Caro Zero ti scrivo
Caro Zerocalcare,
ti scrivo questa nella speranza che tu la legga prima che sia troppo tardi. Stamattina, come è mia consuetudine, ho comprato il mio bel numero dell’Internazionale e, aspettando dal barbiere lo scucuzzamento mensile, ho dato fondo al tuo reportage a fumetti (o GVaphic JouVnalism, come piace diVe ai Vadical chic). Giunto all’ultima pagina, mi è presa la smania della recensione: fortunatamente sono stato bloccato dal mio barbiere che, armato di cesoie, ha espletato il suo sporco lavoro. Dico fortunatamente perchè, scrivere una recensione di getto, subito dopo la lettura, è sempre una pessima idea.
Mentre i miei pochi capelli rimasti svolazzavano tristemente nell’aria tersa del sabato mattina, ho pensato che ti avrei fatto un pessimo servizio, scrivendo una recensione. C’è un’urgenza maggiore nel rivolgerti un appello.
Ironia della sorte vuole che questo numero dell’Internazionale esca più o meno contemporaneamente con il tuo “ultimo libro”, l’Elenco telefonico degli accolli, dove riunisci un pò delle storielle del web condite con qualche pagina inedita.
Da un lato abbiamo lo Zero del passato: e fidati, quello non ti riesce più tanto bene. Ok, la risatina ci scappa; ok, le icone della nostra infanzia, l’armadillo, lady Cocca. Ma questa roba non dura MAI. I manicomi sono pieni di autori che pensavano di camparci tutta la vita.
Dall’altro ci compare un fulgido, nuovo Zerocalcare, quello che ha compiuto un miracolo vero e proprio. Ci voleva che uscissi fisicamente da quella casa di Rebibbia che hai saputo raccontarci tanto bene; ci voleva che ti avventurassi nella guerra, la guerra vera, per mostrarcelo. Già nel tuo precedente reportage ci avevi provato, ma quello che lì era una promessa, qui è una splendida realtà.
Il miracolo è vedere lo stesso, medesimo stile de “la profezia dell’Armadillo” funzionare alla perfezione con il reportage dalle zone di guerra; sembra fatto apposta per restituirci il significato della vita di chi combatte per la propria e l’altrui libertà. È straniante, è bello. È ancora la tua vita, e si capisce da come e da cosa racconti; sono i tuoi pensieri di fronte all’enormità della guerra. C’è ancora Rebibbia, c’è Roma, c’è l’Italia e ci sono i ragazzi cresciuti negli anni 80 e 90, e c’è ancora l’Armadillo. Però tutto è utilizzato per parlare di qualcosa di più grande, e per farcelo capire. E ci riesce, accidenti.
Quindi, Zerocalcare, per favore. Non tornare a Rebibbia. Non raccontarci più dei plumcake, delle pantofole nel forno. Abbiamo riso di queste cose, ti abbiamo voluto bene. Ti abbiamo sentito vicino. Ma ora, ti prego, non fermarti. Parti di nuovo, guarda ancora il mondo con i tuoi occhi stralunati, digerisci ciò che vedi nella tua testa che assomiglia così tanto alla nostra e poi risputacelo fuori, sputacelo in faccia per farci capire cose nuove, cose belle.
Cose come la vita del Comandante Nasrin.
E’ questo il tuo futuro. L’elenco telefonico degli accolli è un accollo. Liberatene, ok? Perchè ora sappiamo di cosa sei capace: ora, levati ogni dubbio dalla testa, sei un autore, e te ne devi prendere la responsabilità.