Fanzaghirò – Intervista a Cristina Portolano e Giopota

Cristina Portolano e Giopota hanno unito le forze con decine di altri artisti per realizzare Fanzaghirò, un’antologia di racconti a fumetti e illustrazioni dedicata al cult fantasy Fantaghirò i cui ricavati andranno in beneficenza per donne vittime di violenza.

Dimensione Fumetto incontra i due fumettisti Cristina Portolano e Giopota, che hanno unito le forze con decine di altri artisti per realizzare Fanzaghirò, un’antologia di racconti a fumetti e illustrazioni dedicata al cult fantasy Fantaghirò i cui ricavati andranno in beneficenza.

Come è nata l’opera, chi vi partecipa, a quali scopi è dedicata, di quali temi tratta, quant’è bella Alessandra Martines, quant’è forte Hikaru e la dura vita delle giovani fumettiste italiane: di tutto questo e di molto altro ancora ci parlano direttamente loro due in questa intervista esclusiva per DF!


Salve Cristina e Giovanni, presentatevi al lettori di DF!

Cristina Portolano – Ciao! Sono Cristina Portolano e faccio la fumettista e illustratrice freelance. Ho pubblicato Non so chi sei per Rizzoli Lizard e Quasi signorina per Topipittori: il primo verrà presto tradotto in spagnolo, mentre il secondo uscirà in inglese come Nearly Miss dalla One Percent Press a maggio in occasione del TCAF di Toronto. A settembre poi uscirà Io sono Mare (alla recente Bologna Children’s Book Fair lo ha preceduto un albo/gioco con gli stessi protagonisti), che sarà il mio primo libro per bambini e per Canicola.

Giopota – Io sono Giopota, faccio fumetti e fanzine, ho pubblicato con BAO Publishing Un anno senza te (di cui DF ha parlato estensivamente, N.d.r.) e presto anche un altro libro, contemporaneamente collaboro con autoproduzioni come Attaccapanni Press il cui prossimo volume è Grimorio II, e parteciperò al progetto Fanzaghirò disegnando la copertina.

Raccontiamo in breve Fantaghirò a chi non lo conosce.

Giopota – Fantaghirò è una ragazza nobile molto ribelle che ha due sorelle, una stupida e una intelligente, e un padre-padrone. Lei si sente diversa, non vuole fare la vita da principessa, ma da guerriera, e per questo passa tutta l’infanzia in punizione dentro un pozzo. C’è una scena topica in cui la piccola Fantaghirò viene calata nel pozzo e quando poi riemerge è Alessandra Martines in tutto il suo splendore coi capelli lunghi, che poi si taglierà per protesta. Coi capelli corti e il nome di Cavaliere di Valdoca si finge uomo e, facendo le veci di suo padre, va a combattere una guerra col re di un altro regno, tipo Mulan. Narrativamente funziona, però fa un po’ strano che una donna debba fingersi un uomo per farsi valere.

Alessandra Martines in "Fantaghirò" di Lamberto Bava.
Alessandra Martines, bella come il Sole e ambigua come la Luna, ha interpretato la principessa Fantaghirò/conte di Valdoca nelle cinque stagioni di Fantaghirò, trasmesse nel periodo di Natale su Canale 5 dal 1991 al 1996 e realizzate tutte dallo stesso cast tecnico guidato dal regista Lamberto Bava.

Com’è nata l’idea di coinvolgere molti autori per realizzare una fanzine su Fantaghirò?

Giopota – È partito tutto quando ho scritto uno status su Facebook in cui dicevo di voler fare una fanzine su Fantaghirò a seguito del suo ingresso nel catalogo di Netflix Italia. Io avevo scritto solo una battuta, ma molta gente ci ha creduto tantissimo ed è venuta a chiedermi come partecipare, ed era seria!

Portolano – Se ne sente il bisogno!

