Intervista Bruno Bozzetto
In occasione dei 50 anni di “West and Soda”, primo lungometraggio d’animazione di Bruno Bozzetto restaurato in HD, intervistiamo il suo autore e patriarca dell’animazione in Italia.
Intervista a Bruno Bozzetto
Dimensione Fumetto non parla solo di fumetto, ma ovviamente anche di animazione!
Per il sottoscritto intervistare Bruno Bozzetto è stato come parlare, per un appassionato di Rock, con Mick Jagger. Ricordo quando da piccolo mal sopportavo i lungometraggi animati che venivamo messi in onda nel periodo di Natale perché li ritenevo troppo lunghi (anche se spesso, nel caso dei lungometraggi giapponesi, non erano altro che un taglia e cuci di episodi delle serie televisive e forse per quello mi stufavo) fino a che non vidi Vip mio fratello superuomo e rimasi incollato fino alla fine. La mia passione per i lavori di Bruno continua ancora oggi ed ho avuto anche la bellissima sorpresa di scoprire in lui una persona gentile, aperta, così alla mano che l’intervista, in più punti, diviene quasi una chiacchierata tra amici, con delle rivelazioni, che per più di una persona, avranno dell’inaudito. Scoprite la sua opera e il suo modo di lavorare, che è ancora oggi ammirato in tutto il mondo, tanto che qualsiasi animatore del globo nomina il suo nome con rispetto e ammirazione.
Ciao Bruno, prima di tutto, dimmi, come sta Beelen? (Beelen è la sua pecora domestica che è divenuta un vero fenomeno sui social, per il suo comportarsi come un classico animale da compagnia).
Oh, stamattina non l’ho vista ancora, ma mi ha detto di salutarti (ridiamo assieme n.d.r.)
Come mai hai scelto l’animazione anziché il cinema “normale”? Come è nata questa passione?
In realtà a me nacque la passione per fare il cinema “normale” anziché l’animazione. Quando mio padre, che era molto avanti con i tempi, acquistò una delle prime cineprese 8mm che circolavano, la utilizzai per girare dei documentari. Quindi iniziai a girare film dal vero, che mi piacevano come mezzo di espressione. Mi affascinava moltissimo il montaggio, che allora era difficilissimo, perché con l’8mm eri costretto a tagliare tutto con un specie di taglierina, dovevi incollare con l’acetone ogni pezzettino di pellicola, quindi era un lavoraccio. Però mi piaceva. Mi sono perciò avvicinato al cinema dal vero, girando brevi filmati: ho realizzato dei film gialli, dove utilizzavo come attori i compagni di scuola, che venivano una o due volte ma poi mi abbandonavano perché si stancavano. Ti confesso insomma che la mia passione era il cinema dal vero. Il cinema d’animazione è venuto dopo perché mi sono accorto che il cinema dal vero era troppo impegnativo e difficile: non avevo gli attori, dove non c’era luce dovevo mettere i treppiedi e le lampade, c’era spesso possibilità che saltasse la corrente ed altro ancora. Siccome mio nonno Girolamo Poloni era un pittore di grande talento e dipingeva affreschi, ho ereditato da lui la passione per il disegno. Disegnai in un piccolo block notes Paperino che camminava con una sequenza di disegni. Così ho scoperto che creando tanti disegni e animandoli ottenevo quello che volevo, e mi ha molto incoraggiato. Nel cinema dal vero non ce la facevo da solo e alla fine ero confinato nei documentari degli insetti, degli animali, mentre con il disegno animato potevo realizzare quello che volevo e così ho proseguito. Ero iscritto al Cineclub di Milano e quando feci vedere i primi esperimenti, visto che il disegno animato non lo faceva nessuno ed era considerata una cosa magica, tutti furono entusiasti e mi incoraggiarono. Andai avanti ma devo dire che ci arrivai per caso. Mi piacevano tantissimo i film di Walt Disney, ma non si potevano copiare. Era impossibile realizzare film a quei livelli e dovevi inventarti altre strade. Provai, feci esperimenti e poi passai ai fogli più grandi, provando i primi acetati ecc… Una difficoltà enorme, ma alla fine ho realizzato dei brevi film. Molto brutti devo dire (ride n.d.r.), ma erano degli esperimenti che mi facevano capire come funzionava il cinema d’animazione.
