Frantumi e “L’importanza del lettore” – Intervista a Giovanni Masi

«Ogni testo è una macchina pigra che chiede al lettore di fare parte del proprio lavoro» (U. Eco, Lector in Fabula). Frantumi è uno di quei libri che richiedono un grosso contributo attivo del lettore. Esploriamolo facendo qualche domanda al suo scrittore, Giovanni Masi.

Frantumi Rita Petruccioli

Ciao Giovanni, innanzitutto ti ringrazio per la disponibilità a questa intervista che in realtà è una banale scusa per chiarire a me alcuni aspetti di Frantumi visto che ci ho messo un po’ per metabolizzarlo e capire se mi fosse piaciuto o meno.

Spoiler: mi è piaciuto.

Il motivo di tale difficoltà è presto detto: non riuscivo a capire, e per certi versi non lo capisco ancora adesso, il viaggio di Mattia. Come tutti anche io ho vissuto dei traumi che mi hanno scosso più o meno profondamente e la mia esperienza personale mi insegna che non sempre se ne esce rafforzati e, soprattutto, che anche se il viaggio è tuo la presenza degli altri (amici, affetti…) è fondamentale. Per questo motivo il concetto di “viaggio interiore un po’ ascetico” mi ha messo in difficoltà. Ma nel racconto è presente anche un “altro” (penso a Laila e a tutto il cast di comparse) che in qualche misura aiuta Mattia. Al momento, al di là dell’assoluto apprezzamento per le capacità tecniche (di scrittura, ritmo, disegni, eccetera) evidenziate nel volume, resta il dubbio sul contenuto stesso che spero mi aiuterai a capire.

Innanzitutto, sono contento che ti sia piaciuto Frantumi e che tu abbia avuto voglia di farmi queste domande per toglierti il «dubbio sul contenuto», come lo chiami. Di solito, non sta a noi autori spiegare o meno il contenuto di un libro che abbiamo scritto. Il testo dovrebbe difendersi da solo, ma visto le domande e la tua premessa, proverò a essere il più chiaro possibile raccontando un po’ cosa sia Frantumi per me. Questo non significa che debba avere lo stesso significato per te. Anzi, se genera in te un senso di qualcosa che “manca” perché ci sono cose che girano strane, in realtà è in parte voluto perché abbiamo cercato di fare un fumetto che non fosse troppo accomodante per il lettore, ma che richiedesse una specie di investimento emotivo anche da chi stava dall’altra parte della pagina.

Rispetto alla tua premessa, mi permetto di farti notare solo una cosa. In Frantumi nessuno dice che l’apporto familiare o degli amici non sia importante, né che si esca sempre rafforzati. Anzi! Si racconta di un momento molto particolare in cui tutto il tuo mondo va in pezzi, e la tua famiglia e i tuoi amici non possono aiutarti perché fanno parte di quel mondo. Il personaggio di Laila supplisce però agli “altri” che possono aiutarti. Quindi Mattia non fa un viaggio ascetico (almeno, non lo avevamo inteso così), deve però ritrovare un equilibrio personale (la sua “Sofia” appunto, che è sia una persona che una metafora), e quel passaggio, il rimetterti il pezzo mancante, lo si può fare esclusivamente da soli, perché è il proprio equilibrio interiore e gli altri hanno molto poco potere su una cosa così. Possono aiutare, ma è difficile che qualcuno arrivi e ti dica “Ecco, fai così che ritrovi te stesso” oppure “Ecco, adesso ti impongo le mani e ti curo dal tumore”. L’ordalia di un tumore, di uno shock personale, sono sempre cose estremamente personali dove ognuno di noi deve ritrovare il proprio equilibrio, nuovo e diverso rispetto al primo, perché il mondo che c’era prima non esiste più. Questa almeno è la mia personalissima visione di Frantumi che, però, non è quella univoca del libro. È una delle possibilità perché l’idea era che il lettore dovesse trovare la sua strada in quel mondo lì.

Come nasce Frantumi? È il racconto di un’esperienza vissuta più o meno direttamente? Oppure nasce dalla “semplice” necessità di raccontare questo tipo di storia?