Giopota – Poi ho contattato Thomas Govoni, un ragazzo che ha lavorato in RenBooks, gestisce incontri su temi LGBT a Bologna, organizza mostre di artisti emergenti eccetera, noi lo conosciamo un po’ tutti e gli ho proposto di aiutarmi in questa autoproduzione. Lui è stato subito super entusiasta, e adesso siamo qua con una squadra di tutto rispetto di ben quaranta autori. Fra i vari, oltre a Cristina Portolano ci saranno Alessandro Baronciani, Claudia “Nuke” Razzoli e Laura “La Came” Camelli di Mammaiuto, Elonora Antonioni che lavora spesso nell’ambito del femminismo, Fabio Mancini & Marco B. Bucci che propongono una variante gender di una celebre scena di Fantaghirò, Flavia Biondi & Anna Ferrari, Giulia Sagramola, Greta Xella, Jacopo Camagni, Maicol & Mirco, Marco Albiero, Nova Sin, Pablo Cammello, Raffaele Sorrentino, Rita Petruccioli, Simone D’Armini, Spugna, Vittoria Macioci e anche Silvia Rocchi che quest’anno è nominata nella categoria Miglior fumetto al Premio Attilio Micheluzzi del Comicon… e questo solo per citarne alcuni.

Portolano – Siamo per la maggior parte donne, e quasi tutti dai trenta anni in su perché quelli più giovani non hanno idea di cosa sia Fantaghirò.

Collage degli autori dell'antologia "Fanzaghirò".
Un collage degli autori che hanno partecipato a Fanzaghirò: la varietà di stili è enorme.

Fanzaghirò è principalmente incentrata sul tema della sessualità della protagonista?

Giopota – No no, è molto diversificata. Il tema principale, oltre a quello della sessualità, è la nostalgia: anche Cristina ci racconta il suo rapporto con Fantaghirò e come l’ha formata e cresciuta. Alcune opere sono proprio rivisitazioni basate su un elemento della serie, e poi c’è tanta forza femminile e l’emancipazione.

Portolano – Abbiamo volontariamente evitato gli stereotipi e l’erotismo, di cui non c’era bisogno.

Giopota – Tutti i ricavati poi andranno in beneficenza alla Casa delle donne, che è una ONLUS di Bologna che si occupa di accoglienza per tutte le donne (e loro bambini) che subiscono maltrattamenti e violenze. L’organizzazione è gestita da non più di cinque persone che si occupano di qualcosa come duemila donne su tutto il territorio, ospitate in delle case di accoglienza segrete di cui conoscono solo loro gli indirizzi. Fanzaghirò è nata come opera di beneficenza, e dopo averci riflettuto un po’ ci siamo resi conto che la Casa delle donne era la struttura ideale a cui devolvere i ricavati, essendo esattamente in linea con i concetti di emancipazione che vogliamo comunicare.

Due tavole di Cristina Portolano da "Fanzaghirò".
Due tavole tratte dal fumetto di Cristina Portolano.

Essendo un’autoproduzione, come è possibile acquistare Fanzaghirò e quando uscirà?

Giopota – Fanzaghirò verrà finanziato tramite crowdfunding su Indiegogo. Il nostro obiettivo sarà di raggiungere una cifra tot, ma imposteremo un flexible goal così che potremo prendere i soldi anche se non arriveremo alla cifra finale. Chi parteciperà al crowdfunfing riceverà una copia. Useremo i soldi solo per stampare i volumi e basta, tutto il resto andrà in beneficenza. Inoltre ci è stato dato uno spazio per allestire una mostra al Treviso Comic Book Festival: ne siamo molto contenti perché quest’anno il numero di luoghi disponibili per le mostre è stato molto ridotto e molto inferiore rispetto alle richieste, quindi vuol dire che ci hanno scelto fra tanti; anche lì sarà possibile comprare il libro. Spedite e vendute tutte le copie e finita la tiratura, Fanzaghirò non sarà più disponibile e cominceremo a pensare eventualmente se continuare su questo filone di fanzine nostalgiche che tanto ci piacciono e ci diverte fare.

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Che cosa è stato Fantaghirò per voi?