Sei stato un autodidatta insomma.
Assolutamente. Non esistevano libri per imparare. Ce n’era giusto uno scritto da Halas e Privett, ma non era facile da reperire. Io imparavo soprattutto vedendo i film degli altri in moviola, e guardando fotogramma per fotogramma capivo come si muovevano e quanti disegni bisognava fare. Imparai guardando gli altri.
Fu un lavoro mastodontico e di pazienza…
Vero, però era bello. In quel periodo ero studente e tutto il mio tempo libero lo dedicavo a questo. Era una gioia, un divertimento e una scoperta continua. Quello che rimpiango, di questi tempi, è la mancanza di quella atmosfera di ricerca che aveva la mia generazione. Oggi tutto è stato già scoperto, anzi di più! Basta aprire internet per vedere miliardi di cose, mentre nel mio periodo non c’era nulla. Inoltre scoprii Norman McLaren, che disegnava direttamente su pellicola. Era un genio e mi fece capire che si poteva fare un’animazione diversa: con due righe potevi realizzare qualcosa di originalissimo, di mai visto e personale.
Visto che parlavi di una iniziale passione per il cinema dal vivo, com’è stata l’esperienza di fare un lungometraggio dal vivo, ossia Sotto il ristorante cinese?
Molto bella ma molto faticosa perché se fai un film dal vivo, sarebbe comodo avere una struttura che ti supporta, che ti permette di recuperare anche due giorni di riprese, nel caso in cui li perdi accidentalmente. Noi eravamo molto alle strette. Io ero co-produttore assieme a Mediaset, e quindi ogni volta che avevamo dei problemi, (e ne abbiamo avuti!) ci si distruggeva ogni programma. Per dirtene una: andammo in Sardegna per girare delle scene e rimanemmo lì per circa dieci giorni, ma per cinque piovve. Queste sono cose che non puoi prevedere. Quel maltempo mi scombussolò il programma: tutto quello che non potevamo girare di giorno, la sera dovevamo riscriverlo, cambiare le location, improvvisare altri sistemi per raccontare le stesse cose in maniera diversa. Fu una fatica pazzesca! Ricordo che andai a letto con la pioggia scrosciante sul tetto e rimasi lì angosciato a pensare: “Ma domani come faccio a recuperare cinque scene che non ho girato oggi? Dove andiamo? Cosa Facciamo?”. Alla fine fu un’esperienza davvero bella, ma credo di non essere tagliato per il cinema dal vero. Con gli attori non ci so fare, se non capiscono subito quello che intendo li mando a quel paese. Non sono uno che riesce ad intortarli. Io dico che la scena è così: o la capisci o non la capisci (ridiamo entrambi n.d.r.). Sono molto rozzo. Non possiedo l’abilità dei registi di oggi che riescono a far lavorare gli attori in maniera stupenda.
Mentre è relativamente più semplice il cinema d’animazione, almeno nella tua ottica?
Non è più semplice ma è più programmabile, e soprattutto hai più tempo per riflettere sulle cose. Nel cinema dal vivo, quando c’è un problema devi risolverlo al momento. Un esempio: se per caso la presenza di un albero in una scena è importante e te lo ritrovi tagliato dal un giorno all’altro, devi avere subito la soluzione, in cinque minuti. Nei cartoni animati, quando c’è un problema, vai a casa la sera ripensandoci con calma, ci dormi su e il giorno dopo lo modifichi come vuoi. Invece, nel cinema dal vero, è sempre obbligatorio risolvere il problema in quel preciso momento, sul posto.
