Lupin III: Il castello di Cagliostro – L’imperdibile ritorno al cinema del primo film di Hayao Miyazaki
Il 4, 5 e 6 marzo 2024 il film Lupin III: Il castello di Cagliostro di Hayao Miyazaki torna nei cinema italiani grazie a Nexo Digital a distanza di 17 anni dalla prima programmazione nel 2007, e soprattutto a 45 anni dal debutto in Giappone, nel lontano 1979: proprio per festeggiare il quasi mezzo secolo di storia, il film verrà proiettato nell’edizione completamente restaurata e rimasterizzata in 4K realizzata in Giappone nel 2021 in occasione del 50ennale della serie TV.
A chiunque stia leggendo queste righe: andate a vedere questo film al cinema. Andate. Sì, è letteralmente e non ironicamente un ordine: andate, e di corsa. Il castello di Cagliostro è un capolavoro vero, uno dei film più importanti nella storia del cinema d’animazione (e, per chi scrive, del cinema tutto, e non è il solo a pensarlo) e un vertice in termini di cosa è possibile ottenere solo con questa tecnica e non altre. Non a caso nel finale del film del 2013 Il regno dei sogni e della follia, Miyazaki, rimuginando sulla sua intera carriera mentre guarda fuori dalla finestra, immagina un rocambolesco inseguimento fra i tetti proprio come ne ha realizzati in questo film, ovverosia Il castello di Cagliostro è il modello dell’intero linguaggio narrativo di questo regista geniale.
Come si fa un capolavoro: la lavorazione del film
Il film ha avuto una storia produttiva molto inusuale. Miyazaki iniziò a lavorarci nella primavera del 1979, quando lasciò Nippon Animation dopo sei anni straordinari ma estenuanti, durante i quali aveva realizzato Conan il ragazzo del futuro e partecipato ad alcune serie del World Masterpiece Theater (in particolare Heidi e Anna dai capelli rossi), per tornare a lavorare all’interno del grande gruppo produttivo TMS (Tōkyō Movie Shinsha, Miyazaki aveva già lavorato per la sua affiliata A Production e stavolta invece per Telecom Animation Film) su invito del suo collega animatore storico Yasuo Ōtsuka (anch’egli scappato da Nippon Animation prima di lui). Lì Miyazaki si ricongiunge a Ōtsuka e riprende il lavoro esattamente dove l’aveva lasciato, ovvero continuando Lupin III: TMS gli commissiona un film cinematografico, il secondo dopo La pietra della saggezza del 1978 diretto da Sōji Yoshikawa (anche lui ex collega di Miyazaki in Nippon Animation) che aveva avuto un buon successo, e poi lo metterà anche a lavorare sulla seconda serie TV “giacca rossa” in cui dirigerà i due episodi 145 e 155, fra i più memorabili dell’intera saga e fonti d’ispirazione per future opere del regista.
La lavorazione si svolse in tempi veramente record: le testimonianze del tempo parlano di circa sette mesi da zero a prodotto finito, da inizio maggio a fine novembre del 1979, col film stampato e distribuito in sala in Giappone il 15 dicembre 1979. Miyazaki ci fece confluire dentro innumerevoli elementi del suo mondo creativo, partendo dai romanzi del canone lupenesco di Maurice Leblanc (un collage da La contessa di Cagliostro e La signorina dagli occhi verdi ) insieme con i suoi libri preferiti (in particolare La torre spettrale di Edogawa Ranpo, rielaborazione di Yūreitō di Kuroiwa Ruikō, a sua volta rielaborazione di A Woman in Grey di Alice Muriel Williamson), aggiungendoci i materiali avanzati da Heidi (in particolare le scenografie), e arrivando fino alle automobili (la FIAT 500 gialla e la Citroën 2C amaranto, rispettivamente di Ōtsuka e di Miyazaki stesso), ottenendo un pot-pourri estremamente variegato, eppure miracolosamente coerente e perfettamente funzionante.