Portolano – Per me è stata l’antesignana di tutte le femministe e i femminismi adesso in Italia. È stata molto fraintesa: di tutti i revival degli anni ’90, Fantaghirò è stata la serie più bistrattata e meno recuperata fra tutte. Ma se ci pensiamo e la guardiamo bene è state la prima ad aver messo in discussione i ruoli di genere nel fantasy: la principessa non sta lì ad aspettare il principe, ma anzi si incontrano in uno scontro. Fantaghirò ribalta tutto quello che di solito nelle fiabe fanno i prìncipi: le fa lei e all’epoca fu una cosa rivoluzionaria. La mia storia sarà proprio su questo aspetto.

Quattro opere con elementi femministi: "Xena - Pricipessa guerriera", "Utena la fillette révolutionnaire", "Shrek" e "Ribelle - The Brave".
Quattro eroine femministe post-Fantaghirò. Da sinistra: l’iconica serie fantasy-action neozelandese Xena – Principessa guerriera del 1995, in chi l’eponima protagonista, fra un cerchio saettante e una scazzottata, intesse una love story con la coprotagonista Olimpia. Anche nell’anime giapponese Utena la fillette révolutionnaire del 1997 il plot onirico gira intorno al rapporto saffico fra la protagonista che si sente un principe e la coprotagonista che deve superare i suoi blocchi mentali, il tutto su musica disgregata. Nel film Shrek del 2001 si ribaltano tutti gli stereotipi delle fiabe (almeno dal punto di vista degli americani) e la principessa Fiona tira calci volanti e sposa l’orco. In Ribelle – The Brave del 2012, primo film Pixar diretto da una donna, la principessa Merida rifiuta gli obblighi da femmine e decide di sposare se stessa, come in Isobel di Björk.

Questo aspetto rivoluzionario era volontario nella serie?

Portolano – Bisognerebbe sentire Lamberto Bava e gli sceneggiatori per questo…

Giopota – …e ci abbiamo provato, fra l’altro.

Portolano – La cosa non è stata mai sviscerata ufficialmente, ma volontà o meno resta il fatto che qualunque prodotto d’arte (film, serie, libri, eccetera) vive dell’interpretazione che ne danno altri. A me sembrava importante dare la mia interpretazione di Fantaghirò, che è questa: negli anni ’90, periodo demonizzato in cui andavano in onda Drive In e Colpo grosso, minato dal berlusconismo e dalla concezione della donna-oggetto, c’era anche Fantaghirò che in realtà era un prodotto underground pur essendo distribuito nel canale mainstream, e questo è stato davvero rivoluzionario. All’interno della “favoletta”, a cui i potenti non davano peso, mandava dei messaggi forti che stanno dando i frutti adesso, e un esempio ne sono io stessa. Per me è stato fondamentale. Per tutti quelli che si stanno accorgendo adesso delle tante fumettiste donne: è vero, tutte quelle che stanno uscendo fuori adesso sono nate negli anni ’80 e cresciute nei ’90, ma il mondo del fumetto è composto da un manipolo di nerd uomini che si accorge delle fumettiste donne solo quando partecipano a pubblicazioni che accondiscendono alla patetica visione maschilista del mondo. Altre visioni vengono viste con sospetto, «Ma chi sono queste femmine che fanno i fumetti?», e la cosa è lampante. Le piccole case editrici e i privati invece si stanno accorgendo di noi.

Quindi il pubblico si sta accorgendo di voi più delle grandi case editrici?

Portolano – Sì, assolutamente. Senza entrare nella polemica, anche nel mondo del fumetto per lanciare professionalmente una donna è necessario che venga presentata da un uomo o che la prenda in simpatia. A volte succede ancora così, è difficile che venga fuori dal nulla e parta da sola. Quindi Fantaghirò è un po’ un simbolo per noi fumettiste: tutti le dicono sempre «Ma che fai, stai ferma, stai buona», lei invece fa sempre di testa sua e vince, prendendosi la responsabilità delle sue azioni.

In qualche maniera Fantaghirò è un po’ la Lady Oscar italiana?

Giopota – Volevo appunto farti un parallelo su questo. Cristina diceva che negli anni ’90 in Italia c’erano Drive In e Colpo grosso, ma da fuori dell’Italia ci arrivavano Una spada per Lady Oscar, Sailor Moon, le CLAMP e prima ancora tante altre cose. Probabilmente ho visto nei media tanta forza femminile molto meno stereotipata negli anni ’90 rispetto ad adesso.

