The First Slam Dunk – Appunti dal court side

L’arrivo in Italia del film The First Slam Dunk è un piccolo ma significativo evento nella storia degli anime nel Bel Paese: quattro opinioni per raccontare la forma, il contenuto e il senso di quest’opera eccezionale.

Poster italiano del film "The First Slam Dunk" di Takehiko Ino'ue.Oggi 17 maggio 2023 si conclude la prima settimana di programmazione nelle sale cinematografiche italiane di The First Slam Dunk, iniziata il 10 maggio con la proiezione del film in lingua originale con sottotitoli e proseguita poi nei giorni successivi con la versione doppiata in italiano. Grazie al forte riscontro di pubblico e critica ricevuto, il distributore Anime Factory ha annunciato proprio oggi di aver aggiunto un’ulteriore settimana di programmazione a quella inizialmente prevista dal 10 al 17 maggio.

L’arrivo nei cinema nostrani di questo film potrebbe essere ricordato in futuro come un piccolo ma significativo evento nella storia dell’animazione giapponese in Italia, e per vari motivi.

In primo luogo, l’Italia è il primo Paese occidentale a distribuire il film: le ragioni sono quelle che scrivemmo anche nella nostra recensione in anteprima del marzo scorso, e includono l’amore infinito del pubblico locale per il fumetto Slam Dunk di Takehiko Ino’ue.

C’è poi l’hype che accompagnava l’uscita del film, che in alcune occasioni si è concretizzata in eventi speciali nei cinema, come quello organizzato da EVA IMPACT al Massaua Cityplex di Torino con ospite Mosè Singh (doppiatore italiano del personaggio di Ryōta Miyagi, fra l’altro lui è uguale identico spiccicato al suo personaggio, u-gua-le).

Va poi segnalata ed elogiata la scelta di Anime Factory di optare per una programmazione comune e non legata ai cosiddetti “eventi speciali” (che a dispetto del loro nome non sono affatto eventi, bensì ennesime conferme della ghettizzazione del cinema d’animazione a target precisi e numericamente limitati), peraltro accompagnata da gadget esclusivi.

Ancora, la distribuzione congiunta in lingua originale e il doppiaggio italiano: più della sola lingua originale e più della sola versione doppiata, dare al pubblico la possibilità di scegliere è una strategia commerciale assolutamente apprezzabilissima e, infatti, apprezzatissima dal pubblico.

Ultimo ma decisamente non meno importante motivo, la buona accoglienza da parte del pubblico: nei sei giorni dal 10 al 15 maggio, The First Slam Dunk ha incassato in totale €405’624, con due picchi mercoledì 10 (€84’678) perché proiettato in lingua originale e sabato 13 (€87’071) perché era, appunto, sabato; considerando che in Italia il prezzo medio di un biglietto del cinema è pari a €9.70, si può stimare che The First Slam Dunk abbia staccato circa 42’000 biglietti nei primi sei giorni di programmazione: decisamente molto meglio di tanti altri film animati giapponesi, ahiloro.

Infine, a tutto ciò si aggiunge che è stato Takehiko Ino’ue stesso a festeggiare la distribuzione italiana del film, sia postando sul suo profilo Twitter fanart e messaggi in italiano per celebrare l’evento (ma l’aveva già fatto anche con Malesia, Cina e gli altri Paesi asiatici dove il film era arrivato prima), sia concedendo un’intervista esclusiva ad Alessandro Falciatore del sito AnimeClick, e questo sì l’ha fatto solo per l’Italia.

Insomma, l’Italia ama Ino’ue e Ino’ue ama l’Italia: evviva!

In questo tripudio d’amore, DF ne aggiunge ancora un pochino con quattro brevi opinioni spoiler-free, una sulla forma, una sul contenuto, una sul senso e una sul protagonista del film, per convincere gli ultimi scettici recidivi a dare una chance a quest’opera eccezionale, correre al cinema più vicino per vederlo prima che venga tolto dal cartellone, e poi aggiungerlo al proprio diario su Letterboxd dandogli tante stellette (attualmente la media è di 4,2 stellette, fra le più alte di sempre per un film animato). The First Slam Dunk è un’esperienza da vivere in sala, in quello spazio buio dove la luce prende vita.


