Intervista a Romeo Toffanetti
Abbiamo il piacere di intervistare Romeo Toffanetti, disegnatore storico di Nathan Never e tra i più originali di tutto il ventaglio di disegnatori della Bonelli. Nato in Argentina ma fortunatamente per l’Italia, si trasferisce da noi e possiamo godere ormai da anni il suo talento. In questa intervista rivela una sensibilità artistica che ha dello stupefacente.
- Ciao Romeo, rompiamo subito il ghiaccio. Sei tra i disegnatori storici di Nathan Never, personaggio che, a differenza di altri che non cambiano, ha avuto molti mutamenti anche cambiando personaggi secondari. Come vedi oggi la serie rispetto a 25 anni fa?
- Credo onestamente che Nathan sia uno dei personaggi che più si siano messi in discussione, sono scomparsi personaggi di contorno, ne sono apparsi di nuovi che sono scomparsi a loro volta a favore di un realismo importante, e per realismo intendo (nel contesto di una saga fantascientifica) le dinamiche psicologiche dei personaggi, sempre coerenti nel loro divenire, con dinamiche e scelte sempre possibili e plausibili, cosa questa che credo il lettore apprezzi molto. Come nella vita di ognuno, anche in quella di Nathan le persone arrivano e poi se ne vanno per altre strade. È cambiata la città di Nathan, è cambiato chi dirige l’agenzia Alfa, alcuni personaggi si sono evoluti, altri sono cambiati, altri si sono staccati dall’agenzia e dalla saga. Credo sia una cosa davvero molto bella e che richieda un gran lavoro di coordinazione
- Proprio il tuo debutto su NN (“Forza invisibile” n° 5) fu la storia più acclamata tra i primi numeri che uscirono. Come ricordi quel debutto, la nascita di Nathan e la creazione del suo mondo?
- Fu molto complicato per me. Arrivavo dalla pittura e da un fumetto estetizzante molto vicino all’illustrazione. In quel periodo adoravo Enric Siò, Toppi, Corben, Battaglia, Breccia etc etc, insomma un fumetto dove la componente visiva e pittorica era molto forte, e trovarmi a disegnare in bianco e nero, senza colore o semitoni un personaggio così complesso fu davvero traumatico. Ogni vignetta era una battaglia, non c’era segno che non avrei rifatto in un altro modo, ogni costruzione prospettica, ogni scenografia doveva essere resa con il segno, ogni atmosfera era in bianco e nero (allora non usavamo manco i retini), sì, quel periodo fu davvero difficile per me. Sembrerà melodrammatico ma ho pianto spesso davanti a tavole che non venivano, che non mi piacevano, e che avrei voluto rifare mille volte. Sono sempre stato eternamente insoddisfatto di ciò che faccio, non riesco a rivedere un albo senza provare fastidio e sentirmi in difficoltà, sono sempre immensamente critico davanti a ciò che faccio, e se da un lato ciò è auspicabile in qualunque artista (perché presuppone l’idea di progresso e crescita mettendosi costantemente in discussione) dall’altro genera molta insicurezza e insoddisfazione verso ogni lavoro, sia che si tratti di fumetto, di pittura o scrittura.
- Ultima domanda su NN (sennò sono monotematico!): gli sceneggiatori sono tutti cambiati (salvo qualche sporadico ritorno della famosa “Banda dei Sardi”: Antonio Serra, Michele Medda e Bepi Vigna, creatori dell’Agente Alfa), mentre alcuni disegnatori sono rimasti, tra cui tu. Come si è evoluto il tuo rapporto con gli sceneggiatori negli anni? Preferisci lavorare con la vecchia guardia o anche con i “giovani”?