Portolano – È verissimo. Nel mio caso, io mi rivedevo fortemente in Hikaru di Magic Knight Rayearth. Le CLAMP mi hanno fornito le prime figure di riferimento in cui mi rivedevo tantissimo.

Giopota – Adesso sembra quasi che la sessualizzazione, il mostrare il corpo sia una componente fondamentale delle donne. In Una spada per Lady Oscar tutto questo mancava, o almeno era contestualizzato. In quell’opera non ci sono stereotipi e la differenza di genere viene annullata. Mi pare che il filone mainstream prima avesse un diverso tipo di approccio con questo tema narrativo. Io dico spesso che noi fumettisti di questi anni ’10 siamo un pochino nostalgici, ma per forza di cose, perché tutte queste rappresentazioni del passato ci hanno formato in maniera granitica, e sono convinto che la forza femminile sia uno dei temi che ci ha forgiato.

Fanart di "Magic Knight Rayearth" delle CLAMP realizzata da Cristina Portolano e di "Le rose di Versailles" di Riyoko Ikeda realizzata da Giopota.
Due fanart di Magic Knight Rayearth di Cristina Portolano e Le rose di Versailles di Giopota realizzate in esclusiva per DF: grazie mille!

Anche nella musica mainstream degli anni ’90 c’è stata una forte emancipazione della figura femminile: basti pensare a Madonna che, una canzone alla volta, ha smosso la mentalità collettiva su temi quali la sessualità e l’accettazione di genere. Quali opere o personaggi hanno formato la vostra immagine dell’identità femminile?

Giopota – Madonna ha legittimizzato il sesso femminile come desiderio, un’esperienza piacevole e umana parallela e non inferiore al sesso maschile. Come Lady Oscar, anche lei vuole affermare che l’identità femminile non è differente da quella maschile.

Portolano – In realtà l’identità la fa una somma di cose, anche le donne nude di Drive In: mettendo in correlazione e in dialogo tutti i ruoli femminili che si vedono si forma una consapevolezza di genere.

Giopota – Senza tornare su cose di cui abbiamo già parlato, le opere del compianto Isao Takahata si concentravano sulle figure femminili tratte dai grandi romanzi, e anche il suo compagno d’armi Hayao Miyazaki ci ha abituato a protagoniste che durante tutti gli anni ’80, ’90 e 2000 avevano sempre il ruolo principale pur senza essere mai neanche minimamente sessualizzate (forse anche perché lui è un po’ spaventato dal sesso). Questi personaggi femminili fanciulleschi eppure eroine di avventure mi hanno sicuramente fatto realizzare che non tutti i protagonisti fantasy devono essere per forza uomini.

D’altronde Takahata e Miyazaki hanno sempre modificato le loro fonti per dare maggior forza alle protagoniste femminili. Le versioni giapponesi dei vari orfanelli della letteratura occidentale sono spesso diverse dalle opere di partenza, e l’esempio più lampante è proprio in Heidi: nel libro originale di Johanna Spyri la piccola protagonista è una sorta di suora laica, sempre devotissima e mansueta. L’opera di Takahata e Miyazaki è quindi liberamente ispirata e molto drammatizzata, inserendo l’inedito elemento della ribellione alle regole della piccola Heidi: fin dagli esordi i due registi hanno avuto protegoniste femminili, non sessualizzate e che rompono gli schemi.

Portolano – Sicuramente Miyazaki è il più femminista di tutti.

Giopota – Sì, femminista pur nelle sue contraddizioni. È un po’ timorato dal sesso, e dopo aver ricevuto molti anni fa alcune accuse su una presunta sessualizzazione di un suo personaggio bambino, ha deciso in tutti i modi di evitare il tema. Non lo abbiamo invece evitato nella fanzine Fanzaghirò, in cui abbiamo appunto una storia incentrata sul tema della sessualità e della confusione di genere. Una coppia di autori si è inventata una versione alternativa di una famosa scena.

Ci sono delle opere che attualmente portano avanti il messaggio di Fantaghirò?

