton, sente l’istinto inconscio di volare lontano.
Le prime ventisei pagine dell’albo raccontano di un solo bambino e due famiglie – una perduta, l’altra trovata. Kal-El viaggia lo spazio in splendide tavole di John Romita Jr. per trovare una nuova casa ed un nuovo nome, la Terra, l’America, il Kansas di Clark Kent. La natura e l’educazione del giovanissimo Clark passano attraverso le parole schiette, sincere di Jonathan Kent e dei pomeriggi d’autunno passati a giocare a baseball in un campo, così come l’irrequietezza, il seme del dubbio dell’abbandono sembrano nascosti all’interno della navicella venuta da Krypton. Clark sa benissimo di essere destinato a grandi cose – l’ha sentito chiaro e tondo, come se il narratore di Superman: Year One parlasse anche a lui e non solo ai lettori. Frank Miller decide di non dare una risposta immediata e la narrazione si sposta nel futuro, verso un’età fondamentale nella crescita – l’adolescenza.
Per questa occasione, il narratore esterno si sposta in disparte, più precisamente nelle chiose ai pensieri e parole di Clark Kent. L’anno scolastico comincia all’insegna del bullismo, uno degli argomenti centrali dell’albo; prendendo in prestito una pagina dal Ragno della Casa delle Idee, Clark si trova sempre più pensieroso sulle sue responsabilità. Sente benissimo di avere il potere per fermare i bulli e dar loro una lezione, ma sarebbe giusto utilizzare le sue capacità in questo modo? L’ansia e il nervosismo sopiti si fanno sempre più evidenti, bollono e il ragazzino innocente di Smallville inizia a sviluppare insofferenza, un’aggressività tipicamente adolescenziale. Le parole e le raccomandazioni dei genitori gli stanno stretti, la sofferenza di chi gli sta intorno brucia. Metterlo “nei guai” è un modo interessante per far venir fuori l’indole altruista di Clark, che ha nei suoi migliori amici un gruppo di sfigati ed emarginati, “alieni” in un mondo normale. Anche quando il giovane mostra una briciola del suo potenziale, finendo per rompere il braccio ad uno dei bulli, la risposta è infinitamente più crudele. Clark ha disobbedito ai genitori, ha difeso i suoi amici, ha dato una lezione ai cattivi, ma alla fine ciò che gli rimane è aver ferito ancora di più chi pensava di proteggere.
Il ritmo della narrazione si fa più intenso. Come il protagonista, il lettore si trova a dover interrogare la natura di questi atti crudeli, dalle uova in faccia alle bastonate, dagli armadietti zuppi d’acqua fino all’atto estremo, un tentato stupro. Gesti estremi ma mai troppo da sembrare surreali o improbabili nel “nostro” mondo. Superman: Year One rende Smallville maledettamente reale per la sua natura bieca, nella quale i personaggi positivi si sentono accerchiati e minacciati. Per Miller e Romita Jr., la vita al liceo di Smallville è un continuo ciclo di sopravvivenza, un posto in cui oggi sei il re e domani il giullare – una visione da cliché, stereotipata ma in fondo veritiera. Il figlio di Ma’ e Pa’ Kent rompe la griglia di Romita Jr. nella prima grande splash page dell’albo. Clark vola e salva Lana Lang dagli aggressori. Quello che il “Clark umano” non poteva fare viene spazzato via nel primo atto di maturazione del “Clark superumano”, audace, folle, spontaneo, eroico. Torna il narratore esterno per descrivere al lettore la magica sensazione del primo volo di Clark Kent, il rumore del battito del suo cuore che fa sbocciare la love story con Lana, le nuvole ad un passo. La fase adolescenziale di Superman: Year One si interrompe qui.
Il rapporto di Clark e Lana Lang è una nota tenera necessaria dopo venti pagine piuttosto ciniche. Le love story non sono mai state il fiore all’occhiello di Frank Miller, ma essendo questa la loro prima esperienza l’autore si lascia andare a qualche benvenuta tenerezza tra i due, corredata da una splendida sequenza che illustra e racconta l’emozione dei primi baci tra i due. Le parole del narratore si fanno volutamente smielate ed i primi voli nell’aria del giovane Kent sembrano quasi il naturale effetto di una freccia di Cupido.
Clark matura e la rabbia sembra sbollire, le idee si chiariscono e le parole del padre acquisito – così come quelle di Jor-El – si imprimono nella mente: “Sveglia, figlio mio, sveglia. Un mondo di meraviglie ed orrori ti attende. Un mondo che ha bisogno di te, ha bisogno di essere salvato.” Dopo una lunga giornata nei campi, illuminati dal Sole, Clark confessa al padre di essersi arruolato in Marina, di aver accettato il suo consiglio e di aver necessario bisogno di conoscere il mondo che lo ha accolto. Una scelta sofferta ma responsabile, una scelta che molti ragazzi normali come lui fanno a quell’età. Non la scelta di un supereroe, ma di una persona comune che vuole dare qualcosa a chi lo ha cresciuto, vuole proteggerli e vedere il mondo.