Come lo ricordi Carosello? Ossia quella mole di lavoro che avevate tu e altri studi d’animazione italiani, che macinavate cartoni animati a iosa. Carosello faceva muovere tantissimo quella macchina di sogni che era l’animazione italiana. Giusto?
Vero, vero. Ma dipendeva da quanti caroselli facevi alla settimana. Tu sai che ogni Carosello significava cinque film, ossia, se un cliente ti chiedeva un carosello erano cinque film più uno che veniva ripetuto. Erano circa dieci minuti di materiale animato da produrre, magari in venti giorni. Era un lavoro enorme. Su questo ti dò ragione. Infatti c’erano degli studi come la Paul Film, la Gamma Film o lo Studio dei fratelli Pagot che avevano tantissimi dipendenti. La Gamma Film ne aveva, se non erro, una novantina perché si lavorava davvero sodo. Io avevo un piccolo studio e potevo fare pochi caroselli. Pensa che all’inizio lavoravo in casa, quindi avevo la casa tappezzata di rodovetri che dovevano asciugarsi: nella vasca da bagno, nel corridoio, sui mobili….
Poi quando arrivò qualche soldo presi uno studio con decine di scaffali e ci organizzammo meglio. Carosello fu la molla che fece decollare lo studio, perché con il denaro potevo anche assumere della gente. E devo dire che grazie alla pubblicità ho fatto sia i cortometraggi che i lungometraggi. Il denaro che arrivava grazie alla pubblicità lo reinvestivo anche così.
Una domanda spontanea da quello che hai appena detto, che sicuramente ti hanno già chiesto, ma vorrei sapere la risposta: perché hai messo una canzone come Metti Un Tigre Nel Doppio Brodo, interpretata da Herbert Pagani, nel tuo film Vip mio fratello superuomo che è un vero manifesto contro Carosello e la pubblicità? Non sputavi nel piatto in cui mangiavi?
Questa è una frase che mi hanno detto decine di volte ed è verissima. Però se vuoi fare la parodia di qualcosa, devi trovare un argomento che conosci bene. Non puoi metterti a fare la parodia di un safari se non ne sai nulla, perché cascheresti nei luoghi comuni. Se in questo momento vuoi fare una parodia sui fumetti e li conosci bene, sicuramente sei più adatto a vedere tutte le cose sbagliate, divertenti, assurde che ci sono in quel campo, perché conosci la materia. Quindi è vero che sputai sul piatto in cui mangiavo, però è anche vero che potevo fare dell’ironia su un argomento che conoscevo bene. Infatti Carosello e la pubblicità in generale incominciavano ad essere un lavaggio del cervello. La gente non era abituata a certe cose, ma io vidi che per mostrare dei bei pomodori, li pitturavano a mano. Per farti vedere un bel gelato cremoso, usavano il formaggio. Tutti questi piccoli imbrogli, rappresentavano una novità importante. Stava cambiando la nostra vita. Ci stavano ingannando. Già da allora mi venne voglia di parlarne, non dico male, ma insomma di dire quello che stava succedendo. In Vip..., pur realizzando un cartone divertente, misi in luce questo aspetto negativo del commercio. Almeno ci provai.
Per quanto riguarda il tuo lungometraggio Allegro non troppo, una cosa che mi è piaciuta tantissimo è la fotografia di Mario Masini. Lo ritengo il più grande direttore della fotografia del cinema italiano. Ti ricordi qualcosa in particolare di lui?
