At Home with Olaf – L’animazione Disney ai tempi del COVID-19
I Walt Disney Animation Studios hanno reagito al lockdown in maniera costruttiva con la serie di mini-cortometraggi At Home with Olaf, 21 gioiellini portatori di un forte messaggio positivo.
Il giorno 6 aprile 2020 negli Stati Uniti d’America 1’212 persone sono morte per cause collegabili al coronavirus. In quello stesso giorno altre 29’359 persone hanno scoperto di essere state contagiate, molte di loro sono morte poco dopo, ed entro cinque giorni il conto totale delle vittime statunitensi di coronavirus ha supererato il numero delle vittime italiane raggiungendo il record mondiale.
Il giorno 6 aprile 2020, mentre nel Paese morivano 1’212 persone, i Walt Disney Animation Studios di Burbank, California pubblicavano sui propri canali social di YouTube e di Twitter il primo cortometraggio di una serie intitolata At Home with Olaf. La California è stata uno dei primissimi Stati a dichiarare fin da marzo lo stato di emergenza e poi a emanare un’ordinanza di lockdown, quindi i suoi i cittadini sono stati fra i primi a sperimentare la quarantena negli USA, proprio in contemporanea con gli italiani. Eppure, impossibilitati ad andare a lavorare negli Studios, gli animatori guidati dalla direttrice creativa Jennifer Lee hanno dato una risposta costruttiva alla necessità di stare a casa, trasformandola in risorsa e ideando la serie At Home with Olaf.
A partire da quel 6 aprile e fino al 14 maggio gli animatori della Disney hanno pubblicato online 21 cortometraggi (anzi micro-cortometraggi, dato che alcuni durano solo 30 secondi titoli di testa e di coda inclusi), al ritmo di uno ogni giorno o massimo tre giorni. Sono tutti realizzati in CGI, 20 in 3D e uno in 2D, sono tutti brevissimi esercizi di stile animati a regola d’arte, ma soprattutto la caratteristica principale che rende questi lavori unici e importanti è che sono stati tutti realizzati in remoto. I registi, i produttori, gli sceneggiatori, il capo animatore Hyrum Osmond e tutti gli animatori, i tecnici, i musicisti, il doppiatore Josh Gad: l’intero staff tecnico e artistico dei Walt Disney Animation Studios era in quarantena e perciò ha lavorato da casa, ognuno a casa sua, per realizzare un lavoro comune.
At Home with Olaf è un lavoro straordinario. Innanzitutto si tratta della prima volta nella storia dell’animazione, forse del cinema, forse delle arti visive in generale, che un lavoro unico viene realizzato collettivamente da un vasto staff i cui componenti sono completamente separati l’uno dall’altro, donando al mondo un meraviglioso esempio di coesione creativa e lavorativa.
In secondo luogo i cortometraggi rappresentano visivamente la condizione di quarantena, benché attraverso l’uso di sottili strategie narrative non immediatamente avvertite dallo spettatore. È solo dopo aver visto qualche episodio, infatti, che ci si rende conto che Olaf è completamente solo, che Arendelle è vuota e che non ci sono né musica né rumori né si vedono umani, sottinteso: tutte le persone sono chiuse in casa per la quarantena.
Un terzo aspetto importante della serie è che Olaf viene fortemente riqualificato come personaggio. Certo, l’aspetto grafico rimane ancora estremamente sgradevole e insignificante, quasi abbozzato (e considerate le complesse vicende produttive del primo Frozen è possibile che Olaf sia effettivamente un personaggio solo abbozzato e mai rifinito graficamente), ma mentre negli altri film del franchise Olaf appare immancabilmente e intollerabilmente odioso, nella serie At Home with Olaf invece il pupazzo di neve parlante viene in qualche modo riconfigurato in quello che potremmo chiamare “personaggio vuoto”, ovvero un personaggio completamente privo di qualunque caratterizzazione specifica o fissa, qualunque pregio o difetto, qualunque limite fisico e mentale, un po’ come i vecchi personaggi Looney Tunes o come Roger Rabbit. Proprio perché è un personaggio vuoto, l’Olaf di At Home with Olaf non è più confinato a fare la spalla comica nient’affatto comica, e viene invece usato dagli animatori come una semplice marionetta per una grande quantità di situazioni, dalle gag brillanti alle scene più malinconiche.
Ed è proprio una scena malinconica quella del 21esimo e ultimo cortometraggio, intitolato I Am with You. Coi suoi quasi 3 minuti è l’episodio più lungo della serie, è l’unico cantato, ed è un gioiello. Olaf si sente solo e triste e scrive una lettera alle persone che ama, ma ecco il miracolo: la lettera diventa una canzone e i versi di Olaf sono abbinati a immagini tratte dai vecchi film Disney, dalle Silly Symphonies di Topolino e Minni fino a Oceania. Affermare che sia la canzone sia l’abbinamento testo/immagini siano commoventi è a dir poco riduttivo: I Am with You supera nettamente per qualità tutte le altre canzoni del franchise di Frozen, raggiunge i livelli di Ricordami di Coco e fa ascendere la coppia formata dai coniugi Robert & Kristen Lopez nel Parnaso dei compositori di Hollywood.
Si potrà contestare che l’uso delle immagini di repertorio è palesemente un’idea ruffiana per vincere facilmente il cuore dei fan Disney, il che è verissimo, ma la scelta non banale delle immagini e il loro montaggio in rapporto al testo è esemplare, producendo con I Am with You l’ennesima conferma di quanto la poetica Disney non sia quella dei “buoni sentimenti” o del “volemose bene”, cosa che non è assolutamente mai stata, ma quella della strenua resistenza agli infiniti problemi del mondo attraverso due condizioni imprescindibili: la crescita personale e la vicinanza con la propria famiglia (parentale o amicale). Essere forti sempre, da soli e insieme.
Preparare i fazzoletti.
A rendere ancora più alto il valore di I Am with You c’è Josh Gad, che in quanto doppiatore di Olaf e interprete di Le Tont ne La bella e la bestia del 2017 è ormai considerabile come uomo Disney a tutti gli effetti, anche fuori dal lavoro. Durante il periodo di quarantena Gad ha infatti messo in piedi varie attività costruttive, le più importanti delle quali sono i video in cui legge libri per bambini e la reunion virtuale del cast de Il signore degli anelli per beneficenza (gli introiti sono stati donati a strutture ospedaliere).
Alcuni potrebbero storcere il naso davanti a un prodotto come At Home with Olaf: non dà specifici consigli per superare la quarantena o proteggersi dal coronavirus, non raccoglie soldi per scopi caritatevoli (anzi date le milioni di visualizzazioni su YouTube l’azienda ci ha anche lucrato su) e non toglie di mezzo un personaggio odioso come Olaf, anzi gli dà ancora più spazio. Eppure, realizzando questa serie tutta durante la quarantena e tutta da casa, i Walt Disney Animation Studios hanno donato ai fan un enorme sostegno emotivo e lanciato al mondo un messaggio positivo di rara forza. Gli artisti degli Studios avrebbero potuto rimandare tutti i progetti come fanno i manager che guidano la loro azienda, avrebbero potuto tergiversare, avrebbero potuto non fare niente in questo periodo come non hanno fatto niente molti (tutti?) altri studi d’animazione del mondo. E invece hanno costruito qualcosa di bello, di forte e di importante, proprio in un momento così difficile per tutti.
Grazie a tutto lo staff, grazie Jennifer Lee, grazie Walt Disney Animation Studios.