Con una narrazione semplice, serrata ma mai tremendamente pesante o cupa, cinica – specialmente dato il contesto narrativo e la continuity in cui si inserisce – gli autori stagliano il loro giovane Superman in maniera innovativa, fresca e soprattutto nuova. Non risparmiano sui dialoghi né sull’abbondanza di pensieri e descrizioni, anche a costo di risultare ridondanti. Le linee di John Romita Jr. sono le più classiche del figlio d’arte di casa Romita: la velocità d’esecuzione può essere scambiata per superficialità, ma l’impatto delle tavole chiave dell’albo raggiungono l’effetto sperato.
Con Superman: Year One #1 Frank Miller non sembra assolutamente dare più alcun adito alla strana, bizzarra teoria del suo odio verso Superman. Semmai, questo #1 conferma quanto Frank Miller ami Clark Kent e ciò che rappresenta. Il Kansas e Smallville giocano un ruolo fondamentale nella crescita di Kent quanto la sua nascita su Krypton. Qui vero e proprio Alieno Americano, molto più che nella miniserie omonima di Max Landis, il Clark Kent di Frank Miller e John Romita Jr. rappresenta una sfida non solo alla readership tradizionale di Superman, ma soprattutto al preconcetto che si ha di Frank Miller e del suo rapporto con Superman.
Gufu’s Version
Nella letteratura di tipo seriale esistono due tipi di continuity, una ufficiale e una che potremmo definire individuale.
La seconda riguarda l’esclusiva esperienza di ogni singolo lettore ed è composta dalle storie che lui ha letto e che ha coscientemente inserito nell’elenco di quelle che egli ritiene essere il canone relativo a un determinato personaggio.
La cosiddetta continuity individuale non può quindi essere terreno per confronti specifici, né può essere base di una qualunque critica che possa definirsi anche lontanamente oggettiva, in quanto riguarda esclusivamente la sfera personale di ognuno di noi e in quanto tale è assolutamente soggettiva. Per farla breve non si può dire che un fumetto debba rispondere a determinati canoni che sono frutto di un’esperienza esclusiva.
La continuity ufficiale invece è ben altra cosa e riguarda quell’insieme di storie che il proprietario dei diritti di quel dato personaggio decide siano parte della storia effettiva dello stesso.
Superman: Year One è assolutamente fuori dalla continuity ufficiale e lo è per un motivo essenziale: quello di permettere a due degli autori più importanti della storia del fumetto di lavorare alla loro personale rilettura del mito dell’Uomo d’Acciaio senza dover sottostare ai vincoli della “burocrazia”.
Nella lettura, e nel conseguente giudizio, di Superman: Year One è quindi fondamentale tenere a mente che ci troviamo di fronte all’elaborazione di una continuity individuale, somma delle due diverse concezioni che i due autori hanno di Superman.
Possiamo chiederci quindi che senso abbia un’operazione del genere visto che, muovendosi al di fuori dei canoni dell’ufficialità, teoricamente non potrebbe incidere in maniera determinante sull’iconografia del personaggio. La risposta è tanto semplice quanto evidente anche a chi guardi distrattamente la copertina dell’albo: è scritto da Frank Miller.
E tanto basta.
Da Miller ci si aspetta sempre una rilettura che ridefinisca il personaggio in maniera determinante anche in contesti ufficiosi (vedi “Il Ritorno del Cavaliere Oscuro”), e nel momento in cui l’autore mette mano a un’icona come quella di Superman è lecito quindi pensare che vedremo qualcosa di veramente diverso dal solito e altrettanto determinante per il futuro dello stesso.
In un certo senso è proprio quello che succede in questo primo albo: questo giovane Kal-El non è l’Uomo d’Acciaio di Byrne, tanto meno quello post-Flashpoint o quello delle storie di Otto Binder e Curt Swan. Frank Miller attinge e rielabora il Superman primigenio di Jerry Siegel e Joe Shuster per ridefinirne il Mito.
In quest’ottica è fondamentale, quanto complessa nella sua intelligibilità, la scelta narrativa dello scrittore del Maryland: la narrazione in prima persona, che caratterizza gran parte della sua scrittura, viene leggermente spostata, decentrata, proponendosi non più come una soggettiva quanto come una semi-soggettiva dalle caratteristiche più cinematografiche che letterarie. Il narratore, parzialmente onnisciente, pone l’ipotetica cinepresa alle spalle dei protagonisti, descrivendoci il loro punto di vista, spostandosi da personaggio a personaggio e offrendo ogni volta una diversa angolazione del racconto: una volta è Clark, un’altra è Jonathan, poi Martha e così via…
Come è normale che sia, gran parte del racconto si svolge dalla prospettiva del piccolo Kal/Clark mostrandocelo come già cosciente al momento della tragedia di Krypton e durante la solitaria traversata del cosmo fino all’arrivo sulla Terra: questo espediente permette al lettore di vivere assieme al piccolo Kal-El la tragedia della perdita dei genitori che si somma all’esperienza della più assoluta solitudine vissuta durante il viaggio interstellare. L’arrivo sulla Terra quindi si disvela ai suoi/nostri occhi come una vera e propria salvezza, carica di luce – il sole che dona al Kryptoniano i suoi superpoteri – e di vita, in contrasto con la sterilità asettica di Krypton.