Avevamo collaborato in molte pubblicità e lo conoscevo già. C’è anche molto lo zampino di Maurizio Nichetti nella parte dal vivo. Era entrato in studio da poco. Ho avuto due persone fondamentali: uno è Guido Manuli che era un genio delle gag nel disegno animato, veramente folle, creativo al massimo. E poi Maurizio Nichetti che venendo dal teatro ha trasferito nel nostro studio la passione del cinema dal vero, tanto che feci due cortometraggi dal vero con lui per divertimento, che presentammo ai festival. Mi riportò la voglia di fare cinema dal vivo. Non che abbia mai smesso di amarlo, anzi se avessi una bella storia lo rifarei subito. Mi piace moltissimo e ne ho prodotto e diretto parecchi, tanti nel campo delle comiche. Ho fatto un cortometraggio di tre quarti d’ora, Spyder, interamente girato a Lugano, tutte gag alla Benny Hill. Successivamente una serie di 12 brevi. Masini è stato anche condizionato dal gusto di Nichetti che gli ha suggerito questa fotografia in bianco e nero, un po’ neorealista. Volevamo creare un’atmosfera in totale contrasto con quella di Fantasia di Walt Disney. Infatti Fantasia non lo citai mai, ma era solo un punto di riferimento. Non c’era in effetti nessun contatto tra le mie storie e le loro, mentre dal vero volevo un po’ fare la parodia di quello che c’è in Fantasia. In quel film l’orchestra venne rappresentata in modo perfetto ed elegante, con un’orchestra meravigliosa, con il fondale azzurro e altri edulcorati colori. Noi invece usammo delle vecchie signore, delle persone conciate in qualche maniera assurda, in uno studio un po’ spoglio, un direttore che era un despota: abbiamo fatto una cosa totalmente opposta. La fotografia di Masini è molto importante in questo. Fu bravissimo e qui lo dimostrò ancora di più.
Concordo assolutamente. Ritornando a Carosello, o meglio a quello che è successo dopo: una volta finito, ci fu una improvvisa battuta d’arresto per l’animazione italiana. Cosa era successo? Con degli studi con così tanti talenti: tu, Manuli, il caro Laganà (recentemente scomparso), Pagot ecc… non potevate creare qualcosa voi? La causa è dovuta all’acquisto dei cartoni giapponesi? Cosa era successo in RAI? Vi hanno mollato di colpo?
Sapere cosa successe in RAI è difficile dirlo. Io ti posso dire che il mio studio subì il minor contraccolpo perché era piccolo ed ero l’unico in quel periodo che parallelamente continuava a fare cinema spettacolare. Tutti gli altri studi erano più interessati agli utili che all’arte, e non era sbagliato, date le loro dimensioni. Io invece reinvestivo i guadagni in altre produzioni in campo spettacolare. Quindi nel momento in cui Carosello finì io avevo già iniziato a farmi un nome e quindi le sigle televisive venivano realizzate quasi tutte il mio studio. Ne abbiamo prodotte tantissime: con Pippo Baudo, Mike Buongiorno, Enzo Tortora, ecc… Siccome ci conoscevano grazie ai cortometraggi o ai primi lungometraggi, diciamo che veniva istintivo rivolgersi a noi e quindi la nostra attività proseguiva più facilmente, mentre altri dovettero addirittura chiudere e fu traumatico. Allora, cosa è successo? In quel momento, ma i motivi non te li so spiegare, in RAI anziché puntare sulle forze che avevamo in Italia con questi studi già efficienti e ben strutturati, che avrebbero potuto produrre ed inventare delle ottime serie, si rivolsero all’estero. Inoltre in RAI non c’erano obblighi da rispettare verso l’animazione italiana, e quindi questo problema non si poneva. In Giappone circolavano dei film che costavano pochissimo, avevano avuto grande successo in patria, erano spettacolari e la RAI ne comprò tantissimi a basso costo. Non rischiarono nulla ed era garantito il successo. Scelsero decine di serie pronte, piuttosto che puntare sull’Italia e chiedere a questi studi: “Provate voi a realizzare una serie di cinquanta film”. Cosa che avremmo e avrebbero potuto affrontare. Il nostro studio era modesto, ma una Gamma Film, Una Paul Film o lo studio Pagot, avrebbero potuto riuscirci. Solo Pagot, che possedeva Calimero, poi sfociato in serie e film spettacolari, attutì il colpo, però il meccanismo produttivo del cinema d’animazione italiano si ruppe in quel momento.