Fotogramma dal film "The First Slam Dunk" di Takehiko Ino'ue.

Corpi, rumori, ritmi: il basket dalla carta alla pellicola

di Matteo Caronna

The First Slam Dunk è un po’ un film dei miracoli: la prima opera da regista di Takehiko Ino’ue non è solo riuscita nel difficilissimo compito di entusiasmare allo stesso modo i fan storici e i novizi di questo universo narrativo con un film per il cinema tratto da un fumetto lungo oltre 270 capitoli, ma anche nell’ancora più ardua impresa di far apprezzare al pubblico italiano una tecnica, quel tipo di animazione in computer graphics che i giapponesi chiamano 3DCG, spesso demonizzata a priori, anche quando impiegata con buoni risultati. Appurato che il giudizio sui temi e sulla narrativa di The First Slam Dunk sembri unanimemente positivo, vale la pena quindi soffermarsi un po’ sull’aspetto visivo del film per provare a capire come siano riusciti Ino’ue e il suo staff a rendere più digeribile questa tecnica agli spettatori, e cosa abbia comportato artisticamente la sua adozione.

La prima scena del film, presente anche nel trailer, con un giovane Miyagi che gioca a basket insieme a suo fratello, introduce fin da subito al livello tecnico e artistico del film. I colori scelti sono opachi, un po’ sbiaditi e spenti, e ci introducono immediatamente all’idea di naturalismo che The First Slam Dunk propone. L’effetto naturalistico è incrementato poi dalla cura nel sound design che ricostruisce perfettamente il tessuto di suoni indefiniti che dà forma a quel rumore bianco che di solito caratterizza gli ambienti esterni di giorno. Inoltre, a ogni movimento dei due personaggi corrisponde il suono delle loro scarpe che sfrega su un pavimento ruvido, a ogni tiro il rumore del ferro che assorbe l’urto, e a ogni palleggio quello della palla che impatta con l’asfalto. Ed è proprio osservando questa palla rimbalzare che la magia della 3DCG di questo film si accende.

La mancanza di piena fluidità della 3DCG giapponese è sempre stata una delle caratteristiche che più colpiscono in negativo gli spettatori occidentali. È ovviamente indubbio che spesso questa “scattosità” crei un effetto straniante che poco ha a che fare con l’estetica gradevole e conciliante che spesso queste opere cercano di costruire. Nondimeno, negli ultimi anni iniziano a venir fuori serie televisive e film cinematografici che, anziché scartare questa caratteristica per cercare una maggiore fluidità (come fatto da opere come Lupin III The First o Doraemon – Il Film), la usano a proprio vantaggio per modulare la resa dei movimenti a seconda delle esigenze della scena. The First Slam Dunk si inserisce in questo solco per il modo con cui adopera questa potenzialità della 3DCG alla ricerca di una resa concreta e realistica del basket, già scopo principale dello Slam Dunk cartaceo. In quei palleggi della prima scena c’è in nuce tutto questo discorso: nell’asincronia fra il movimento della palla e quello del piccolo Miyagi, il primo scattante mentre il secondo più posato, è possibile percepire la tridimensionalità e la massa di quei corpi. Per molti spettatori ci vorrà comunque un po’ per abituare l’occhio a questo modo di intendere l’animazione in CGI, si tratta pur sempre di una “novità”, e forse senza un po’ di “sforzo” potrebbe persino continuare a essere indigesta, ma una volta andati oltre questo primo impatto diventa subito chiaro uno dei motivi per cui The First Slam Dunk è stato realizzato così: per rendere al meglio la materialità degli attori in gioco.

Questa caratteristica va a braccetto con l’altrettanto importante tridimensionalità degli ambienti in 3DCG che permettono di rendere più concreto il campo di basket in cui si svolge buona parte del film, oltre che di gestire le azioni che si compiono al suo interno con una maggiore precisione. Anziché puntare su una resa espressiva che vada a discapito del realismo, con ralenti e deformazione degli spazi tipici di certa animazione tradizionale, The First Slam Dunk non si stacca quasi mai da una rappresentazione concreta di quel che accade in campo lasciando che a sottolineare le azioni siano il suono, la complessità realistica delle coreografie e i movimenti di macchina, questi ultimi sempre asciutti e invisibili, anche quando il movimento è in profondità, in modo da non creare quell’effetto di straniamento derivato dall’abuso che se ne fa spesso nelle produzioni in CGI.