Frantumi nasce da alcune esperienze della mia vita, ma con una centrale, però, che è poi quella messa in scena all’inizio: una malattia molto lunga legata a una persona a me molto cara. La scelta di trasfigurare quel racconto così personale in Frantumi nasce dal fatto che non apprezzo molto le autobiografie e mi piacciono molto, invece, i racconti che raccontano un’esperienza reale cercando di dire “qualcosa di più” rispetto ai soli fatti. Per farti capire, Frantumi si inserisce nel solco dei libri alla Cuore di Tenebra di Conrad.

L’idea di base era quella di raccontare quel preciso momento in cui il tuo mondo va a pezzi, di quanto sia difficile recuperare quei pezzi e di come, se anche riesci a ricomporli, quei pezzi non combaciano più bene e che le cicatrici e le fratture restano evidenti. Era quindi un modo per raccontare la reazione di ognuno al dolore e i vari aspetti di quella reazione per come li ho conosciuti e per come li ho visti nelle persone a me vicine. Cercando oltretutto di dare pari dignità a ogni forma di reazione, non indicando se ce n’è una giusta e raccontando anche i rischi di chi rimane molto a lungo del mondo di Frantumi e finisce per perdersi. Ovviamente, la storia è una metafora, ma non volevo che fosse solo questo, per questo l’abbiamo trasformata in un’avventura, in un viaggio, in cui Mattia è costretto a venire a patti con una cosa che non conosce minimamente perché è la prima volta che finisce “di là”.

Quella di Rita Petruccioli è stata una scelta conseguente alla scrittura del soggetto oppure il racconto nasce a per essere cucito addosso a lei? Essendo il suo primo lavoro a un volume a fumetti sei dovuto intervenire in qualche modo per aiutarla nella transizione dal mondo dell’illustrazione oppure è riuscita a far tutto da sola? In entrambi i casi: qual è stata la natura della collaborazione? Diretta, per cui alla sceneggiatura corrispondevano le tavole disegnate, o fatta di scambi di pareri sulla direzione della storia?

La scelta di Rita è avvenuta una sera in cui ho visto alcuni suoi disegni in una mostra collettiva di autori romani in un centro sociale. Non ci conoscevamo ma io avevo già scritto la prima versione di Frantumi e lei mi sembrava assolutamente perfetta per raccontarla. Mi sono fatto presentare e le ho proposto di lavorare al libro. Lei dice sempre che voleva tantissimo fare il salto al mondo del fumetto da quello dell’illustrazione e che Frantumi le sembrava il progetto giusto.

Quello che leggi adesso non è però il Frantumi che avevo scritto all’inizio. Proprio perché volevamo entrambi raccontare una storia che fosse più che la somma delle singole parti o delle singole esperienze, Rita si è messa moltissimo in gioco, abbiamo rivisto molti passaggi alla luce della sua esperienza oltre che della mia e abbiamo cercato di trovare una “voce” che fosse di tutti e due nel racconto. Dico sempre che sui credits anche se c’è scritto «Testi: Masi / Disegni: Petruccioli» non è così: abbiamo lavorato a strettissimo contatto e ci siamo confrontati su ogni singola scelta, fosse un’inquadratura o un dialogo.

Banalmente: quanto dura la crisi di Mattia? Minuti? Ore? Mesi?

Non ne ho la più pallida idea. Non “dura” un’unità di tempo perché è impossibile valutare il tempo in quei momenti. A livello di messa in scena, sembrerebbe durare pochi secondi, oppure giorni se quell’appuntamento è ricorrente tra i due. Dipende un po’ da come il lettore è abituato a reagire a certi eventi. Per ora, alcune lettori evidentemente più rapidi a reagire alle situazioni critiche mi hanno detto che è durato pochi istanti, che era tutto un viaggio suo, altri hanno pensato che è una cosa che è durata giorni, o che durerà giorni (una sorta di flash forward). È uno dei punti che abbiamo lasciato ambigui volutamente.

Mi pare di capire quindi che, nel tuo modo di intendere il Fumetto (e l’Arte tutta), sebbene l’opera debba parlare da sé, il contributo del fruitore, del lettore, sia importante tanto quanto quello dell’autore. È un modo di intendere l’Arte abbastanza “rivoluzionario” se vogliamo, dove il rapporto tra committente e artista è stravolto trasversalmente sia che si parli di “Fumetto popolare” che di “Fumetto d’autore” (non mi piacciono molto queste etichette, ma allo stesso tempo sono molto comode ai fini della sintesi). Questo è il tuo normale “modus operandi” oppure lo usi solo in determinate situazioni?