Insomma mi stai dicendo che se fosse costato poco comprare cartoni animati russi, oggi in Italia i trentenni e i quarantenni di oggi canterebbero sigle di cartoni russi?!
Forse sì. Probabilmente fu un caso, ma la presenza di un rapporto, probabilmente più facile, con il Giappone creò questa situazione, ma non chiedermi il perché. Forse c’erano anche degli interessi che io ignoro, non so, però ci fu qualcosa che li ha spinti in quella direzione.
Che ne pensi a livello artistico dell’animazione giapponese in generale?
Allora, ci sono due settori: quello puramente spettacolare che a me piace. Ricordo Capitan Harlock che vedevo con i miei figli quando erano piccoli e mi piaceva. Soprattutto perché in quel periodo, non dimenticarlo, dall’America, ciò che si vedeva in tv erano serie come Gli Antenati dove il le inquadrature erano ancora limitate: arrivava il personaggio a destra, il personaggio a sinistra, parlavano, si davano la botta in testa e via. Erano molto piatti e semplici come sceneggiatura. Il Giappone portò lo spirito del cinema dal vero nel cartone animato. Quando arrivarono i primi cartoni come Capitan Harlock, quello che mi colpiva erano le inquadrature fatte dall’alto, dal basso, attraverso le gambe dei personaggi, avevi delle quinte…insomma uno storyboard che si rifaceva direttamente al cinema dal vero. Questa è stata una rivoluzione. Hai capito? Poi però ne ho visti tanti altri che non mi piacevano affatto: erano ripetitivi, violenti, non c’era molto umorismo, che per me è fondamentale. Poi è arrivato Miyazaki che è un poeta, il Fellini del cinema d’animazione. Lo stesso Osamu Tezuka aveva fatto film commerciali, ma contemporaneamente anche dei cortometraggi che erano dei capolavori, delle poesie di inventiva e di umorismo. Ti racconto una cosa molto curiosa di lui: lo conoscevo ed ogni volta che mi incontrava chiedeva scusa mille volte con gli inchini (sorridiamo ad immaginare la simpatica scena n.d.r.) perché si incolpava di aver inventato il modo di utilizzare un disegno per sette fotogrammi. Sai che vuol dire? Che risparmiava moltissimo! Mentre noi utilizzavamo un disegno per ogni fotogramma, al massimo due. Ritornando al discorso di prima, l’animazione giapponese ha due facce: la parte commerciale e la parte artistica. È difficile mettere in uno stesso calderone Miyazaki e certe produzioni di serie C. Se li metti insieme la media può essere un 50% di qualità. Ma se selezioni quelli buoni, la media della qualità sale al 90%. Il mio giudizio in generale è positivo perché penso soprattutto a quelli che ammiro. Gli altri non li seguo e non sono interessato a vederli.
Bruno, attualmente cosa fai? Hai qualcosa in progetto? Sei in pensione?
Data la mia età io dovrei ormai essere in pensione, nel senso che (tra corti, lunghi e serie tv) ho prodotto e realizzato più di trecento film e penso ormai di aver detto tutto. Oggi non farei che ripetere gli stessi concetti in modo differente e non mi sembra che ne valga la pena. In questo momento, faccio qualche disegno quando capita, in modo tranquillo, ma contemporaneamente non ho un minuto libero perché ti chiamano tutti per questo, per quello, per un parere, per un cliente che mi vuole parlare, per una tavola rotonda, una mostra ecc… non produco nulla di importante eppure non ho un minuto libero! Ho anche il progetto di un lungometraggio che forse farò, ma per ora è tutto nei sogni.
A proposito di progetti, ricordo che una dozzina di anni fa avevi il progetto di un film che, da quello che vidi, era davvero interessante: Mamuk. È rimasto incompleto?
