Wednesday Warriors #58 – Divertirsi con i Terrifics e annoiarsi con Flash
Questa settimana su Wednesday Warriors: THE FLASH #88 e THE TERRIFICS #25
Questa settimana su Wednesday Warriors:
Gufu’s Version
THE FLASH #88 di Joshua Williamson e Howard Porter
Quello del Fumetto è un ambiente linguistico carico di potenzialità e prerogative non riscontrabili in altri media come cinema, romanzi, teatro ecc… ma la caratteristica che definisce il fumetto come linguaggio è quella di essere principalmente un mezzo visivo: per quanto uno sceneggiatore possa dettagliare la propria scrittura questa verrà immancabilmente convogliata e tradotta in immagini dall’artista di turno.
In un team creativo composto da sceneggiatore e disegnatore il secondo è, nella stragrande maggioranza dei casi, l’elemento più autorevole e competente in merito alla narrazione per immagini: il suo non è un mero compito meccanico, non si limita a disegnare quanto gli viene detto ma interpreta la sceneggiatura dandole la sua forma definitiva.
Quello del rapporto tra disegni e sceneggiatura è un discorso che ho cercato di approfondire nella serie di articoli “From script to page” QUI, QUI e QUI.
È importante capire che il disegnatore di fumetti non è “solo” un disegnatore, non è un illustratore prestato alla narrativa, ma è egli stesso un narratore che è determinante e imprescindibile alla riuscita del fumetto.
In questo breve video David Mazzucchelli ci spiega il perché:
Non esistono bei fumetti disegnati male: per quanto uno scrittore possa aver dato fondo al suo estro e alla propria genialità se il disegnatore non è in grado di raccontare il fumetto sarà immancabilmente brutto.
Trattare un disegnatore come una macchina al servizio di chi non sa disegnare (ma vuole fare comunque fumetti) non solo è profondamente sbagliato da un punto di vista funzionale ma è anche profondamente irrispettoso nei confronti della professionalità di chi invece è indispensabile alla riuscita della storia.
Arriviamo quindi al nostro The Flash #88 e alla gestione di Joshua Williamson in toto: se è vero che lo scrittore è partito con un buon piglio, un buon progetto in testa, una coerenza generale nella gestione delle trame orizzontali e una idea chiara di chi dovesse essere Barry Allen, è anche vero che spesso la ridondanza dei suoi testi, che tendono a spiegare cose già dette dai disegni, sono fastidiose per quei lettori che, non privi di un minimo di orgoglio personale, chiedono di non essere presi per mano durante la lettura di una storia.
Una scrittura didascalica può essere necessaria in soggetti a lunga gittata che prevedono parecchi numeri e trame complesse: nella prima parte della sua gestione del personaggio, generalmente più coesa, questa prolissità descrittiva era in qualche modo giustificata dalla necessità di raggiungere quella fetta di pubblico più distratta (quella che ha bisogno delle 150 interviste dei fratelli Russo che spiegano ogni passaggio di Avengers: Endgame ad esempio) e quei lettori casuali che saltano a bordo a metà di storyline particolarmente complesse.
Nell’ultimo periodo della gestione di Flash lo scrittore sembra però aver perso di vista questa sua progettualità a lungo respiro limitandosi a storyarc chiusi costringendosi a presentare, riepilogare e spiegare questo personaggio o quel paradosso temporale di cui nessuno aveva sentito parlare prima.
Questo è il caso di questo preludio a Flash Age, prossimo ciclo di storie del velocista scarlatto, in cui una buona idea e un ottimo disegnatore vengono soffocati da una prosa ingombrante, ridondante e didascalica fino allo stremo.
La storia non ci viene mostrata, come invece sarebbe d’obbligo nelle arti visive, ma raccontata: è l’esatto contrario della regola aurea del “show, don’t tell”. Abbiamo 22 pagine in cui i disegni vengono trattati dallo sceneggiatore come un mero accessorio, una visualizzazione di quello che sta dicendo ai lettori tramite le didascalie.
