DF si è unita alle ribonkko ed è andata a visitare la mostra dedicata a Ribon, la rivista di shoujo manga che nei primi anni ’90 vendeva oltre 2 milioni e mezzo di copie grazie ai suoi celebri fumetti.
La storia degli shōjo manga (i fumetti giapponesi a target femminile) in Italia è piuttosto travagliata. Nonostante le serie animate tratte da questa produzione siano state fra quelle di maggior successo sui canali delle televisioni private degli anni ’80, pensiamo a Kiss Me Licia e Candy Candy come esempi lampanti, i relativi fumetti hanno dovuto aspettare anni e a volte decenni per poter essere pubblicati in versione italiana, non prima della fine degli anni ’90 con la comparsa della rivista contenitrice Amici della Star Comics nel novembre 1997, e grazie alla spinta del fandom riunito sul web, in particolare su portali come Shoujo Manga Outline. In Giappone la situazione degli shōjo è migliore di quella italiana, ma sempre e comunque immensamente subordinata a quella degli shōnen: basti ricordare che nella top 50 dei manga più venduti di tutti i tempi figurano due soli shōjo, ovvero Hanayori dango e La maschera di vetro. Nonostante ciò, c’è stato però un periodo in cui gli shōjo sembravano aver raggiunto un successo paragonabile a quello degli shōnen: si tratta dei primi anni ’90 e protagonista di quel periodo è stata la rivista Ribon.
Alla fine del 1993, e precisamente col numero di novembre 1993, la rivista Ribon della Shūeisha, fondata nel 1955 e soprannominata «la bibbia delle bambine», raggiunse la sua tiratura record di 2 milioni e 550 mila copie. Si trattò di un traguardo assoluto per una rivista di shōjo manga dovuto alla compresenza su quelle pagine di un gruppo di fumettiste che, col senno di poi, sono considerabili a tutti gli effetti un vero e proprio dream team che comprendeva Miho Obana, Ai Yazawa e Wataru Yoshizumi, solo per citare le più note in Italia.
Sempre per dare un contesto, negli stessi mesi la rivista gemella della stessa casa editrice Shōnen Jump dedicata al target dei bambini vendeva 6 milioni e mezzo di copie per lo stesso motivo, ovvero la presenza contemporanea di serie come Dragon Ball, Slam Dunk, Kenshin samurai vagabondo e altre. Oggi i numeri sono fortemente scesi (nel primo trimestre 2019 si contavano meno di 150 mila copie per Ribon e oltre un milione e mezzo per Shonen Jump), quel periodo è ormai ricordato come una sorta di “golden age del manga”, perlomeno di quello più popolare, e la memoria di quei titoli mitici resta ancora nel cuore e nei ricordi dei lettori ormai cresciuti.
Proprio per celebrare i gloriosi tempi andati e magari anche farsi pubblicità fra le giovani generazioni, la casa editrice Shūeisha ha organizzato una mostra itinerante partita lo scorso 18 luglio 2019 e intitolata Ribon – 250 man ribonkko daizōkangō, ovvero “Ribon – Numero specialissimo per le 2 milioni e mezzo di ribonkko“, dove le ribonkko sono le lettrici di Ribon, identificabili nel target d’età fra le scuole elementari e le medie. La mostra presenta 16 opere di 11 autrici che hanno pubblicato sulla rivista durante il suo periodo d’oro: per ogni autrice è presente uno striscione con la descrizione della o delle opere, una serie di tavole originali, teche con gadget, schizzi e altri materiali, e una illustrazione originale tutta nuova realizzata apposta per la mostra. La stragrande maggioranza dei visitatori è composta da donne adulte, ex ribonkko (o ancora ribonkko nel cuore), qualcuna magari con figlie a seguito, e da qualche raro otaku maschio.
L’evento è organizzato in collaborazione con i grandi magazzini Takashimaya ed è ospitato nelle varie sedi dei suoi punti vendita: dopo Shinjuku, Kyōto, Nagano, la cancellazione della mostra a Saga per via del coronavirus, la ripresa a Yonago con un nuovo allestimento rispettoso delle contromisure sanitarie, e prima di andare in altre città, la mostra ha fatto tappa a Okayama: DF era presente ed è andata a visitarla!
A metà della mostra le autrici si prendono una pausa e inizia la parte denominata Furoku Fan Room. I furoku (“allegati”) sarebbero i regalini che vengono dati con le riviste di ogni ordine e grado, una pratica molto comune in Giappone: borsette, set di penne, accessori moda, cosette varie che fanno piacere al lettore e invogliano l’acquisto. Ora, nel caso di Ribon i furoku non sono semplici regaletti: sono opere d’arte custodite nel cuore delle lettrici. Per l’intera mostra i visitatori davanti alle tavole si esprimevano con «Che brava autrice, come disegna bene!» o «Ah, questo capitolo l’ho letto a suo tempo, che nostalgia!» , ma nella sezione Furoku Fan Room le ribonkko accalcate sulle teche piangevano, piangevano a lacrimoni ritrovando gli oggetti che custodivano come tesori sulle loro scrivanie quando erano ragazze e uscivano da scuola con le amiche per andare tutte insieme a comprare Ribon sulla strada verso casa. I furoku hanno contribuito come nient’altro a fissare i fumetti di Ribon nella memoria collettiva, e sono così mitici che il 25 luglio 2018 è uscito il libro antologico intitolato “I furoku di Ribon, il segreto del kawaii – I tesori di 2 milioni e mezzo di bambine” con copertina illustrata da Ai Yazawa e raffigurante una ragazza con l’iconico fiocco di Ribon.
La mostra dedicata a Ribon e alle sue due milioni e mezzo di ribonkko ha fatto tappa a Okayama dal 25 settembre fino a oggi 5 ottobre, ma proseguirà il suo percorso a Matsuyama e poi l’anno prossimo a Kagoshima, a Sapporo e in altre città non ancora decise. Ci sono ancora molto tempo e molte occasioni per visitare questa splendida e nostalgica mostra e, sperando che l’emergenza coronavirus possa finire il prima possibile e i viaggi internazionali tornino accessibili, magari anche le ribonkko italiane potranno vederla in futuro.
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