Ha fatto “puff”. Scomparso. C’era la sceneggiatura e l’abbiamo presentato in RAI, dove però non c’è la struttura per produrre lungometraggi, perché si occupano soprattutto di serie televisive. Il cinema d’animazione sta diventando sempre più rischioso. Se non sei la PIXAR o la Disney non ci riesci a stare nelle sale più di tre giorni. Recuperare i soldi è molto difficile. Già allora era difficilissimo portare avanti un lungometraggio. Se il produttore sono io, lo faccio. Ma poiché in studio non realizziamo più tutta la pubblicità di una volta, non posso più dire: guadagni 100 e allora puoi spendere 60 per un film. Oggi guadagni 3 e non puoi pensare di investire 60. E poi se non si ha in mano la distribuzione è difficile garantire il successo di un film. Oggi non è solo questione di un buon prodotto, ma anche una questione di distribuzione con i cinema giusti, con il numero di copie giuste e soprattutto con la pubblicità giusta! Se tu guardi i film americani, li annunciano tre anni prima! Noi lo facciamo dieci giorni prima! Quando esce un film italiano, non sai nemmeno che esiste. Quello americano, ti vergogni se non l’hai visto.
Infatti: si crea pathos, attesa…Ma secondo me qualche tempo fa l’animazione italiana ebbe un’ottima occasione per rinascere: il successo de La Gabbianella e Il Gatto. D’Alò (il regista) con La Lanterna Magica (lo studio che lo realizzò) fece un bellissimo film, un capolavoro, con incassi davvero notevoli. Poi successe che, oltre Cecchi Gori che ebbe problemi finanziari poco dopo, le forze si sono disperse: D’Alò litigò con La Lanterna Magica.
D’accordissimo con te…
In seguito entrambe le parti offrirono un loro film nello stesso identico periodo, ossia Momo alla conquista del tempo” di D’Alò e Aida degli Alberi realizzato dalla Lanterna Magica sotto la regia di Manuli. Senza nulla togliere al valore effettivo dei loro lavori, le scelte di marketing sono state a dir poco pessime. Entrambi usciti nel periodo di Natale, giusto per farsi la guerra. In più perseverarono un paio di Natali dopo con Opopomoz (D’Alo) e Totò Sapore (Lanterna Magica). Lì si sono dati praticamente la zappa sui piedi. Hanno solo preso le poche briciole lasciate dal mastodontico Alla Ricerca di Nemo della PIXAR, che stava spadroneggiando ovunque. E così l’animazione italiana si è rifermata di nuovo ancor prima di (ri)nascere.
Dico le stesse parole. Noi italiani abbiamo avuto un’occasione meravigliosa perché La Gabbianella e il Gatto è splendido, viene da Sepulveda quindi ha anche una sceneggiatura eccezionale e dei dialoghi perfetti. Tutto è stato realizzato con grande passione ed estrema cura. Lì successe qualcosa tra di loro. Litigarono e si ruppe un meccanismo perfetto.
Mi fa venire rabbia ancora oggi…
E ma è tipicamente stile italiano: litighi ma non pensi che si creano solo danni per tutti. Fu un peccato enorme perché avevamo una grossa chance. Potevano essere i numeri uno e non li fermava nessuno. Quando sei in concorrenza con la Disney o la PIXAR devi stare attento. Loro sono dei carri armati e tu hai una bicicletta. Loro si ritrovano a fare un film che costa 100 milioni di dollari e magari ne investono altri 50 per la pubblicità. Noi produciamo un film con 3/5 milioni e spendiamo per la pubblicità 500 mila €. Non puoi competere.
Ma in certi casi basta essere un po’ furbi. Ricordo che L’apetta Giulia e la signora Vita uscì durante un periodo autunnale, senza concorrenza, ed incassò relativamente di più.
