Wednesday Warriors #30 – Da Captain America a Flash

In questo numero di Wednesday Warriors:

Gufu’s Version

CAPTAIN AMERICA #10 di Ta-Nehisi Coates e Adam Kubert

Nell’intero panorama supereroistico statunitense, Captain America è indubbiamente la serie che più si presta a una lettura in chiave politica del concetto di supereroe.
Il ruolo del personaggio impone che questo si confronti quotidianamente con le contraddizioni della sua Nazione e la costante sfida di quest’ultima all’ideale del Sogno Americano rappresentato dall’alter ego di Steve Rogers.
Da Steve Englehart a Nick Spencer passando per J.M. De Matteis, l’elenco degli scrittori che hanno dato una chiave di lettura “politicizzata” del personaggio è lungo: a questi si è aggiunto quello di Ta-Nehisi Coates, già noto nel mondo dei comics per il suo eccellente lavoro su Black Panther ma soprattutto per il suo curriculum da giornalista e scrittore.
In questi anni Coates ha imparato a bilanciare la cronaca politica con la narrazione supereroistica più canonica, riuscendo così a proporre un Captain America che riesce ad offrire un intreccio avvincente affiancato a un sottotesto politico che non sfocia mai nel sermone.
Sebbene la narrazione degli eventi abbia un passo molto dilatato, che rende la lettura in volumi sicuramente più apprezzabile, ogni capitolo della storia del suo Steve Rogers offre degli spunti mai banali.
Far finire Cap in prigione permette a Coates di aprire diversi “fronti narrativi”: quello principale sul processo a Steve Rogers, quello legato al confronto con i criminali che ha rinchiuso lui stesso e quello che riflette sulla questione del sistema carcerario statunitense.
Quest’ultimo punto, affrontato anche da Mark Russel recentemente su Wonder Twins e da Saladin Ahmed su Black Bolt, è attualmente al centro di un forte dibattito soprattutto per quanto riguarda il mondo dei penitenziari gestiti da società private che qui viene esasperato dalla figura di un ex-nazista, il Barone Wolfgang von Strucker, che, una volta perdonato, gestisce questo penitenziario per supereroi.
Il dramma di Thunderball in questo episodio si presenta quindi la metafora perfetta del confine tra riabilitazione e punizione, confine che tiene banco anche sui quotidiani nostrani sui temi della sicurezza e su proposte come quella della castrazione chimica.
In questo contesto il lavoro di Adam Kubert sulla fisicità dei protagonisti, sui primi piani e sul linguaggio del corpo, mettendo in secondo piano ambientazione e descrittività degli sfondi, contribuisce alla resa drammatica – intesa come dinamiche che intercorrono tra i personaggi – stringendo l’obiettivo e il focus sugli attori in campo e sui loro tormenti personali.
Si parla forse troppo poco di questo Captain America che invece meriterebbe maggiori attenzioni da parte di pubblico e critica.

THE FLASH #70 di Joshua Williamson e Howard Porter

Dopo una serie di prestazioni opache, fatte di buoni spunti ma di risoluzioni anticlimatiche, Joshua Williamson si gioca la carta della narrazione delle origini.
Comincia in questo numero infatti Year One, saga che dovrà, teoricamente, ridefinire Barry Allen.
Il primo capitolo è sostanzialmente un bel cambio di passo rispetto a quanto visto negli ultimi mesi, Williamson conferma la sua propensione alla prolissità, a tratti ridondante, ma senza gli eccessi visti finora.
Molto interessante il finale che lascia aperto il campo a dozzine di speculazioni: potremmo trovarci di fronte a uno Year One anticonvenzionale che promette ricadute interessanti nella timeline corrente.
I detrattori della cosiddetta decompressione saranno felici nell’affrontare un testo denso di eventi che costringe Howard Porter agli straordinari nella realizzazione di layout molto fitti e spesso ricchi di dettagli: nonostante la propensione del disegnatore a utilizzare un tratto spesso e riccamente modulato la leggibilità non sembra risentirne.
Porter è indubbiamente l’arma in più di questo albo ricco di trovate grafiche molto interessanti: il suo Flash, in maniera quasi metatestuale, è troppo veloce per essere contenuto dalle stesse vignette e balza da una pagina all’altra sfuggendo dai bordi e dai confini della griglia fumettistica.
Al momento l’unica sfida che Williamson e Porter sembrano non voler affrontare è quella di svincolare Iris West dalla sua caratterizzazione da “Lois Lane wannabe” a favore della costruzione di un personaggio femminile valido e originale.