- Non ho una vera predilezione, ho lavorato molto bene con Bepi Vigna su tanti numeri e ho lavorato molto bene con Davide Rigamonti in due storie che mi stanno molto a cuore, ovvero, L’ultimo regalo dove abbiamo giocato sulla composizione della tavola, sull’atmosfera della città innevata, sull’apertura di certe vignette, tornando ad atmosfere più “bladerunneriane” e addirittura un paio di Splash-page ne Le lacrime della sirena. Direi che se devo trovare un filone direi che mi piacciono di più le storie con atmosfere cupe e vagamente nostalgiche (come la bellissima Ritorno a Gadalas di Bepi Vigna) dove mi piace curare l’espressività e la recitazione dei personaggi più che il disegno in sé o l’accuratezza scenografica. La vera scommessa è quella di portare il lettore dentro la storia e farlo uscire solo dopo la fatidica frase “fine dell’episodio”. Mi piace pensare di “rapirlo” per il tempo della lettura cercando di evocare quasi fisicamente le atmosfere della storia. Non ho interesse a esibirmi, la cosa che più mi sta a cuore è rispettare la storia e la sua atmosfera, e per farlo a volte è necessario “scomparire” come disegnatore per assecondare il ritmo narrativo e la regia, per “riapparire” in una scena chiave, dove il disegno e la cura del dettaglio hanno un senso e un’importanza. Più dettagli ci sono in una vignetta, più lento è il ritmo narrativo perché fa fermare il lettore a contemplare decine di particolari spesso inutili all’interno di una tavola. Mai come negli ultimi anni ho apprezzato il lavoro e la sintesi di disegnatori come Toth, Mazzucchelli, Craig Thompson, Seth e tutti coloro che amano raccontare più che esibirsi. In questa lista potrei mettere molti bonelliani come l’immenso Ticci, Casertano, Diso etc etc.
- Come sono le giornate in cui combatti per realizzare 96 pagine?
- A volte leggere, quando le cose vengono come si voleva che venissero, magari con fluidità e naturalezza, altre volte è tutto drammaticamente difficile e complicato. Dipende dall’umore, dall’ispirazione, e se ciò che devo disegnare è nelle mie corde o meno. Insomma, disegnare fumetti è parecchio complicato, più che dipingere. Quando dipingo, dipingo ciò che mi piace e voglio comunicare, mentre nei fumetti non è sempre possibile, nei fumetti ti trovi a illustrare le cose più diverse, cose che non ti sarebbe mai venuto in mente di disegnare, cose come una…diga, per esempio!
Quando sei a caccia di ispirazione, come risolvi questa caccia? Dove trovi gli stimoli di solito?
- Nella musica, amo la musica, ascolto molta musica. Forse avrei dovuto fare il musicista!La musica evoca le immagini, mi basta chiudere gli occhi e ascoltare che le atmosfere appaiono, anche le inquadrature e le tonalità. Ho giocato con la musica diverse volte, l’ho usata per film e cortometraggi, ho fatto da produttore arrangiatore al disco di un amico songwriter molto bravo, Diego Sandrin. Il disco è uscito in America nel 2007. Il titolo è A fine day between addictions ed è una delle poche cose di cui vado davvero fiero. Le canzoni di Diego sono fantastiche e siamo finiti addirittura nella compilation di canzoni dei Sony Vaio dell’anno seguente. Per quel disco ho fatto anche il video per un paio di canzoni e il backstage in sala d’incisione. Ogni albo di Nathan nella mia testa ha una colonna sonora e un suono, lo stesso suono che deve avere un quadro per essere finito, dev’esserci quel preciso suono, altrimenti è da buttare!
- Raramente ti si vede nelle manifestazioni o nelle fiere. Come mai questa scelta? Che rapporto hai con il pubblico?
- Non vado alle fiere perché mi annoio, lavoro ogni giorno per ore sul fumetto e non ho voglia di immergermi per giorni interi in festival e manifestazioni. Credo siano almeno una ventina d’anni che non ci vado. Preferisco leggere (fumetti e libri) e andare a mostre e manifestazioni che non hanno a che vedere col fumetto, mostre d’arte, teatro e musica. Il fumetto è tutto l’anno, preferisco prendermi qualche piccola vacanza in contesti diversi, con altri stimoli, con altre angolazioni sull’arte e la comunicazione.
- Nel tuo profilo FB si vedono delle tue bellissime illustrazioni che esulano dalla fantascienza. Se avessi carta bianca su un fumetto, cosa realizzeresti?