Anche se Il castello di Cagliostro non fu un successo al botteghino come il precedente La pietra della saggezza, venne immediatamente amato dal fandom, in particolare per il personaggio di Clarisse, a cui vennero dedicati pubblicazioni e gadget e fanzine e dischi e bambole e dōjinshi, e che oggi è riconosciuto come un archetipo della tipologia moe. La sua doppiatrice Sumi Shimamoto, al tempo attrice di telefilm ma debuttante come doppiatrice, fu così convincente nel ruolo che Miyazaki la scritturerà altre tre volte per i suoi film, affidandole le voci di Nausicaä in Nausicaä della Valle del vento, la mamma di Satsuki e Mei ne Il mio vicino Totoro e Toki in Principessa Mononoke; diventerà poi una doppiatrice prolificissima, con ruoli imporanti come Kyōko Otonashi in Maison Ikkoku/Cara dolce Kyoko, anche se probabilmente in Giappone è più famosa come Shokupanman nell’anime prescolare Anpanman.
Falsi miti e veri meriti: no, Cagliostro non è mai stato a Cannes
Oggi, a 45 anni dal debutto in sala, Il castello di Cagliostro è una pietra miliare dell’animazione giapponese, un cult assoluto, l’ispirazione per innumerevoli altre opere, e un film che non finisce mai di stupire, inquietare, divertire e commuovere: chi scrive si ritrova sempre con gli occhi lucidi nel finale e piange a singhiozzi per il dialogo fra Zenigata e Clarisse (che non spoilerizziamo per i fortunatissimi ignari che lo vedranno per la prima volta al cinema il 4, 5 e 6 marzo).
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In breve, dunque, Il castello di Cagliostro è un film che meriterebbe riconoscimenti ancor maggiori di quelli che ha, come premi o proiezioni a festival cinematografici. Peccato non sia mai successo, no, nemmeno la famosa ipotetica proiezione al Festival di Cannes.
A Cannes non serve Cagliostro…
Secondo uno dei falsi miti più diffusi su Il castello di Cagliostro, il film sarebbe stato proiettato al Festival di Cannes, sarebbe il primo lungometraggio d’animazione mai proiettatovi, e in quell’occasione avrebbe anche ottenuto gli elogi del regista Steven Spielberg (secondo alcuni si sarebbe addirittura alzato in piedi in una personale standing ovation alla fine del car chase fra Lupin, Clarisse e gli scagnozzi del conte). Non è chiaro quale sia l’origine di questo mito, fatto sta che negli anni si è diffuso così tanto fra gli appassionati da arrivare a fare capolino persino nelle comunicazioni ufficiali e nei comunicati stampa dei distributori occidentali del film, e persino nelle edizioni home video del film, come sul DVD del 2006 del distributore statunitense Manga Entertainment che riporta in copertina una citazione di Spielberg sul film dalla dubbia provenienza. Non che le aziende siano le sole vittime di questo grande abbaglio, dato che da decenni sono innumerevoli le voci in tutto il mondo, anche autorevoli, che ripetono le stesse parole, inclusi enti prestigiosi come cineteche o enti statali, e con loro a cascata mille altri. Non va meglio con saggi e testi: nel suo saggio Animation: A World History, Giannalberto Bendazzi scrive (senza indicare alcuna fonte) che Il castello di Cagliostro vinse il premio come Miglior film animato al Festival di Cannes benché al tempo non c’era alcun premio come “Miglior film animato” in quel festival.
In realtà, non ci sono basi per attestare la veridicità di nessuno dei tre aspetti che compongono questo indimostrabile pettegolezzo. Partiamo dal primo: “Il castello di Cagliostro è stato proiettato al Festival di Cannes”… no. Negli archivi dell’edizione 1980 del Festival di Cannes non c’è traccia de Il castello di Cagliostro in nessuna sezione, ed è pertanto molto più probabile che il film non vi sia mai stato proiettato né in quell’anno né in altri. Cercando il nome del regista nell’archivio del festival escono fuori solo Nausicaä della Valle del vento, presentato restaurato fuori concorso nel 2006 all’interno della retrospettiva Cannes Classics, ed Earwig e la strega, presentato fuori concorso nel 2020, nient’altro.
Ancora: “Il castello di Cagliostro è stato il primo film d’animazione presentato al Festival di Cannes”… no. Ammesso e non concesso che ci sia andato, non sarebbe comunque stato il primo: per la cronaca, solo sette lungometraggi animati hanno partecipato in concorso al Festival di Cannes, il primo dei quali fu Musica maestro della Disney del 1946 (proiettato quello stesso anno), seguito da Dumbo del 1941 (ma proiettato dopo la guerra, nel 1947), ed entrambi vinsero il premio per la Migliore animazione istituito solo ed esclusivamente in quei due anni. Bisognerà poi aspettare fino al 2004 per vedere un film animato giapponese sulla croisette grazie a Ghost in the Shell 2: Innocence di Mamoru Oshii.
