Quel gran pezzo dell’Ubalda – The Pulse #13 di Brian Bendis e Michael Gaydos

La nostra rubrica sulle pagine particolarmente belle di fumetto si arricchisce con il Bendis d’annata, prima che diventasse troppo ricco per preoccuparsi di scrivere bei fumetti.

Torna Quel gran pezzo dell’Ubalda, la rubrica di critica fumettistica dedicata all’analisi di singole pagine di straordinario valore: stavolta Bendis e Gaydos tengono una lezione su come impaginare una tavola in maniera magistrale.

I precedenti articoli di questa rubrica sono consultabili a questo link.


Nel mio scorso “pezzo dell’Ubalda”, la rubrica in cui segnaliamo e analizziamo pagine particolarmente interessanti di arte fumettistica, (qui un’altra puntata ad opera del nostro esimio Direttore), lanciavo una frecciatina a uno scrittore molto in voga, il caro Brian Michael “la Marvel è mia” Bendis.

La verità è che con Bendis ho sempre avuto un rapporto ambivalente. Da un lato lo trovo un innovatore, che è riuscito a portare una bella ventata d’aria fresca sia nel modo di raccontare storie del fumetto americano, sia più specificatamente in quello Marvel. Dall’altro trovo che il suo modo di narrare le storie abbia creato un nuovo standard, e che questo standard, esteso praticamente a tutto il parco testate della Marvel, lo abbia decisamente snaturato nella sua essenza.

C’era un tempo però in cui Bendis non scriveva tutto quanto; la sua influenza si limitava alle serie che scriveva e tutti i suoi lati migliori emergevano alla grande. The Pulse è una di quelle serie, e il numero 13 ha un passaggio che è Bendis allo stato puro; e che è fumetto nel massimo delle sue potenzialità narrative.

Eccolo qui in tutto il suo splendore: leggetelo con calma che torniamo a parlarne tra poco. (Se avete l’albo in italiano, e cioè L’Uomo Ragno Panini numero 350, usate quello. La carta è sempre la carta!)

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Abbiamo tre strisce di vignette di due dimensioni diverse: la più grande è esattamente il doppio della più piccola. La scelta di una successione così regolare rende la storia particolarmente focalizzata sugli elementi essenziali della narrazione: parole, espressioni e gesti, eliminando qualsiasi altro tipo di distrazione. Conferisce inoltre al narrato un’atmosfera di tranquillità, silenzio e regolarità: siamo nelle fogne, non c’è nessun altro tranne i due protagonisti del dialogo; gli unici suoni sono le loro parole, gli unici movimenti i loro gesti. L’occhio si muove con sicurezza e regolarità, non deve cercare nulla all’infuori del contenuto delle vignette.

La pagina scorre come un ruscello di primavera, ma nella sua apparente semplicità rivela la potenza del nostro medium preferito nel mettere in scena uno degli elementi più difficili dell’arte narrativa, ovvero il dialogo. Nello specifico Bendis e Gaydos riescono praticamente a sfruttare tutte le potenzialità dell’arte sequenziale in una sola tavola doppia.

Prima di cominciare l’analisi di questo magnifico Pezzo dell’Ubalda, è necessario sapere che Ben Urich, il giornalista del Daily Bugle, sta indagando su un supereroe vestito come Devil che sventa rapine nei negozi e, prima di sparire, ruba qualcosa. Dopo un po’ di indagini scopre trattarsi di D-Man, una fantastica creazione di Mark Gruenwald: il supereroe senzatetto che vive nelle fogne.

È proprio nelle fogne che Urich scende per incontrare D-Man e comprendere cosa possa spingere un uomo dotato di superpoteri a vivere nelle cloache e a rubacchiare mentre sventa i crimini.

 

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La prima immagine di D-Man è immersa in una penombra che è quella delle fogne ma è anche il riflesso del dubbio che, in quel momento, sta attanagliando Urich. Se notiamo l’inquadratura, troviamo che è leggermente bassa rispetto a D-Man, come fosse una soggettiva di Urich. Cosa aspettarsi da questa persona? È un eroe, un ladro, o semplicemente un pazzo? Urich non lo sa, ed è per questo che l’ombra dell’incertezza ammanta D-Man, lasciando spiccare soltanto gli occhi.