L’ultima caratteristica tecnica fondante del film riguarda il fortunato incontro fra i modelli tridimensionali dei personaggi e il tratto di Ino’ue. Dopo la mancanza di fluidità, uno dei più grandi intoppi della 3DCG giapponese è di frequente la difficoltà riscontrata nel conciliare questa tecnologia con lo stile di molti character designer dell’industria giapponese. Il disegno piatto e prettamente iconico (nel senso di “simbolico”) dei volti con cui spesso viene realizzato il design dei personaggi degli anime non si sposa bene con un modello tridimensionale che possiede un volume e comunica quindi all’occhio una certa consistenza, creando l’effetto di dettagli bidimensionali appiccicati a un volto. Questo vale soprattutto per quei modelli tridimensionali dalle texture troppo perfette, lisce, dalle forme regolari e troppo semplici, che percepiamo come irreali. La sintesi grafica di Ino’ue punta invece già su carta alla realizzazione di volti e corpi tridimensionali, concreti, e la scelta di applicarla nel modo più fedele possibile alla 3DCG si è rivelata per questo piuttosto azzeccata. Il paradosso: se la 3DCG è stata probabilmente fondamentale per rendere con fedeltà in animazione lo stile di disegno di Ino’ue, allo stesso tempo è stato proprio il suo stile a far sbocciare le potenzialità della 3DCG del film.

Chiaramente a queste macro-caratteristiche si aggiungono tutta una serie di elementi minori ma altrettanto azzeccati che concorrono a perfezionare l’estetica del film. Tra questi vi è certamente la scelta di caratterizzare i contorni e i dettagli dei corpi con una serie di tratti che riproducono fedelmente l’effetto di una mano che disegna, grazie anche all’impiego di un filtro che dona irregolarità al tratto. Altrettanto fine è inoltre l’utilizzo delle ombreggiature che, attraverso diverse sfumature dei colori, suggeriscono una maggiore tridimensionalità e complessità delle forme dei corpi, specialmente nei volti. A tutto questo si è aggiunto il lavoro fatto personalmente da Ino’ue per piegare le immagini restituite dalla CGI, ridisegnando interi fotogrammi e contravvenendo la rigidità dei corpi tridimensionali al volere del suo occhio e della sua mano da disegnatore, come raccontato nella sezione dedicata alla produzione del film nel libro re:Source.

A tutti questi elementi visivi si aggiunge una possibilità espressiva negata al fumetto e che solo il cinema può offrire: una rappresentazione realistica del tempo. È infatti proprio quello del tempo l’ultimo elemento a lavorare in concerto con le scelte registiche ideate da Ino’ue e dal suo staff: senza una rappresentazione realistica dell’azione, il senso del tempo si sarebbe perso, sarebbe diventato troppo arbitrario; rimanendo invece ancorato a terra, il film riesce a creare l’idea di una partita che scorre davvero davanti agli occhi dello spettatore, fino a giungere all’espressività massima del climax, già cult nel fumetto e di nuovo cult in questo film, che lascia tutti col fiato sospeso.

Tutto questo concorre alla riuscita dell’operazione intrapresa da Ino’ue con questo film: non solo una trasposizione in animazione di un fumetto, ma la trasposizione cinematografica di uno sport.


Fotogramma dal film "The First Slam Dunk" di Takehiko Ino'ue.

La mano sinistra è da supporto per la destra

di Edoardo Graziani

The First Slam Dunk è un film perfetto anche per i non lettori del fumetto o di fumetti in generale, e anche per chi non è appassionato di basket, perché al di là della storia pregressa di Slam Dunk e della specifica vicenda narrata, il vero valore del film sta nell’uso metaforico del basket come palcoscenico della vita. Takehiko Ino’ue mette in scena uno spettacolo fatto di suoni, sudore, gioie, rivalse e demoni personali, e usa il cinema per narrare e rinarrare uno dei momenti più catartici della storia del fumetto giapponese andandolo ad arricchire di sensazioni e significati che comunicano tramite memorie, luoghi e oggetti.