Bravo! Questo è un altro discorso che bisognerebbe aprire. In Italia c’è la convinzione assoluta, ed io ci sto combattendo da sempre, che il disegno animato sia un prodotto per bambini e deve avere tutti i suoi cliché: che deve uscire a Natale, o al massimo a Pasqua. Non può uscire a Giugno o Luglio. E hai visto L’apetta Giulia…? Uscì in un periodo senza altri cartoni gli facessero concorrenza e si fece notare di più.
Di palo in frasca: attualmente Manuli cosa fa?
L’ho perso di vista ma continua a fare serie televisive come: “Acqua in bocca”. Ha iniziato a lavorare con lo studio Maga e credo che ormai abbia realizzato due se non tre serie. Lo sento poco perché si è trasferito in Francia. Dovevamo vederci per le celebrazioni dei 50 anni di West and Soda, ma poi c’è stata quella carneficina a Parigi e non se la sentiva di fare un viaggio particolarmente stressante, perché in quei giorni avevano ripristinato i controlli alle frontiere.
Marco Pagot invece (figlio del celebre Nino, inventore di Calimero)?
Lui non lo sento più da anni.
Capito. L’ho nominato perché forse non tutti gli appassionati di Miyazaki sanno che ha collaborato con il maestro giapponese in una coproduzione RAI-TMS nella serie Il Fiuto di Sherlock Holmes. Pensare oggi che Miyazaki lavorò per l’Italia…
Lui lavorava molto in Giappone. Ci stava dei mesi perché faceva delle coproduzioni ed andava spesso a Tokyo e quindi probabilmente diventò amico di queste persone perché le frequentava.
Addirittura sembrerebbe che per realizzare il protagonista di Porco Rosso (che si chiama appunto Marco), Miyazaki si sia ispirato a lui, scherzosamente.
Mi hai fatto ricordare che quando vidi Porco Rosso ad Annecy, in Francia, sono tornato in Italia ed ho iniziato a telefonare alla Mediaset per cercare di farlo acquistare e distribuire in Italia, Lo trovavo talmente bello che volevo portarlo da noi! A Mediaset mi risposero che non potevano perché le regole di inserimento della pubblicità non gli permettevano di trasmettere lungometraggi.
Se non erro, qualche tempo fa c’era la legge che impediva di mettere pubblicità durante la trasmissione di un cartone, penalizzando soprattutto i lungometraggi visto che trasmettere un’ora e mezza o due senza pubblicità, è dura per una tv privata.
Io non sono distributore ma ero talmente entusiasta che dissi: “Questo film dovete portarlo in Italia. È un capolavoro!” E non ci riuscii anche se telefonai a Parigi per informarmi dei dirit
ti, ma purtroppo non era il mio mestiere. Io l’ho fatto da artista, da amante della qualità e del gusto.
Un’altra domanda: parlavi di rodovetri da asciugare, di tecniche fatte in modo artigianale. Oggi tu che usi il PC con Flash e programmi simili, come la vedi questo modo di lavorare, soprattutto tu che hai visto tutta l’evoluzione dell’animazione, dalle cose più grezze fino ad oggi?
La tecnica nuova è ME-RA-VI-GLIOSA! Ti permette di fare tutto quello che prima facevi con una difficoltà enorme, compresi anche i piccoli effetti speciali. Per me la rivoluzione principale è il fatto di permetterti un numero quasi infinito di livelli. Sai che vuol dire livelli? Noi quando lavoravamo con i rodovetri, avevamo enormi problemi. Erano trasparenti, ma non al 100%: quando tu ne sovrapponevi tre, la scenografia sotto cambiava colore. Quando ne mettevi quattro, peggiorava ancora. Noi potevamo contare su tre livelli al massimo, il che vuol dire che se avevo due personaggi, quindi due fogli, e volevo inserirne un terzo, ero già al limite. Si diventava matti, perché se a metà di una scena mi serviva una gamba da muovere separatamente, non potevo perché capitava spesso che avevo già utilizzato tre livelli! E allora dovevo toglierne uno da un’altra parte, e disegnare una parte della scena sul disegno totale. Guarda era pazzesco! E non solo!! Quando tu cambiavi l’ordine di visualizzazione dei livelli e un disegno da sopra passava sotto, cambiava colore! Nella stessa scena vedevi di colpo un colore che diventava più scuro, e tu spettatore non capivi il perché. Quindi avevi sempre questi sbalzi di colore che ci facevano sempre perdere molto tempo, più che a fare l’animazione. Con Flash ho fatto un film con una partita a scacchi con 60/70 livelli. Questo è incredibile, perché mantieni la qualità di un livello. È stata la cosa più bella che ha donato questa tecnologia alla libertà ed alla creatività nel mio modo di fare i cartoni.