Infine: “Spielberg ha elogiato il film”… no, o forse sì, ma non a Cannes, e comunque non ci sono dati in merito. Per prima cosa Steven Spielberg non si presentò affatto al Festival di Cannes 1980, esattamente come non si presentarono Sylvester Stallone, Martin Scorsese e Bob Fosse (che quell’anno vinse in contumacia con All that Jazz) per paura di probabili attentati terroristici; inoltre il regista statunitense non ha mai né lodato né anche solo parlato pubblicamente de Il castello di Cagliostro. Naturalmente nulla esclude che potrebbe benissimo averlo visto privatamente, o in qualche festival, o in una proiezione privata riservata agli addetti ai lavori: è noto ad esempio che negli anni 1980 il produttore Yutaka Fujioka mostrò Il castello di Cagliostro a vari studios statunitensi per convincerli a produrre il suo film Little Nemo, il quale fu infine sceneggiato da Chris Columbus e Richard Outten, persone nella cerchia di Spielberg (avevano lavorato ai due film Gremlins prodotti appunto dal regista). In breve, sembra francamente improbabile che Spielberg non abbia mai visto Il castello di Cagliostro, anche perché è invece ben noto l’amore del regista statunitense per Miyazaki, dichiarato a gran voce più volte (e corrisposto dal regista giapponese: Lo squalo è uno dei suoi film preferiti); mentre invece sono molto meno probabili la standing ovation e le varie dichiarazioni di Spielberg sul film, totalmente prive di prove, generando dubbi concreti sulla loro veridicità.
Infine, per chi sostiene il mito di Cagliostro a Cannes: qui abbiamo dimostrato fattualmente che non è vero, sapreste dimostrare fattualmente che è vero?
…e a Cagliostro non serve Cannes
A questo punto ci si potrebbe chiedere per quale motivo sia nata la leggenda de Il castello di Cagliostro al Festival di Cannes. La risposta più in buona fede possibile immaginabile è: per fargli buona pubblicità, in particolare negli USA dove l’animazione giapponese ha storicamente sofferto di minor considerazione e Lupin III, in particolare, non è arrivato prima del 2003 quando la seconda serie “giacca rossa” venne finalmente trasmessa doppiata su Adult Swim (la versione notturna di Cartoon Network). Chi inventò la storiella de Il castello di Cagliostro al Festival di Cannes probabilmente voleva solo invogliare la gente a vederlo, e come biasimarlo. Molti registi e statunitensi d’animazione in effetti hanno certamente visto e anche attinto da Il castello di Caglisotro: sono numerose le opere che si considerano ispirate dal film, e almeno due Classici Disney lo citano direttamente e dichiaratamente, ovvero Basil l’investigatopo del 1986 nella scena del combattimento fra gli ingranaggi del Big Bang e Atlantis – L’impero perduto del 2001 nella scena con la città che riemerge dalle acque.
Ora, nel 2024, a 45 anni dall’uscita in Giappone, sembra veramente arrivata l’ora di gridarlo al mondo: ANIMATION IS CINEMA. Inventare scuse decenni fa poteva avere senso, ma oggi no: continuare ad abbinare Cagliostro con festival e registi famosi sembra confermare ancora e ancora il complesso d’inferiorità del cinema d’animazione nei confronti del cinema dal vivo. Perché si continua a dire che Miyazaki è un «maestro del cinema d’animazione» e non del cinema in generale? S’è mai sentito dire di De Sica o di Kubrick o di Wong che è un «maestro del cinema dal vivo»? Ovviamente no, non avrebbe senso. Come non ce l’ha anche per l’animazione.
L’animazione è una tecnica, non un genere, non un target, non un periodo. Un film straordinario come Lupin III: Il castello di Cagliostro lo dimostra.
Il trailer per la riedizione cinematografica di Lupin III: Il castello di Cagliostro.
Per convincere gli ultimi scettici sul valore assoluto di questo film meraviglioso, DF ha radunato quattro interventi critici (accompagnati da meravigliosi schizzi di lavorazione Miyazaki) dedicati a esplorarne l’enorme valore in termini di uso dello spazio, caratterizzazione dei personaggi, produzione dell’animazione e funzione della musica. Un piccolo tributo per un film enorme.