La partita contro l’invincibile San’nō (il film traspone gli ultimi quattro volumi del fumetto) si dimostra una seduta psicanalitica, volta a superare i traumi del passato e per cercare la risposta insita in ognuno dei protagonisti: «Perché giochiamo a basket?». Lo sport come elemento salvifico per la vita di Ryōta Miyagi è anche il punto di convergenza, la sottile linea, che permette a questa opera importantissima, non solo per l’animazione giapponese (dato l’enorme successo che sta riscontrando nel mondo dopo quello avuto in madrepatria), ma anche per la carriera del mangaka, qui al suo esordio cinematografico, di fungere da punto di collegamento con l’altro fumetto dedicato al basket di Ino’ue, ossia Real.

Il lutto lascia un vuoto nella vita delle persone, un qualcosa che non può essere riempito attraverso l’imitazione, ma che va colmato portando avanti quelle erano le volontà e i sogni di quella persona. Un’infanzia strappata, un trasloco, ed ecco che è proprio quando tutto sembra cambiare attorno a noi che compaiono delle nuove figure-guida su cui contare, un amico con cui giocare al campo di basket nella nuova città, una nuova squadra con cui competere.

Fingere di stare bene quando il cuore ti scoppia, o anche quando si subisce un grave infortunio che potrebbe compromettere la nostra carriera. Così come nella vita, anche durante la partita non vanno mai mostrate le proprie debolezze. Dare il tutto per tutto in quel singolo momento di gloria con la consapevolezza di un futuro incerto. Un percorso sterrato e impervio fatto di momenti in cui si cade e altri in cui ci si rialza, a differenza di altri asfaltati e proiettati verso la gloria sicura.

La memoria ci insegue come orme lasciate su una spiaggia. Riaffiora alla mente quando ci guardiamo il palmo della mano. Grazie ai luoghi dell’infanzia, viene custodita e tramandata dagli oggetti di uso comune, una maglia, un polsino, una fotografia, un filmino rivisto nel televisore.

I riti e le tradizioni vengono sconfessati, si scende in campo perché si ha qualcosa per cui vale la pena vincere, per sconfiggere preconcetti e paure e per mettere in scena sé stessi.


Fotogramma dal film "The First Slam Dunk" di Takehiko Ino'ue.

La prima volta

di Mario Pasqualini

Intervistato per il volume re:Source a proposito del singolare e non così ovvio titolo del film The First Slam Dunk, Takehiko Ino’ue ne ha così spiegato il senso:

Il “The First” messo prima del titolo dell’opera originale raccoglie vari significati.

«Per prima cosa, fin dall’inizio volevo applicarvi qualcosa che sembrasse un sottotitolo, e mi segnavo continuamente sugli appunti le varie idee che mi venivano in mente. In realtà avevo trovato un’altra espressione che si adattava anche meglio al contenuto del film, e per circa un anno ho pensato “Ecco, questa è al primo posto fra le candidate”… ma poi ho cambiato opinione: invece di un titolo che convogliasse praticamente un significato, non sarebbe stato meglio un titolo più vago, o meglio, un titolo senza un senso preciso non sarebbe più appropriato?».

Proviamo a dare uno sguardo ai titoli delle sue opere finora: Slam Dunk, Vagabond, Real – ognuno di essi possiede svariati significati.

«Beh, per prima cosa voglio mettere un titolo senza un significato specifico. Se fosse un titolo troppo esplicito, non sarebbe molto in linea col mio stile, no? Viceversa, un titolo interpretabile in più modi sarebbe appropriato. E poi di colpo alla fine mi è venuto in mente “The First“: ah, questo sì che funziona».

Fra l’altro, il titolo è stato comunicato allo staff in forma di quiz: dopo un meeting online, Ino’ue ha comunicato ai partecipanti le varie opzioni per il titolo e poi ha svelato loro qual era quello giusto; alla fine nessuno lo aveva indovinato.

Per quanto del tutto inaspettato, questo titolo contiene vari significati.