È la versione a fumetti della serata passata a casa di amici che ti mostrano le foto delle vacanze, una di quelle attività che necessitano il consumo di parecchio alcol per essere ritenute accettabili.
Sia chiaro che non si tratta di un semplice problema di prolissità, o di intreccio: la narrazione per didascalie, anche verbosa, può conferire tono e profondità al fumetto senza risultare ingombrante o didascalica.
Ad esempio:
In questa pagina presa da Immortal Hulk #31 Ewing usa la didascalia per connettere con il lettore facendo appello a un sentire comune (“quella sensazione che provi”), a uno stato d’animo che lega autore, lettore e personaggio narrante, facendo sì che il lettore stringa un rapporto emotivo con la storia. Allo stesso tempo il disegnatore racconta una storia complementare che si integra con il testo nelle didascalie.
Mentre in The Flash #88 Williamson ci spiega per filo e per segno quello che succede nelle tavole disegnate da Howard Porter: racconta invece di mettere in scena.
Questo nuovo supervillain parla con un interlocutore non meglio specificato, presumibilmente i lettori, raccontandogli per filo e per segno la propria “origine segreta”: non c’è una connessione, non conosciamo il personaggio, non ci interessa nulla di lui, quello che ci dice è necessario esclusivamente in funzione delle prossime vicende del protagonista. Il monologo diventa così evidentemente e totalmente strumentale: una sorta di formula matematica in cui sappiamo, come lettori, che per capire B (le prossime vicende nel nostro eroe a cui teniamo) dobbiamo per forza imparare A (le vicende passate di un tizio di cui non ci frega nulla) affrontando così pagine e pagine di disinteresse verso il narratore. Sbadigli.
A questo si aggiunge il fatto che difficilmente testo e vignette sono complementari ma tendono a ripetere lo stesso discorso senza fornire informazioni significativamente diverse: un racconto noioso ripetuto due volte, prima dai testi e poi dai disegni.
Howard Porter è un disegnatore bravo, efficace come pochi nel rendere l’ipertrofia e la dinamicità nel fumetto supereroistico ed è perfetto per una serie come Flash: vederlo costretto in un ruolo di subalternità tale può solo dispiacere.
Flash #88 è un albo sbagliato dal punto di vista dell’intrattenimento (non pervenuto) ma anche e soprattutto da un punto di vista deontologico.
Bam’s Version
THE TERRIFICS #25 di Gene Luen Yang e Dan Mora
The Terrifics può essere considerato come il miglior fumetto dei Fantastici Quattro in pubblicazione al momento, meglio anche di Fantastic Four stesso. Non è un caso se la testata sia ormai l’ultima sopravvissuta dell’ennesimo progetto abbozzato DC Comics, la New Age Of Heroes nata dagli eventi di Dark Nights: Metal. Originariamente ideata da Jeff Lemire e Ivan Reis, The Terrifics nacque come risposta al Quartetto della Casa delle Idee: quattro individui dai poteri particolari si riuniscono per affrontare le insidie di un Multiverso ricco di meraviglie, pericoli, elementi bizzarri e guai di proporzioni epiche – il tutto condito da dinamiche famigliari e familiari. Mr. Terrific, il supergenio, Phantom Girl, la ragazza col potere dell’invisibilità, l’elastico e irritante, ma adorabile Plastic Man e il burbero dal cuore d’oro Metamorpho: insieme, i Terrifics hanno già affrontato l’impossibile e sono sopravvissuti per raccontarlo. Ma riusciranno a sopravvivere alle scelte dei lettori?
Alzi la mano chi non ha mai provato il brivido di vivere un’avventura fantasy attraverso le pagine di un librogame. Tra gli anni ‘70 ed ‘80, i libri-gioco più famosi come i Choose Your Own Adventure, Endless Quest e Lupo Solitario vissero il loro momento di maggior boom: la popolarità di queste piccole epopee fantastiche ed interattive prese possesso dell’immaginazione di tanti appassionati lettori. Nonostante il concept sia ormai alquanto datato e sorpassato – bisogna ringraziare l’esplosione del videogioco formato “casalingo” per questo – la possibilità di creare la propria storia, di seguire multipli percorsi narrativi resta affascinante. In occasione del Venticinquesimo numero della serie, Gene Luen Yang fa coppia con Dan Mora, artista ormai vera superstar nel mondo del fumetto, per uno straordinario numero “a bivi”, un’avventura interattiva dei Terrifics che permette al lettore di prendere il controllo di ogni singolo membro della squadra fino a trovare la risoluzione dell’enigma, il modo di sconfiggere il nemico del giorno…oppure incappare in una cocente sconfitta, costretto a tornare al punto di partenza.