In conclusione ai quattro interventi, una gallery di immagini tratte direttamente dai rodovetri originali del film e i buoni da stampare e presentare al cinema per ricevere uno sconto sull’acquisto dei biglietti. Non perdete quest’eccezionale occasione per ammirare al cinema il primo, meraviglioso, immortale capolavoro di Hayao Miyazaki!
Non fermarsi un secondo: la concezione del movimento e dello spazio scenico ne Il castello di Cagliostro
La costruzione dello spazio e dei luoghi nelle opere di Hayao Miyazaki è parte fondante del suo modo di intendere e sviluppare l’arte animata (qui su DF ne ha già parlato Mario Pasqualini in piu occasioni, in particolare nel confronto con Hideaki Anno e in riferimento a Il ragazzo e l’airone). Una delle caratteristiche salienti de Il castello di Cagliostro, quella che lo rende, pur nell’apparente “semplicità” del disegno, una pietra miliare nella storia dell’animazione giapponese, è proprio il modo in cui questo spazio viene progressivamente creato ed esplorato attraverso i movimenti dei vari personaggi. Questo breve scritto si soffermerà principalmente sui primi sessanta minuti del lungometraggio, con particolare attenzione per i primi venti minuti, parte in cui i movimenti e la creazione dello spazio assumono una particolare importanza per il film.
Tutto comincia con La FIAT 500 gialla, e come potrebbe essere diversamente, iconico elemento visivo e narrativo fondamentale nel lungometraggio e nella mitologizzazione del personaggio di Lupin III e della sua saga. Vediamo la piccola automobile, con Lupin e Jigen al suo interno, fin dalle primissime scene, durante la fuga dopo la rapina al casinò di Monte Carlo e nell’inseguimento della macchina (cromaticamente opposta) guidata da Clarisse che sta scappando. Fin dai primissimi minuti siamo quindi introdotti quasi in un film d’azione e i personaggi principali sembrano non potersi fermare nemmeno per un attimo. Lo spostamento nello spazio creato nel film avviene dapprima, come si diceva, attraverso la 500, quindi per via terrena, e poi brevemente attraverso l’elemento acqueo del lago, dove gli scagnozzi del conte usano un’imbarcazione per rapire Clarisse. Nel momento in cui il movimento orizzontale, che ha caratterizzato i vari inseguimenti e le fughe di questi primi minuti, si trasforma in verticale, quando Lupin e Clarisse cadono dalla rupe, il lungometraggio ha il suo primo slittamento stilistico, passando da action a una fase più contemplativa, e diventando poi un mystery.
Arrivati nella zona delle rovine, Lupin e Jigen però non si fermano, il movimento qui diventa più lento e avviene attraverso un’esplorazione dei luoghi che avviene sì passeggiando, ma comunque muovendosi. Mentre nell’inseguimento in macchina prevale un tono anarchico e quasi slapstick dell’azione, così esagerato e comicamente esondante che potrebbe ricordare i migliori attimi del cinema di Buster Keaton, nella breve camminata di Lupin all’interno dei giardini in rovina, a prevalere è un tono più riflessivo. Questa tonalità quasi malinconica e che guarda al passato risuona con il movimento stesso della passeggiata, meno caotico e a scatti rispetto all’azione descritta finora e molto più fluido. In questo modo la tipologia dei movimenti creati si riflette nel momento narrativo che Miyazaki e i suoi collaboratori vogliono portare in scena. Si noti qui, ad esempio, come sia la figura stessa di Lupin a cambiare con le fattezze del suo volto che diventano meno comiche e più serie, quasi seriose. È proprio in questo momento di pausa dal turbinio dell’azione che lo spazio diventa meno cinetico, per così dire, e quasi riposa su sé stesso, liberando in questo modo una diversa qualità, più riflessiva e legata agli strati temporali del passato in esso contenuti.
L’esplorazione delle rovine da parte di Lupin e Jigen ci suggerisce proprio questo, così come è un evidente simbolo del tempo anche il battito dell’orologio nella scena in cui Lupin si ferma a pensare a Clarisse con il suo guanto e l’anello. In questa stasi riflessiva non sono più i personaggi a muoversi, ma, nell’ultima parte che chiude la scena, è invece l’immaginaria macchina da presa che si muove, scorrendo in una panoramica sul paesaggio circostante delle montagne e delle rovine.