Mi fa piacere che sei di ampie vedute e non chiuso nella nostalgia del tuo periodo, come fanno altri.
Ma per carità! Tutto quello che è nuovo e offre nuove possibilità sia il benvenuto! Certo che alla mia età è difficile stare al passo con i continui aggiornamenti dei software, rispetto ad un giovane che è più predisposto ai cambiamenti. Ed infatti utilizzo una vecchia versione di Flash perché mi trovo a mio agio così. Non faccio l’animazione 3D e me ne dispiace. Mi sarebbe piaciuto molto lavorarci, ma credo sia un po’ complesso impararla adesso.
Ci tengo a dirti una cosa: ci credi che qualcuno mi ha detto che Fantasia è inferiore ad Allegro non troppo?
Non diciamo eresie! (di nuovo ridiamo n.d.r.). Sai quanto volte ho visto Fantasia, da spettatore pagante? Undici volte al cinema! Per me è un capolavoro assoluto. Ma nel mio film ho cercato di raccontare delle storie che avessero un inizio, uno sviluppo ed una fine tenendo la drammaturgia come elemento fondamentale, mentre Fantasia è costituito da affreschi che creano delle sensazioni, create per visualizzare, in modo meraviglioso, le musiche che avevano scelto. Quando si ha in mente un storia già ben definita, non è affatto facile legarla con una musica che ha i suoi canoni e i suoi ritmi. Bisogna farli combaciare. Avevo scelto dei brani che hanno un inizio meraviglioso come ad esempio una sinfonia di Mahler che volevo utilizzare, ma la mia storia aveva una fine drammatica mentre la musica diviene sdolcinata e romantica e stonava. Ho ritrovato lo stesso problema in Strauss ed in altre sinfonie. La storia mi portava a destra e la musica a sinistra. Mentre in Fantasia hanno seguito una traccia soprattutto visiva, io ho cercato di, non dico di fare il contrario, ma di raccontare storie con un inizio e una fine.
Confermami questa piccola curiosità: ma è vero che sei tu il precursore dello Spaghetti Western?
Ahahahahaha!!! Allora…. non so che dirti perché questa è una lunga discussione di cui non mi importa nulla. Curiosamente, anzi probabilmente, il cinema western arrivò ad un punto di cottura tale che si poteva prenderlo in giro. Io probabilmente ebbi l’idea prima di Sergio Leone perché abbiamo impiegato due anni forse tre, nel preparare la pre-produzione di West and Soda ma finimmo dopo di lui! Lui ebbe l’idea quando gli storyboard, i personaggi e la pre-produzione per il mio film erano già stati completati. Lui ci mise pochi mesi e noi almeno due anni. La cosa in effetti è curiosissima. Ci pensai prima di lui, ma arrivai sugli schermi secondo. Ma poi, ripeto, mi sembra una cosa di nessuna importanza. Solo un pettegolezzo.
Ti ringrazio Bruno e rinnovo il mio invito a (ri)scoprire i suoi lavori che, per chi ha letto questa chiacchierata, ha capito che sono a dir poco fondamentali.
Interessate sarebbe stato anche chiedere a Bruno cosa ne pensa dello studio rainbow
Intervista meravigliosa, grazie Andrea e soprattutto grazie tantissimo al genio di Bozzetto.