- Bè, ho finito una graphic novel che prima o poi pubblicherò e che diverrà uno spettacolo con la proiezione della graphic dopo un duro lavoro di (quasi) animazione e con il gruppo dal vivo che eseguirà la colonna sonora. Insomma un misto tra cinema e concerto per una graphic minimale, più vicina al cinema forse che al fumetto per quanto riguarda il ritmo, le inquadrature e il montaggio. Se avessi carta bianca userei i s
ilenzi e le pause, farei parlare di più le immagini, userei al massimo quello che è lo specifico fumettistico, ovvero tutto ciò che rende il fumetto quella grande arte che è. Se dovessi fare degli esempi citerei Watchmen, V per Vendetta, The Dark Knight dove il linguaggio del fumetto (le inquadrature, il montaggio della tavola, le dimensioni delle vignette, il potere della parola scritta coniugata all’immagine) lo rendono insostituibile e inimitabile. Purtroppo spesso il fumetto ammicca ad altri media, dal cinema ai videogames, perdendo in parte molto del suo potere narrativo e della sua originalità. Penso con ammirazione a certe tavole di Crepax, di Micheluzzi, dove la composizione della tavola non inibiva la lettura ma ne ampliava le possibilità usando al massimo la contrazione del campo giocando con le dimensioni delle vignette, in un gioco a dir poco geniale. Ora il tutto è più votato a stupire, e stordire, che al racconto e al linguaggio, il tutto facilitato dal digitale che permette di fare cose incredibili ma spesso inutili.
Oltre alle illustrazioni fai dei veri e propri quadri. Quanto è importante per un disegnatore di fumetti avere una cultura verso la pittura?
- Bè, la pittura ha avuto da sempre un ruolo molto importante nella mia vita insieme al fumetto, e per mia fortuna sono sempre riuscito a tenerle separate, evitando di fare quadri fumettistici e fumetti pittorici. Io credo che un fumettista debba nutrirsi di ogni cosa: di arte, di cinema, di musica, di letteratura, di poesia. Ogni arte aiuta e influenza l’altra, ogni emozione ha un suo veicolo d’elezione, certe cose posso dirle con il fumetto, altre con il cinema, altre con la musica, altre con la pittura; e anche qui certe si possono trasmettere con il pastello, altre con l’olio, altre con l’acquerello e altre ancora con l’incisione. Trovo sia fantastico poter scegliere.
- Moebius diceva che, quando era stanco di disegnare, per rilassarsi si metteva a disegnare. Potremmo quasi dire che tu fai la stessa cosa o sbaglio?
- Si è abbastanza vero, io mi rilasso molto disegnando senza uno scopo, scrivendo (scrivere è un’altra mia grande passione), ascoltando musica, ma anche giocando con i miei cani. In realtà per rilassarmi senza fare niente di tutto questo mi basta essere immerso nella natura e guardare, lei non ha certo bisogno di essere osservata o dipinta per esistere, certo non è lì per l’arte degli artisti, lei è davvero qualcosa di magico!
- Rapporto “fumetto-arte”: pensi che questo rapporto debba per forza esistere o anche il fumetto può essere una semplice lettura che deve solo emozionare e sorprendere, in quei minuti in cui il lettore ne usufruisce per poi riporlo?
- È un discorso che abbiamo sfiorato anche prima, io credo fermamente che il fumetto sia arte allo stato più elevato, perché presuppone artigianato al più nobile livello, perché poco si presta ai bluff, perché per realizzarlo servono enormi competenze che vanno dal disegno alla regia, al montaggio, e nel disegno un fumettista deve saper disegnare automobili, paesaggi, uomini, donne, animali, mari montagne, foreste, astronavi; praticamente qualsiasi cosa passi per la testa di uno sceneggiatore. Quindi non esiste un rapporto tra fumetto è arte, perché il fumetto è arte stessa, arte nobile, molto sottile a volte.
- Quasi tutti gli artisti raccontano della scoperta di un’opera o di un artista che ha cambiato la loro vita. A te è successa la stessa cosa? Se sì, con cosa o chi?
- L’elenco è infinito: dalla Passione secondo san Matteo di Bach diretta da Eugen Jochum, alla nona sinfonia di Brucker, passando per Kind of blue di Miles Davis e La morte e la fanciulla di Schubert. Dalle tavole di Tamburi di Guerra e Giubbe rosse di Ticci, al Mort Cinder di Alberto Breccia e Héctor Oesterheld , dai Dialoghi con Leucò di Pevese alle Elegie duinesi di Rilke senza trascurare ovviamente Pessoa. Dall’Arte della fuga di Bach alla voce di velluto di Dean Martin e quella banda di teppisti che erano il Rat pack con Sammy Davis Jr. e Sinatra. Dai quadri di John Singer Sargent ai disegni di Giraud/Moebius, dalle tele di Caravaggio agli affreschi del Tiepolo, da Alex Toth a Harold Foster…l’elenco è davvero lunghissimo!
Grazie del tempo concesso Romeo