L’azione riparte con l’arrivo della macchina volante al castello, guidata dal conte, che introduce quindi, prima che siano passati venti minuti del film, anche lo spostamento aereo. In questo modo viene completato il quadro: movimento a terra (meccanico e umano), in acqua (meccanico) e in cielo (meccanico), e tutti e tre gli elementi torneranno ciclicamente nel film, completando poi la casistica con il movimento umano anche in acqua (Lupin e Jigen subacquei) e in aria (Lupin che salta da torre a torre). Nel finale, in particolare, ritornano prepotentemente i tre gli elementi: quello acqueo con la soluzione del mistero del tesoro, quello aereo con la scena dei paracadutisti, e quello terreno con il malinconico addio fra Lupin e Clarisse e con il ladro che finisce dove aveva iniziato, e cioè in fuga sulla sua 500. Un cerchio perfetto e riempito in ogni sua parte.
Tornando ai primi minuti del film, dopo la scena con Lupin e Jigen nel giardino delle rovine, l’arrivo del conte nel castello continua ed espande l’esplorazione dello spazio filmico anche all’interno dello spazio fortificato. Con tono sicuro e prepotente l’uomo scende dalla macchina volante e cammina attraverso i corridoi della sua dimora disegnando linee orizzontali che diventano verticali quando prende l’ascensore e sale fino sulla torretta dove si trova Clarisse. A parte la già descritta scena più riflessiva all’interno delle rovine, fino a qui i personaggi e l’occhio dello spettatore, guidato dalle immagini, sono avvolti in un continuo movimento che sembra non fermarsi mai, anche quando non pare succedere molto a livello narrativo. L’esplorazione dello spazio e delle forme architettoniche del film continua quando Lupin e Jigen cercano di accedere al castello-fortezza nuotando attraverso l’acquedotto di origine romana che rifornisce il castello: ritroviamo di nuovo il suddetto elemento acqueo e un movimento orizzontale che serve a mappare le forme geografiche e architettoniche che popolano il lungometraggio; anche orizzontali sono i salti da tetto a tetto di Lupin di conaniana memoria. A questo andare in orizzontale si contrappongono i movimenti verticali: Zenigata e Lupin che cadono da due diverse botole che li portano entrambi nei sotterranei del castello (dove scopriranno la verità riguardo al conte) o Lupin che sale e scende sui tetti delle torri che circondano il luogo dove è intrappolata Clarisse.
Minori in numero ma non in importanza i movimenti diagonali, fra cui l’ascesa e discesa della 500 sul fianco della collina, o il sali & scendi attraverso le scalinate da parte di Zenigata e dei suoi uomini, o lo scivolare sul tetto i Lupin ferito dalla mitragliatrice e poi l’ascensione sul mezzo pilotato da Zenigata.
L’incrociarsi incessante per tutta la durata del film di questi movimenti orizzontali, verticali e diagonali, di cui qui abbiamo offerto solo pochissimi esempi a fronte di 100 minuti di film senza un attimo di stasi (in questo invitiamo gli spettatori a divertirsti notandoli da soli durante la visione), non solo servono a sviluppare la narrazione e a chiarire alcuni punti salienti della trama, ma forniscono anche allo spettatore una vera e propria cartografia sensoriale dell’ampiezza e della profondità dei luoghi, che sono i veri protagonisti del lungometraggio.
Matteo Boscarol
L’uomo misterioso dalle venti facce
Una delle caratteristiche distintive delle varie incarnazioni televisive e cinematografiche di Lupin III firmate da Hayao Miyazaki è di avere un protagonista che è contemporaneamente un ladro e un attore, un eroe e un artista.
Trucchi, travestimenti e piani complessi hanno sempre fatto parte della mitologia del personaggio, a partire dai tempi del primo Arsène Lupin creato nel 1905 dal romanziere francese Maurice Leblanc per arrivare a suo nipote nel fumetto di Monkey Punch del 1967. Quello che fa Miyazaki è prendere questi elementi ed esplicitarne la natura squisitamente teatrale, rendendo Lupin un personaggio che si preoccupa delle sue imprese come un regista si preoccupa della messa in scena dei suoi spettacoli. In quello che fa c’è infatti sempre una dimensione estetica, un interesse a giocare con gli altri e con le aspettative, che diventa un’espressione di sé del tutto simile a quella operata da un artista.