Sì, ovviamente intendo dire che, in Frantumi, ho sempre pensato che il lettore dovesse portare del suo nella vicenda e che sia altrettanto importante il suo vissuto tanto quello mio e di Rita come autori. Non so se è molto “rivoluzionario” come approccio, in fondo Eco ne scriveva già una quarantina di anni fa (Lector in Fabula penso dica tutto quello che ci sia da dire su questa cosa). Ora, senza voler scomodare nomi importanti come quelli di Eco o gli (scarsi) ricordi che ho dell’esame di Semiotica all’università, quello che semplicemente volevamo fare con Frantumi era creare un luogo in cui il lettore si addentrasse grazie a Mattia, ma che magari non condividesse il punto di vista di Mattia rispetto al mondo in Frantumi. Magari preferiva quello di Laila, o di Sofia. Mi piace sempre chiedere qual è il personaggio preferito del libro perché mi dice tanto anche del lettore che ho davanti. Rispetto al discorso “Fumetto popolare” piuttosto che “Fumetto d’autore”, non le condivido neanche io come etichette (per quanto tu abbia ragione, sono davvero comode). Per me, esistono storie che funzionano meglio raccontate magari come Frantumi, con quel tipo di approccio al racconto, quella veste grafica e anche tipografica (Bao ha fatto un lavoro incredibile per dare “importanza” alla storia anche attraverso l’oggetto libro), e altre che funzionano meglio magari in un albetto da 94 pagine da edicola. Ma è la storia che funziona, non che ci siano particolari impedimenti a raccontare la stessa storia con due approcci differenti. Magari ha meno senso per me come autore, e per questo scelgo di volta in volta come raccontarla.

Se per «modus operandi» intendi che io cerchi la collaborazione del mio lettore, sì, assolutamente. Ovviamente con diversi approcci. Se sto raccontando una storia per la Bonelli, ho delle regole editoriali ben precise che non posso stravolgere più di tanto. Però anche lì cerco sempre un po’ di giocare, lasciando degli spazi al lettore dove poter magari proiettarsi. Su Frantumi, ovviamente, era proprio cercata e voluta come cosa.

Sembrerebbe che il viaggio di Mattia nell’affrontare la sua crisi sia totalmente interiore, ma il cast di personaggi che incontra, Laila su tutti, sembra essere assolutamente “altro” da lui. Difatti, con chi si sta rapportando Mattia?

Anche qui, diciamo che non è completamente univoco il significato del libro. Da una parte, perché il mondo di Mattia dovrebbe essere completamente interiore? Incontra tutte persone che non sono aspetti della sua personalità. Sono tutte persone che osservano un centro focale, quello dell’andare in frantumi, da angolazioni diverse e hanno risposte diverse rispetto a Mattia che di risposte non ne ha. Dall’altra parte, sì, è un viaggio completamente interiore e quelli che incontra Mattia sono tutti aspetti della sua personalità che gli mostrano come potrebbe andare la sua storia, di come è difficile prendersi i propri momenti o di quali sono i rischi del perdersi. Sono entrambe risposte “giuste”, il problema però è che Mattia, appena entra nel mondo in Frantumi, perde il centro della sua vita. La sua “Sofia”. La confusione di Mattia è la stessa confusione del lettore. O almeno, questo è quello che provavamo a raccontare. Personalmente, mi piace pensare che siano “altro” da lui. Persone che sono finite là proprio come lui e che cercano una via di fuga, ognuno a modo loro.

Ecco fatto, come vedi, molte cose abbiamo cercato di rappresentarle in maniera non univoca volutamente. È stato a tratti anche faticoso, ma volevamo provare a fare un fumetto che di primo impatto fosse un viaggio d’avventura, ma dove ogni cosa fosse anche una specie di “metafora”. E in cui però la parte emotiva non venisse schiacciata da queste cose e che fosse, alla fine e soprattutto, una storia emozionante.

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