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Le due vignette successive sono di dimensioni doppie per suggerire un lasso di tempo più lungo: i personaggi parlano a lungo. La prima non è una soggettiva di D-Man ma quasi: siamo immediatamente dietro di lui, e vediamo Urich dall’alto. Il giornalista è una figura più luminosa. Scopriamo che D-Man legge i giornali e apprezza il lavoro dell’altro. La vignetta successiva è speculare, dalla parte di Urich: D-Man non è più così in ombra, lo vediamo meglio, quasi percepiamo il sollievo del giornalista quando capisce di star parlando con una persona che, dopotutto, non deve essere poi così folle.

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Qui, nella prima e terza vignetta, vediamo Urich e percepiamo i suoi dubbi: che il suo sia stato un viaggio a vuoto? D-Man sembra fin troppo normale. Lo sguardo fermo sulle mani che si stringono è lo sguardo del giornalista: il tempo della vignetta di mezzo è dato dai baloon di dialogo, così concludiamo che la stretta di mano sia lunga, come se rimanessero così per qualche secondo. Poi Urich porta la mano al mento. Si sta chiedendo se andarsene.

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Il gioco di sguardi continua mentre D-Man mostra il suo costume accennando alla sua grande ammirazione per Devil. Tutto fila liscio, finché…

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Le ultime tre vignette sono delle stesse dimensioni delle altre, rappresentano gli stessi soggetti; la seconda e la quarta sono praticamente uguali, eppure ecco che accade la magia del fumetto. Senza didascalie esplicative, senza baloon di dialogo, in quelle ultime tre vignette passano mille pensieri, paure, storie. D-Man, appena scopre che Urich non è lì per caso, ma anzi, è lì per cercare lui, tace. Il suo sguardo è indecifrabile. Nella penultima vignetta, con pochissimi tratti, Gaydos ci mostra la paura sul volto di Urich. Le sue paure iniziali si stanno materializzando: è solo, nelle fogne, con un superessere dotato di forza straordinaria e non tutte le rotelle a posto. Che lo guarda senza proferire parola. Qualcosa sta per accadere, la tensione sale.

Ed ecco cosa accade, a un Urich semplicemente pietrificato.

UR # 450b_0036-37 - 6D-Man lo tocca. E poiUR # 450b_0036-37 - 7

L’inquadratura si sofferma sull’essenzialità di quel gesto, che Urich subisce senza battere nemmeno le palpebre. Nella vignetta di mezzo possiamo leggere l’universo interiore di Urich mentre aspetta che D-Man lo tocchi di nuovo, ed è proprio questa la magia del fumetto di cui parlavamo tanto: la capacità di significare tantissimi contenuti pur utilizzando pochissimi tratti. Cosa pensa Urich in quel momento? Io sono praticamente sicuro che tutti i lettori, nella loro diversità, avranno letto in quella vignetta lo stesso smarrimento, la stessa pietà, la stessa sensazione di vulnerabilità che Bendis e Gaydos hanno voluto esprimere.

Potenza del fumetto.

La scena si scioglie in modo perfettamente conseguente.

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“Sei reale”

“Sì”

“A volte è difficile capirlo. Scusa”

Tre linee di dialogo semplice, asciutto, ma cariche delle vignette precedenti, che ci dicono mille cose dei due personaggi. D-Man se ne va, e Urich esita, indeciso se seguire quell’uomo gentile ma sul baratro della follia; indeciso se andare a fondo per rischiare di scoprire fino a che abisso può portarti un costume da supereroe.

Vi invitiamo a procurarvi quella storia, o a rileggerla, per scoprire cosa deciderà di fare Urich. Qui vi lasciamo fino al prossimo Pezzo dell’Ubalda, la rubrica che vuol mettere a nudo la bellezza del fumetto.

 

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