Bam’s Version

HAWKMAN #12 di Robert Venditti e Bryan Hitch.


Hawkman giunge alla fine del suo volo – circa. Out Of Many, One di Robert Venditti e Bryan Hitch segna la fine della lunga saga introduttiva di questa nuova serie dedicata al Vendicatore Alato.

Il #12 di Hawkman conclude il lungo viaggio multidimensionale, spazio-temporale di Carter Hall, costretto a vivere le sue vite passate, future e parallele allo scopo di rivelare il suo collegamento ai terrificanti Deathbringer, macchine universali dispensatrici di morte in tutta la galassia. Robert Venditti – che già con X-O Manowar si dimostrò più che capace di scrivere guerrieri volanti arrabbiatissimi – si è rivelato la scelta perfetta per riportare in gioco Hawkman dopo il reset del personaggio visto in Dark Nights: Metal.
Carter Hall si è rivelato vulnerabile, complesso e dilaniato da un passato che non comprende ed un futuro indecifrabile: intrappolato in un ciclo apparentemente infinito di vite, l’obiettivo concreto di Hawkman in questa serie era scoprire se stesso e il proprio ruolo. In questa girandola avventurosa, fantascientifica e assorbita a pieno dalle onde della continuity DC, Robert Venditti ha liberato il suo estro creativo, regalando nuovi spiragli sulla intricata storia editoriale del personaggio.

Da Thanagar a Rann, da Krypton al Microverso, cambiando nomi e origini: Carter Hall si è scoperto Catar-Ol, Ktar, Khufu ma anche Katar Hol.  Un uomo da mille volti, morto e risorto, nato piú volte e proprio per questo estremamente fragile. La domanda posta da Robert Venditti è interessante e profondamente iconica: chi è davvero Hawkman? In questo senso, gli ultimi stralci di questa saga iniziale vanno interpretati come una risposta concreta.

Dietro la splendida prova artistica di Bryan Hitch e del team artistico a suo supporto si nasconde l’essenza del personaggio. Osservare decine, centinaia di Hawkman districarsi tra i raggi laser dei Deathbringer, vederli distruggere le macchine mortali in un turbinio di esplosioni, detriti e colpi di mazze chiodate che si susseguono, permette al lettore di notare come Hawkman sia davvero un personaggio unico, figlio di molte interpretazioni.
Hitch, al top della forma dopo il fallimentare esperimento da autore completo su Justice League, riporta al centro della sua arte l’occhio ampio, cinematografico dei suoi Ultimates, firmando un vero blockbuster a fumetti, spettacolare da sfogliare ma ancora più interessante da approfondire se si tiene conto della cura per i dettagli nel design dei singoli Hawkmen e nel loro modo di combattere.

Come da titolo, traduzione del latino E Pluribus Unum, Hawkman è la somma di tutte le sue vite precedenti – Robert Venditti e Bryan Hitch lo rendono evidente. Sebbene contrapposto ad un antagonista decisamente poco sviluppato e graficamente mediocre, costruire una nemesi speculare ad Hawkman permette una più facile digestione e metabolizzazione del messaggio comunicato da Venditti, semplice ma efficace. Il singolare percorso narrativo di Carter Hall permette agli autori una discreta libertà creativa – un personaggio ben costruito nel tempo e nello spazio e, proprio per questi motivi, capace di attingere a più angoli dell’Universo DC per spingere in avanti le proprie storie.

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