Giotto, ovvero come si realizza un affresco
Tutti sanno chi è Giotto, non fosse altro perché conoscono la storiella di come Cimabue avesse scoperto il suo talento vedendolo disegnare una pecora su una pietra o perché entrando in cartoleria, ha dato e dà il nome alle più famose serie di colori vendute e (ancora) prodotte in Italia.
Per chi volesse maggiori informazioni sulle due cose, è possibile cercare informazioni sui Commentari di Lorenzo Ghiberti, e ricordare le scatole dei colori dell’infanzia.
Per quanto la storia della pecora fosse inverosimile, come peraltro quella della sua capacità di disegnare un «O» perfetto, Giotto di Bondone ha davvero rivoluzionato l’arte, introducendo o innovando tecniche architettoniche e pittoriche, modificando soprattutto la gestione ingegneristica e imprenditoriale delle opere.
Analizzare dunque come produceva un affresco diventa un trattato di storia dell’arte e non solo.
Questo fece, circa un secolo dopo la vita del maestro, Cennino Cennini, nel suo Il Libro dell’Arte.
E in qualche modo, come sottolineato in quarta di copertina, a lui si sono ispirati Claudia Tulifero, restauratrice in origine, e Francesco «Checco» Frongia (i cui lavori trovate sul sito del collettivo Mammaiuto) in questo lavoro del 2013.
Che non ha nulla della biografia.
Racconta i primi due giorni di lavoro (25 e 26 aprile, presumibilmente del 1325) all’affresco vero e proprio da parte del Maestro, nella Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze.
Lo fa con una storia in cui un Giotto dall’aspetto quasi grottesco, non più raffinato di quello dei suoi allievi e operai, conclusa la preparazione dei disegni, mette mano al pennello, e, utilizzando il lavoro preparatorio, mette a frutto la sua arte.
Ed è l’affresco il centro dell’albo, infatti solo l’affresco è colorato, tutto il resto è in bianco e nero, ed è emblematico che Cane (di nome e di fatto) prenda colore e parli solo quando entra a farne parte.
Solo i personaggi dell’affresco sono armoniosi e belli, fin dai disegni preparatori, mentre tutti quelli della storia hanno un aspetto quanto meno particolare.
E lo stesso Giotto sembra essere finalizzato al solo affresco, che occupa la sua mente. Lo descrive, si preoccupa dei materiali, lo sogna anche di notte.
Storicamente Giotto completò questi affreschi, che hanno la medesima tematica di quelli della Basilica di Assisi, all’apice della sua vita artistica, quando era richiestissimo. Per questo si era resa necessaria una grande efficienza, da qui la necessità che il lavoro dei quattro assistenti (con i nomi di Lapo, Maso, Corso e Taddeo, più gli apprendisti Geri e Daniello, questi ultimi solo citati nel diario finale) fosse rapido, preciso e perfettamente organizzato. Questo era già un grande passo verso la modernità!
Giotto organizzò la sua scuola per poter produrre il numero massimo di opere, con squadre vere e proprie di tecnici e allievi che giravano l’Italia e sia facevano da supporto al Maestro, sia lavoravano autonomamente.
Proprio da questa attività emerse anche la necessità di innovazioni tecniche.
In realtà Giotto più che portare modalità del tutto nuove (famosissimo il fatto che abbia introdotto la prospettiva), riuscì, grazie all’ottima organizzazione e al suo genio, a utilizzare in maniera innovativa ed efficiente quelle già note.
Tra queste, quindi, quella dell’affresco, noto fin dall’antichità, ma diventato con il pittore originario del Mugello una produzione quasi industriale, se è vero che tra le opere di questo tipo attribuitegli, e quelle attribuite alla sua bottega, se ne contano oltre un centinaio.
Si capisce allora anche perché tutto giri intorno all’opera…
L’unica cosa che riesce a distogliere Giotto dall’affresco, a parte gli obblighi mal sopportati nei confronti dei committenti, è il cane, che è proprio il tramite tra il mondo reale e quello interno all’affresco.
Mondo che si anima, che commenta la qualità dell’opera, i colori, i materiali usati, l’arte stessa di Giotto; che interagisce con il mondo reale, non solo attraverso il cane.
Il fumetto vive di questo passaggio tra due dimensioni parallele, quella dell’arte e quella dell’artista.
La prima colorata, quasi spensierata (e disegnata da Claudia Tulifero).
La seconda fatta di problemi tecnici e di rapporti con i committenti, di soddisfazioni spicciole («dopo tutto i miei allievi sono proprio bravi») e di tensioni con i collaboratori («non pensano mai alle conseguenze, ai costi di consegna, ai materiali»).
Il fascicolo si conclude con tre parti che non sono esattamente parte del fumetto, ma sono interessantissime:
- un diario immaginario del lavoro nella Cappella Bardi, dal 9 marzo al 25 aprile, concentrato sull’avanzamento dei lavori e su altri dettagli pratici (pasti, clima, dettagli sui lavori), prima dell’approccio vero e proprio con l’affresco;
- due pagine, una che illustra l’affresco in otto mosse, l’altra con un glossario dei termini tecnici, che compaiano o no nel fumetto;
- un extra, ovvero la prima versione della copertina.
Il lavoro non ha alcuna pretesa di storicità, ma, nonostante la trovata dell’animazione dei personaggi affrescati, non si allontana troppo da una cronaca, sebbene intervallata dall’immaginazione del pittore. Il personaggio Giotto è ben delineato, il tratto nero dei disegni è elegante e le parti colorate cercano di riprodurre gli stessi effetti dell’affresco giottesco. [Edit. Francesco Frongia ci comunica che le parti a colori sono veri e propri affreschi di piccole dimensioni successivamente fotografati]
Il fumetto funziona, senza pretesa di essere un racconto storicamente dettagliato, ma raccontando di persone e di tecniche artistiche, di relazioni sul posto di lavoro e di fare impresa nel Medioevo.
Sicuramente non ci racconta il vero, ma è verosimile.
Un po’ come la storia di Cimabue e la pecora…
Claudia Tulifero e Francesco Frongia
Giotto
Collana: Prodigi fra le nuvole
64 pag., brossurato, colori
Formato 21×28,5 cm
prezzo: 12,50 €