«Il primo è che non volevo partire da preconcetti esistenti. Il film non è il seguito della vecchia serie TV, e benché abbia dei collegamenti con il fumetto, si può dire che il film sia un albero diverso nato dalle stesse radici. Inoltre non è Slam Dunk 2. Volevo avesse senso come una forma di vita con una personalità tutta sua indipendente. Ancora, nonostante per i lettori del fumetto e per gli spettatori della serie TV non si tratti di un lavoro inedito, volevo che anche loro provassero di nuovo la stessa forte emozione di quando l’hanno visto la prima volta. Infine, naturalmente, questo film si rivolge a chi non conosce l’opera. E poi ci sono altri significati ancora».

Magari un’altra nuance di “First” potrebbe essere “il primo passo” chi si fa quando si riesce a superare il dolore. Un grido per Ryōta Miyagi, per l’autore, e per tutte le persone che vedranno il film.

E così, il solo racconto di come è nato il titolo del film è già da solo migliore di qualsiasi altro possibile invito alla visione: riunisce il percorso creativo di Ino’ue, le intenzioni comunicative della storia, le necessità stilistiche per differenziarla dalle precedenti incarnazioni, e anche la volontà dell’autore di creare qualcosa di nuovo, di bello, di emozionante, di toccante, di significativo, di forte, di meritevole, di indimenticabile.

E ci riesce.


Fotogramma dal film "The First Slam Dunk" di Takehiko Ino'ue.

Ryōta Miyagi, il leader che è dentro di te

di Filippo Petrucci

Chi ha letto Slam Dunk o ha seguito il suo adattamento animato per la TV sa bene che Ryōta Miyagi è il personaggio meno approfondito fra i cinque titolari della squadra del liceo Shōhoku; chi mastica un po’ di basket, o perlomeno un po’ di sport, sa che il ruolo del playmaker nella pallacanestro consiste nell’avere ottima visione di gioco, chiamare gli schemi della propria squadra, condurre l’azione, e per certi versi è simile al ruolo del regista nel calcio. Ebbene, in Slam Dunk il playmaker è proprio Ryōta Miyagi.

Se c’è una cosa che pochissime persone avrebbero immaginato è l’idea partorita da Takehiko Ino’ue, vincente, spiazzante e geniale, di assegnare a Miyagi il ruolo di protagonista di The First Slam Dunk, operazione tanto sorprendente quanto semplice, un vero e proprio colpo da maestro, un passaggio al giocatore smarcato che segna un canestro da tre punti quando le attenzioni degli avversari sono concentrate sul giocatore più forte.

Nella storia raccontata nei flashback del film, Ryōta decide di diventare leader, “capitano” della squadra/famiglia Miyagi, dopo le morti del padre prima e del fratello maggiore poi. Nella storia raccontata nel presente, Ryōta conduce letteralmente per mano la squadra dello Shōhoku in quanto playmaker e guida l’andamento dell’incontro contro il San’nō, dettando il ritmo come un direttore d’orchestra. Metanarrativamente, Ryōta passa da playmaker a narratore/osservatore delle vicende dentro al campo e dentro i propri ricordi e le proprie emozioni, alternando le vicende del proprio passato alla sequenza adrenalinica e inarrestabile di azioni e gesti atletici sul parquet.

In The First Slam Dunk Ryōta è contemporaneamente il playmaker, il protagonista, il narratore, ma anche l’incarnazione dell’autore e regista Ino’ue nonché ogni spettatrice e spettatore del film, insomma in questo lungometraggio costituisce il leader assoluto nel vero e proprio significato del termine.

Per questo e per mille altri motivi The First Slam Dunk è un film che va visto da chiunque ami cinema e animazione, in quanto propone un taglio inedito e alternativo all’approccio classico del fumetto-capolavoro originale, diventando immediatamente un classico istantaneo: non c’è davvero alcun altro modo di raccontare questa saga sportiva nel terzo millennio, a meno che il genio Takehiko Ino’ue non decida di sorprenderci ulteriormente con un altro tassello del capolavoro che porta il nome di Slam Dunk.


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©I.T. PLANNING, INC. / ©2022 THE FIRST SLAM DUNK Film Partners

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