L’albo è immediatamente lanciato in medias res, nel cuore dell’azione: un gigantesco albero vivente si dirige verso Gateway City. L’impatto è imminente ed le vite umane a rischio sono troppe da poter contare. Yang ha fretta e voglia di giocare, non c’è alcun bisogno di dover caratterizzare ulteriormente i protagonisti o perdersi nella scrittura di una backstory da lasciare poi sullo sfondo – l’autore va dritto al punto, coadiuvato da un Mora energico e brillante. Mr. Terrific ha qualche battuta per presentare la “cornice” della storia e introdurre il McGuffin motore della trama: il T-Infinity, una Sfera-T prototipo capace di osservare l’immediato futuro, le sue possibilità, le sue biforcazioni, pericoli e percentuali di sopravvivenza. The Terrifics #25 passa nelle mani dei lettori, che sceglieranno via via quali pagine girare, quali vignette leggere e quale percorso seguire.
Tra le vignette ed i balloon inizia un divertente dialogo tra creatore e fruitore dell’opera, compagni di gioco più del solito. Yang non dissemina indizi sulla possibile soluzione, invogliando il lettore ad intraprendere più percorsi possibili e a vivere completamente l’esperienza, rendendo ogni opzione possibile e percorribile fin dove il limite delle 25 pagine concesse all’albo lo consente; spazio dunque ad insospettabili guest-star, un occhiolino di riguardo al passato dell’autore Sinoamericano e tanta libertà concessa a Dan Mora, artista eccellente, dal tratto pulitissimo e corposo, valorizzato dai colori di Ivan Plascencia.
Un numero auto-contenuto e lontano dalla pomposa, auto-incensante tradizione degli albi celebrativi, The Terrifics #25 esprime al meglio la stravaganza che ha reso questo titolo una gemma nascosta nel catalogo di uscite DC Comics ed una serie capace di far impallidire l’originale First Family Marvel. Sebbene abbia perso lo smalto dei primi archi narrativi – con un Lemire nettamente più concentrato ed attento ai temi da trattare – Yang ha saputo mantenere viva la testata mettendo alla prova il concetto di “eroi contro l’impossibile”, lasciando a sè qualche spazio per fantasticare, giocare con il fumetto e sperimentare con la narrazione.
First Issue
X-MEN – FANTASTIC FOUR #1 – di Chip Zdarsky e Terry e Rachel Dodson
Una delle scene più interessanti di House of X #1 era stato il confronto tra Ciclope e i Fantastici Quattro che si concludeva con l’invito a Reed Richards e Sue Storm a lasciare che loro figlio Franklin, mutante di classe omega, raggiungesse i suoi simili sulla nazione di Krakoa.
A qualche mese di distanza, tale spunto viene finalmente ripreso e approfondito nella miniserie X-Men – Fantastic Four, firmata da Chip Zdarsky ai testi e dai coniugi Terry e Rachel Dodson ai disegni (con il supporto alle chine di Dexter Vines e Karl Story e i colori di Laura Martin).
Riallacciandosi a una miniserie del 1987 che aveva proprio per protagonisti i mutanti e la più famosa famiglia della Casa delle Idee, che univano le forze per salvare Kitty Pride, Zdarsky mette al centro di questa nuova storia il rapporto che al tempo si era instaurato tra una Shadowcat adolescente e un allora piccolo Franklin Richards. Lo sceneggiatore incentra sui due personaggi, oggi cresciuti, la trama di questo albo d’esordio e conferma quanto di buono aveva mostrato un paio di anni fa sulla collana Marvel Two-in-One