Jean Marc DeMatteis, una bibliografia multiforme

Oggi, 15 Dicembre, cade il genetliaco di Jean Marc DeMatteis, che è praticamente mio padre. Fumettisticamente parlando.

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Voglio dire che tra gli anni ’80 e gli anni ’90 ovunque ti girassi trovavi un fumetto scritto da questo francesone baffuto. Davvero. Avete presente Fantozzi che, cercando le prove del tradimento della Pina, apre cassetti e armadi pieni di pane in ogni forma? Ecco, se mia madre si fosse mai preoccupata di sfogliare gli albi di cui era zeppa la mia stanza, avrebbe sospettato una relazione con il buon Jean-Marc.

Cioè, se credete che Bendis sia sovraesposto oggi, è perché non avete vissuto gli anni ’80 con Byrne e DeMatteis. Con una differenza fondamentale, e cioè che Jean Marc, a rileggerlo oggi, non ha perso un’oncia di smalto.

Davvero. Nel campo dei supereroi ci piace tanto osannare questa o quella run, e ricordare coi lacrimoni storie che, a rileggerle oggi, si prova una gamma di sensazioni che va dalla tedesca Freudeshande (la vergogna che si prova per empatia verso una cosa veramente vergognosa) al giustificazionismo nostalgico (“eh, dovevi leggerla ai tempi, oggi ci pare ‘na schifezza ma allora era veramente rivoluzionaria”).

Invece le storie di DeMatteis all’epoca ti sembravano bellissime; e oggi ancor di più. Gli riusciva di tutto: se voleva farti ridere, ti faceva sganasciare, se voleva farti piangere, ti strappava il cuore, e se voleva farti riflettere, beh, ti faceva entrare in una libreria a comprare tomi di Freud col sorriso sulle labbra.

DeMatteis è stato un talento cristallino. E visto che molti di voi hanno la terribile sfortuna di essere giovani e ignoranti, ecco una breve bibliografia di quello che potete leggere della sua sconfinata opera.

Defenders, vol. I, 92-131

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A guardare questa tavola il sentimento di Freudeshande scorre potente, ma non bisogna farsi ingannare. Questo Hulk che gioca coi pupazzi è l’Hulk di quei tempi, un bambinone che parla in terza persona con la fissa per le tette di Betty (più o meno). Peter David è di là da venire. I Defenders uscivano da una lunga run di Peter Gillis che li aveva infarciti di storie dal sapore camp e calzemaglie di serie C come la Valchiria e il Nottolone. Come se non bastasse ai disegni c’era Don Perlin, detto er Quercia per il dinamismo del suo tratto. Eppure in una manciata di numeri DeMatteis riesce a rendere interessanti personaggi come Hellcat, Daimon Hellstorm e persino il Gargoyle; e imbastisce una trama a lungo termine, quella della Mano a sei Dita, che ci parla di satanismo, di incesto, della profonda provincia americana, dei sogni infranti, della droga, della vecchiaia.

La serie fu pubblicata ai tempi dall’eroico Paolo Accolti Gil su All american Comics a partire dal numero 14, e mai più ristampata in Italia. Ma basta scartabellare un po’ per trovarla nell’usato.

Moonshadow, 1-12

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A quei tempi pubblicare 12 numeri di una sorta di fiaba fantascientifica e psicanalitica, dipinta dal talento di John J. Muth, non era cosa da tutti. De Matteis aveva provato a proporlo per decenni a Jim Shooter, dotando il protagonista, il figlio di un alieno e di una hippy, di superpoteri. Shooter però evidentemente non ci ha visto dei dollari dentro e l’aveva rifiutato finché DeMatteis non si è rivolto alla DC Comics, che all’epoca aveva più voglia di rischiare. E così, via i superpoteri ed eccoci servito un capolavoro senza età.

In Italia è stata colpevolmente inedita per decenni, finchè la RW Lion non ci ha messo una pezza nel 2012, nell’ambito della collana DC Omnibus.

Captain America, Vol. I, 261-300

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De Matteis si trovò la scomoda eredità della run di Stern-Byrne e assolse al compito con grande nonchalance. Coadiuvati dagli ottimi disegni di Micke Zeck, ci regalò un ritratto del Teschio Rosso ancora oggi insuperato. Si tratta di una saga organica, in cui il Capitano si trova di fronte la piena contraddizione del suo ruolo di bandiera di un paese che della libertà ha fatto una facciata. Non si può dimenticare che, nell’intenzione originale di Jean Marc, Cap doveva morire nel numero 300, spossato dalla vecchiaia; sarebbe stato sostituito nientemeno che da Corvo Nero, ovvero un pellerossa nativo americano. Il vero Spirito dell’America, per DeMatteis. Ovviamente, a Shooter la cosa non piacque e non se ne fece niente.

