Anubi – della morte e della città
Torna la coppia Taddei-Angelini con Anubi, un graphic novel duro e spiazzante, più della vita stessa.
Anubi, fumetto creato da Marco Taddei e Simone Angelini (GRRRz Comic Art Books) è un’opera che ci mostra come il già detto ed il già visto, se esposto bene, porta a qualcosa di totalmente nuovo e fresco.
Anubi, protagonista del fumetto, è il Dio dei Morti che da anni vive in una piccola e anonima città di mare di un’anonima provincia: da anni si ripromette di tornarsene in Egitto ma continua perennemente a restare lì, trascorrendo le giornate tra droga, bevute al bar e a lanciare sassi in riva al mare, domandandosi se questa è la vita che vuole e come ci sia finito. Una vita allo sbando, contornata dalla mancanza di lavoro e di una certezza nella vita. Le cose non vanno meglio dal punto di vista delle relazioni sociali: tutti lo evitano in quanto viene considerato uno estraneo nel contesto in cui vive, un anomalo (in fondo è un cane antropomorfo); sui muri campeggia la scritta ANUBI VATTENE e gli unici “amici” che ha sono i bucolici lavoratori e gli operai che puntualmente frequentano il bar in cui Anubi passa gran parte delle sue giornate a bere Campari.
Per quanto la cittadina sia anonima, i personaggi che la abitano (e con cui Anubi ha quei pochi rapporti) sono eccentrici e sopra le righe: abbiamo i tossici, un impiegato alla diga (Travis) che sogna di inondare tutta la città, un uomo con un tumore deturpante sul volto, un clown razzista e antisemita, un trio di perfide suore e lo scrittore Burroughs. Un quadretto bizzarro come bizzarre possono essere le piccole città di provincia, che riservano sempre delle sorprese inaspettate.
Leggendo queste premesse vediamo come l’opera, in linea con l’underground fumettistico italiano e non, tratta temi già profondamente indagati e sviscerati da tantissimi graphic novel. Temi quali la vita castrante della piccola città, l’assenza di un punto di riferimento esistenziale, la battaglia con i propri demoni e principalmente con sé stessi. Anubi però ha una marcia in più, un qualcosa che molte opere fumettistiche non hanno e che fa la differenza: la Forma.
Questo, infatti, non è un fumetto che vuole mostrare al lettore come può essere martoriante la vita e di come può essere difficile vivere in un mondo che non ti accetta: ma glielo fa direttamente provare. Anubi butta il lettore dentro quella routine e gliene fa assaporare un pezzetto; fa mettere a chi legge la maglietta bianca e il costume da cane di Anubi per essere egli stesso Anubi; gli fa bere i Campari e gli fa affrontare il demone della vita.
Il lettore diventa il Dio dei Morti in un mondo di vivi.
Come in un film neo-realista, Taddei e Angelini strutturano il fumetto (di ben 320 pagine) in modo tale che la narrazione scorra asettica, statica, quasi monotona, con una griglia di massimo sei vignette per pagina, come se tutte le tavole fossero la pellicola di un film, tanti piccoli fotogrammi che compongono un’esistenza immobile e straniante. Dentro le vignette non vediamo un segno dinamico e movimentato, bensì un tratto fermo, immobile e spesso, che frequentemente fa da interprete a personaggi che per molte pagine rimangono in riva al mare a non fare niente, semplicemente a esistere. Il lettore fa amicizia con i personaggi, ci va al bar insieme e al contempo ne prova disgusto, vive le vie della città e ci vomita sopra.
All’interno della “forma”, poi, sapientemente orchestrata da Taddei e Angelini, vi sono delle interessanti chiavi di lettura sulla vita contemporanea e sulla società: la città, che a tutti gli effetti è un personaggio a sé stante, e non solo uno “sfondo”, è vista come una prigione, un tugurio in cui passare amaramente una vita perfida e ingiusta, un’entità che ti avvolge e ti intrappola per suo volere.
Gli autori, però, mostrano, nello scorrere, della narrazione, come siano i personaggi stessi, sudici e senza morale, a creare e a concimare il mostro della città. Nell’opera vengono rappresentati scorci del paese oscuri e tenebrosi, dai quali spuntano occhi e mostriciattoli pronti ad attaccare, sinonimo dell’odio e dello “schifo” che relazioni umane, talvolta, possono generare. Il mostro perfido della città si alimenta tramite il vivere una vita basata sulle relazioni tra morti dentro. Non a caso il protagonista, Anubi, è il Dio dei morti che non viene accettato dai vivi: emblematica è la sequenza iniziale in cui vediamo “la città” spuntare letteralmente dal suo corpo, quasi a dire “la città sei tu, la crei tu” ed inevitabilmente ne viene schiacciato, assorbito.
Taddei e Angelini, con quest’opera, hanno saputo indagare con sapienza dentro le vite degli “uomini comuni”, dei reietti che lo sono non per libera scelta, rinnovando la forma del graphic novel.