Portolano – Mi viene in mente Lena Dunham di Girls, che mi ha molto ispirata e dato coraggio. L’attributo fondamentale dell’emancipazione è poter fare quello che fanno anche gli uomini: non può esserci una differenza del tipo «Ah, io non posso raccontare delle scopate o della guerra perché il mio essere donna me lo vieta». Questo è un autoimporsi dei limiti che ci sono stati inculcati fin dall’infanzia. Per esempio, io ho pubblicato due illustrazioni nel volume Storie della buonanotte per bambine ribelli, che è diventato un caso editoriale e cerca proprio di rompere questi limiti. Le autrici Elena Favilli e Francesca Cavallo sono italiane, abitano in America e hanno meno di 40 anni, quindi hanno sicuramente visto Fantaghirò. Al contrario, i programmi televisivi attuali decostruiscono tutto il lavoro di emancipazione femminile che facciamo noi.

Giopota – Anche film come The Avengers non funzionano sotto questo punto di vista: sono comunque tutta una schiera di supereroi maschi, e le donne per quanto siano rivestite restano comunque in secondo piano. Non dico che lì le donne siano vittime di poca considerazione, ma quasi. Lo stesso nella DC: Wonder Woman è la meno vestita di tutte. Poi nei fumetti contemporanei invece sono molto più attenti, come in Ms. Marvel, che per quanto politicamente corretto è comunque impegnato sulla questione dell’emancipazione femminile, e gli autori sono molto più educati al linguaggio del fumetto. Invece, Hollywood è Hollywood. Quanto al fumetto italiano, Dylan Dog continua ad avere una compagna in ogni numero.

Portolano – In Italia manca proprio un dibattito profondo su questo argomento, ogni spunto viene liquidato come qualcosa di non serio di cui parlare, e invece è un tema centrale. L’ultimo esempio in ordine di tempo: la rivista di arte Flash Art ha pubblicato uno speciale dedicato al fumetto italiano e non si parla di una singola opera scritta da una donna. Si va da Jacovitti a Gipi a Paolo Bacilieri, si vuole dare una visione ampia e universale, ma nel raccontare il panorama fumettistico se ne dà solamente una parte. È quello di cui parlavamo prima: adesso ci sono tante donne fumettiste, ma poi nel paese reale scompaiono, e lo stesso accade per le scrittrici. Scrive Jenny Offill: «Le donne non diventano mai mostri d’arte, perché i veri mostri d’arte si preoccupano solo di arte, e mai di cose terrene».

Illustrazioni di Cristina Portolano per "Store della buonanotte per bambine ribelli" di Francesca Cavallo ed Elena Favilli.
Le due atlete Alfonsina Strada e Bebe Vio ritratte da Cristina Portolano per i volumi Storie della buonanotte per bambine ribelli.

Il mondo del fumetto italiano è maschilista?

Giopota – Probabilmente lo è sempre stato, almeno fino agli ultimi anni in cui stanno uscendo fuori le autrici. Il problema è che il mercato del fumetto era pensato come seriale e non autoriale, da Bonelli a Topolino. Attualmente le case editrici invece stanno proponendo ai fumettisti di realizzare anche libri singoli in cui possono raccontare la loro poetica e visione, e così sono uscite fuori tante donne. Sono circondato da colleghe! Ci sono comunque grandi disegnatrici come Elena Casagrande e Sara Pichelli, ma la maggior parte sono autrici complete e mi sembra che il mondo femminile del fumetto sia quello delle graphic novel.

Portolano – In realtà io vorrei confrontarmi anche con una serie, ma visto che le riviste di fumetti sono morte, con cosa un giovane autore può fare pratica? Con un libro o con le autoproduzioni.

Giopota – Beh, Mirka Andolfo lavora sulle serie, anche in America, ma sono casi singolari, sono poche rispetto agli uomini. In conclusione, secondo me si è aperto un mondo con le graphic novel e lì non c’è proprio sesso: credo sia un mondo aperto a tutti e se hai un’idea che funziona va in porto. In Italia c’è la polemica che si pubblicano tante cose brutte, sì, però almeno viene data una possibilità a tutti e questo è già tanto.

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