Dylan Dog 356 “La macchina umana” – Una recensione eclissata

Il piccolo Max si accorse che essere il rampollo di una ricca famiglia borghese ebraica non era soltanto rose e fiori. A Max piacevano cose un po’ hippie come passeggiare, leggere libri, e stare seduti sotto gli alberi a riflettere sulla natura del mondo. Ma il padre, quando finalmente si diplomò, decise che la vera vita di Max sarebbe cominciata. C’era un’azienda tessile da portare avanti.

Diversi anni dopo Max si iscrisse all’Università. Non sappiamo molto dei suoi anni passati a vendere tessuti; ma possiamo immaginarci come siano andate le cose, visto che Max, assieme al suo amico Theo, diventerà uno dei più importanti critici del Capitalismo, della civiltà tecnica e dell’Illuminismo che la storia della filosofia ricordi.

Basta dare un’occhiata veloce alla sua Eclisse della Ragione, a firma, appunto, di Max Horkheimer, per rendersi conto che Max non fu felice negli anni di lavoro nella fabbrica tessile di papà.

Certo, prof, diranno i miei annoiati lettori, ma questo che c’azzecca co’ Dylan Dogghe?

Direi che c’azzecca eccome.

pagina 40 © Sergio Bonelli Editore
pagina 40 © Sergio Bonelli Editore

Che cosa ci fanno le parole di Horkheimer sulla bocca di Groucho? Ce le hanno messe Alessandro Bilotta e Fabrizio De Tommaso, creando uno di quei cortocircuiti artistici che capita raramente di incontrare. L’effetto è umoristico in senso profondamente filosofico: la spalla comica che enuncia la tragedia umana, la spalla comica che usa le parole del critico dell’Illuminismo e che porta il cognome di uno dei suoi più grandi incensatori, Marx. Se il comico è ribaltamento delle aspettative, questa è comicità pura. Ma lo scambio non è finito, perché Dylan ha ancora qualcosa da dire. Non deve essere un caso che queste due vignette siano al termine di una pagina, perché creano una tensione che si deve sciogliere solo nella pagina successiva.

pagina 41
pagina 41 © Sergio Bonelli Editore

No, non fanno affatto ridere. In effetti, fanno orrore.

La macchina umana

I passaggi degni di una riflessione, in questo Dylan Dog 356, sono tantissimi. Ci preme sottolineare il ritorno all’orrore in senso sclaviano che si respira in ognuna delle pagine dell’albo, ma recuperato ad una purezza espressiva che emerge con prepotenza. Gli orrori di Sclavi nascevano sempre dalla normalità, trasfigurandosi nell’horror: e il ruolo di Dylan era quello di risalire lungo questo processo per capire da cosa nascessero i mostri, quale fosse l’orrore che li aveva generati.

Ne La macchina umana troviamo Dylan che ha già intrapreso quel percorso, ma si è trovato invischiato in esso. Non è riuscito a distaccarsene, a provare la pietas cui ci ha abituati; perché stavolta l’orrore è troppo grande.

dylan dog macchina umana 4
pagina 68 © Sergio Bonelli Editore

Non ci sono elementi horror, in questo numero di Dylan Dog. Gli intestini restano ben chiusi nel ventre, eppure si aggrovigliano; gli occhi non vengono cavati, ma hanno voglia di distogliersi dalla visione di tanta miseria. È tutto normale, vissuto in ogni luogo del nostro adorato occidente, attaccato alla nostra pelle al punto che non ce ne accorgiamo più.

Ma Dylan se ne accorge eccome, nella sua natura di creatura dell’immaginazione. Dylan che si portava a letto una donna al mese, che ha viaggiato nei mondi, che ha fronteggiato assassini, folletti, fate, uomini invisibili, maghi… Dylan che ha fronteggiato tutto questo e ne è uscito sempre indenne. Contro questo orrore Dylan Dog non ha armi; contro questo orrore Dylan Dog non può che soccombere. Non che non ci provi: nella sequenza in cui prova a fare il Dylan Dog, viene sconfitto dal suono di una sveglia.

Bilotta gioca col lettore, mostrando senza alcuna pietà la peggiore sconfitta di Dylan Dog per mano di un cattivo che nemmeno compare mai, quel John Ghost che finalmente emerge come una forza del male pura, potente, intoccabile. De Tommaso graffia le tavole con un tratto asciutto ed espressionista, senza fronzoli e profondamente maturo.

pagina 58
pagina 58 © Sergio Bonelli Editore

La storia è perfettamente funzionale al progetto personale di Recchioni sul personaggio; a tratti è illuminante. Alla luce di questo albo si comprendono vari albi precedenti. Alla fine ci restano quelle ultime tavole che, se prese sul serio, fanno tabula rasa delle aspettative del lettore. Cosa accadrà nel prossimo numero? Non lo sappiamo. Per la prima volta da un paio di centinaia di mesi a questa parte, non lo sappiamo.

La macchina umana è un albo cruciale per comprendere la direzione della serie, “finché c’è benzina nel motore”. Per quanto mi riguarda, spero che il buon vecchio maggiolone abbia il pieno, perché ho voglia di fare molta strada con Dylan, Groucho, Recchioni e il gran team di artisti che si è raccolto intorno.

Francesco Pone

Francesco Pone legge fumetti da troppo tempo. La sua principale occupazione è tentare di far servire a qualcosa la sua laurea in filosofia.

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