Fra i molti momenti “teatralizzati” del film, dal messaggio nel cofano delle auto al casinò al dialogo con la cameriera del ristorante, l’esempio cardine dell’ars agendi di Lupin è naturalmente la scena in cui il ladro gentiluomo si presenta al cospetto di Clarisse, spettatrice privilegiata delle sue performance, e recita un monologo che si conclude con un trucco da prestigiatore con lo scopo di infondere coraggio nella ragazza. Una scena teatrale che non è inconcepibile pensare che Lupin avesse preparato in anticipo, come gli attori provano davanti allo specchio, e che quindi facesse parte del suo ampio arsenale di trucchi alla stregua dei travestimenti da Zenigata o del marchingegno nascosto nella fibbia della sua cintura.
Esplicitando il suo senso della teatralità, Miyazaki non solo ottiene la propria personalissima versione di Lupin, ma ne mette a nudo l’interiorità permettendo allo spettatore di assistere agli insuccessi e alle preparazioni di queste sue esibizioni. Ne Il castello di Cagliostro vediamo il ladro preparare e disfare i propri piani, improvvisare e persino fallire, nel tentativo di interpretare un ruolo, quello dell’eroe, che fino a questo momento gli era stato estraneo. Si tratta, in altre parole, di una decostruzione e ricostruzione del personaggio, una rinascita e una redenzione, messa in scena in maniera simbolica più volte durante il film e che permette a questo Lupin III di emanciparsi completamente da tutti gli altri Lupin e diventare pienamente un personaggio Miyazakiano.
Matteo Caronna
Il castello di Cagliostro, un’impresa memorabile
Fu Yasuo Ōtsuka a telefonare a Hayao Miyazaki, il suo talentuoso amico che aveva cresciuto artisticamente e a cui era molto legato: a Ōtsuka era stato commissionato nell’aprile del 1979 di dirigere il secondo film cinematografico di Lupin III da consegnare entro la fine dell’anno, ma lui propose la regia a Miyazaki, che dopo averci pensato accettò e subito dopo la telefonata si recò nella sede di Telecom Animation Film, luogo mitico dove Miyazaki e Ōtsuka avrebbero poi passato tutto il tempo possibile, il primo come regista e il secondo come character designer e direttore delle animazioni.
Per prima cosa i due radunarono gli animatori che gravitavano loro intorno o che si trovavano già nello studio. Non c’era tempo da perdere: maggio era già alle porte, non c’erano che pochi mesi a disposizione, e si rese necessario passare subito all’azione. Miyazaki aveva il suo tavolo da lavoro alla destra di quello di Ōtsuka, entrambi avevano sempre la sigaretta fra le labbra; Miyazaki nella sua classica posizione, accovacciato sulla sedia, mise giù in poco tempo il primo quarto degli ekonte (storyboard), ma il ritmo della produzione ne richiedeva già il completamento prima possibile. Impresa difficilissima. Per scelta del regista, le scene venivano assegnate a questo o a quell’altro animatore in base alle loro capacità e inclinazioni. Alla Nippon Animation, Isao Takahata nel frattempo era riuscito a far fronte all’assenza di Miyazaki, che per trasferirsi a TAF aveva interrotto dopo l’episodio 15 il suo lavoro allo studio delle ambientazioni per la serie Anna dai capelli rossi, produzione che Takahata sapeva non piacergli particolarmente.
Per Il castello di Cagliostro i disegni da realizzare erano tantissimi perché Miyazaki progettava scene ricche di animazione. Al suo fianco comunque aveva alcuni fra i migliori animatori dell’epoca, tra cui Kazuhide Tomonaga, che già all’epoca era molto stimato per le capacità mostrate ne La corazzata Yamato e UFO Robot Goldrake. A lui fu affidata la scena della corsa in auto per salvare Clarisse: Ōtsuka aveva pensato di farla animare a Yūzō Aoki, senz’altro il migliore nel disegnare le automobili, ma alla fine la scelta cadde su Tomonaga benché non avesse neppure la patente e fosse considerato “debole” nel mecha design. Ōtsuka gli insegnò a disegnare la FIAT 500, lo aiutò nella “trasformazione” del cinquino in un bolide da corsa (!)… e il resto lo sappiamo, è storia! Altre animatrici impagabili furono Masako Shinohara, che si è occupata principalmente del disegno di Clarisse e del controllo delle scene finite, e la bravissima Atsuko Tanaka (con cui ho avuto il piacere di lavorare nel 1995) che ha realizzato sia la nota scena in cui Lupin e Jigen si contendono gli spaghetti sia Zenigata nei suoi momenti più iconici. E come non citare poi Hideo Kawachi, il sempre sorridente e disponibile Nobuo Tomizawa, l’eccezionale Tsukasa Tannai e via dicendo, tutti compatti e pronti a fare le ore piccole per consegnare il loro lavoro in tempo. Ōtsuka ha detto spesso che gli animatori de Il castello di Cagliostro «gettavano sudore» su quei disegni, e anche Miyazaki l’ha definito un lavoro svolto «al limite delle possibilità, disegnando a raffica»; Ōtsuka era vicino a tutti gli animatori e spesso li sosteneva portando loro un caffè.