Tutta la run è stata pubblicata sui primi numeri della serie Capitan America e i Vendicatori della Star Comics, e, che io sappia, mai più ristampata.

Justice League International

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In coppia con un altro grande di quei tempi, Keith Giffen, e disegnato da gente del calibro di Kevin Maguire e Adam Huges, De Matteis ci regala i frizzanti ed esilaranti dialoghi di questa serie, che in una manciata di numeri demolì totalmente i canoni delle storie di supergruppi. I problemi economici di Booster Gold e di Blue Beetle, quelli caratteriali di Guy Gardner, la Justice League Antartica, prendono il sopravvento sulle avventure e i combattimenti e ci regalano uno spaccato assolutamente inaspettato della narrativa supereroistica. Personaggi come Mangha Khan e G’nort non possono essere raccontati in una bibliografia, ma soltanto letti.

La serie è stata ristampata di recente dalla RW Lion. Andate a comprarla, o voi che non sapete di cosa parlo.

Spider Man

È impossibile quantificare le storie che il De Matteis ha realizzato sul personaggio. Vi basti sapere che, con buona pace dei vari Slott, Conway, DeFalco, Stracchino, Jenkins e compagnia cantante, De Matteis è stato in assoluto il migliore scrittore dell’Uomo Ragno. Non importava se a disegnare ci fosse Sal Buscema o Mark Bagley; nè se le direttive dall’alto lo costringessero a muoversi in scenari ridicoli, come la saga del Ladro di Vita (se non sapete di cosa parlo, ritenetevi fortunati) o della Saga del clone. De Matteis ha sfornato sempre e comunque storie più che interessanti, dando dignità a saghe decisamente indecenti.

A volo d’uccello possiamo ricordare:

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L’Ultima Caccia di Kraven, una storia che doveva in origine essere di Batman e che De Matteis (per una volta) si trovò accettata alla Marvel. Chi ha letto le storie di Peter Parker in quel periodo ricorda come questa storia sia stata un fulmine a ciel sereno. Una storia adulta, narrata con tecniche che avrebbero influenzato i fumetti mainstream per decenni (l’uso di didascalie frammentate, il flusso di coscienza), e la riabilitazione di un personaggio come Kraven che ci ricordavamo solo per il gonnellino leopardato.

Ristampato di recente dalla Panini, non può mancare in qualsiasi scaffale che voglia darsi un certo tono.

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Il bambino dentro, la saga che ci ha consegnato il Goblin più inquietante e tormentato della storia del Ragno. Harry Osborn ne esce tratteggiato come mai prima: un personaggio lacerato dalla memoria del padre, dall’amicizia per Peter, dall’amore per il figlio e dall’eredità pesante di follia che ha ricevuto. Il tutto intrecciato con la straziante storia di Vermin, un personaggio già introdotto ai tempi di Capitan America e qui sviluppato come una cavia per mostrarci l’effetto orrendo che gli abusi sessuali possono avere sulla mente di un bambino. Da leggere e rileggere, oggi come ieri.

Anche questa storia è stata ristampata di recente. Compratela, sciocchi!

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La morte di zia May. Dopo decenni in cui non sopportavamo più questa vecchia petulante e pallosa, augurandoci la sua morte tra atroci sofferenze, De Matteis scrive una storia in cui riesce a farcela amare, a farci piangere per la sua dipartita, a farci immedesimare nella perdita di Peter; e anche in quella di Ben Reilly, che in silenzio piange lacrime nascoste. Se non è un miracolo questo.

De Matteis ha scritto anche molto, molto altro: una buona run di Daredevil, di X Factor, di Silver Surfer. Dove vai, con lui, non sbagli. Oggi scrive per la televisione, ha resuscitato insieme al compare Giffen la Justice League International (Justice League 3000 e 3001) e, a giudicare dal suo sito internet, sembra una persona felice. Beh, se lo merita.

Auguri Jean Marc, noi vecchietti ti vogliamo ancora bene!

Francesco Pone

Francesco Pone legge fumetti da troppo tempo. La sua principale occupazione è tentare di far servire a qualcosa la sua laurea in filosofia.

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