Miller enfatizza, forse anche eccessivamente, il rapporto tra i sensi supersviluppati di Clark e il mondo che lo circonda, un mondo talmente vasto e interessante che non può fare a meno di mettere il nostro eroe nella prospettiva di chi vuole esplorarlo.
Tutto il racconto è talmente permeato da questa soggettività che il duo di autori sceglie di mettere in secondo piano ogni velleità di realismo: ad esempio l’arrivo del bimbo viene accettato da Martha con un’incredibile nonchalance e non si fa cenno alle pratiche di adozioni con le relative giustificazioni. La stessa Smalville viene descritta come un luogo che non esiste e non è mai esistito nella realtà degli Stati Uniti, è più un’icona, un luogo idealizzato, che non la rappresentazione di una vera cittadina del Midwest.
Tutta la prima parte dell’albo è smaccatamente naif e tradisce un ottimismo che Frank Miller raramente mostra nelle sue opere: a differenza di gran parte delle altre “storie di origini” qui, come nella prima versione scritta da Siegel e Shuster, Clark ha i superpoteri sin da piccolo. Questo però non lo rende un piccolo dittatore crudele come mostrato, in un’ottica decisamente plausibile, da Rick Veitch nel suo Maximortal; il Clark Kent di Miller non diventa “buono” per via dell’impossibilità di accedere ai propri superpoteri prima di subire l’educazione genitoriale, come invece accade dal Man of Steel di Byrne in poi, ma lo diventa per scelta, perché così viene cresciuto ed educato dai genitori adottivi: i due accettano la diversità del figlio senza alcuna paura – e con un rigore morale che sa molto di “American Way of Life” – descrivendo un percorso formativo diverso da quello visto, ad esempio, sugli X-Men o sullo stesso Man of Steel di Zack Snyder.
Qui i superpoteri sono un dono e non una maledizione da temere.
Questo velo di ingenuità viene però strappato, verso la metà della storia, da un’invasione perentoria di una realtà molto meno idealizzabile, un punto di svolta significativamente crudo che ha fatto sollevare non poche sopracciglia nel mondo della critica statunitense e che è sottolineato dall’unica spread page che JRJR si concede in tutto l’albo. R
ileggendo le prime pagine alla luce di questo avvenimento si nota come Miller e Romita avessero inserito, quasi subliminalmente, degli indizi – un sottotesto inquietante – che lasciavano percepire una realtà non così idilliaca come può sembrare inizialmente. Si tratta, in tutta evidenza, della prima vera battaglia “per la Verità, Giustizia e tutto il resto”: è il primissimo passo di Clark Kent per diventare quell’icona eroica e supereroica che è Superman, il primo capitolo di un racconto di formazione che assume i contorni del Grande Romanzo Americano che ogni scrittore statunitense ha nel cassetto.
La narrazione prosegue compassata per tutte le 64 pagine e lo stesso Romita Jr imposta la sua gabbia nel modo più ordinato possibile, evitando tagli e inquadrature ardite cadenzando un ritmo costante e privo di rilievi significativi pur restando, grazie alla sintesi raggiunta da JRJR negli ultimi anni, una lettura agevole nel suo complesso. Probabilmente delle chine più corpose, rispetto al tratto esile di Danny Miki, avrebbero giovato in un’ottica di maggior tridimensionalità e forza delle immagini, ma il lavoro dell’inchiostratore risulta comunque adeguato al tono ricercato dall’opera.
Il Superman di Miller e Romita Jr si presenta in questo primo capitolo come un’interessante atto di fedeltà e amore per il personaggio originale, sebbene privo di quella carica simil-socialista che caratterizzava i primi numeri di Action Comics poi ripresa da Grant Morrison nel 2011, dove la prospettiva originale viene ribaltata: se il Clark Kent goffo, imbranato e pavido era la rappresentazione di come Kal-El vedeva gli esseri umani, qui quella prospettiva è introiettata e gli autori ci mostrano il punto di vista del Kryptoniano, alieno come poche volte prima d’ora, sulla fragilità umana di chi lo circonda.
First Issue!
EVENT LEVIATHAN #1 Di Brian Michael Bendis e Alex Maleev
Ci sono oggettivamente pochi team creativi in grado di tenere in piedi un intero albo composto principalmente da un dialogo e uno di questi è sicuramente quello composto da Bendis e Alex Maleev: se c’è una cosa che un aspirante scrittore di fumetti può e deve imparare da Bendis è proprio la sua capacità di costruire dialoghi credibili in maniera estremamente intelligente. Questi non si sovrappongono mai a quanto già raccontato dai disegni e, laddove non forniscono elementi di intreccio, aggiungono profondità ai personaggi senza che questi ultimi “spieghino” in maniera didascalica loro stessi.
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