Al tempo TAF occupava un intero piano di un palazzo: l’area di lavoro era piena di tavoli da disegno, con una zona per colorare gli acetati, scaffali in metallo per i materiali, e ripiani in legno per tenere impilate le scene imbustate una per una. Si passava a fotografare le scene man mano, e anche lì il lavoro era complicato, i disegni erano tantissimi per via dell’animazione costante del filmato. Lavoro, disegno, lavoro. Tutti i giorni. Si dice che Miyazaki abbia scoperto i limiti della sua forma fisica e delle difficoltà estreme proprio con questo suo primo film, al punto che quando un certo Toshio Suzuki gli chiese di concedergli un’intervista sul film per Animage, la rivista per cui scriveva, il regista gli rispose «Assolutamente no!». Ma il destino forse non voleva che andasse così: un giorno, per puro caso, Miyazaki si trovò con Osamu Kameyama, un amante di corse ciclistiche, il quale suggerì al regista una battuta di Lupin durante la corsa in auto, ovvero «Makuru zo!», un’espressione di sfida che i corridori usano spesso fra sé e sé per dire “Ti/vi raggiungerò!”; Kameyama era un collega di Suzuki, grazie a questo episodio Miyazaki si decise a concedergli l’intervista, e la loro conoscenza portò poi ai risultati che oggi conosciamo.
Il tempo si assottigliava, gli ekonte della terza parte erano troppo lunghi, si dovettero tagliare tante scene per riuscire a finire in tempo. Durante la registrazione delle voci, una delle ultime fasi di lavorazione del film, Miyazaki chiese a Yasuo Yamada, l’attore vocale di Lupin, di rendere la voce del personaggio in maniera più soffusa, meno ironica rispetto a quella della serie TV, con un tono più simile a quello che dava a Clint Eastwood di cui pure era la voce ufficiale giapponese. Yamada all’inizio rifiutò asserendo che «La voce del personaggio è mia e decido io», ma ben presto si rese conto della necessità di questo cambiamento dato il tono del film, e accettò.
La pubblicità del film e la sua prossima programmazione pendevano sul collo ogni giorno di più; ma nonostante tutto, negli ultimi giorni di novembre una comunicazione di TMS confermò alla ditta distributrice Tōhō che la data del 15 dicembre si poteva ritenere confermata.
Spero che questa breve lettura vi sia piaciuta e, per dirla come Lupin III, «Mata aō ze!» (“Alla prossima!”).
Andrea Dentuto
Blues, jazz, pop, samba: Yuji Ōno e la musica de Il castello di Cagliostro
Non sono in grado di parlare in maniera distaccata di Lupin III: Il castello di Cagliostro. L’amore assoluto che ho per questo film va al di là delle mie possibilità espressive e offusca ogni capacità logico-analitica di apprezzare un’opera d’arte: in parole povere, sono inabile a esprimere un qualunque giudizio che non sia “geniale”, “perfetto”, “capolavoro”.
Fra le innumerevoli qualità di questo film, forse quella più grande è di essere una celebrazione dell’animazione, ovvero una storia in cui tutto avviene per causa e in funzione del movimento e quindi dell’animazione che lo rappresenta. Ogni salto di Lupin sui tetti, ogni corsa in auto, ogni passeggiata nella villa, ogni movimento dei personaggi da punto A a punto B mi commuove perché mi ricorda che quello che sto guardando non è la realtà, ma il frutto più puro dell’immaginazione degli artisti che hanno sognato e disegnato il mondo narrativo di questo film e l’hanno riempito di movimento.
Ora, se c’è qualcosa che può esprimere il movimento meglio di qualsiasi altra cosa, quella è la musica. E la musica gioca un ruolo fondamentale all’interno dell’intera saga di Lupin III, nelle serie TV, negli special e OVA, nei film, e anche (soprattutto, forse) ne Il castello di Cagliostro.
Dal 1977 a oggi, il compositore unico e direttore artistico delle musiche di Lupin III è il musicista Yuji Ōno. Nato ad Atami (Shizuoka) nel 1941, pianista durante le scuole elementari, jazzista autodidatta durante le scuole superiori, membro della big band dell’Università Keio durante gli studi di Legge (ma chi ha bisogno di un altro avvocato invece di un artista?), Ōno suona da oltre settant’anni e non ha sembra avere la minima intenzione di smettere di farlo.
Sebbene Ōno abbia scritto decine di brani per moltissimi artisti e varie colonne sonore per film (impossibile non citare quella per il grande classico Inugami-ke no ichizoku diretto da Kon Ichikawa), è indubbio che il suo nome è legato in maniera indissolubile alla saga di Lupin III. Assunse il ruolo di respondabile delle musiche a partire dalla seconda serie “giacca rossa” e da allora non ha più lasciato il franchise, con centinaia di brani e decine di album, colonne sonore, remix, live, compilation tematiche e quant’altro. Lupin III è Ōno o Ōno è Lupin III. Le sue musiche sono più che “belle” o “riuscite”: sono iconiche, e iconiche non solo per la saga, ma dell’intera storia dell’animazione giapponese, così incredibilmente caratterizzate, riconoscibili e ancora oggi freschissime dopo decenni.
Ne Il castello di Cagliostro Ōno raggiunge un suo apice: riutilizza alcuni brani già scritti per la serie TV riarrangiandoli, ne scrive di nuovi, e soprattutto compone & arrangia la struggente ballata Honō no takaramono (“Il tesoro fra le fiamme”) su testo di Jun Hashimoto per la cantante Bobby. Il primo è un prolifico paroliere, figlio del poeta Jun’ichi Yoda, che per gli anime ha lavorato poco, ma abbastanza per iscrivere il suo nome nella storia del medium avendo firmato, oltre a Honō no takaramono, anche la theme song del film del 1979 di Pat, la ragazza del baseball e soprattutto le sigle per la serie TV Galaxy Express 999; la seconda era la vocalist della rock band di non eccezionale successo Bobby & Little Maggie, come solista ha inciso solo questa canzone, negli anni Ottanta ha cantato nel duo BAR e adesso gestisce un bar a Ōsaka con serate di musica dal vivo, jazz ovviamente e non solo.
L’uso della musica ne Il castello di Cagliostro è assolutamente magistrale e segue la stessa logica usata per la musica dei film di James Bond, ovverosia la musica riflette lo stato mentale del protagonista. Questo vuol dire che il commento sonoro non serve ad amplificare il dramma o la farsa o comunque a spingere forzatamente lo spettatore a provare le sensazioni che il regista vuole comunicare per mettergli ansia o strappargli una lacrima, al contrario: la musica rappresenta in tutto quello che sta provando Lupin e solo Lupin in quel momento, indipendemente dal contesto intorno. Ecco dunque che dopo il furto al casinò Lupin è eccitatissimo e la musica anche, durante il viaggio verso Cagliostro Lupin è sereno e la musica anche (che meraviglia la sigla, che meraviglia!), durante durante la scena subacquea Lupin è teso e la musica anche, durante la visita a Clarisse nella sua stanza-prigione Lupin è romantico e la musica anche, durante il combattimento con i soldati del conte Lupin è divertito e la musica anche, e così via. Nell’ultimo caso, in particolare, è veramente efficace la scelta, fra tutti i possibili, proprio del brano Samba temperado, già scritta da Ōno per la serie TV con sax e strumentazione elettronica vagamente discothèque anni Settanta (ovviamente), ma qui nel film riarrangiata unplugged per orchestra jazz e archi e collocata al meglio in maniera assolutamente spiazzante e straordinariamente funzionale.
Di Lupin al mondo uno ce n’è, per lui nulla d’impossibile c’è, e con le musiche de Il castello di Cagliostro è riuscito a rubare il cuore anche agli spettatori.
Mario Pasqualini
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